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Cap.12
Somma sollecitudine di Alfonso per il buon costume de'
Giovani Seminaristi.
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Se impegnato vedevasi
Alfonso per le lettere, e per il materiale del Seminario, molto più fu egli interessato
per il buon costume. Volle che ogni mattina prima della Messa vi fosse in
comune mezz'ora di meditazione sopra qualche massima de' novissimi, come più
utile per li giovanetti; ma ne' Venerdì volle la meditazione sopra la passione
di Gesù - Cristo. Chi non resta
spaventato, ei diceva, dall'Inferno,
resta di certo ammollito, considerando in Dio, che spasima per esso sopra di un
legno. Prescrisse ancora due volte il giorno l'esame di coscienza in
comune; cioè la mattina prima di pranzo, e di sera prima di andarsi a letto, - 51 -
con recitarsi nella sera gli Atti Cristiani, e le
Litanie di Maria Santissima.
Volle che a tavola
mattina e sera vi fosse la lezione spirituale, che prima non si faceva. Sul
principio la mattina leggevasi un capitolo del Testamento Nuovo, o parte ad
arbitrio del Rettore, e durante la mensa, o l'Istoria Ecclesiastica, o qualche
vita di Santo. Così di sera prima della Storia legger si doveva un capitolo, o
parte di qualche libro, che trattava delle virtù e grandezze di Maria
Santissima; ma il Sabbato la sera prima di tutto legger si dovevano le proprie
Regole del Seminario.
Stabilì, che nella
Cappella del Seminario vi fosse costantemente Gesù Sacramentato, e ne
prescrisse ogni giorno la visita in comune. Cocì visita, e Rosario a Maria
Santissima.
Il dopo Vespero di ogni
Sabbato erano destinati più Sacerdoti per prender la confessione. Se eravi
obligo che tutti si dovessero confessare; non vi era per la comunione; essendo
ognuno in piena libertà di farsela, se voleva, ed il confessore glie
l'approvava.
Una volta la settimana,
e per ordinario il Sabbato non calava in Chiesa, se non portavasi prima in
Seminario. Radunati i giovani, faceva a tutti in Cappella un sermone prattico
sopra la bellezza della virtù, e sopra la bruttezza del vizio. Soprattutto
raccomandava amore, e special venerazione per Gesù Sacramentato: così
divozione, e tenerezza per Maria Santissima, inculcando che come a Madre, a lei
si ricoresse, essendo tentati.
Altri mezzi prese
Alfonso per radicare la divozione, e promuovere il buon costume tra' suoi
Seminaristi. Introdusse in Seminario le particolari Novene in onore di Gesù -
Cristo, e della Vergine, con pratticarsi in quei giorni de' fioretti di
mortificazione, come privarsi di qualche boccone a tavola, o mangiare
ginocchione, o sulla terra seduto. Soprattutto insinuava il digiuno semplice,
se non in pane ed acqua, nelle Vigilie di Maria Santissima.
Rilevava similmente tra
le sue prediche i pregi della carità scambievole, ma non la simpatia: la gara
tra i giovani, ma non l'invidia; il bisogno, e non la delicatezza; la
mortificazione de' sensi, e delle passioni. Sopratutto lo spirito di umiltà, e
la totale subordinazione al Rettore, e Maestri.
Ogni mese prescrisse un
giorno di ritiramento, sospendendosi le scuole, volendo, si rinvancasse da
ognuno il proprio profitto, o discapito. Eravi la comunione quasi generale, con
un fervorino, che facevasi dal Rettore prima, e dopo la comunione. Ho detto
quasi generale, perché trovandosi taluno indisposto, poteva con qualche
pretesto esentarli dalla comunione, nè per questo vi era taccia.
Similmente vi era il
giorno - 52 -
una predica di
materia, che facevasi di Monsignore con gran frutto de' giovanetti. Ogni anno
impreteribilmente, prima di riaprirsi le scuole, volle che vi fossero otto
giorni di esercizj spirituali. Questi o si davano dai Padri della nostra
Congregazione, o chiamava da Napoli il Missionario D. Gaetano di Girolamo,
unito col fratello D. Ignazio, o altri zelanti Operarj; e vi fù volta, che vi
fè venire, in tempo che era Parroco nell'Avvocata, Monsignor Bergamo, ben noto
per lo suo zelo, e santità.
