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Cap. 18
Missioni chiamate da Alfonso in Diocesi: suo
disinteresse per queste; stile apostolico esatto da' Predicatori
Quaresimalisti.
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Non contento impiegar
di persona Monsignor Liguori la vanga, e la zappa per tener ben coltivata la
sua vigna, chiamar soleva in ajuto altri operaj per vederla florida, ed esente
da spineti.
Posto piede in Diocesi,
o per dir meglio, accettato il Vescovado, pensò subito alle Missioni. In Napoli
concertò questo sussidio coi capi di tutte le Congregazioni. Raccomandandosi
con maniera particolare al Canonico D. Giuseppe Sparano Superiore della sua
Congregazione delle Apostoliche Missioni, ed al Canonico D. Giuseppe Pace
Superiore dell'altra detta della Conferenza, come comune Confratello. Fe
premura al Preposito de' Pii Operarj il P. D. Stefano Longobardi per la
Missione in Arienzo, ed al P. De Matteis Provinciale de' Gesuiti per la Terra
di Durandazzo, avendone questi i Legati. Avanzò similmente le preghiere al
Superiore de' Preti Missionarj esistenti nella Chiesa di S. Giorgio. Così ai
PP. Domenicani; e raccomandossi con modo particolare al P. M. Cavaliere suo
cugino.
Avanzato l'autunno,
ebbe a sua disposizione dal Superiore della Conferenza venticinque e più
soggetti, i migliori che si avevano. Con questi andò incontro ai principali
luoghi, e nel tempo istesso fece attaccare Arienzo dai Pii Operarj, e Durazzano
dai PP. Gesuiti.
Con questo assalto
generale dato ai vizj tutta la Diocesi cambiò di aspetto. Sbarbicate si viddero
tante male pratiche invecchiate, e tante inimicizie riconciliate. La virtù, e
la pietà fiorì in ogni ceto. Tutti profittarono Ecclesiastici, Gentiluomini, e
plebej.
Nel tempo medesimo, che
questi ed altri operarj affaticavansi in varj luoghi della Diocesi, Alfonso,
come a capo de' Missionarj, non - 86 -
riposavasi, nè soltanto lo era spettatore. Anch'egli prendeva a petto il
peccato, come principalmente interessato.
Essendosi portato in
Arienzo, in tempo che i PP. Pii Operari vi stavano con la Missione, anch'io,
disse, voglio fare qualche cosa, non sfidandomi stare a spasso. Avendo preso di
mira i Gentiluomini, risolvè dar loro i santi Esercizj. Se incessanti furono le
fatiche che per otto giorni vi fece, copioso ancora vi fu il frutto.
Tanti attacchi si
viddero sciolti, con edificazione del pubblico. Avendoli uniti in carità, vi
stabilì una particolar Congregazione coi proprj statuti, ed animo tutti
specialmente alla frequenza de' Sacramenti, a visitar Gesù Sacramentato, e
nell'ossequiar Maria Santissima. Diede questi Esercizj nella Chiesa de' PP.
Carmelitani. Dando i motivi di confidenza per ricorrere a Maria Santissima tal
estro lo sorprese nella predica del Patrocinio, che videsi tutto raggiante, e
talmente infocato, che non sembrava uomo, ma Serafino, e nel tempo istesso un
soprannaturale splendore, che, come attestano, irradiò tutta la Chiesa, ed egli
in estasi ecco la Vergine, esclamava, venuto a dispensarvi grazie, cercateli grazie,
che è tutta pronta per consolarvi.
Sbrigata la Missione in
Arienzo, stimò farla di persona nel Casale di S. Maria a Vico, popolazione di
quattro mila e più anime, con procurarsi in sussidio dal Convento della Sanità
di Napoli dieci PP. Domenicani. Perché la Parrocchiale non era capace di verun
popolo, ottenne di farla dai PP. Domenicani nelle propria Chiesa. Il P. M.
Eanti di quei di Durazzano faceva il Catechismo, un altro dava gli Esercizj al
Clero, ed Egli la Predica.
