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Cap. 10
Primi espedienti presi da Alfonso contro taluni
scandalosi.
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Se delle grandi piazze
non si conseguiscono le rese, che con spargimenti di sangue , e replicati assalti:
così è difficile vederli emendati taluni, che invecchiati nel peccato, si
rendono forti coll'ostinazione. Qualunque fosse stato nel decorso della
missione e dei santi Esercizj l'ardente zelo di Monsignor Liguori, per veder
rientrato in se un Canonico della Cattedrale, tutto fu
infruttuoso.
Era questi uno delle
principali famiglie di S. Agata, e perduto vedeasi da anni ed anni con una
maritata donnaccia, che teneasi in casa. Avean de' figli, e ben grandi, che con
scandalo del pubblico passeggiavano anche in piazza. Facevasi forte il
Canonico, perché prepotente, e sopra tutto per l'autorità di un fratello
Canonico costituito in dignità, che nel passato governo disposto avea del
Vescovo, e della Diocesi.
Avendo saputo Alfonso
il deplorabile suo stato non lasciò mezzo colle reiterate, e più che paterne
correzioni, per guadagnarlo a Cristo. Questi, che non avea fatto conto di
Monsignor Danza, ancorché troppo lungo avesse braccio, avendo il Fratello
Presidente del Sacro Regio Consiglio, maggiormente rideasi di Alfonso,
vedendolo omicciottolo, cadente perché avanzato in età, e tutto umile, e
dimesso.
Corretto, nol curava; anzi disprezzavalo, e tante volte con termini improprj.
Volendolo guadagnare, più volte lo tenne a tavola; e non sapendo più che fare,
un giorno tra gli altri se li butta ai piedi, e cavandosi di petto il
Crocefisso, Figlio, li disse, se non vuoi farlo per decoro del Pastorale
che sostengo, fatelo per quello Cristo morto per te, e per me sopra questa
croce. Pianse Monsignore, ma non si compunse il Canonico.
Non curando Iddio, né
il proprio Pastore, occecato, e senza ritegno sfacciatamente seguitava a vivere
come per l'innanzi.
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Un altro pezzo di
scandalo, e più scabroso ritrovò in Mojano. Era questi un Chierico beneficiato,
chiamato Giuseppe De Luca, che da molti anni non viveva ad ecclesiastico, ma da
forescito. Sua Chiesa erano i ridotti, e
le taverne, e non eravi carogna, che non addentasse col suo becco. Cinto
vedevasi di fuoco; ne vi era misfatto che non avesse sulle spalle? Due anni
prima avendo tolta una giovane di fianco un marito, tenevala con sé a dispetto
de' parenti.
Monsignore Danza,
avendolo arrestato, l'esiliò per anni cinque dalla Baronìa di Airola. Non
curollo il Chierico, e restosi più insolente , dava spavento a tutti il solo
suo nome. Pianse Alfonso in sentirne lo stato. Più volte se 'l chiama, e lo fa
carico del suo travaglio. Borioso di Chierico nol cura. Alfonso, non sapendo
più che fare, se 'l tenne anche a tavola, come mi attesta il Sacerdote D. Domenico
Lamberti, che con esso fu commensale.
Tutto fu opera perduta.
Anzichè emendarsi, rendevasi più orgoglioso.
Volendo Alfonso
ricuperare questi due disgraziati, non lasciò adoperarvi, ma inutilmente, anche
la mediazione di persone di riguardo. Ne pianse per lo Canonico col di lui
fratello; ed essendosi adoperato col marito della donna, tanto fece che
l'indusse ad unirli.
Anche questo mezzo li rese vano. Minacciato il buon uomo,
restituì la moglie a chi non doveva. Alfonso venendo alle strette, chiamandosi
il Canonico li fa sentire, che se non toglieva lo scandalo, era per implorare
il braccio del Sovrano. Questa minaccia, che doveva intimorirlo, fe darlo in
furia, ed in tali escandescenze, che poco mancò, e facevaseli addosso. Non si perturbò Alfonso; Canonico mio, li disse, se voi non la finite , la finirà Iddio.
