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Cap.13
Varie provvidenze, che si diedero da Alfonso,
proseguendo la S. Visita in Santagata, e nella Diocesi.
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Nel tempo istesso, che
Alfonso affaticavasi per dar sesto al suo Seminario, non ometteva cosa per
tutto il dippiù che interessava la Visita. Informato dello stato di taluni
Sacerdoti, specialmente da zelanti Ecclesiastici, e da ottimi Gentiluomini,
attaccò subito questi forti, ove il peccato signoreggiava con scandalo de'
buoni, e con ruina delle Anime.
Facendoli carichi di loro condotta, si spiegò, che tolerar non poteva il
peccato, e che emendandosi, ritrovato avrebbero in lui non più un giudice, ma
un Padre. Chi, deviandoli dall'occasione, restrinse in varj Monasterj; altri,
così ricercando la giustizia, castigò colle caroeri; e tanti altri,
caritativamente corretti, rimandolli indietro, speranza dell'emenda.
Oggetto delle sue
principali sollecitudini, fu per Alfonso in Santa Visita il Sacrificio
dell'Altare, ed il Sacramento della Penitenza. Avendo eretto, siccome pratticò
in tutti i paesi, un Altare nell'anticamera dell'Episcopio, intimò l'esame per
le Rubriche. Esso medesimo istruiva i meno esatti, ed altri più scarsi
rimettevali al Maestro delle Cerimonie.
Taluni, e non furono pochi, si vide in obbligo sospenderli, tanto grave era lo
strapazzo, che questi facevano delle cose più essenziali; e se li abilitò, non
fu che a stento, ed a capo di mesi.
Curioso è quello
accadde con un Sacerdote, che faceva da Maestro, e credeva saperne più degli
altri. esaminando Alfonso un giovanetto di fresco asceso al sacerdozio, e
trovandolo inespertissimo, di necessità dovette sospenderlo. Dimandandogli chi
l'avesse istruito, e sentendo che ammaestrato l'aveva un Sacerdote nominato D.
Domenico Oropallo, se 'l chiama sul punto, e volle che anch'esso avesse
rappresentata la Messa secca. Poveretto! ancorché maestro, ritrovossi in attrasso
più del discepolo, e tale, che dovette anche sospenderlo. Graziose furono le
cacchinnate in S. Agata, vedendosi riprovato, chi approvava gli altri, e
recavasi a gloria l'aver discepoli.
Un altro Sacerdote,
ancorché galantuomo, capo e prefetto del Collegio dell'Annunciata, anche passò
per la medesima trafila. Ritrovato manchevole, anch'esso fu sospeso.
Dissanimandosi, perchè vecchio, di apparare le rubriche, si contentò piuttosto,
per altri anni dieci che sopravisse, non dir più Messa, che soggettarsi a nuovo
esame. Questo necessario rigore diede da pensare a tutti, e per ogni dove
studiavansi le Rubriche, e celebrare si videro le Messe con altra esattezza, e
divozione.
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Riconoscer volle nel
tempo istesso i Confessori della Città, e quelli della Diocesi. Anche in questi
ritrovò materia di maggior dolore. Ancorchè prevenuto dell'ignoranza che vi
regnava, non stimò prudenza soggettarli tutti ad esame. Un puntiglio, diceva Alfonso, ed
un passaparola far può ritrovare tutta la Diocesi senza Confessori, e col
fracido passar pericolo, si perda il buono. Sessionando con i suoi,
chiamava ad esame solo i rubricati di lassezza, o d'ignoranza; e di questi
ritenevasi le pagelle.
Talmente ritrovò ignoranti
due di questi nel Casale di Cervino,; che li sospese anche dalla Messa; e se a
capo di tempo li abilitò per questa, non poté abilitarli per la Confessione.
Picciolo non fu il numero di questi tali. Deploravane l'ignoranza, ma molto più
il danno delle Anime. Sensibile fu il taglio, ma non mancava Alfonso
raddolcirne l'amaro colla prudenza, e colla solita sua dolcezza.
Non fu questo tutto il
male. Ignoranza somma ritrovò ancora in varj Parrochi. Questa spina tra tutte
passavali il cuore, perchè non era in piena libertà di potersela estrarre.
Nella sola Città, e
subborghi ritrovonne quattro all'intutto insufficienti. Non volendo
processarli, ed infamarli, espediente stimò passarli a Canonici, per così andar
incontro al male delle Anime, e salvare a quelli il buon nome. Ma dovendo
pazientarne la risulta, ammonivali, e facevali avvertiti per quanto poteva,
riparando il male con i buoni sostituti.