Non una ma più volte,
volendo soddisfare i peccati del popolo, si battè sulla cattedra, e troppo
amaramente, con grossa fune. Una sera tra le altre mosso a pietà il Priore, ed
altri del Clero, facendoli violenza, ce la strapparono dalle mani. Ventidue
giorni durò la Missione, e faceva meraviglia, come un uomo di anni
sessantasette, e così acciaccato potesse tirarla innanzi; ma maggior meraviglia
faceva la vita penitente che ci menava.
Una semplice minestra
mal condita, cucinando il suo laico, con poche oncie di allesso, e qualche frutto
era tutto il suo pranzo, e questo fu sempre il tenore in tutte le missioni, che
fece in Diocesi.
Avendo terminata la
predica una delle sere il Domenicano che predicava al Clero, fuori di
aspettativa vi si presentò Monsignore. Se tra di voi, disse, vi è taluno con
scrupolo di aver ricevuto simoniacamente qualche beneficio, che venga da me,
che sono qui per aiutarlo. Di fatti li seppe, che vi era uno di questi, e che
essendosi presentato da Monsignore, fu abilitato e tolto da scrupolo.
Gran frutto si sperimentò
in questa Missione. La sua modestia, la sua povertà, e la vita penitente che
menava, compungeva ognuno. Tanti scandali furono detestati. Vi piantò nel
Popolo la vera divozione, - 87 -
e
sopra tutto la frequenza de' Sacramenti, ed una special divozione a Gesù
Sacramentato, ed a Maria Santissima.
Volendo, che le
coscienze si fossero sgravate con tutta libertà, chiamò in S. Maria i migliori
Confessori di tutta la Diocesi. Allocolli nel medesimo Convento, non
interessando per se, e per questi, né il pubblico, né i PP. Domenicani.
Non predicò, ma assistè
nell'altra Missione di Airola. Il giorno di Natale trovandosi in Arienzo, tenne
i Ponteficali nella Collegiata di S. Andrea. Attesta il Canonico D. Angelo
Morgillo, e lo contestano altri, che fatta la Sunzione, Monsignore si vide in
estasi trasformato, e divenuto tutto fuoco.
Sbrigata in quest'anno
l'intera Diocesi, fece restare con se il P. D. Giuseppe Jorio, Missionario ben
noto in Napoli e fuori per la sua pietà, zelo, e dottrina. Fe girar questi,
rinnovando lo spirito con poche prediche nelle diverse popolazioni, animandosi
ognuno alla perseveranza. Questa dimora del Jorio fù di gran profitto. Sistemò
da per tutto le opere già stabilite, ne piantò delle nuove, ed accrebbe di
fervore in Airola, e Durazzano le Congregazioni stabilite da Monsignore di
Chierici, e di Preti Operarj.
Nel primo arrivo non
volle servirsi de' Missionarj di sua Congregazione, sul dubbio non fossero
appresi come tante sue spie. Volle soggetti tali, che con libertà disimpegnato
avessero il proprio ministero. Sopra de' suoi Congregati bensì fondava Egli le
sue speranze; ed in seguito se ne serviva ogni anno, chiamandoli dalle Case di
Nocera, di Ciorani, e di S. Angelo a Cupola.
Oltre de' Missionarj
Napoletani e nostri, non trascurò chiamare altri Operarj che aver poteva in
Provincia. Avendo saputo, che nel Clero di Caserta vi erano Sacerdoti, che
impiegavansi con frutto in beneficio delle Anime, non lasciò mezzo per averli
in Diocesi. Così invitò in varie occasioni i PP. Missionarj della rispettabile
Congregazione di S. Pietro a Ceserano, Uomini zelanti, e a niuno i secondi in
quest'impiego.
Avendo animato in santa
Visita per impiegarsi alla salute della Anime, come dissi, varj buoni Sacerdoti, che ritrovò atti in
Durazzano, ed Airola, ed altri avendone dirozzati in S. Agata, impiegava questi
ogni anno per certi villaggi di poche anime, che disperse si veggono per li
Casalotti di S. Agata, Airola, ed Arienzo, tutti luoghi abbandonati. Così
invitò per questi lochetti alcuni Preti di Cerreto anch'essi addestrati nel
Ministero Apostolico.