Considerando Monsignore
esser troppo seria l'applicazione giornale de'giovanetti, e volendo dar loro un
qualche sollievo con profitto dello spirito, fè venire in Seminario il Maestro
di Cappella D. Alessandro Speranza, uomo di virtù, e zelante Sacerdote.
Avendo fatto mettere in
nota le proprie canzoni, godeva veder ammaestrati nel canto in tempo di
sollievo i giovanetti, e cantarle uscendosi a spasso, o di sera, e di mattina
nella comune ricreazione. Egli medesimo affaticavasi spesso spesso in dar loro
i tuoni, compiacendosi vederli allegri e giolivi.
Non ammetteva chiunque
in Seminario, se sicuro non era di un vivere tutto esemplare. Sembrano incredibili
le tante diligenze, che usava per esserne accertato. Non voleva taccia nei
natali, che offeso avessero il decoro ecclesistico. Informavasi se frequentava
i Sacramenti, se di mattina vedevasi alla Messa, e se di sera
alla visita del Sacramento.
Essendoseli presentato
un giovanetto nipote di un Canonico, e fratello di un altro, accertato del
costume l'ammise. Avendo saputo a capo di giorni che il giovanetto era stato tra soldati, non
volendo saper altro, licenziollo dal Seminario.
Chiamandosi il Canonico Fratello, come, li disse, voi state sempre con me,
sapete l'affetto che vi porto, e mi tradite? Scusandosi questi, disse che tre
giorni era stato in Capua, e che vestito non aveva l'uniforme di soldato.
Sostenne Alfonso il passo. Ebbe tanto a male il vecchio Zio questo affronto,
che ne cadde gravemente infermo.
Pregato Monsignore il giorno di Sabbato Santo dal Vicario, e dal Governadore,
ed anche dal Capitolo, che fù a complimentarlo, non si arrese; e
rappresentandosi la somma angustia del vecchio Zio, dite, lor disse, al Signor
Canonico, che stia di buon animo, e che non mancherò pregar Iddio per farlo
star bene per consolazione sua, e mia.
Sistemato così il
Seminario, tutto era edificazione. Vi erano anime di orazione, e di perfetta
annegazione di sé. Egli prescritto aveva la comunione ogni quindici giorni; ma
molti la frequentavano ogni otto, e taluni più volte nella settimana. Vedevasi
dell'armonia tra tutti: si studiava con impegno, e profittar vedevasi ognuno in
bontà, e nelle lettere. Alfonso ne gioiva, e chiamar soleva il Seminario or la
pupilla de' suoi occhi, ed ora il giojello della sua Diocesi.
Per esso non - 53 -
eravi cosa, che lo
disanimasse, e ben impiegato teneva per li suoi Chierici qualunque tempo, e
fatica. Tutti i miei ecclesiastici, soleva
egli dire, sono la corona della mia
testa: ma io fondo le mie speranze sopra del Seminario, per vedere coltivata, e
rimessa nel buon costume tutta la Diocesi.
Sparsa la voce, il solo
nome di Alfonso popolar fece il Seminario. Anche gli esteri facevansi gloria
situarvi i proprj figli. le lettere che vi fiorivano, ed il buon costume che vi
regnava, il trattamento imparziale tra Maestri, e Seminaristi, animavano i
medesimi giovanetti a preferir questo Seminario a qualunque altro. In tale idea
avevasi presso tutti il Seminario di Santagata, che era di soggezione ai
circonvicini; e siccome quello di Aversa, in tempo del Cardinal Caracciolo,
erasi reso famoso perché singolare nel costume, e nelle lettere: così questo di
Santagata rendettesi tale, vivendo Monsignor Liguori.