Uno tra gl'altri era in tale evidente irregolarità, che non ammettendo
dilazione, insinuar li dovette la rinunzia. Restìo si dimostrò il Parroco, ed
Alfonso se non potette colle buone, lo astrinse colla forza.
Terminata la Visita
della Città, e suoi Casali, intraprese l'anno susseguente quella della Diocesi.
Persuadevasi, se tanto fracidume nella Cattedrale, e suoi subborghi, maggiore
esser doveva negli altri luoghi. Dopo Pasqua portossi in Durazzano, e suoi
Casali; sul principio di Maggio fu in Arienzo, indi a Real Valle, ed ai Casali
di Bagnoli, e Ducento. Visitò Forchia, ed Arpaja; e sbrigossi dalla Terra di
Frasso.
Obbligò da per tutto i
Parochi al loro disimpegno: ne inculcò l'obbligazione, e rilevò loro lo stretto
conto, che dar ne dovevano a Dio. Sopratutto in quei de' Casali richiese con
rigore la residenza. Tanti di questi,
avendo cadente e maltenuta l'abitazione, mancavano assistervi. Volle, e senza
dilazione, che ristorare si dovessero le fabbriche, per non aversi motivo in
contrario.
Ottimo era un Paroco,
dotto e moriggerato, ma rincrescendole la residenza, perché in Chiesa solitaria
con poco popolo, e questo lontano e disperso, per lo più trattenevasi in Città.
Era un gran che, se ne' giorni festivi vi si portava a celebrare. Questo fare,
in sentirlo, dispiacque ad Alfonso. Sel chiama; e resa vana ogni ammonizione,
gl'intima la rinuncia. Sbalordisce a questo tuono il Parroco: si risente, ma
non si giustifica; ed Alfonso, o
rinunciate voi, e ve ne levo io.
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Ma prevalendo la
dolcezza, seppe così convincerlo, che già ottenne l'intento. Ebbe a cuore il di
lui decoro; e per li frutti mal percepiti anche lo tolse di obbligazione,
facendoceli rilasciare dal Papa.
Tal disordine ritrovò
nella Parrocchia di un Casale, che proibì alle donne, sotto pena di scomunica,
l'entrare nella stanza del Parroco, eccetto quelle in primo, e secondo grado. Così
sotto la medesima pena, inibì al paroco, ed al proprio sostituto,
intrometterle, volendo che si trattenesse in Chiesa, e non altrove colle
medesime.
Le celle de' Romiti
anche volevali esenti, come se fossero celle di Certosini, dal commercio delle
donne. Avendo ritrovato nella Chiesa rurale di S. Michele nella Terra di Real
Valle, che da dentro la Chiesa eravi l'ingresso nella stanza del Romito,
volendo impedire l'accesso alle donne, proibì a queste, sotto pena di scomunica
ipso facto, qualunque ingresso nel Romitorio, ed al Romito, che lo
permettesse, dopo tre mesi di carcere, anche lo sfratto dal romitaggio.
Così in un altro
romitaggio nella Chiesa, ch'è detta S. Maria di Sajano. Affinché i Romiti
impinguati non avessero se stessi colle oblazioni de' fedeli, non curando la
propria Chiesa, ordinò ai Romiti della Chiesa del Carmine, e di S. Antonio
Abbate in S. Agata sotto pena dello sfratto, che tolto il proprio
sostentamento, dovesse ognuno del di più darne conto al Canonico D. Francesco
di Cesare per impiegarsi in beneficio delle Chiese.
Avendo rilevato, che
tanti parochi ignorando, o non curando la Bolla di Papa Benedetto XIV, solo
nelle Domeniche avevan celebrato per il Popolo, obbligolli ancora in tutte le
Feste, e per l'attrasso ne incaricò le di loro coscienze. Similmente, che
mancando nelle parrocchie la Messa dell'aurora, e molto di più la meridionale,
tanti del popolo la perdevano, inculcò l'una e l'altra ne' giorni festivi, e
specialmente in quei di un solo precetto.
Somma indecenza, e sommo
abuso osservò nel vestire. In tanti del Clero tutto era innanellamento di
capelli, e cipro. Tutto esecrò, ed interdisse.
