- 8 -
Cap.2
Sensi di Alfonso con suo fratello D. Ercole: sue umili
disposizioni per equipaggiarsi; sua grave infermità, e sentimenti del Pubblico
per la sua subordinazione al Papa.
- 8 -
Fatto inteso in Napoli
D. Ercole di lui fratello d'aver Alfonso accettato il Vescovado, non mancò seco
rallegrarsi a venti di Marzo, ed esibirsi per l'occorrente in Napoli, ed in
Roma. Ringraziandolo Alfonso, così li rescrisse: "Fratello mio caro, io
sono restato così stordito da questo precetto, che ho avuto dal Papa, ad
accettare il Vescovado - 9 -
per
ubbidienza, che stò come uno stolido, pensando che ho da lasciare la
Congregazione, dopo esserci stato trent'anni.
Del resto vi ringrazio, che volete improntarmi
i danari per le spese. Se voi non volevate, io già avevo pensato scrivere al
Papa in ultimo caso, che io non avea come fare per le Bolle, e per tante altre
spese che bisognano. Chi sa, se forse per quest'impotenza, mi avesse liberato
dal Vescovado. Aveva scritto, che il Cardinale Spinelli mi aiutasse a
liberarmi, ed esso ha fatto tutto il contrario. Che voglio dire? mi sagrifico
alla volontà di Dio.
Dopo altre cose
soggiunge: Voi vi siete rallegrato, ed io non fo altro, che piangere. Dove mi
stava apparecchiato il Vescovado nella vecchiaja! Ma sia sempre fatta la Divina
Volontà, che mi vuol martire in questi ultimi anni di vita. Ho perduto il
sonno, l'appetito, e son diventato stolido, pensando, che il Papa non dà mai
tali precetti, ed a me l'ha voluto dare. Stammatina mi è venuta la febbre, e
questa sera che scrivo, non mi è passata ancora.
Pervenuta in Venezia la
notizia di sua elezione in Vescovo, anche il Signor Remondini non mancò seco
rallegrarsene. "La ringrazio, li rescrisse Alfonso, dell'officio, che sa
meco di congratulazione, ma per me l'unico conforto, che in ciò ho ritrovato, è
stato il precetto del Papa, che mi ha obbligato ad accettar questo peso: cosa,
che ha fatto stordire Napoli, e Roma.
Accettato il vescovado,
non passò per capo ad Alfonso stabilirsi in Napoli, come si suole, una qualche
abitazione di suo decoro. "In quanto alla casa, scrisse al Fratello, io non
vorrei caricarmi di spesa. Penso, che quando vengo in Napoli, mi basterà una, o
due camere dentro lo stesso quarto vostro di basso, dove posso ricevere qualche
nobile che verrà a trovarmi, perché il quartino di sopra resterà per i miei
Compagni. Anche il Fratello Francesco Tartaglione li scrisse per qualche
mobile, che nel nostro ospizio doveva prepararsi: Io, in Napoli, li rescrisse,
spero non venirci più; ma se ci vengo, mi bastano quattro sedie di paglia.
Essendoseli detto dai
nostri, che bisognava pensarsi per la carozza, e per le livree; se per ubbidienza ho accettato il Vescovado,
disse Alfonso, debbo imitare li Santi
Vescovi, e non mi state a dire carozze, e livree. Che ho d'andare facendo il
Bagascio per Napoli? essendo stato obbligato da Monsignor Borgia, e da
Monsignor Volpe, e molto più dal suo direttore il P. Villani a voler far uso
della carozza, per lo meno s'industriava averne una usata, e di meno spesa:
"Sì Signore l'avrò da comprare, scrisse al medesimo D. Ercole; ma voglio
vedere, se il Vescovo passato abbia lasciato carozza servibile, perchè l'avrei
a molto buon mercato. In questa, o nell'altra settimana sarò in Napoli, - 10 -
e parleremo. Ma per ora,
che starò in Napoli, non mi bisogna comprar subito la carozza, e le mule: mi servirò
(cosa, che non si crede) della carozza di Forcella per le visite, che ho da
fare.
Qualunque fosse stata
l'uniformità di Alfonso in sottomettersi al volere del Papa, fu tale però la
violenza che fece a se stesso, e tale lo sconvolgimento, che soffrì nello
spirito, che fu per lasciarci la vita.
La mattina de' 20 si
ritrovò con febbre. Sulle prime si credette una qualche flussione. Spiegati li
sintomi, ed essendo questi cattivi, si dubitò subito di sua vita. Monsignor
Volpe, e Monsignor Borgia non si davano pace, né sapevano come ajutarlo. Si
conosceva la causa, ma non si ritrovava il rimedio. Qualunque motivo di
consolazione era inutile.
La spina, che sopra
tutto trafiggevali il cuore, era, che stimava il Vescovado come in castigo de'
suoi peccati. Giusti giudizi di Dio,
spesso esclamava, Iddio mi caccia di
Congregazione per li peccati miei. Tra queste angustie eragli solo di
qualche sollievo la speranza di vedersi un giorno rimesso in Congregazione.
"Tengo per certo, disse a Monsignor Volpe, e lo spero, che placato Iddio
con me, almeno a capo di anni illuminar voglia il Papa ad elegger per S. Agata
altro soggetto meritevole, e voglia per sua misericordia rimandarmi a morire in
queste medesime mura di dove sono per uscire.
