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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap. 11 Apre Alfonso la S. Visita in S. Agata. Scarto di giovani fatto in Seminario, e sua riforma nelle fabbriche, ne' Maestri, e nelle Scienze.
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Cap. 11

Apre Alfonso la S. Visita in S. Agata. Scarto di giovani fatto in Seminario, e sua riforma nelle fabbriche, ne' Maestri, e nelle Scienze.

 


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Terminata con gran frutto, come dissi, la Missione in S. Agata, e dati i santi Esercizj così al Clero Secolare, e Regolare, che a' Signori gentiluomini, aprì subito Alfonso la Santa Visita nella Città, e ne' Casali adiacenti. Volevano taluni, che differito avesse questa visita a capo dell'anno. Quello, che si può rimediare oggi, disse Alfonso, perché differirlo al dimani: gli abusi non soffrono dilazione.

Volendola aprire colla benedizione di Dio, ottenuto avea dal Papa indulgenza plenaria per chiunque, in quel giorno che l'apriva, visitato avesse la Cattedrale, o in Diocesi la Parrocchiale del luogo. Avendosi chiamati il Tesoriere Cacciapuoti uomo degno per dottrina, e per bontà di vita, il P. M. Caputo Domenicano, il Canonico Teologo D. Evangelista Daddio, e l'Arcidiacono D. Francesco Rainone insigne soggetto per la pietà, prudenza, e dottrina, con questi, e con varj Parrochi sessionava di continuo, come impedire il male, e promuovere il bene, che vi mancava.

 

Scopo principale di quest'apertura di Visita fu il Seminario. Troppo imbarazzato questo ne stava, ed egli altro disimpegno non avevasi prefisso, da che accetto il Vescovado, e pose piede in questa Chiesa, che veder quest'opera di suo pieno compiacimento. Il Seminario, disse Alfonso, è quello che fonda per lo bene della Diocesi, tutta la mia speranza. Se questo non corrisponde ai miei desiderj, ogni altra cura è perduta.

Quantità vi era di giovanetti, ma non tutti secondo il suo cuore. Tanti erano di talento, ma zoppicavano nel costume, ed altri mancando di talento, inutili li conobbe per la Chiesa, e per le famiglie. Tutte, e due queste, ci diceva, sono interessate per lo profitto de' giovanetti. La Chiesa, che gli educa e le case che si dispendiano, e defraudar non conviene le rette intenzioni così della Chiesa, che de' parenti.

Avendo fatto col consiglio de' suoi savj il carattere de' Maestri, e de' giovanetti, intimò un esame generale, assistendoci di persona, e sotto altro pretesto anticipò le ferie. Queste essendo in fine, con suo editto fe sentire, che volendosi far ritorno in Seminario, ognuno doveva fargli supplica, per esser riammesso. Così fece lo scarto, rendendo sgravato il Seminario dell'inutile che vi era, o dell'infetto che vi fosse. Doloroso si sperimentò questo taglio da i respettivi parenti. Si avvidero ben presto però quanto prudentemente Alfonso operato aveva, conoscendo essi medesimi o la discolezza de' figliuoli, o la loro inettitudine per le scienze.


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Due difetti, ma troppo essenziali rilevò nel materiale del Seminario. Sembrava questo un ergastolo per penarci, non una casa di educazione. Quanto era angusto, ed incapace per la quantità de' giovanetti, altrettanto rendevasi insalubre, perché non arioso, né giocato da' venti.

Tutto era incomodo. Nell'estate specialmente, perché mancavano le finestre, e le soffitte erano bassissime , restavasi soffocato dal caldo, e travagliato da mille insetti. Un sì grave disordine commosse a prima giunta il cuore di Alfonso. Avendo chiamato da Napoli, per un riparo interino i due Regi Architetti D. Pietro, e D. Salvatore Cimafonte, colla guida di questi adattò per camerate due cameroni attaccati al palazzo, ma fabbricati per altro uso, e non perfezionati da Monsignor Gaeta. Aprì delle finestre in varj luoghi del Seminario, per renderlo arioso e ventilato, e chiuse delle altre, che colla veduta potevano essere di scandalo ai Seminaristi.

 

Nel tempo istesso che spaziò il Seminario, e sollevò i giovanetti, entrò Alfonso nella più ardita risoluzione, e fu abbattere il vecchio, ed erigere di pianta un nuovo. Tutti , e Canonici, e Gentiluomini, conoscendone il bisogno furono di accordo con esso.


