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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap. 10 Primi espedienti presi da Alfonso contro taluni scandalosi.
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Cap. 10

Primi espedienti presi da Alfonso contro taluni scandalosi.

 


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Se delle grandi piazze non si conseguiscono le rese, che con spargimenti di sangue , e replicati assalti: così è difficile vederli emendati taluni, che invecchiati nel peccato, si rendono forti coll'ostinazione. Qualunque fosse stato nel decorso della missione e dei santi Esercizj l'ardente zelo di Monsignor Liguori, per veder rientrato  in se  un Canonico della Cattedrale, tutto fu infruttuoso.

Era questi uno delle principali famiglie di S. Agata, e perduto vedeasi da anni ed anni con una maritata donnaccia, che teneasi in casa. Avean de' figli, e ben grandi, che con scandalo del pubblico passeggiavano anche in piazza. Facevasi forte il Canonico, perché prepotente, e sopra tutto per l'autorità di un fratello Canonico costituito in dignità, che nel passato governo disposto avea del Vescovo, e della Diocesi.

 

Avendo saputo Alfonso il deplorabile suo stato non lasciò mezzo colle reiterate, e più che paterne correzioni, per guadagnarlo a Cristo. Questi, che non avea fatto conto di Monsignor Danza, ancorché troppo lungo avesse braccio, avendo il Fratello Presidente del Sacro Regio Consiglio, maggiormente rideasi di Alfonso, vedendolo omicciottolo, cadente perché avanzato in età, e tutto umile, e dimesso.
Corretto, nol curava; anzi disprezzavalo, e tante volte con termini improprj. Volendolo guadagnare, più volte lo tenne a tavola; e non sapendo più che fare, un giorno tra gli altri se li butta ai piedi, e cavandosi di petto il Crocefisso, Figlio, li disse, se non vuoi farlo per decoro del Pastorale che sostengo, fatelo per quello Cristo morto per te, e per me sopra questa croce. Pianse Monsignore, ma non si compunse il Canonico.

Non curando Iddio, né il proprio Pastore, occecato, e senza ritegno sfacciatamente seguitava a vivere come per l'innanzi.


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Un altro pezzo di scandalo, e più scabroso ritrovò in Mojano. Era questi un Chierico beneficiato, chiamato Giuseppe De Luca, che da molti anni non viveva ad ecclesiastico, ma da forescito. Sua  Chiesa erano i ridotti, e le taverne, e non eravi carogna, che non addentasse col suo becco. Cinto vedevasi di fuoco; ne vi era misfatto che non avesse sulle spalle? Due anni prima avendo tolta una giovane di fianco un marito, tenevala con sé a dispetto de' parenti.

Monsignore Danza, avendolo arrestato, l'esiliò per anni cinque dalla Baronìa di Airola. Non curollo il Chierico, e restosi più insolente , dava spavento a tutti il solo suo nome. Pianse Alfonso in sentirne lo stato. Più volte se 'l chiama, e lo fa carico del suo travaglio. Borioso di Chierico nol cura. Alfonso, non sapendo più che fare, se 'l tenne anche a tavola, come mi attesta il Sacerdote D. Domenico Lamberti, che con esso fu commensale.

Tutto fu opera perduta. Anzichè emendarsi, rendevasi più orgoglioso.

 

Volendo Alfonso ricuperare questi due disgraziati, non lasciò adoperarvi, ma inutilmente, anche la mediazione di persone di riguardo. Ne pianse per lo Canonico col di lui fratello; ed essendosi adoperato col marito della donna, tanto fece che l'indusse ad unirli.

Anche questo mezzo  li rese vano. Minacciato il buon uomo, restituì la moglie a chi non doveva. Alfonso venendo alle strette, chiamandosi il Canonico li fa sentire, che se non toglieva lo scandalo, era per implorare il braccio del Sovrano. Questa minaccia, che doveva intimorirlo, fe darlo in furia, ed in tali escandescenze, che poco mancò, e facevaseli  addosso. Non si perturbò Alfonso; Canonico mio, li disse, se voi non la finite , la finirà Iddio.

