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Cap. 11
Apre Alfonso la S. Visita in S. Agata. Scarto di
giovani fatto in Seminario, e sua riforma nelle fabbriche, ne' Maestri, e nelle
Scienze.
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Terminata con gran
frutto, come dissi, la Missione in S. Agata, e dati i santi Esercizj così al
Clero Secolare, e Regolare, che a' Signori gentiluomini, aprì subito Alfonso la
Santa Visita nella Città, e ne' Casali adiacenti. Volevano taluni, che
differito avesse questa visita a capo dell'anno. Quello, che si può rimediare oggi, disse Alfonso, perché differirlo al dimani: gli abusi non
soffrono dilazione.
Volendola aprire colla
benedizione di Dio, ottenuto avea dal Papa indulgenza plenaria per chiunque, in
quel giorno che l'apriva, visitato avesse la Cattedrale, o in Diocesi la
Parrocchiale del luogo. Avendosi chiamati il Tesoriere Cacciapuoti uomo degno
per dottrina, e per bontà di vita, il P. M. Caputo Domenicano, il Canonico
Teologo D. Evangelista Daddio, e l'Arcidiacono D. Francesco Rainone insigne
soggetto per la pietà, prudenza, e dottrina, con questi, e con varj Parrochi
sessionava di continuo, come impedire il male, e promuovere il bene, che vi
mancava.
Scopo principale di quest'apertura di
Visita fu il Seminario. Troppo imbarazzato questo ne stava, ed egli altro
disimpegno non avevasi prefisso, da che accetto il Vescovado, e pose piede in
questa Chiesa, che veder quest'opera di suo pieno compiacimento. Il Seminario, disse Alfonso, è quello che fonda per lo bene della
Diocesi, tutta la mia speranza. Se questo non corrisponde ai miei desiderj,
ogni altra cura è perduta.
Quantità vi era di
giovanetti, ma non tutti secondo il suo cuore. Tanti erano di talento, ma
zoppicavano nel costume, ed altri mancando di talento, inutili li conobbe per
la Chiesa, e per le famiglie. Tutte, e
due queste, ci diceva, sono
interessate per lo profitto de' giovanetti. La Chiesa, che gli educa e le case
che si dispendiano, e defraudar non conviene le rette intenzioni così della
Chiesa, che de' parenti.
Avendo fatto col
consiglio de' suoi savj il carattere de' Maestri, e de' giovanetti, intimò un
esame generale, assistendoci di persona, e sotto altro pretesto anticipò le
ferie. Queste essendo in fine, con suo editto fe sentire, che volendosi far
ritorno in Seminario, ognuno doveva fargli supplica, per esser riammesso. Così
fece lo scarto, rendendo sgravato il Seminario dell'inutile che vi era, o
dell'infetto che vi fosse. Doloroso si sperimentò questo taglio da i respettivi
parenti. Si avvidero ben presto però quanto prudentemente Alfonso operato
aveva, conoscendo essi medesimi o la discolezza de' figliuoli, o la loro
inettitudine per le scienze.
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Due difetti, ma troppo
essenziali rilevò nel materiale del Seminario. Sembrava questo un ergastolo per
penarci, non una casa di educazione. Quanto era angusto, ed incapace per la quantità
de' giovanetti, altrettanto rendevasi insalubre, perché non arioso, né giocato
da' venti.
Tutto era incomodo.
Nell'estate specialmente, perché mancavano le finestre, e le soffitte erano
bassissime , restavasi soffocato dal caldo, e travagliato da mille insetti. Un
sì grave disordine commosse a prima giunta il cuore di Alfonso. Avendo chiamato
da Napoli, per un riparo interino i due Regi Architetti D. Pietro, e D.
Salvatore Cimafonte, colla guida di questi adattò per camerate due cameroni
attaccati al palazzo, ma fabbricati per altro uso, e non perfezionati da
Monsignor Gaeta. Aprì delle finestre in varj luoghi del Seminario, per renderlo
arioso e ventilato, e chiuse delle altre, che colla veduta potevano essere di
scandalo ai Seminaristi.
Nel tempo istesso che
spaziò il Seminario, e sollevò i giovanetti, entrò Alfonso nella più ardita
risoluzione, e fu abbattere il vecchio, ed erigere di pianta un nuovo. Tutti ,
e Canonici, e Gentiluomini, conoscendone il bisogno furono di accordo con esso.