Inutili anche furono
altri tentativi col Chierico, anzi diede in maggiori eccessi. Dolendosi con
qualche risentimento l'afflitta madre della donna che godevasi, per lo scandalo
che risultava ad altre due sue figlie, l'ebbe a male il Chierico. Una notte, e
fu a' 4 di Agosto, in atto che quella, tra due sue figlie, e due figliuoli
dormiva in un medesimo letto, il Chierico, tirando una scoppiettata in faccia
alla porta di casa, l'uccise, e ferì uno de' figliuoli.
Disperato vedevasi il
caso di queste due anime, tutte e due perdute. Il Canonico era temuto per
la prepotenza, ed il Chierico per la
bravura. Alfonso non avendo forza per domarli, ne diede parte al Re.
Inorridirono i Signori
della Reggenza, e con dispaccio di fuoco al Preside di Montefusco si ordina,
che tutti e due si arrestino, e fossero trasportate in quelle carceri. A'18 di
Ottobre venne arrestato il Canonico nella piazza di S. Agata da due squadre ivi
spedite. Confusione simile non eravi stata in Città; ma furono contrarj gli
effetti.
In chi era leso
dominava lo spavento, temendo di se, ed in altri il compiacimento, - 42 -
vedendosi troncato lo
scandalo. Tutti però ammiravano muti e cheti lo zelo di Alfonso, ed il petto
Apostolico, che dimostrava.
Arrestandosi il
Canonico, vi fu un incidente, ma grazioso; Rincrescendo ai parenti il trasporto
in Montefusco, e credendo che potesse Monsignore ritenerlo nelle proprie
carceri; spedivano a momenti moltiplicate mediazioni. Non potendo, perché
troppo chiari erano gli ordini regali; e non sapendo come capacitarli, temendo
di funesto, cerca persona per mandarli a dissingannare. Sbattuto anch'esso il
Segretario Verzella, non volendo lasciar solo Monsignore, chiama un
Mansionario, che vestito degli abiti corali usciva di Sagristia.
In vederlo Alfonso,
così agitato qual'era, con enfasi li dice: spogliati
di questi abiti; ma mentre dir voleva il dippiù dell'imbasciata, il
Mansionario sviene, e cade a terra; Non rinvenne che a forza di spiriti; e più
morto, che vivo fu riportato a casa. Non capendo Monsignore d'onde un tale
spavento, gli fu detto, che anch'esso il Mansionario, era infangato con una
donnaccia. In sentirsi dire il poveretto:
spogliati di questi abiti, credendosi arrestato come il Canonico, atterrito
era svenuto. Due ficedole ad un colpo,
disse Alfonso: Iddio è quello, che opera,
preghiamolo, che faccia il dippiù.
Tale fu lo spavento del
Mansionario, che più non si voltò in dietro per rimirare la sua druda. Si emendò
da vero; e fu tale la sua esemplarità, che Alfonso a capo di molti anni fecelo
Confessore.
Giunto il Canonico in
Montefusco, rescrisse il Preside a Monsignore ove voleva che si ritenesse, se
in Montefusco, o altrove. Pensava Alfonso nelle carceri di Benevento, perché
più cautelate; ma contentossi pressato da' parenti, vedendo il lupo inceppato,
che rimesso si fosse nelle sue, con plegiarìa bensì de' parenti, e con due
guardie giornali a conto de' medesimi. Un giorno avendoselo chiamato. Canonico mio, li disse, io non castigo voi; ma il vostro peccato.
Amo l'Anima vostra, e non voglio vedervi perduto. Pensate, che vi è Anima, vi è
Dio, vi è inferno. Questo tuono vi voleva, per isvegliare il Canonico.
Consolavasi Monsignore sentendolo
entrare in se stesso, e spesso spesso mandavagli libretti divoti, ed Imagini di
Gesù Crocefisso, e di Maria Santissima. Circa un'anno lo tenne nelle carceri,
ed indi dalla Curia venne condannato per anni tre tra' Padri Conventuali. La
donna fu data al marito, diedesi ricapito ai figli; nè il Canonico fu abilitato per la Messa, che
a capo di anni.