Fatta la pianta, ed ammanito il materiale, con comune consolazione si diede di piglio alla fabbrica. Non potette Alfonso (come altrove dirò) vederlo terminato, perché sorpreso da grave travaglio, risedere non potette in Santagata, e per lo stesso motivo costretto si vide a ritirarsi in Congregazione. Si perfezionarono bensì in tempo suo quattro camerate, oltre la stanza del Rettore, e varie officine.

 

Non restando soddisfatto della Regola, che si aveva pel buon governo del Seminario, ne stabilì delle nuove, ma quanto brevi, altrettanto ripiene di saviezza, e prudenza.

Oltre i precetti generali, ordina e regola le azioni de' Seminaristi: rileva i disordini, e vi appresta il riparo; né lasciò cosa, che non fosse ben ordinata. Sminuzza soprattutto i varj obblighi de' Prefetti, e ne incarica la coscienza. Spiegasi, che male e bene in Seminario non dipende dal Rettore; ma dall'oculatezza, e dalla fedeltà de' Prefetti.


Queste regole si conobbero di tal profitto, che vennero adottate da molti Vescovi.

 

Rimuover doveva per necessità il Rettore. Era il Tesorier D. Luca Cacciapuoti, che governato aveva per anni trenta il Seminario, di ottanta e più anni. Quanto sulle prime fu atto per l'impiego, perché alunno di quello Aversa, vivente il Cardinal Caracciolo, altrettanto era divenuto inabile per l'età  avanzata.
Non avendo Alfonso lo Spirito di amareggiar un uomo venerabile per mille motivi, e che  poco restavali di vita , confirmollo, e ditegli  Coadjutore il P. Lettore Fra Tommaso Maria Caputo insigne Domenicano, Soggetto a niuno il secondo nelle lettere, e nelle bontà della vita.


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Non badò a spesa per gli Maestri, e gli elesse tutti esemplari, e dotti. Riprovò che taluno de' Seminaristi facesse da Prefetto. Tutti li volle Sacerdoti, e non badando a spese li procurò da fuori, ma zelanti, e costumati. Non essendo uso in seminario esserci un Prefetto generale per tutte le camerate, ne scelse uno secondo il suo cuore.

Per Portinajo non volle chiunque, ma persona attenta, e timorata di Dio. L'elezione di questo in senso di Alfonso non era cosa indifferente. Se la morte in noi, egli diceva, entra per le finestre, ne' Seminari entra per la porta. Altra mancanza non fece uno di questi, che uscire di sera senza permesso del Rettore. Subito fecelo licenziare, ne per quanto avesse pianto, ed altri si fossero interposti, vi fu più rimesso.

 

Proibì le ferie autunnali; ma volle, che i Chierici, non badandosi a risparmio, sollevati si fossero con ricreazioni di vitto, ed onesti passatempi nel medesimo Seminario. Con un mese di ferie, soleva dire; si perde, quanto per acquistarsi si è stentato in un anno. E Dio non voglia, ripeteva, che non retornino i giovanetti pieni di vizi, e peccati. Così era inimico, che per qualunque pretesto li portassero anche per qualche giorno in casa propria.

 

Sembrogli equo il pagamento; ma non potette approvare, che uscendo taluno per infermità, o per altro motivo, si avesse tutto il semestre, per ben pagato. Stimando questo una chiara ingiustizia, volle, che rinfrancato si fosse al Seminarista tutta quella rata di tempo, che era per mancarvi. Forte fu l'opposizione de' Deputati. Egli però fu saldo. Condiscese, ma a stento, che bonificato si fosse al Seminario il mese, che da altri si suol dare di ferie.

 

Parzialità di vitto non volle tra il Rettore, ed i Seminaristi, e molto meno tra i Maestri. Egli chiamava questo un abuso detestabile. Fu oculatissimo in questo, si vide mai in tempo suo sì fatto disordine.

 

Colla scelta de' Maestri, regolò anche gli studj. Proibì lo scrivere, e volle si servissero di Autori stampati. Per due motivi proibì questo, così in Filosofia, che in Teologia: sì per togliere ai Lettori l'opinare a talento: sì perché v'è perdita di tempo, e logoramento di salute. Prescelse Onorato Tournely per le Istituzioni Dogmatiche, e per la Filosofia Fortunato da Brescia.

