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Cap. 7
Ingresso, e ricevimento di Alfonso in S. Agata.
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Non era per credere la
Città di S. Agata, correndo i calori estivi, ed in tempo di mutazione, poter
godere così presto la presenza di Alfonso. Ognuno differito avrebbe la gita, se
non dopo i geli, cadute almeno le acque. Così Alfonso consigliato veniva da
Medici in Nocera, ed in Napoli; e non altrimenti sentivasi da' Signori
Santagatesi.
Egli però considerando
esser proprio del buon pastore rischiar la vita per le sue pecorelle, o per non
vederle morir di fame, o per non esser da lupi danneggiate, qualunque fossero
le circostanze della stagione, non curando se stesso, volle ritirarsi nel
Vescovado. Essendone dissuaso, non deve
il Vescovo, rispose, badare a'
pericoli della vita; ma sacrificar si deve per le anime a se commesse. Per
lo meno situar potevasi in Arienzo; e venivane consigliato, perchè comoda
l'abitazione, ed in aria più salubre; ma portar si volle in S. Agata come luogo
destinato da Dio alla sua permanenza.
Essendo ritornato in
Napoli, di là per tempo la Domenica susseguente, cioè agli undici di Luglio,
Egli, ed il P. D. Francesco Margotta in una carozza, e D. Ercole suo Fratello
col P. D. Angelo Majone nell'altra, si avviò alla volta di S. Agata.
Giunto in Casoria,
anche tra queste sollecitudini, e tra le angustie non leggieri del proprio
spirito, portossi per celebrare privatamente nella Collegiata di S. Mauro.
Clero, e Gentiluomini furono tutti in moto per godere della sua benedizione.
In Maddaloni, ove tirò a
pranzo, fu nel Monistero de' PP. Conventuali. Il P. Maestro Mirabelli, già
Provinciale, cosa non lasciò per contestarli - 27 -
venerazione, e rispetto. Splendida fu la tavola, e
non furono meno di trenta i commensali. Monsignor Albertini, avendo saputo il
prossimo suo arrivo, da Caserta si portò ad incontrarlo in Maddaloni. Ivi venne
complimentato così dal Clero, che da quei Signori, e maggiormente da quantità
di gentiluomini concorsi da S. Agata, e da' Casali e terre della Diocesi.
Monsignor Albertini
anche con molti del Clero volle accompagnarlo fino a' confini della propria.
Così altri Signori, e persone rispettabili di Maddaloni.
Dividono i famosi ponti
dell'acquedotto reale la Diocesi di Caserta da quella di S. Agata. Come vi si
giunse, siamo in Diocesi, li disse il
Canonico Jermieri, degnateci della vostra
benedizione. Pianse per tenerezza Alfonso, vedendo la strada tutta seminata
di Popolo, anzioso per prevenirne la benedizione. Trionfo simile non vide l'età
passata, come fu quello di Alfonso, mettendo piede nella sua Diocesi di S.
Agata, acclamavanlo tutti ad una voce come santo.
Giunto nella real Terra
di Valle fu ricevuto con un superbo sparo di mortaj, e di altro fuoco
artificiale. Avendo ritrovato avanti la Parrochiale, ch'è lungo la strada,
altro immenso Popolo concorso da' Casali, che anche come santo acclamavalo, e
goder voleva di sua benedizione, Alfonso, considerandolo famelico di spirituale
alimento, interrompe il camino, smonta di carozza, ed entrato in Chiesa, avendo
fatta non breve adorazione avanti il Venerabile, consolò tutti con un sermone
apostolico, incaricando ad ognuno la propria salvezza; ma con tal zelo, e
fervore di spirito, che tutto il Popolo ne restò commosso. Io parto, lor disse, ma vi
lascio il cuore, e tra breve vi manderò la S. Missione, che sarà per voi un
richiamo delle divine Misericordie.
Nuovo Popolo ritrovò in
Bagnoli, che è feudo della mensa. Anche quivi fu ricevuto con altro sparo di
mortai, e con altre acclamazioni di tenerezza.
Pervenuto in S. Agata,
sel figuri ognuno con quanto, e quale, applauso potett'esser accolto dai
Signori Santagatesi. Smontato di carozza, complimentato venne nel cortile
dell'Episcopio coi maggiori segni di riverenza da amendue i Cleri, e da un
numero tragrande di Signori della Città, e Diocesi.