Il dì susseguente alla
carcerazione del Canonico fu anche arrestato in Mojano il Chiericastro
beneficiato. Respirò Alfonso per tutti e due i felici successi; e volendo far
vedere, per incutere un maggior timore nei discoli, ove si estendesse il suo
braccio, così scrisse in Mojano al Parroco D. Tommaso Aceto: Grazie a Dio sono riusciti felicissimi i
due servizi. Dite, e predicate da per tutto, che sono stato io, e non altri,
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che dal Re ho ottenuto la carcerazione. Voglio si sappia, che sono
stato io.
Ristretto il Chierico
nelle Carceri di Nevano, o sia nel Tribunale di Campagna, goder voleva il
privilegio del foro. Nol riconobbe Alfonso per suo, non avendo mai usato verun
segno ecclesiastico; e che patroncina, bajonette, e duebotte erano stati i suoi
soliti ordegni. Per anni dieci il miserabile, dopo aver sofferto un lungo
carcere, fu condannato in presidio nel Castello d'Ischia. Ma di nuovo di questo
in altro luogo.
Nella medesima pece
vedevasi invischiato in Diocesi un altro Sacerdote. Come si seppe la
carcerazione del Canonico, e del Chierico, atterrito anch'esso si disbrigò
della sua donnaccia. Così tanti altri, temendo il temporale, se non casti, per
lo meno furono cautelati.
Meno sollecito non fu
il zelo di Alfonso coi Regolari. Tanti e tanti traviati chiamati si videro in
S. Agata. Sono incredibili le parti amorevoli, che fece con questi.
Tre Religiosi eranvi in
uno de' Monasteri, e tutti e tre riuniti col Superiore erano il massimo
scandalo della popolazione. Questi tutto il giorno non solo coltivavano le loro
tresche con varie donnacce, ma divertivensela anche ne' giuochi proibiti. Corretti, se ne burlavano.
Alfonso avendoli fatti
processare in Curia, ne diede parte al Provinciale. Questi essendo entrato in
difesa de' suoi, O vostra paternità, li
rescrisse Monsignore, mandi loro
l'Ubbidienza di partire, o ce la farò dar io dal Commissario di Campagna.
Due, uniti col Superiore, in risposta dovettero sloggiare: il terzo, perché
meno reo, contentossi vederlo emendato.
Un altro Religioso in
altro Convento anche vedevasi infangato nella dissonestà con sommo scandalo del
popolo; e quello che è più, giornalmente passeggiarsela davanti la Chiesa,
cicalare colla druda, e poi vedersi sull'Altare. Anche questo fu processato, e
sbalzato altrove. Due conversi, in altro Monistero, oltre il vizio nefando, uno
si avvinava giocando, e mangiando nelle taverne: l'altro avendo scandalosa
corrispondenza con una Monaca Conversa, serviva ancora di mezzano per un altro
scandalo. Tutti è due prima processolli, e poi sfrattar li fece dal proprio
convento.
Cosa più particolare vi
fu in Arpaja. Era gran tempo che un Religioso, con pubblico scandalo, illaqueato
vedevasi con una giovinetta. Alfonso, non sperandone emenda, avendolo
processato, lo bandì dalla Diocesi.
Destinato questi da
proprj Superiori nel Convento di Montesarchio, occecato qual'era, portavasi
notte tempo in Arpaja per ossequiare la sua druda. Fattone inteso Monsignore,
fè arrestarlo, in casa della medesima, dai birri del Principe della Riccia, e
trasportarlo nelle - 44 -
Carceri
di S. Agata.
Lungo tempo tennelo
nelle forze; e non curandolo il proprio Monistero, egli somministravali il vitto.
Avendolo così maturato, lo bandì di nuovo, ne vide più, per finchè vi residette
Alfonso, la Diocesi di S. Agata. Anche l'amasia venne arrestata, e ristretta
nelle Carceri del Principe. Volendo Alfonso
guadagnarla a Gesù Cristo, cosa non omise per mezzo del Parroco, e di
altri Sacerdoti per farli conoscere il suo stato, e dove andava a finire.
Ravveduta la meschina,
ed essendo costante nel santo, proposito, Monsignore nel 1767, che fu in
Napoli, non mancò situarla, come altrove dirò, nel Ritiro detto di S. Rafaele.