Vi stabilì sopratutto, perchè vi mancava, la lezione di Morale. In senso di Alfonso questa lezione stimavasi la più essenziale in Seminario. Morale, e Dommatica, queste due scienze, ci diceva, e specialmente la Morale mi necessitano in Diocesi. Senza di questa non posso aver buoni Confessori, ottimi Parochi. Interdisse la poesia Italiana, e solo permise la latina. Voleva si attendesse al sodo, e soprattutto, che si possedesse da giovinetti la lingua latina.

 

Leggevasi in Seminario la lingua greca. Alfonso stimolla inutile tra suoi Diocesani, che facevano il maggior numero de' Seminaristi,


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perché nativi de' Contadi, o incardinati nelle tante Chiese de' luoghetti, e Casali. Si stiano bene, disse al Rettore, i Greci nell'Oriente, che a noi Occidentali necessita il latino, e non il greco. Io in Diocesi ho bisogno di buoni Confessori, che mi aiutano le Anime in questi tanti Casalotti, e non di uomini eruditi, che forse non capiscono le medesimi. Premise bensì qualche tintura per poterli leggere, e capire qualche passo, che per accidente incontrasi ne' Filosofi, o ne' Teologi.

 

Consumavasi in S. Agata mandare giornalmente molti figliuoli alle scuole del Seminario, e ritornarsene mattina e sera alle proprie case. l'opera sembrava buona, ma non fu approvata da Monsignore. Questi figliuoli, ei diceva, servono per portare imbasciate, e biglietti secreti ai seminaristi, con manifesto pericolo di corrompersi con quello de' Seminaristi anche il costume de' medesimi figliuoli. Rilevando Monsignor Borgia, e Monsignor Pallante, ritrovandosi in S. Agata, provvedimenti così savi, ammirati dissero al P. Caputo, ed ai Maestri, sappiatelo conoscere, voi avete qui un altro S. Carlo Borromeo.

 

Siccome in Seminario, così stava oculato, che anche in Diocesi non si vedesse macchiata con qualche massima erronea la Religione, o il costume.
Avendo saputo, che alcuni giovanetti venuti da Napoli in tempo delle ferie, preferivano delle proposizioni poco sane, o in rapporto all'autorità della Chiesa o circa la Religione, ed il costume, sollecito se li fe chiamare. Ripresi, risposero, tali dottrine esser comuni in Napoli, e che sulla Cattedra spacciavansi da un primario Lettore. Inibì loro Alfonso frequentarne la scuola, e proferire tali proposizioni, disingannandoli colle dottrine opposte. Non contento di questo, ne scrisse in termini forti all'Eminentissimo Sersale, ed a varj zelanti del Clero.
Scrisse ancora al medesimo Cattedratico facendolo carico dell'erroneità delle proposizioni. Si schermì questi, dicendo, che le sue dottrine erano religiose, e che la scostumatezza de' giovanetti, facevanle apprender di traverso contorcendone i sensi la propria malizia.

 

Ritornato da Napoli D. Pasquale Diodati, diedesi a leggere in Airola a varj giovanetti gl'istituti de Jure et Officiis dell'Abbate Genovese Monsignore avendolo saputo, ne proibì subito la lettura, specialmente per quella proposizione: Patriam religionem servato, proque ea pugnato.

Non mancava il Paroco D. Pasquale Diodati spiegarla in buon senso. "Non è come dite, li scrisse Alfonso; ci rifletta, e vedrà non esserci parola  in questo paragrafo, che non vomita veleno. Come in buon senso potersi intendere il Patriam, susseguendo la bestemmia, Et si falsa? Dunque in senso suo, se taluno portandosi nella Cina, ivi acquistasse la Cittadinanza, per suo dovere far si dovrebbe idolatra, e se a Costantinopoli, si farebbe Maomettano, e dovrebbe difender l'Alcorano: vale a dire, o che indifferentemente ammette ogni Religione,


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o che non ne ammette veruna.


E' vero, soggiunse, che egli, non lo più per paura, o per altro, ha in altra edizione mutato il Patriam in Christianam. Quest'istesso fa vedere la sua mala fede. Perchè Christianam, e non Catholicam? ma questo neanche accozza con tutto il di più. Dicendo, etsi falsa, ne siegue, che anche dubitar si potrebbe della Cristiana, e non saprebbesi, se seguitar si dovesse la Religione di Lutero, o di Calvino, d'Inghilterra, o di Zuvinglio.