Vi fu persona che ottenuto aveva da Roma, ma rimesso al Vescovo, il permesso
della Parrucca. Volle osservarla Alfonso; e vedendola non propria, cerca
dell'acqua bollente in un bacile, e tuffandola disciolse tutti i ricci. Così conviene, disse con un sorriso, e non altrimenti.
Somma vanità regnava
ancora nel vestire. Vedevansi i Preti con abiti trinati di oro, e cordoncini,
con merletti, e con cappe di colore. Tutto fu proibito sotto pena di
sospensione latae sententiae, nè
volle che si fosse entrato in Chiesa senz'abito talare. Solo permise ai
Canonici della Cattedrale, che usassero in viaggio cappa di colore, ma modesto.
Ammonendo, e corregendo taluni, che più li davano negli occhi, anche gli altri
indirettamente si viddero emendati, e corretti. Colla gioventù specialmente fu
rigido, e severo.
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Rilevando ne' Preti il
gran male, che si aggevola nelle famiglie, sotto il pretesto del S. Giovanni, inibì rigorosamente che
niuno avesse fatto il Compare, ricevendosi da fanciulli il Battesimo, o la
Cresima. Solo talvolta permise il battesimo, ed anche con rincrescimento, ma
per causa che non poteva altrimenti, e con persone di sommo riguardo.
Nè in Città, nè in
Diocesi stimavasi cosa impropria tra Sacerdoti, anzi facevansi gloria, vedersi
sul Teatro, e comparire da istrioni a vista del Popolo. Declamò Alfonso, ma con
somma sua amarezza, per tale e sì grave disordine, ed inibendolo colla
sospensione ipso facto a divinis, e con altre pene a suo arbitrio: così
generalmente proibì ancora ai medesimi qualunque gioco di sorte.
Il maggior dolore per
Alfonso era lo strapazzo, che rilevò, sollecitandosi la S. Messa. Volendo
ripararci, per quanto poteva, pose per ognuno la sospensione latae sententiae, che meno di un quarto
vi avesse impiegato, anche in quella de' Morti.
Avendo ritrovato un
prete, che sbrigavasi tra sei minuti, lo sospese sul fatto; ed avendolo mandato
nella nostra Casa di Nocera "Se nol vedo emendato, scrisse al P. Villani,
non l'abiliterò mai più, perché starebbe, e ci sarei anch'io in un continuo
stato di peccato mortale". Così sospese un altro in S. Agata. Queste
provvidenze intimorirono più d'uno, e celebrate si viddero le Messe con altra
decenza e pausa.
A tal'effetto diede
fuori, per far conoscere la gravezza di sì enorme disordine, quell'aureo
opuscolo della Messa Trapazzata,
cogli atti dovuti per l'Apparecchio, e Ringraziamento, che divulgato per l'Italia
colle stampe del Remondini, raro è quel Sacerdote, che non se ne approfitti.
Proseguendo la Visita,
marciume d'impurità ritrovò in tanti, ancorché consacrati all'Altare.
Commiserava la debolezza, ma non lasciavala impunita. facendo uso del ferro della
separazione, parte ne mandò in Napoli alla Casa della Missione di S. Vincenzo
di Paoli, ed altri nelle nostre, certo dell'emenda col fuoco dei santi
esercizj. Varj Religiosi, avendo in vista il decoro dell'abito, volle che di
per se si appartassero; ma fe sentire a Superiori, che non voleva spine in
Diocesi che li pungessero il cuore.
Varie provvidenze diede
per le Claustrali. se evitò in queste i tagli a crudo, esortò bensì tutte, e
pose loro in veduta le proprie obligazioni. Rilevò sopratutto il gran male, che
ripullula dalla frequenza delle grate; ma maggiore dallo star lontane da'
Sacramenti, e non amare il ritiro, e l'orazione.
In Frasso dovette
venire alle strette con una Religiosa, che quanto dimentica de' doveri di
Monaca, altrettanto rovinava il Conservatorio colle sue irregolarità. Ferro, e
fuoco ci necessitava. Era questa Napoletana. Avendola discacciata dal
Conservatorio, rimandolla - 60 -
in
casa propria in compagnia di ottimi Sacerdoti. Non ancora era egli partito da
Frasso, che ardita la Monaca si vide di nuovo nella porteria del Conservatorio.
Monsignore, sentendo le violenze sue, e quelle de' Parenti, che con essa eran
venuti, si presentò di persona alla porta del Conservatorio, negandole
l'entrata.