Altra grave amarezza
nel suo primo arrivo in S. Agata soffrì Monsignore. Tra le tante donnacce, che
nel decorso della Missione si diedero a Gesù Cristo, una ve ne fù, chiamata
Elisabetta, che anche in Chiesa dimandò scusa de' scandali dati. Viveva questa
da molti anni, benché maritata, in pubblico concubinato con un Gentiluomo
primario della Città, e prepotente. Costui, ritirandosi quella dalla Chiesa
dopo la predica, la siegue in casa, e tra le lusinghe, e le minacce fa
ricaderla nel peccato.
Dolore simile a questo,
credo, non ancora inteso da Monsignore. Né pianse; e ben di notte la mattina,
fattosi chiamare il Gentiluomo, e facendolo carico del grave scandalo già dato,
l'esorta alla penitenza. Quello perché prepotente ed altiero, con disprezzo se
ne sbriga. Monsignore vedendolo perduto, non lascia richiamarlo. Vedendosi
stretto il forsennato, e mal soffrendo le reiterate correzioni, non contento
soperchiarlo di parole, si avanza a minacciarlo. Non se ne offende Alfonso.
Vedendo, che non toglievasi lo scandalo, diedene parte al Re. Dispaccio
fulminante dalla Secreteria del Marchese Tanucci rimesso si vide al Tribunale
di Montefusco. Essendosi spedito un Subalterno, si ordinò l'arresto del
Gentiluomo, e della donna.
Ritrovavasi Monsignore
in Airola, ove andò a fermarsi anche il Subalterno. Occecato il Gentiluomo, e
non temendo, anzi disprezzando il tribunale, furibondo con una manica di
facinorosi portavasi in Airola, per malmenare il Vescovo e toglierlo dal mondo,
come diceva ; e fatto l'avrebbe, se un altro Gentiluomo nol faceva dare
indietro. Monsignore, avendolo saputo , placidamente rispose: Può egli ammazzarmi, se vuole, perché mi
coronerebbe col martirio. Raffredato il miserabile, e vedendosi
perseguitato dal Tribunale, tale timore lo sorprese, che abbandonò la Diocesi,
e postosi in fuga, si ritira in paese lontano.
Non fù meno il
travaglio, che anche soffrì la druda. Persistendo Monsignore in Airola, non
ebbe ritegno presetarseli unita col marito consenziente, ed implorare
misericordia per se, e per il Gentiluomo. - 44a -
Arrestata dal Subalterno, dopo aver sofferta la frusta in Città, carica di
funi fu mandata in Montefusco. Terrore fu questo per ogn'altra donnaccia, non
che in S. Agata, ed Airola, ma in tutta la Diocesi, e ne' luoghi adiacenti.
Mesi e mesi penò la disgraziata in Montefusco; ed imperpetuo sotto rigide pene,
venne poi bandita da tutta la Diocesi di S. Agata.
Quanto questo
Gentiluomo, afflisse dapprima Monsignore, tanto lo consolò coi segni di suo
ravvedimento. Avendo avuto l'intento della carcerazione della donna, pregato da
parenti, e specialmente dall'Arcidiacono, contentossi della fuga del gentiluomo
e non perseguitarlo; anzi, per guadagnarlo, ancorché sapesse in seguito, che
stavane nascosto in casa, fingeva non saperlo; ma tanto adoprossi per mezzo di
persone autorevoli, che entrato in sé, umiliato lo vide prima a Dio, e poi ai
suoi piedi. Rimesso, fu l'edificazione di S. Agata, ad una gioia del cuore di
Alfonso. Visse con edificazione per molti anni; e venuto a morte, non mancava
cercare scusa a chiunque, con un profluvio di lacrime, de' suoi scandali, e
gravi trascorsi.
Non erano meno gli anni
diciannove, che un altro sciagurato Gentiluomo, ne' Casali di S. Agata, teneva
infame commercio con una maritata abbandonata dal marito, e procreato vi aveva,
con sandalo comune, molti figli. Giunto in S. Agata Alfonso non mancò, benché
inutilmente, ammonirlo, e farlo carico del suo stato.