Fatta la pianta, ed ammanito il materiale, con comune consolazione si diede di
piglio alla fabbrica. Non potette Alfonso (come altrove dirò) vederlo
terminato, perché sorpreso da grave travaglio, risedere non potette in
Santagata, e per lo stesso motivo costretto si vide a ritirarsi in
Congregazione. Si perfezionarono bensì in tempo suo quattro camerate, oltre la
stanza del Rettore, e varie officine.
Non restando
soddisfatto della Regola, che si aveva pel buon governo del Seminario, ne
stabilì delle nuove, ma quanto brevi, altrettanto ripiene di saviezza, e
prudenza.
Oltre i precetti
generali, ordina e regola le azioni de' Seminaristi: rileva i disordini, e vi
appresta il riparo; né lasciò cosa, che non fosse ben ordinata. Sminuzza
soprattutto i varj obblighi de' Prefetti, e ne incarica la coscienza. Spiegasi,
che male e bene in Seminario non dipende dal Rettore; ma dall'oculatezza, e
dalla fedeltà de' Prefetti.
Queste regole si conobbero di tal profitto, che vennero adottate da molti
Vescovi.
Rimuover doveva per
necessità il Rettore. Era il Tesorier D. Luca Cacciapuoti, che governato aveva
per anni trenta il Seminario, di ottanta e più anni. Quanto sulle prime fu atto
per l'impiego, perché alunno di quello Aversa, vivente il Cardinal Caracciolo,
altrettanto era divenuto inabile per l'età
avanzata.
Non avendo Alfonso lo Spirito di amareggiar un uomo venerabile per mille
motivi, e che poco restavali di vita ,
confirmollo, e ditegli Coadjutore il P.
Lettore Fra Tommaso Maria Caputo insigne Domenicano, Soggetto a niuno il
secondo nelle lettere, e nelle bontà della vita.
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Non badò a spesa per
gli Maestri, e gli elesse tutti esemplari, e dotti. Riprovò che taluno de'
Seminaristi facesse da Prefetto. Tutti li volle Sacerdoti, e non badando a
spese li procurò da fuori, ma zelanti, e costumati. Non essendo uso in
seminario esserci un Prefetto generale per tutte le camerate, ne scelse uno
secondo il suo cuore.
Per Portinajo non volle
chiunque, ma persona attenta, e timorata di Dio. L'elezione di questo in senso
di Alfonso non era cosa indifferente. Se
la morte in noi, egli diceva, entra per le finestre, ne' Seminari entra
per la porta. Altra mancanza non fece uno di questi, che uscire di sera
senza permesso del Rettore. Subito fecelo licenziare, ne per quanto avesse
pianto, ed altri si fossero interposti, vi fu più rimesso.
Proibì le ferie
autunnali; ma volle, che i Chierici, non badandosi a risparmio, sollevati si
fossero con ricreazioni di vitto, ed onesti passatempi nel medesimo Seminario. Con un mese di ferie, soleva dire; si perde, quanto per acquistarsi si è
stentato in un anno. E Dio non voglia, ripeteva, che non retornino i giovanetti
pieni di vizi, e peccati. Così era inimico, che per qualunque pretesto li
portassero anche per qualche giorno in casa propria.
Sembrogli equo il
pagamento; ma non potette approvare, che uscendo taluno per infermità, o per
altro motivo, si avesse tutto il semestre, per ben pagato. Stimando questo una
chiara ingiustizia, volle, che rinfrancato si fosse al Seminarista tutta quella
rata di tempo, che era per mancarvi. Forte fu l'opposizione de' Deputati. Egli
però fu saldo. Condiscese, ma a stento, che bonificato si fosse al Seminario il
mese, che da altri si suol dare di ferie.
Parzialità di vitto non
volle tra il Rettore, ed i Seminaristi, e molto meno tra i Maestri. Egli
chiamava questo un abuso detestabile. Fu oculatissimo in questo, nè si vide mai
in tempo suo sì fatto disordine.
Colla scelta de'
Maestri, regolò anche gli studj. Proibì lo scrivere, e volle si servissero di
Autori stampati. Per due motivi proibì questo, così in Filosofia, che in
Teologia: sì per togliere ai Lettori l'opinare a talento: sì perché v'è perdita
di tempo, e logoramento di salute. Prescelse Onorato Tournely per le
Istituzioni Dogmatiche, e per la Filosofia Fortunato da Brescia.