Se ne offese l'abate di questa proibizione. Ma Alfonso li fe petto rescrivendoli di buon inchiostro; e poco mancò, che non proibisse in Diocesi tutte le sue opere.

 

Volendo animare i giovanetti per lo studio, e dar soggezione ai Maestri, due volte la settimana per ordinario assister soleva alla lezione. Godeva sentirne le ripetizioni, ed interveniva ai circoli. Una volta al mese stabilì, che si tenesse nella Cappella del Seminario una conclusione di Filosofia, o Teologia; e ritrovandosi indisposto a letto, voleva si tenesse nella propria stanza. In queste conclusioni, affinché i giovanetti, ed i Maestri maggiormente si vedessero impegnati, ordinò s'invitassero ad argomentare Canonici, e Regolari, ed in Filosofia anche un qualche dotto Secolare.

In certi giorni solenni tra l'altro voleva ancora le Accademie di belle lettere. Queste mettevano la gara tra giovanetti, e maggiormente impegnati si vedevano per la lingua latina, e per le composizioni rettoriche.

 

Avendo a cuore veder istruiti i Seminaristi Diocesani nel predicar semplice ed apostolico, per averli buoni operarj, stabilì una volta la settimana l'Accademia predicabile. In questa, oltre i giovani teologi prossimi ad entrare in sacris, v'intervenivano Canonici, e Mansionarj, Parochi, ed altri Sacerdoti. Egli stesso Monsignore dettava i principi, e diede a tutti la Rettorica da esso già fatta per gli esercizj di Missione.

Ognuno doveva prepararsi, e rappresentare o i sentimentucci di sera, o squarci di predica, e di catechismi. Soffrir non poteva parola scelta non capibile dal basso Popolo; molto meno proposizione di parole, o oscurità di senso. Voglio, ripeteva, ed inculcava, che la gente rozza capisca, e si approfitti della parola di Dio.

Quest'accademia, mentr'egli risedette in S. Agata, riusciva sommamente utile; e se in Diocesi si predica apostolicamente, e con profitto del basso popolo, tutto è dovuto all'istancabil zelo di Monsignor Liguori.

 

Volendo animare i giovani Seminaristi nello studio, e vantagiarsi, ammettevali anche da Diaconi al concorso delle Parocchie. Di fatti si videro ammessi, oltre tanti altri, D. Angelo Stasi, che fu poi Canonico Teologo, e l'attuale Teologo D. Pasquale Napoletano, il primo per la Parochia di S. Angelo in Munculariis, ed il secondo per quella del Vescovado.


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Sollecito Alfonso, che i Seminaristi non avessero verun motivo di lagnanza, invigilava che fossero in tutto ben trattati, e che il vitto specialmente preparato se li fosse con tutta proprietà. Quel poco che si , diceva, voglio, che si mangi con piacere. Essendovi stata lagnanza, che il cuoco non era troppo esperto, egli per addestrarlo vi mandava di volta in volta il proprio.

Spesso spesso vedevasi in Seminario in atto della mensa, osservando la proprietà delle vivande, e sopratutto se difettasse il pane, o il vino. Vi fu volta, che il pane non era di qualità. Persuaso un Seminarista di sua tenerezza, cel fece pervenire. Sul punto Alfonso chiama e sgrida il Rettore, ed il mastro di casa. Chiama ancora i Deputati: esagera la qualità del pane; ed ordina nel tempo istesso, che dipartito si fosse a' poveri tutto il pane, che vi era in Seminario.

 

Anche fino alle delizie estendevasi da lui amorevolezza. Tenendo Pontificale, era suo solito far somministrare a ciascun giovanetto una sfogliatella apparecchiata dal suo cuoco, o una fetta di pizza. A quest'effetto provvedevasi anche di zucchero nella fiera di Salerno. Nella Domenica delle Palme soleva regalar bacilotti di ciambelle. Così in altre occasioni tra l'anno non mancava tenerli allettati con dolci, ed altri simili regalucci.

 

Voleva, che siccome i Chierici fossero stati con tutti rispettosi, ed umili: così, che ognuno avesse avuto del rispetto per essi.
Un Canonico avendo ricevuto in Sacrestia non so qual picciolo sgarbo da un Seminarista, tirogli un rovescione. Non è da credersi quanto se ne dolse Alfonso. I Padri, disse, li hanno affidati a me, ed io far debbo le veci di Padre; l'offesa è mia, e non è del giovineChiama, sgrida, e castiga il Canonico, ma con prudenza mortificò ancora il Seminarista.




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