Se godeva Alfonso,
vedendo in uno stato sì florido la grand'opera del seminario, così non trovava
pace, se uomo inimico avesse cercato adulterarla. Vedevasi tutto sollecito che
introdotti non vi si fosserro romanzi, o poeti poco sani. Non contento delle
secrete spie che ci aveva, spesso spesso visitar faceva le camerate, nè vi era
pietà per veruno, se cosa inconveniente vi si trovava.
Un costumato giovane fu
colto leggendo un Poeta napoletano. Fu tale questo delitto, che fu passato
dalla scuola di rettorica, a quella della grammatica, e perdurar vi dovette
sino all'altro corso rettorico. Avendo saputo, che in una camerata girar
vedevansi alcuni versi non tutto decenti, commessane l'indagine al Rettore,
tale spavento ingerì nel Seminario, che chi avevali trangugiolli, non avendo
altro tempo per disfarsene.
Essendosi trovati due
Seminaristi con coltelli non convenienti, in atto furono tutti e due
licenziati, nè più gli ammise all'ordinazione.
Facendo dalle finestre
alcune picciolissime leggerezze tre giovanetti Seminaristi con una donna; che
ispesso ripassar doveva per dentro il cortile, Alfonso nell'atto che lo seppe,
licenziolli tutti e tre, né più vi fu pietà per essi, qualunque fossero state
le loro umiliazioni, le proteste, e le interposizioni di persone autorevoli.
Uno non ammise, se non dopo molti anni al Suddiaconato, esponendo il Parroco la
necessità della Chiesa, e contestandosi da tutti la sua emenda; ma avendo
appurato altre picciole mancanze, tale lo lasciò partendo dalla Diocesi; il
secondo non ebbe mai grazia; ed il terzo, che anche nulla sperava, restò fuori
d'impaccio, soffocato da un getto di sangue.
Vedevasi Alfonso
sull'eculeo, se qualche lupo ammantato scorgevasi con veste di agnello. Odorandone
il fiato, dava subito di piglio a ferro e fuoco. Avendo saputo non sò che in
persona del nipote di un maestro, non avendo del riguardo per il zio,
licenziollo nel medesimo - 54 -
istante.
Pianse, e promise anche il Zio. Vedenso Monsignore inflessibile disgustato
lasciò la scuola, e licenziossi di seminario.
Non prevalevano,
succeduta qualche giustizia, nè pianti di parenti, nè mediazione di amici. Che carità, che carità! sentivasi
ripetere a chi così li parlava: per aver
compassione di un solo, voler permettere la ruina di tanti: questa non è
carità, ma crudeltà. Anche persone di riguardo essendosi interposte per
taluni, non spostarono Alfonso dalla sua fermezza.
Avendo licenziato un
giovane, oltre la mediazione di varj Gentiluomini, sbracciandosi il Conte di
Cerreto, anch'esso n'ebbe la negativa; una
pecora infetta, scrisse al Conte,
ammorba tutto l'ovile. Non vi fu prete, o gentiluomo in Airola, che
inutilmente fraposto non si fosse per un altro giovanetto. All'Abbate
Pignatelli, che fu poi Arcivescovo di Capua, che volle provarsi, assicurando
Alfonso essersi emendato un giovane, essendo così, V. P. Reverendissima, lepidamente le disse, lo faccia Monaco.
Solo si conta aver
trovato grazia presso Alfonso un figliuolo del casale di Duecento. Questi non
peccava nel costume, ma dissanimato dal corso de' studj, fuggì di Seminario la
prima e seconda volta. Non meritava pietà; ma Alfonso, stringendosi nelle
spalle, tra se ripeteva: ma è di Ducento volendo dire, che non essendoci un
prete in quel Villaggio, pazientar dovevalo, ed usarli finezza.
Singolare fu la
tenerezza di Monsignor Liguori per li giovanetti costumati, e di riuscita.
Avendo uno di questi sostenuto con applauso più tesi teologiche, perché
poveretto, ribassolli in premio docati sei in ogni semestre.