Avendo preso un respiro
di riposo nell'Episcopio, come si fu per calarlo processionalmente in Chiesa,
si avvidero i Canonici, che mancavali il galero, o sia cappello verde. Non
potendosi in altro modo rimediare, si prese quello, che stava sospeso sul
sepolcro del fu Monsignor Danza.
Essendosi esposto il
Venerabile, orò Alfonso per un pezzo prostrato di faccia a terra, grondando
sangue, e non lagrime dagli occhi. La Cattedrale benché spaziosa, videsi così
zeppa di Popolo, che anche buona parte ne stava di fuori. Volendo, terminato il
Te Deum, profittar dell'occasione,
scende dal trono, e situandosi nel lato destro dell'Altare, quasi per un'ora
consolò tutti con un sermone - 28 -
quanto amorevole, altrettanto tutto zelo. In Chiesa si vide tra tutti un
pianto misto di allegrezza, ringraziando Iddio ognuno, per aver lor concesso
non un uomo, ma un Angiolo per proprio Pastore.
Il Canonico D.
Francesco di Lucia, in quel tempo seminarista, non mancò notarsi i di lui
sentimenti. Adorò Alfonso col Popolo le disposizioni di Dio, che benché inabile
avevalo voluto Vescovo in S. Agata. Si protestò non essersi portato per
prendersi piacere, e vivere con comodo, ma per agevolare ad ognuno colle
proprie fatiche, e sudori la propria salvezza. Che in Diocesi, non era arrivato
colla volontà di comandare, ma di farsi tutto a tutti; e che essendo Pastore,
siccome non avrebbe mancato prestare ad ognuno salutifero il pascolo, così
dovean le pecore, se volevano scansare i lupi, approfittarsi, ed ascoltar la sua
voce. Volgendo il discorso al Clero, si fé a pregarlo, ma quasi piangendo, di
volerlo coadjuvare nel peso, ed esserli di sollievo.
Questi, ed altri furono
i sensi di Monsignor Liguori aprendo il cuore la prima volta al Popolo
Santagatese. Prima però di terminare il discorso intimò per la Domenica
susseguente una general Missione, che egli era per aprire nella medesima
Cattedrale: così gli santi Esercizj al Clero Secolare, e Regolare, ed in
seguito a' Signori Gentiluomini. Avendo fatto dare col Venerabile la
benedizione, prese l'ubbidienza dal Clero, e ritirossi in Palazzo.
Giocoso si è, ma
divenne serio, quello accadde nel mezzo della predica. Essendo stato sorpreso
Alfonso da un urto di tosse, ma molesto, scherzando uno de' Capitolari, rivolto
agli altri disse: apparecchiamoci Signori miei, per l'altro Vicario Capitolare,
che se viene a Monsignore altra tosse simile a questa, di certo lo perdiamo. Vi
fu chi riferì un tale scherzo ad Alfonso, indicandoli il soggetto; e Monsignore
lepidamente anch'esso, ma non sa, disse, che cascano più volentieri le pere
acerbe, che le mature. Non passò molto tempo, e quel Sacerdote, ancorché in età
giovanile, sorpreso si vide dalla morte, anzi fu il primo tra tutti i Preti.
Tale fu l'ingresso di
Monsignor Liguori nella città di S. Agata. I Vecchi, che si ricordavano con
fasto di servitù, e di camerieri l'entrata di altri Vescovi, non potevano non
ammirare tanta povertà, e sì somma umiliazione; ma quanto povero, e dimesso ei
fu veduto, e senza alcun treno, altrettanto si conciliò tra tutti rispetto, e
venerazione. Uscendo il Popolo dalla Cattedrale, altro non sentivali ripetere,
ma con sensi di gioia, Abbiamo, chi
diceva, un Vescovo santo, e chi, un santo vivente abbiamo in S. Agata.
Se al suo primo arrivo
in Diocesi gustar fece Alfonso le primizie del suo zelo, un saggio anche diede
del suo disinteresse. La medesima sera quantità di regali, ma di
considerazione, presentati li vennero da - 29 -
varj Signori. Ci furono merci di dispensa in abbondanza, dolci, vini forastieri,
e rosolj. Monsignore tutto rimandò in dietro, dando le mancie a servitori, e
dichiarandosi obbligato con ognuno. Con edificazione di tutta S. Agata, quanto
bisognò la medesima sera, tutto si dovè comprare in piazza.