Sparsa la voce del
motivo per cui vedevasi in pericolo della vita, vi accorse da Lettere anche
Monsignor Giannini: così varj gentiluomini, ed Ecclesiastici di riguardo furono
a visitarlo dai vicini paesi. Monsignor Borgia, e Monsignor Volpe non partivano
dal suo fianco. Anche l'Eminentissimo Sersale non lasciò consolarlo da Napoli,
e slargarli il cuore con savj riflessi. Il male non però si avanzava, e
sempreppiù si aveva per disperato.
Così passando le cose
in Nocera, in Roma Papa Clemente XIII sommamente si compiaceva per la sommissione
di Alfonso ai suoi voleri; e con altra lettera, de' 26 Marzo, fecelo accertare
da Monsignor Uditore del pieno compiacimento, che ne provava:
"Ho il vantaggio
di replicare questa mia ossequiosa a V. P. Reverendissima, così Monsignor
Uditore, per assicurarla, che Nostro Signore ha inteso con distinto piacere,
che ella soggettando la propria volontà alle di lui determinazioni, siasi
rassegnata, e disposta ad accettare il governo della Vescovil Chiesa di S.
Agata; ed è nella più ferma fiducia, che il merito di questa sua conformità
alla divina chiamata, sarà per impetrarle dal Signore abbondanti forze, e li
ajuti necessarj, per l'adempimento de' suoi doveri in quella Diocesi. Soggiunse
di vantaggio e disse: Questa sicurezza che io le porgo della Pontificia
soddisfazione, le serva di conforto per sino che farà ella in grado di meglio
per se stessa rivederla nella sua venuta in Roma, quale ha fatto benissimo
differire, dopo la corrente - 11 -
rigida stagione; e potrà con suo comodo intraprendere il viaggio,
regolandosi secondo le notizie che riceverà dal suo Agente, per essere
all'ordine nell'altro susseguente Concistoro. Dal mio canto ambisco di dare
alla P. V. Reverendissima effettive riprove della rispettosa mia osservanza,
col frequentemente obbedirla; ed intanto riverentemente mi rassegno.
Giunse questa lettera
in tempo che Alfonso veniva dalla febbre più che mai afflitto e travagliato.
Reso avvisato in Napoli D. Ercole dello stato pericoloso, in cui vedeasi il
Fratello, si portò subito in Nocera, portando con se uno de' migliori
Professori. Richiesto Alfonso come ne stasse, disse: Sto sotto la mano di Dio. Tra questo tempo non mancarono i nostri,
che stanziavano nella Casa de' Ciorani, essere a visitarlo. Non se ne consolò
Alfonso; ma in vederli, piangendo lor disse: Siete venuti a cacciarmi dalla Congregazione. E ripigliando D.
Ercole a voler stare di buon animo, rispose: Sto per far sempre la volontà di
Dio.
Fu sì grave la sua
infermità, che in Napoli, ed in Roma si credette anche morto. Il Papa se ne
afflisse estremamente, ed incerto dell'esito, se muore, disse, noi li diamo
la nostra Apostolica Benedizione, ma se vive lo vogliamo in Roma. Tutta la
Congregazione si vide agitata; ed in tutte le case si facevano a Dio delle
pubbliche preghiere, premendo a tutti la di lui vita, come proprio Padre, e
Fondatore.
Un estro di gioja
produsse in S. Agata la sommessione di Alfonso ai voleri del Papa. L'allegrezza
fu commune in ogni ceto. Più Canonici furono destinati dal Capitolo per andare
di persona a seco congratularsi; ma quanto in questi fu grande la brama di
riconoscere un Uomo, che loro Iddio destinava per Padre, altrettanto fu
doloroso l'incontro, ritrovandolo a letto, ed in pericolo della Vita. Anzichè
atti di complimento, furono di condoglienza le loro espressioni. Ritornati in
S. Agata, si restò funestato per tal notizia, e dal Clero, e da tutti si
avvanzarono a Dio le preghiere, per vederlo in salute, e nello stato di goderlo
per loro Pastore.
Troppo senso fece in
Napoli così la rinuncia di Alfonso, che l'accettamento del Vescovado. L'una, e
l'altro fu presso tutti di somma edificazione. Colla rinuncia si confermò in
ognuno il sommo distaccamento che avea dalla Dignità e dagli onori: e
coll'accettamento si ammirò la sua somma sommessione al Capo della Chiesa. Non
così s'intese dal Marchese Tanucci, perchè forse non seppe tutto. Se ammirò la
rinuncia per lo Vescovado offerto, restò formalizzato, e l'ebbe a memoria,
vedendolo accettato. Venendo pregato a capo di anni, non sò di che in nome di
Alfonso, dal Consiglier Celano, enfaticamente li disse: "Come! Monsignor
Liguori rinunciò il Vescovado di Palermo, offerto dal re, e poi accetta quello
di S. Agata, offerto dalla Corte di Roma.
- 12 -
Ripugnò per quello di Palermo, rispose il Celano, avendo
voto di non accettare qualunque dignità. Anche questo di S. Agata lo rinunciò,
ma poi l'accettò, perché obbligato dal Papa con formale precetto di ubbidienza:
se la Maestà del Re anche l'avesse obbligato per quello di Palermo, similmente
accettato l'avrebbe. Questa risposta imbarazzò il Marchese, ma non volle darsi
per vinto. Il Sovrano, disse, non forza, ma vuole essere obbedito.
Tutta
volta il Marchese Tanucci favorì Alfonso in ogni rincontro, e l'ebbe sempre in
somma venerazione.
|