Siccome ogni due anni
visitava tutta la Diocesi, così vedevasi girarsi tutta da varj Missionarj. A
chi riprovava queste tante Missioni dir soleva, che gli accorti agricoltori
gettar sogliono semenza doppia, ove - 88 -
s'incontrano in un terreno arsiccio, e sterile: così noi dobbiamo fare, se
raccogliere vogliamo a sufficienza. La semenza abbondantemente buttata, se non
tutta, almeno germoglia in parte. La Parola di Dio è assomigliata da Gesù
Cristo al frumento. Se non si semina, non si raccoglie.
Oltre le Missioni, non
mancava rinforzar i buoni, e scuotere i viziosi con altri Esercizj Apostolici.
Ove intrecciava una novena, ed ove un Triduo al popolo. Sopratutto avendo
introdotto le quarant'ore nell'ultimo di Carnovale, vi destinava per le
prediche Uomini Apostolici e zelanti.
Come aveva a cuore le
Missioni, così avrebbe desiderato che i Missionarj fossero tutti secondo il
cuor suo. Voleva in tutti carità somma, e
somma bontà coi peccatori, e soffriva di mal cuore ceri spiriti rigidi, alieni
della dolcezza di Gesù - Cristo, e dallo Spirito Evangelico; né davasi pace,
come questi coi loro rigori profittar potessero nelle anime. Essendo da lui le
compagnie, qualunque fossero, non mancava amorevolmente farli carichi del
proprio ministero, ministero, com'ei diceva, di
grazia, e di perdono.
Una delle volte troppo
chiaro si spiegò con alcuni Missionarj che sapeva peccare di rigidismo, ed
erano questi di una rispettabile Congregazione. Padri miei, lor disse, siccome
la lassezza, ascoltandosi le
Confessioni, ruina le anime, così loro é di un gran danno la rigidezza. Io
riprovo certi rigori non secondo la scienza, che sono in distruzione, e non in
edificazione. Coi peccatori ci vuole carità, e dolcezza: questo fu il carattere
di Gesù Cristo; e noi, se vogliamo portare anime a Dio e salvarle, Gesù Cristo,
e non Giansenio dobbiamo imitare, che è il capo di tutti i Missionarj.
Raccomandava similmente
a' Missionari non solo il predicar chiaro, e familiare, ma sciolto, e senza
concatenamento di periodi. Gesù Cristo, diceva, quando predicava, non andava
trovando periodi rotondi, ne parole, né frasi rettoriche. Tutto era semplice e
popolare; né servivasi di argomenti astrusi ed intricati.
Predicando non si
avvaleva che di parabole, e similitudini. Queste muovono e restano impresse,
toccano il cuore, e muovono la volontà. Se non si predica con spirito
Evangelico, inutili si rendono, diceva Alfonso, tanti viaggi, e tante spese e
fatiche. Si vedevano i primi Missionarj, in queste brevi, ma sensate
istruzioni, calar la testa, e confusi uscirne dalla sua stanza.
Assistendo ad una
Missione, e i soggetti erano di cospicua Congregazione di Napoli, contorcevasi
sul trono, vedendo che dal Predicatore usavansi termini scelti, e frasi
mendicate. Non così ebbe terminata la predica che sel chiama, e con tuono ed
aria Vescovile, feceli una pesante correzione: questo, disse, è un tradire il
popolo, e Gesù Cristo. Quando volevi predicare te stesso, e non Cristo
Crocefisso, potevi far a meno uscir da Napoli. Io non vi scuso da peccato
mortale.
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Come a quanto fosse
impegnato Alfonso per l'Opera delle Missioni non è facile individuarlo, Pruova
del suo zelo sono il disinteresse, e quella sollecitudine che per queste ne
dimostrava.
Lo zelo delle Anime lo
consumava. Non vedesì così agitato un agricoltore che vede deserta la sua
vigna, ed ha premura di coltivarla, come vedevasi affannato Alfonso per
rimettere in coltura la propria Diocesi. Corrieri venivano da Napoli, e
corrieri respingeva ovunque poteva avere Operaj, e corrieri per disporre il
bisognevole ne' respettivi luoghi, e togliervi ogn'intoppo. Qualunque spesa
facesse d'uopo per le Missioni, eccetto quelle venivano da Napoli, avendo i
proprj legati, a tutto soccombeva il suo zelo. Egli interessavasi per li
viaggi, per l'abitazione, e per il vitto. Così non interessava i Parrochi, e
molto meno le università per olio, e cera in Chiesa.