Giorni dopo, il
Provinciale de' PP. Domenicani mandogli, per mezzo del P. Monaco priore del
Convento di S. Maria a Vico, un grosso regalo di varie merci. Alfonso anche
rimandollo in dietro, e volle se li fosse scritto tenerlo scusato, se accettato
non l'avea, mentre non pendeva regali da veruno.
I PP. Conventuali grati
anch'essi, li mandarono un cantaio di caciocavallo con quantità di zuccherotti,
e candelotti di cera. Alfonso avendosi preso un caciocavallo, tutto il di più
rimandollo in dietro.
Le Monache di Frascio
l'inviarono, tra l'altro, una ventresca latante di circa rotola venti. Pregollo
il Canonico Jermieri non voler dare disgusto a quelle Madri, ma non per questo
s'indusse a riceverla. Il P. M. Eanti de' PP. Domenicani Lombardi di Durazzano,
anche li mandò un gran canestro di zuccotti, e candele. Monsignore avendosi
preso un pezzo degli uni, e delle altre, rimandollo indietro, pregandolo di
scusa, mentre nè anche da altri accettato avea simili attenzioni.
Non credendo il
Verzella suo Secretario tanta scrupolosità per la mensa, si arbitrò per la
cena, maggiormente che con altri commensali di riguardo, vi era D. Ercole
Liguori. Questo stare dispiacque ad Alfonso; e chiamatosi il Verzella, D. Felice, li disse, Dio vel perdoni! cosa avete fatto! Io non sono venuto quì per
dar tavola, nè voglio farvi patire, ma nemmeno voglio, che si eccede. Vi
saranno tanti poveretti, che muojonsi di fame, e noi vogliamo banchettare.
Non rendendosi consolato di nuovo sel chiama, e sistemando il vitto giornale,
ordina minestra ed allesso per se di mattina, e per la famiglia un altra
cosetta di più.
Vescovo se mutò stato
Alfonso, non cambiò trattamento con se stesso, che anzi ne accrebbe lo
strapazzo. prima di partire da Nocera spedì, per disporre il palazzo, un nostro
Laico in S. Agata, e tra l'altro volle, che portato avesse il suo solito
saccone per uso di letto. Avendo veduto preparato, la sera che vi giunse, un
letto nobile, chiama il Laico, e domanda, perché allestito non si era il
pagliaccio. Scusossi che il letto erasi preparato dai Canonici, e che la paglia
di germano, perché in luogo lontano, non aveasi potuto avere. Si procuri, disse Alfonso, e si compri ad ogni costo. Avendo fatto
levare i materassi, e disteso sulla lettiera il vuoto saccone, sopra di quello
vi dormì la notte, né si diede pace la mattina, se non vide in ordine il solito
pagliaccio per la sera susseguente.
Mortificazione, ed
umiltà, tra i comuni applausi, anche li fecero scorta - 30 -
in S. Agata. Avendo girato il Palazzo, la stanza più scomoda,
e di niuna veduta prescelse per se. Le migliori volle si destinassero pel
Vicario, pel Secretario, e pel P. D. Angelo Majone, che dovea seco trattenersi;
né si pose a letto la prima sera, senza battersi nell'ultima ora con un aspra,
e lunga disciplina. Così evitar voleva sopra del suo popolo lo sdegno della
divina giustizia, e per implorare da Dio sopra di se, e sopra di quelle le
divine misericordie.
Essendosi saputo il suo
arrivo in Diocesi, complimentato si vide da quantità di Signori, e da Vescovi,
ed Arcivescovi. Ci fu tra gli altri Monsignor Borgia, allora Vescovo di Aversa;
Monsignor Albertini Vescovo di Caserta; Monsignor Puoti Arcivescovo di Amalfi;
Innocenzo Pignatelli colla Duchessa della Salandra, quella di Bovino, e l'altra
di Cassano Serra. Così altri Prelati, Signori e Signore per godere di sua
benedizione, e quantità di Vicarj, che ora non sovvengono.
Non voglio ometter cosa, che attirò sul primo arrivo
l'ammirazione de' Santagatesi. Essendo calato in giardino, e vedendo che vuoto
ne stava, e senza alcun albero, chiamandosi il Fratello Leonardo, ordinò, come
se fosse il mese di Febrajo, piantarci una quantità di acrumi. Ne sorrise il
Fratello, ed espose non esser propria la stagione. Fate come vi dico, replicò
Alfonso. Ubbidì il Fratello, e se la ridevano e preti, e secolari. Il fatto fu,
e sorprese ognuno, che di tante piante, e non furono poche, non ve ne fu una,
che fosse andata in secco.
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