Inutili anche furono altri tentativi col Chierico, anzi diede in maggiori eccessi. Dolendosi con qualche risentimento l'afflitta madre della donna che godevasi, per lo scandalo che risultava ad altre due sue figlie, l'ebbe a male il Chierico. Una notte, e fu a' 4 di Agosto, in atto che quella, tra due sue figlie, e due figliuoli dormiva in un medesimo letto, il Chierico, tirando una scoppiettata in faccia alla porta di casa, l'uccise, e ferì uno de' figliuoli.

 

Disperato vedevasi il caso di queste due anime, tutte e due perdute. Il Canonico era temuto per la  prepotenza, ed il Chierico per la bravura. Alfonso non avendo forza per domarli, ne diede parte al Re.

Inorridirono i Signori della Reggenza, e con dispaccio di fuoco al Preside di Montefusco si ordina, che tutti e due si arrestino, e fossero trasportate in quelle carceri. A'18 di Ottobre venne arrestato il Canonico nella piazza di S. Agata da due squadre ivi spedite. Confusione simile non eravi stata in Città; ma furono contrarj gli effetti.

In chi era leso dominava lo spavento, temendo di se, ed in altri il compiacimento,


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vedendosi troncato lo scandalo. Tutti però ammiravano muti e cheti lo zelo di Alfonso, ed il petto Apostolico, che dimostrava.

 

Arrestandosi il Canonico, vi fu un incidente, ma grazioso; Rincrescendo ai parenti il trasporto in Montefusco, e credendo che potesse Monsignore ritenerlo nelle proprie carceri; spedivano a momenti moltiplicate mediazioni. Non potendo, perché troppo chiari erano gli ordini regali; e non sapendo come capacitarli, temendo di funesto, cerca persona per mandarli a dissingannare. Sbattuto anch'esso il Segretario Verzella, non volendo lasciar solo Monsignore, chiama un Mansionario, che vestito degli abiti corali usciva di Sagristia.

In vederlo Alfonso, così agitato qual'era, con enfasi li dice: spogliati di questi abiti; ma mentre dir voleva il dippiù dell'imbasciata, il Mansionario sviene, e cade a terra; Non rinvenne che a forza di spiriti; e più morto, che vivo fu riportato a casa. Non capendo Monsignore d'onde un tale spavento, gli fu detto, che anch'esso il Mansionario, era infangato con una donnaccia. In sentirsi dire il poveretto: spogliati di questi abiti, credendosi arrestato come il Canonico, atterrito era svenuto. Due ficedole ad un colpo, disse Alfonso: Iddio è quello, che opera, preghiamolo, che faccia il dippiù.

Tale fu lo spavento del Mansionario, che più non si voltò in dietro per rimirare la sua druda. Si emendò da vero; e fu tale la sua esemplarità, che Alfonso a capo di molti anni fecelo Confessore.

Giunto il Canonico in Montefusco, rescrisse il Preside a Monsignore ove voleva che si ritenesse, se in Montefusco, o altrove. Pensava Alfonso nelle carceri di Benevento, perché più cautelate; ma contentossi pressato da' parenti, vedendo il lupo inceppato, che rimesso si fosse nelle sue, con plegiarìa bensì de' parenti, e con due guardie giornali a conto de' medesimi. Un giorno avendoselo chiamato. Canonico mio, li disse, io non castigo voi; ma il vostro peccato. Amo l'Anima vostra, e non voglio vedervi perduto. Pensate, che vi è Anima, vi è Dio, vi è inferno. Questo tuono vi voleva, per isvegliare il Canonico.

Consolavasi Monsignore sentendolo entrare in se stesso, e spesso spesso mandavagli libretti divoti, ed Imagini di Gesù Crocefisso, e di Maria Santissima. Circa un'anno lo tenne nelle carceri, ed indi dalla Curia venne condannato per anni tre tra' Padri Conventuali. La donna fu data al marito, diedesi ricapito ai figli il Canonico fu abilitato per la Messa, che a capo di anni.