Vedendolo pertinace, ed avendo rappresentato al Sovrano un si gran male, fu subito
ordinato al Preside di Montefusco, che chiamandosi, in tribunale, l'adultero,
si desse riparo allo scandalo. Non essendosi eseguiti, per maneggi fatti, gli
ordini Reali, Alfonso con nuova supplica, e con altro calore insistette al Real
Trono. L'uomo per molti mesi fu in arresto in Montefusco, e la donna carcerata,
e penitenziata in S. Agata.
In S. Maria a Vico
altro Gentiluomo, con scandalo di quella popolazione, e con rammarico della
propria moglie, godevasi in casa una giovane guadagnata in Napoli. Era il
gentiluomo persona di riguardo. Alfonso avendolo saputo, non ebbe più pace.
Sento con molta mia pena, scrisse subito al Parroco D. Matteo Migliore, lo
scandalo di cotesta Napoletana, che sta in casa di N. Prego V. S. dirgli da
parte mia, che quanto più presto in ogni conto ne la faccia andare, altrimenti,
con vergogna sua, e di tutta la casa, farò avere lo sfratto alla donna, e per
lui la carcerazione.
Fu questo un tuono, che sbalordì il Gentiluomo. Persuaso, che Monsignore prima
operava, e poi minacciava, non volendo vedersi rubricato in qualche Tribunale,
sollecito licenziò la donna, nè più vi ebbe corrispondenza.
In Frasso non erano
mesi, ma anni, che impaniato ne stava un - 44b -
Gentiluomo con un'altra donnaccia. Patente era lo scandalo, e non vedevasi
rimedjo. Persona zelante, vedendo i buoni effetti di questo temporale in
Diocesi, non esitò avvalersene.
Informato Alfonso, non
altrimenti si spiegò con quell'Arciprete. "Non capisco come V. S. abbia
uno scandalo così grave nella sua cura, e non me rende avvisato. Prego volersi
chiamare N N., e farli sentire in mio nome, che tolga questo scandalo, e si
riconcili con Gesù Cristo. Credo voglia corrispondere a questo paterno officio:
se renitente si vedrà, farò nell'obligo farli sperimentare, per mezzo dei Re i
rigori della giustizia. Piango il suo peccato, ma maggiormente lo scandalo in
persona degli altri".
Tanto bastò per vederlo
rimesso, e rendersi esemplare.
Eravi residuo in Mojano,
dello scandalo dell'anzidetto Chierico Beneficiato, cioè la principal druda,
che egli godevasi. Chiamavasi questa per sopranome la Sorbinella; ed erasi resa così perversa nel male, che mezzo non vi
fù per vedersi ravveduta. Alfonso, avendo implorato lo zelo del Principe della
Riccia, Signore di quel Casale, per prima fù questa dà birri aspramente
bastonata in casa, indi mortificata per lungo tempo nelle carceri, e
finalmente, a terrore delle altre di simil fatta, frustata per quel Casale, ed
esiliata in perpetuo dallo Stato del Principe, e da tutti i luoghi della
Diocesi.
A tutto questo si aggiunse un altro spavento, che ei
diede giunto in S. Agata. Un disgraziato giovane, uscito di galea, anche stava
illaqueato con altra donna. Corretto, e non emendato, avendo implorato Alfonso
il braccio del Governadore, questi ne ordinò l'arresto. Ritrovandosi il
disgraziato in casa di quella, e facendosi forte co' soldati, vi restò ucciso.
Pianse Alfonso la disgraziata Anima; ed ordinò per esempio degli altri, che posto
il cadavere sopra un somaro, portato si fosse, con quattro torcie di pece, a
dirupare in un fosso. Ognuno aveva ribrezzo prestare il somaro; ed Alfonso
volendo, che, per terrore de' scostumati, fatto si fosse un tale spettacolo,
era per comprarlo. Si ottenne la bestia; e portato fu il cadavero a dirupare,
come carogna, nel fiume ivi detto Martorano.
Queste, ed altre furono le prime mosse dello zelo di Alfonso, pervenuto in S.
Agata.
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