Vi stabilì sopratutto,
perchè vi mancava, la lezione di Morale. In senso di Alfonso questa lezione
stimavasi la più essenziale in Seminario. Morale, e Dommatica, queste due
scienze, ci diceva, e specialmente la Morale mi necessitano in Diocesi. Senza
di questa non posso aver buoni Confessori, nè ottimi Parochi. Interdisse la
poesia Italiana, e solo permise la latina. Voleva si attendesse al sodo, e
soprattutto, che si possedesse da giovinetti la lingua latina.
Leggevasi in Seminario
la lingua greca. Alfonso stimolla inutile tra suoi Diocesani, che facevano il
maggior numero de' Seminaristi, - 48 -
perché nativi de' Contadi, o incardinati nelle tante Chiese de' luoghetti,
e Casali. Si stiano bene, disse al Rettore, i Greci nell'Oriente, che a noi Occidentali
necessita il latino, e non il greco. Io in Diocesi ho bisogno di buoni
Confessori, che mi aiutano le Anime in questi tanti Casalotti, e non di uomini
eruditi, che forse non capiscono le medesimi. Premise bensì qualche tintura
per poterli leggere, e capire qualche passo, che per accidente incontrasi ne'
Filosofi, o ne' Teologi.
Consumavasi in S. Agata
mandare giornalmente molti figliuoli alle scuole del Seminario, e ritornarsene
mattina e sera alle proprie case. l'opera sembrava buona, ma non fu approvata
da Monsignore. Questi figliuoli, ei
diceva, servono per portare imbasciate, e
biglietti secreti ai seminaristi, con manifesto pericolo di corrompersi con
quello de' Seminaristi anche il costume de' medesimi figliuoli. Rilevando
Monsignor Borgia, e Monsignor Pallante, ritrovandosi in S. Agata, provvedimenti
così savi, ammirati dissero al P. Caputo, ed ai Maestri, sappiatelo conoscere,
voi avete qui un altro S. Carlo Borromeo.
Siccome in Seminario, così
stava oculato, che anche in Diocesi non si vedesse macchiata con qualche
massima erronea la Religione, o il costume.
Avendo saputo, che alcuni giovanetti venuti da Napoli in tempo delle ferie,
preferivano delle proposizioni poco sane, o in rapporto all'autorità della
Chiesa o circa la Religione, ed il costume, sollecito se li fe chiamare.
Ripresi, risposero, tali dottrine esser comuni in Napoli, e che sulla Cattedra
spacciavansi da un primario Lettore. Inibì loro Alfonso frequentarne la scuola,
e proferire tali proposizioni, disingannandoli colle dottrine opposte. Non
contento di questo, ne scrisse in termini forti all'Eminentissimo Sersale, ed a
varj zelanti del Clero.
Scrisse ancora al medesimo Cattedratico facendolo carico dell'erroneità delle
proposizioni. Si schermì questi, dicendo, che le sue dottrine erano religiose,
e che la scostumatezza de' giovanetti, facevanle apprender di traverso
contorcendone i sensi la propria malizia.
Ritornato da Napoli D.
Pasquale Diodati, diedesi a leggere in Airola a varj giovanetti gl'istituti de Jure et Officiis dell'Abbate Genovese
Monsignore avendolo saputo, ne proibì subito la lettura, specialmente per
quella proposizione: Patriam religionem
servato, proque ea pugnato.
Non mancava il Paroco
D. Pasquale Diodati spiegarla in buon senso. "Non è come dite, li scrisse Alfonso; ci rifletta, e vedrà non
esserci parola in questo paragrafo, che
non vomita veleno. Come in buon senso potersi intendere il Patriam, susseguendo la bestemmia, Et si falsa? Dunque in senso suo, se taluno portandosi nella Cina,
ivi acquistasse la Cittadinanza, per suo dovere far si dovrebbe idolatra, e se
a Costantinopoli, si farebbe Maomettano, e dovrebbe difender l'Alcorano: vale a
dire, o che indifferentemente ammette ogni Religione, - 49 -
o che non ne ammette veruna.
E' vero, soggiunse, che egli, non lo fè più per paura, o per altro, ha in altra
edizione mutato il Patriam in Christianam. Quest'istesso fa vedere la
sua mala fede. Perchè Christianam, e
non Catholicam? ma questo neanche
accozza con tutto il di più. Dicendo, etsi
falsa, ne siegue, che anche dubitar si potrebbe della Cristiana, e non
saprebbesi, se seguitar si dovesse la Religione di Lutero, o di Calvino,
d'Inghilterra, o di Zuvinglio.
Se ne offese l'abate di
questa proibizione. Ma Alfonso li fe petto rescrivendoli di buon inchiostro; e
poco mancò, che non proibisse in Diocesi tutte le sue opere.