 

Il susseguente alla carcerazione del Canonico fu anche arrestato in Mojano il Chiericastro beneficiato. Respirò Alfonso per tutti e due i felici successi; e volendo far vedere, per incutere un maggior timore nei discoli, ove si estendesse il suo braccio, così scrisse in Mojano al Parroco D. Tommaso Aceto: Grazie a Dio sono riusciti felicissimi i due servizi. Dite, e predicate da per tutto, che sono stato io, e non altri,


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che dal Re ho ottenuto la carcerazione. Voglio si sappia, che sono stato io.

Ristretto il Chierico nelle Carceri di Nevano, o sia nel Tribunale di Campagna, goder voleva il privilegio del foro. Nol riconobbe Alfonso per suo, non avendo mai usato verun segno ecclesiastico; e che patroncina, bajonette, e duebotte erano stati i suoi soliti ordegni. Per anni dieci il miserabile, dopo aver sofferto un lungo carcere, fu condannato in presidio nel Castello d'Ischia. Ma di nuovo di questo in altro luogo.

 

Nella medesima pece vedevasi invischiato in Diocesi un altro Sacerdote. Come si seppe la carcerazione del Canonico, e del Chierico, atterrito anch'esso si disbrigò della sua donnaccia. Così tanti altri, temendo il temporale, se non casti, per lo meno furono cautelati.

 

Meno sollecito non fu il zelo di Alfonso coi Regolari. Tanti e tanti traviati chiamati si videro in S. Agata. Sono incredibili le parti amorevoli, che fece con questi.

Tre Religiosi eranvi in uno de' Monasteri, e tutti e tre riuniti col Superiore erano il massimo scandalo della popolazione. Questi tutto il giorno non solo coltivavano le loro tresche con varie donnacce, ma divertivensela anche ne' giuochi proibitiCorretti, se ne burlavano

Alfonso avendoli fatti processare in Curia, ne diede parte al Provinciale. Questi essendo entrato in difesa de' suoi, O vostra paternità, li rescrisse Monsignore, mandi loro l'Ubbidienza di partire, o ce la farò dar io dal Commissario di Campagna. Due, uniti col Superiore, in risposta dovettero sloggiare: il terzo, perché meno reo, contentossi vederlo emendato.

Un altro Religioso in altro Convento anche vedevasi infangato nella dissonestà con sommo scandalo del popolo; e quello che è più, giornalmente passeggiarsela davanti la Chiesa, cicalare colla druda, e poi vedersi sull'Altare. Anche questo fu processato, e sbalzato altrove. Due conversi, in altro Monistero, oltre il vizio nefando, uno si avvinava giocando, e mangiando nelle taverne: l'altro avendo scandalosa corrispondenza con una Monaca Conversa, serviva ancora di mezzano per un altro scandalo. Tutti è due prima processolli, e poi sfrattar li fece dal proprio convento.

 

Cosa più particolare vi fu in Arpaja. Era gran tempo che un Religioso, con pubblico scandalo, illaqueato vedevasi con una giovinetta. Alfonso, non sperandone emenda, avendolo processato, lo bandì dalla Diocesi.

Destinato questi da proprj Superiori nel Convento di Montesarchio, occecato qual'era, portavasi notte tempo in Arpaja per ossequiare la sua druda. Fattone inteso Monsignore, arrestarlo, in casa della medesima, dai birri del Principe della Riccia, e trasportarlo nelle


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Carceri di S. Agata.

Lungo tempo tennelo nelle forze; e non curandolo il proprio Monistero, egli somministravali il vitto. Avendolo così maturato, lo bandì di nuovo, ne vide più, per finchè vi residette Alfonso, la Diocesi di S. Agata. Anche l'amasia venne arrestata, e ristretta nelle Carceri del Principe. Volendo Alfonso  guadagnarla a Gesù Cristo, cosa non omise per mezzo del Parroco, e di altri Sacerdoti per farli conoscere il suo stato, e dove andava a finire.