Se fu sollecito per il
Clero, meno sollecito non fu per il Popolo. Somma trascuratezza rilevò in tanti
e tanti per il precetto Pasquale. Aperta la Visita inculcò ai Parrochi
d'insistere presso codesti traviati, e che notamento se li facesse de'
renitenti e trascurati. Tanti non mancò chiamarseli, ammonirli, e farli carichi
della propria obbligazione, e per altri diede fuori i cedoloni.
Aveva a cuore i
villani, ma maggiore impegno dimostrava per gli artieri, e per il ceto civile.
Sentendo, con suo rincrescimento, non esservi sposo così in Diocesi, che nella
Città, che contratti li sponsali, non trattasse in casa della sposa, conoscendo
inutile ogn'altro mezzo, lo fe caso riservato, e spaventò i parenti, anche
colla scomunica. "Altro modo non abbiamo trovato col Signor Arcidiacono,
così nel primo di Settembre al Parroco D. Antonio Tancredi, che far sentire ai
parenti degli sposi, che restano essi scomunicati, facendo entrar quelli nelle
proprie case, e far sentire a' Confessori, che questi non si assolvino, venendo
a confessarsi".
Con sua maggior pena
ritrovò, che in Diocesi la dottrina cristiana a' fanciulli non faceasi, che
nella sola Quaresima.
Sotto gravi pene
ordinò, che impreteribilmente si fosse fatta in tutte le Domeniche, e giorni
festivi, ed ogni giorno in tempo di Quaresima, girandosi colla Croce. Riparar
volendo questa somma ignoranza, restrinse in un foglio, che diede alle stampe
le cose più necessarie. Feceli in lingua italiana, volendo che il Popolo
capisse, ciò che proferiva colla lingua; ed ordinò che, posto in tavoletta, due
volte si recitassero dai Parrochi nei giorni festivi, cioé nella prima Messa, e
nell'altra di concorso. Così volle, ed esiggevalo a rigore, si facesse da altri
Sacerdoti in tutte le Cappelle rurali.
Proibì a' Confessori
sotto pena di sospensione l'ammettere al Sacramento della Penitenza nel tempo
Pasquale, chi non era stato esaminato dal proprio Parroco sulla dottrina
Cristiana, e non avesse l'attestato.
Dubitando, che per
l'imperizia delle Mammane, non si amministrasse, come conviene, ne' casi di necessità,
il Sacramento del Battesimo, non si diede pace, se non esaminò ei medesimo in
ogni luogo tutte le Mammane, e non finiva istruirle. Quest'attenzione ebbela
sempre nel decorso delle altre visite, ove sentiva che vi erano Mammane
novelle.
Riflettendo al grave
disordine de' sacrilegj, che ne' luoghi piccioli per erubescenza si commettono;
e considerando il poco numero de' Confessori che vi era ne' Casali, volle che
questi nel prossimo precetto Pasquale vicendevolmente si cambiassero per le
rispettive Parrocchie.
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Varj e scandalosi di
esecrante bestemmie, col braccio del Governadore, restrinse nelle carceri.
Evitò per questi la galea, avendo riguardo, essendo ammogliati, alla povertà
delle famiglie, ed altre triste conseguenze.
Ove ritrovò delle
cattive donne e ve ne erano non poche, avendosele chiamate, presenti i
Parrochi, pose loro avanti il fuoco, e l'acqua: voglio dire la sua
indignazione, e la sua misericordia. Se
vi emendate, disse, mi troverete
padre, e tutto carità per voi; se persisterete nel peccato, mi avrete giudice,
e non avrete né pace, né quiete. Raccomandolle ai Parrochi per esserne
informato.
Tante, come altrove dirò, lo sperimentarono tutto amore, ed altre, essendo
state recidive, non furono che l'oggetto della giustizia, e del suo zelo.
Dispiaceva oltre modo
ad Alfonso, e ce lo suggerì anche Monsignor Puoti Arcivescovo di Amalfi, quella
foggia non propria, che in Diocesi costumasi, ed in altri luoghi, dalle donne
dozzinali, di non usarsi gonna, ma avvalersi di due panni avanti e dietro, col
portarsi aperti i fianchi, patendoci non poco la modestia. Volle l'Arcivescovo
che s'impegnasse a togliere un tale abuso:
rem difficilem postulasti, rispose Alfonso. Tutta volta strepitò, e disse;
ma per quanto adoperato si fosse, non ebbe l'intento. Preso piede un disordine,
ed autenticato dal tempo, un miracolo ci vuole per vederlo estirpato.