Volendo animare i
giovanetti per lo studio, e dar soggezione ai Maestri, due volte la settimana
per ordinario assister soleva alla lezione. Godeva sentirne le ripetizioni, ed
interveniva ai circoli. Una volta al mese stabilì, che si tenesse nella
Cappella del Seminario una conclusione di Filosofia, o Teologia; e ritrovandosi
indisposto a letto, voleva si tenesse nella propria stanza. In queste
conclusioni, affinché i giovanetti, ed i Maestri maggiormente si vedessero
impegnati, ordinò s'invitassero ad argomentare Canonici, e Regolari, ed in
Filosofia anche un qualche dotto Secolare.
In certi giorni solenni
tra l'altro voleva ancora le Accademie di belle lettere. Queste mettevano la
gara tra giovanetti, e maggiormente impegnati si vedevano per la lingua latina,
e per le composizioni rettoriche.
Avendo a cuore veder
istruiti i Seminaristi Diocesani nel predicar semplice ed apostolico, per
averli buoni operarj, stabilì una volta la settimana l'Accademia predicabile.
In questa, oltre i giovani teologi prossimi ad entrare in sacris, v'intervenivano Canonici, e Mansionarj, Parochi, ed
altri Sacerdoti. Egli stesso Monsignore dettava i principi, e diede a tutti la
Rettorica da esso già fatta per gli esercizj di Missione.
Ognuno doveva
prepararsi, e rappresentare o i sentimentucci di sera, o squarci di predica, e
di catechismi. Soffrir non poteva parola scelta non capibile dal basso Popolo;
molto meno proposizione di parole, o oscurità di senso. Voglio, ripeteva, ed inculcava, che
la gente rozza capisca, e si approfitti della parola di Dio.
Quest'accademia,
mentr'egli risedette in S. Agata, riusciva sommamente utile; e se in Diocesi si
predica apostolicamente, e con profitto del basso popolo, tutto è dovuto
all'istancabil zelo di Monsignor Liguori.
Volendo animare i
giovani Seminaristi nello studio, e vantagiarsi, ammettevali anche da Diaconi
al concorso delle Parocchie. Di fatti si videro ammessi, oltre tanti altri, D.
Angelo Stasi, che fu poi Canonico Teologo, e l'attuale Teologo D. Pasquale
Napoletano, il primo per la Parochia di S. Angelo in Munculariis, ed il secondo per quella del Vescovado.
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Sollecito Alfonso, che
i Seminaristi non avessero verun motivo di lagnanza, invigilava che fossero in
tutto ben trattati, e che il vitto specialmente preparato se li fosse con tutta
proprietà. Quel poco che si dà, diceva, voglio, che si mangi con piacere. Essendovi stata lagnanza, che il
cuoco non era troppo esperto, egli per addestrarlo vi mandava di volta in volta
il proprio.
Spesso spesso vedevasi
in Seminario in atto della mensa, osservando la proprietà delle vivande, e
sopratutto se difettasse il pane, o il vino. Vi fu volta, che il pane non era
di qualità. Persuaso un Seminarista di sua tenerezza, cel fece pervenire. Sul
punto Alfonso chiama e sgrida il Rettore, ed il mastro di casa. Chiama ancora i
Deputati: esagera la qualità del pane; ed ordina nel tempo istesso, che
dipartito si fosse a' poveri tutto il pane, che vi era in Seminario.
Anche fino alle delizie
estendevasi da lui amorevolezza. Tenendo Pontificale, era suo solito far
somministrare a ciascun giovanetto una sfogliatella apparecchiata dal suo
cuoco, o una fetta di pizza. A quest'effetto provvedevasi anche di zucchero
nella fiera di Salerno. Nella Domenica delle Palme soleva regalar bacilotti di
ciambelle. Così in altre occasioni tra l'anno non mancava tenerli allettati con
dolci, ed altri simili regalucci.
Voleva, che siccome i
Chierici fossero stati con tutti rispettosi, ed umili: così, che ognuno avesse
avuto del rispetto per essi.
Un Canonico avendo ricevuto in Sacrestia non so qual picciolo sgarbo da un
Seminarista, tirogli un rovescione. Non è da credersi quanto se ne dolse
Alfonso. I Padri, disse, li hanno affidati a me, ed io far debbo le
veci di Padre; l'offesa è mia, e non è del giovine. Chiama, sgrida, e castiga il Canonico, ma
con prudenza mortificò ancora il Seminarista.
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