Deplorando l'abbandono in cui gemevano tanti
lochetti, come Ducento, Bagnoli, Cancello, e simili, non essendoci preti
naturali, se tra quelli adocchiava qualche giovanetto di talento, esso medesimo
insinuavali lo stato Ecclesiastico, e graziosamente l'ammetteva in Seminario.
Questa carità non piacendo, e riclamando i Canonici Deputati, l'istituzione de' seminarj, replicava
Alfonso, non fu fatta, che per ajuto
delle Diocesi, ed altro fine non potettero avere le persone pie, testando i
loro averi in favore de' Seminarj, che il bene delle Diocesi, e specialmente
de' poveretti. Il Seminario è in obbligo sostener il peso degl'impotenti, se
costumati sono, e di talento, e sollevar possono i proprj paesi.
Così diede ottimi preti
a tanti Villaggi, e Casali, che n'erano di senza. Volendo bensì coadjuvare i
poveri, e rinforzare la rendita del Seminario, smembrò nella santa Visita del
1764 ed incorporò al Seminario docati cinquecento: parte della rendita della
Chiesa Arcipretale di Ducento, Castello un tempo popolato, ma ora desolato, e
non abitato che da pochi coloni.
Costante fu tale
disciplina stabilita in Seminario, anche in tempo che Alfonso, come altrove
dirò, confinato si vide in Arienzo, e reso storpio. Non fu tale però, con suo
sommo dispiacere, rispetto alle ferie.
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Gli
anfratti del 1764, che indebitarono il Seminario, e l'intrapresa delle
fabbriche, troppo in attrasso lo avean posto. Riclamando i Deputati per le
ferie, Alfonso dovette cedere, a patto bensì non come il passato, ma per un
mese e non più; cioè da primo sin'ultimo di Ottobre. Se contro sua voglia permise le ferie, non è
che rilasciò la briglia a' Seminaristi, o che perdesse di veduta il loro bene.
Prima che i Giovanetti uscissero
di Seminario, radunandoli, faceva loro un sermone, rilevando i varj pericoli
che incontravano, ed il male che potevano incorrere, portandosi ne' paesi.
Volle che ogni mattina
nella propria parrocchia, a vista del parroco, far dovessero mezz'ora di
meditazione, ed in seguito ascoltata la Messa: che ogni sera esser dovevano
alla Visita del Sacramento, e ne' giorni festivi assistere nella propria Chiesa a tutte le sacre funzioni; ed alla
dottrina Cristiana, che facevasi dal Paroco.
Che ogni otto giorni non mancassero confessarsi, e comunicarsi; e che non
uscissero fuori di casa senza collare, cinta, e sottana. Similmente che
conversar dovevano con persone ecclesiastiche, ma timorate di Dio, e che in
niun conto si accostassero, ove si vendemmiava, e molto meno si andasse a
caccia.
Mandò tali
stabilimenti, per rilevarne l'osservanza, ai rispettivi Parochi. Non contento
di questo, destinava in ogni luogo più secreti esploratori, l'uno non sapendo
l'altro, che informar lo dovevano della condotta de' Giovani; e mal per esso
taluno se aveva un cattivo rapporto. Ritornando in Seminario non erano ammessi,
se non avevano della loro buona condotta fede giurata dai rispettivi Parrochi.
Non avendo portato un giovane un tale attestato, dovette ritornare in dietro.
Più d'uno sperimentò
per qualche inosservanza il sommo rigore di Alfonso. Un Seminarista, iniziato
con due ordini minori, s'indusse a sentire una comedia. Monsignore avendolo
saputo, ancorché altro reato non avesse, per tempo e tempo l'escluse dagli altri
due Ordini.
Avendosi fatto lecito un giovane, trasportato da un
Sacerdote, andar girando in una notte, il Prete fu subito carcerato, ed il
giovine espulso di Seminario. Qualunque pianto, e qualunque mediazione non
trovò pietà presso Monsignore; e se fu ammesso a capo di anni, ci bisognò tutta
l'autorità, e quella venerazione che egli avea per Monsignor Borgia allora
Vescovo di Aversa.
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