Ravveduta la meschina, ed essendo costante nel santo, proposito, Monsignore nel 1767, che fu in Napoli, non mancò situarla, come altrove dirò, nel Ritiro detto di S. Rafaele.

 

Altra grave amarezza nel suo primo arrivo in S. Agata soffrì Monsignore. Tra le tante donnacce, che nel decorso della Missione si diedero a Gesù Cristo, una ve ne , chiamata Elisabetta, che anche in Chiesa dimandò scusa de' scandali dati. Viveva questa da molti anni, benché maritata, in pubblico concubinato con un Gentiluomo primario della Città, e prepotente. Costui, ritirandosi quella dalla Chiesa dopo la predica, la siegue in casa, e tra le lusinghe, e le minacce fa ricaderla nel peccato.

Dolore simile a questo, credo, non ancora inteso da Monsignore. Né pianse; e ben di notte la mattina, fattosi chiamare il Gentiluomo, e facendolo carico del grave scandalo già dato, l'esorta alla penitenza. Quello perché prepotente ed altiero, con disprezzo se ne sbriga. Monsignore vedendolo perduto, non lascia richiamarlo. Vedendosi stretto il forsennato, e mal soffrendo le reiterate correzioni, non contento soperchiarlo di parole, si avanza a minacciarlo. Non se ne offende Alfonso.
Vedendo, che non toglievasi lo scandalo, diedene parte al Re. Dispaccio fulminante dalla Secreteria del Marchese Tanucci rimesso si vide al Tribunale di Montefusco. Essendosi spedito un Subalterno, si ordinò l'arresto del Gentiluomo, e della donna.

Ritrovavasi Monsignore in Airola, ove andò a fermarsi anche il Subalterno. Occecato il Gentiluomo, e non temendo, anzi disprezzando il tribunale, furibondo con una manica di facinorosi portavasi in Airola, per malmenare il Vescovo e toglierlo dal mondo, come diceva ; e fatto l'avrebbe, se un altro Gentiluomo nol faceva dare indietro. Monsignore, avendolo saputo , placidamente rispose: Può egli ammazzarmi, se vuole, perché mi coronerebbe col martirio. Raffredato il miserabile, e vedendosi perseguitato dal Tribunale, tale timore lo sorprese, che abbandonò la Diocesi, e postosi in fuga, si ritira in paese lontano.

Non meno il travaglio, che anche soffrì la druda. Persistendo Monsignore in Airola, non ebbe ritegno presetarseli unita col marito consenziente, ed implorare misericordia per se, e per il Gentiluomo.


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Arrestata dal Subalterno, dopo aver sofferta la frusta in Città, carica di funi fu mandata in Montefusco. Terrore fu questo per ogn'altra donnaccia, non che in S. Agata, ed Airola, ma in tutta la Diocesi, e ne' luoghi adiacenti. Mesi e mesi penò la disgraziata in Montefusco; ed imperpetuo sotto rigide pene, venne poi bandita da tutta la Diocesi di S. Agata.

Quanto questo Gentiluomo, afflisse dapprima Monsignore, tanto lo consolò coi segni di suo ravvedimento. Avendo avuto l'intento della carcerazione della donna, pregato da parenti, e specialmente dall'Arcidiacono, contentossi della fuga del gentiluomo e non perseguitarlo; anzi, per guadagnarlo, ancorché sapesse in seguito, che stavane nascosto in casa, fingeva non saperlo; ma tanto adoprossi per mezzo di persone autorevoli, che entrato in sé, umiliato lo vide prima a Dio, e poi ai suoi piedi. Rimesso, fu l'edificazione di S. Agata, ad una gioia del cuore di Alfonso. Visse con edificazione per molti anni; e venuto a morte, non mancava cercare scusa a chiunque, con un profluvio di lacrime, de' suoi scandali, e gravi trascorsi.