Volendo ogni sera, non
essendo in uso in Diocesi, la visita a Gesù Sacramentato, ed a Maria
Santissima, avendola ordinata da per tutto, ne stampò gli Atti, e mandolli per
le Parrocchie, affinché posti in tavolette, di comodo fossero stati ai
Parrochi, ed a qualunque Sacerdote. Così si vide in tutta la Diocesi prestarsi
un tal culto a Gesù Cristo, ed a Maria Santissima.
Rilevando, che poca
esperienza eravi in Diocesi per l'assistenza ai moribondi, e che anche a
villani facenvansi tiritiere di passi latini, e squarci di prediche, con
disgusto, e senza futto de' poveri moribondi, ne diede alle stampe un
librettino con una prattica facile, e divota, distribuendolo a tutti i
sacerdoti, e specialmente a Parrochi, e loro Sostituti.
Se tanto nel formale,
non minor fracidume rilevò nel materiale. Non è da credersi la miseria in cui ritrovò
le Chiese de' Casali, e quelle di campagna. Tante, o squallide, o affumicate,
volle che si biancheggiassero. Ove ordinò rattoppamento di stucco, o
d'intonaco; ove ripararsi i tetti, ed esentarle dall'umido; e talune, perché
cadenti, che si munissero di scarpe. Rifazione ordinò ne' pavimenti, e nelle
vetrate; ed in tante mancavano di fatto e vetri, e finestre. Anche negli atri,
perché ingombri di erbaccie, vi volle nettezza. Alla Casa di Dio, diceva Alfonso, conviene la santità, e la decenza, né vi è attenzione che basti per
renderla rispettabile. Un ragno non tolto avealo a delitto nei Rettori, e
nei Sacrestani.
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Sospese Altari, ed
interdisse statue, perché consumate e disfigurate dal tempo. E' inutile l'imagine, diceva Alfonso, che non ispiri divozione. In Frasso
voleva far bruciare un antica statua della Madonna, perché nera, e malfatta; ma
essendosi opposto il Popolo, che l'ha in divozione, cedette, ma con pena,
all'impropria pietà. Altri altari smozzicati, ed altre imagini in tela, le
volle ritoccate. Gran consumo fece di Crocefissi addentati da tarli. Impose con
rigore che in ogni otto giorni gli altari si spolverizzassero, e purificate si
fossero le fonti dell'acqua lustrale.
Non minor afflizione
sperimentò per l'Olio Santo. In tante Parrocchie ritrovandolo in un cantone di
Sacrestia, o al più nei battisteri, ordinò i particolari finistrini. I
monumenti per il Giovedì Santo o non vi erano, o si avevano mal tenuti, volle
si foderassero di armesino. Avrebbe voluto più lumi avanti ai Ciborj; ma
contentavasi di uno per la povertà delle Chiese.
Non avendo trovato in una Parrocchia che
sporchissima lampada in una finestra, inorridì; volle si supplisse di ottone, e
che sospesa ne stasse avanti all'Altare. Mancava in molte di queste il baldacchino
per l'esposizione del Venerabile, e volle si facesse; e tanti ne interdisse,
perché non convenienti. Scarsezza di lumi rilevò uscendo il Viatico, e
raddoppiolli. Interdisse pallj ed umbrelli malconci, ed ordinò pel Viatico de'
piccioli baldacchini.
Tante custodie non
proprie le volle rifatte, ed altre perché foderate di cottone, che si
vestissero di seta. In tali angustie si vide per queste, ed altre improprietà,
che intimò la sospenzione de' frutti, ove in questo si mancasse.
Anche questo è poco. Povertà
non ammise maggiormente ne' sacri vasi. Ordinò Ostensorj, che mancavano; non
soffrì Calici, e Pissidi squallide, e volle che tra due mesi si fossero
indorate. Tante Pissidi, perché mal tenute le volle rifatte. Così se non fasto
nelle vesti, per lo meno vi voleva proprietà, e decenza. Interdisse camici,
pianete, piviali, e messali. Nitidezza volle ne' corporali, e pannilini
dell'Altare.
Troppo obbligati, devesi dire, restar dovettero ad
Alfonso per questa, e per le visite susseguenti, orefici, statuarj, pittori,
fondachieri, ed altri artieri in Napoli: così in Diocesi, muratori, falegnami
ed altri: tanti furono i lavori nelle Chiese, e le riparazioni di fabbriche,
che effettuar si dovettero con edificazione del pubblico, e somma consolazione
di Alfonso.
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