 

Non erano meno gli anni diciannove, che un altro sciagurato Gentiluomo, ne' Casali di S. Agata, teneva infame commercio con una maritata abbandonata dal marito, e procreato vi aveva, con sandalo comune, molti figli. Giunto in S. Agata Alfonso non mancò, benché inutilmente, ammonirlo, e farlo carico del suo stato.
Vedendolo pertinace, ed avendo rappresentato al Sovrano un si gran male, fu subito ordinato al Preside di Montefusco, che chiamandosi, in tribunale, l'adultero, si desse riparo allo scandalo. Non essendosi eseguiti, per maneggi fatti, gli ordini Reali, Alfonso con nuova supplica, e con altro calore insistette al Real Trono. L'uomo per molti mesi fu in arresto in Montefusco, e la donna carcerata, e penitenziata in S. Agata.

 

In S. Maria a Vico altro Gentiluomo, con scandalo di quella popolazione, e con rammarico della propria moglie, godevasi in casa una giovane guadagnata in Napoli. Era il gentiluomo persona di riguardo. Alfonso avendolo saputo, non ebbe più pace. Sento con molta mia pena, scrisse subito al Parroco D. Matteo Migliore, lo scandalo di cotesta Napoletana, che sta in casa di N. Prego V. S. dirgli da parte mia, che quanto più presto in ogni conto ne la faccia andare, altrimenti, con vergogna sua, e di tutta la casa, farò avere lo sfratto alla donna, e per lui la carcerazione.
Fu questo un tuono, che sbalordì il Gentiluomo. Persuaso, che Monsignore prima operava, e poi minacciava, non volendo vedersi rubricato in qualche Tribunale, sollecito licenziò la donna, più vi ebbe corrispondenza.

 

In Frasso non erano mesi, ma anni, che impaniato ne stava un


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Gentiluomo con un'altra donnaccia. Patente era lo scandalo, e non vedevasi rimedjo. Persona zelante, vedendo i buoni effetti di questo temporale in Diocesi, non esitò avvalersene.

Informato Alfonso, non altrimenti si spiegò con quell'Arciprete. "Non capisco come V. S. abbia uno scandalo così grave nella sua cura, e non me rende avvisato. Prego volersi chiamare N N., e farli sentire in mio nome, che tolga questo scandalo, e si riconcili con Gesù Cristo. Credo voglia corrispondere a questo paterno officio: se renitente si vedrà, farò nell'obligo farli sperimentare, per mezzo dei Re i rigori della giustizia. Piango il suo peccato, ma maggiormente lo scandalo in persona degli altri".

Tanto bastò per vederlo rimesso, e rendersi esemplare.

 

Eravi residuo in Mojano, dello scandalo dell'anzidetto Chierico Beneficiato, cioè la principal druda, che egli godevasi. Chiamavasi questa per sopranome la Sorbinella; ed erasi resa così perversa nel male, che mezzo non vi per vedersi ravveduta. Alfonso, avendo implorato lo zelo del Principe della Riccia, Signore di quel Casale, per prima questa birri aspramente bastonata in casa, indi mortificata per lungo tempo nelle carceri, e finalmente, a terrore delle altre di simil fatta, frustata per quel Casale, ed esiliata in perpetuo dallo Stato del Principe, e da tutti i luoghi della Diocesi.

 

A tutto questo si aggiunse un altro spavento, che ei diede giunto in S. Agata. Un disgraziato giovane, uscito di galea, anche stava illaqueato con altra donna. Corretto, e non emendato, avendo implorato Alfonso il braccio del Governadore, questi ne ordinò l'arresto. Ritrovandosi il disgraziato in casa di quella, e facendosi forte co' soldati, vi restò ucciso.
Pianse Alfonso la disgraziata Anima; ed ordinò per esempio degli altri, che posto il cadavere sopra un somaro, portato si fosse, con quattro torcie di pece, a dirupare in un fosso. Ognuno aveva ribrezzo prestare il somaro; ed Alfonso volendo, che, per terrore de' scostumati, fatto si fosse un tale spettacolo, era per comprarlo. Si ottenne la bestia; e portato fu il cadavero a dirupare, come carogna, nel fiume ivi detto Martorano.
Queste, ed altre furono le prime mosse dello zelo di Alfonso, pervenuto in S. Agata.




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