Questo era il meno.
Ovunque portavansi i Missionarj trovavano banco aperto negli Economi della
Mensa. Anche per le Opere che da questi si meditavano, a tutto soccombeva
Alfonso. Specialmente che provveduti si fossero di letti, ed altro chi teneva
figli a dormire con se: così le famiglie bisognose, e sopratutto le donne
ravvedute, o le figlie pericolanti.
Ancorché così sollecito
ei si vedesse, e tutto andasse a conto suo per quest'opera, pure vedevasi in
travaglio, ed era il massimo, per superare le difficoltà, che incontravansi nei
vecchi Parochi. Mal soffrendo questi un tale imbarazzo, per ostacolo principale
si prefiggevano l'abitazione. Mancava questa in tanti luoghi, perché non si
volevano i Missionarj. Vedendosi escluso Alfonso per mancanza di casa,
sollecito scriveva ai respettivi Vicarj, che senza badarsi a spesa, e non fu
questo una volta o due, si spendesse, e si pigionasse a conto suo. Troppo caro
li costava: ma egli n'era ben contento.
Non poco di pazienza
per quest'istesso motivo ebbe a soffrire con un Paroco. Non volendo questi la
Missione, scusavasi che non aveva, né poteva ritrovar casa. Rescrisse Alfonso,
avendo capito il mistero, che si affittasse a conto suo, e non si badasse a
denaro. Convinto il Paroco non li mancarono altri pretesti in contrario.
Non volendo Alfonso darcela per vinta, rescrisse in termini forti, che non
restava edificato di sua condotta; e che ove gli altri Parochi si vedevano
impegnati per questa opera e lo ringraziavano, egli solo non curavala e
mostravasi renitente.
Questa lettera punse il Paroco, e non ebbe ritegno risponderli con termini
risentiti, anzi offensivi. Fè senso in tutti questa risposta. Il Vicario, ed
altri volevano si fosse il Paroco carcerato.
Non tanta fretta, disse Alfonso. Compatendo la debolezza nel Parroco, e volendo
la Missione, non solo non si risentì, ma li chiese scusa. Io non ho detto,
rescrisse, che V. S. ci abbia posto impedimento, ma ho detto, che non ha
dimostrato impegno, come da me si voleva: se ho mancato sia per non detto.
Benedetto Iddio, che ha ciò permesso
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per mia, e per vostra mortificazione.
Sensi così umili confusero il Paroco, ritrovossi la casa, e si ricevette la Missione. A tal costo
Alfonso, e con tali complimenti promoveva il bene delle Anime.
Volendo superare
quest'ostacolo della casa, ch'era il massimo in ogni Missione, Alfonso faceva
capo anche dai Baroni, che non stavano in residenza, ed avevan vuoti i proprj
Palazzi. In Airola specialmente fè sempre capo dal Principe della Riccia per un
quarto nel proprio palazzo; e tante volte fu compiaciuto, quante volte lo
richiese.
Troppa venerazione
aveva per lui D. Bartolomeo di Capua, che fu l'ultimo Principe di questa
Famiglia. Avrebbe fatto capo al Sovrano non che al Sommo Pontefice, trattandosi
situare una Missione con sodisfazione de' Missionari, e con vantaggio delle
Anime.
Perché la Parrocchiale
in S. Maria a Vico non era capace del popolo, non potendo avere la Chiesa de'
Padri Domenicani, per non essere permesso, eccetto i proprj Religiosi,
predicarvi altri, Alfonso volendo l'intento ne scrisse a Roma, ed ottenne dal
P. Generale quanto bramava.
Non meno con le
Missioni, profittar voleva coi Quaresimali. Anche in queste prediche voleva
stile chiaro, e popolare. Come vuol
profittare il Popolo, diceva, se
taluni non capiscono essi medesimi ciò che dicono? Chiunque chi a tempo suo
andar doveva a predicare in Diocesi, dovevaci pensare; ed a taluno mancava la
voglia.
Servivasi tra gli altri
del grande operaio e servo di Dio D. Cesare Abbignenti Canonico della
Cattedrale di Sarno, e di D. Benedetto Barba, un tempo de' PP. di S. Pietro e
Cesarano, ed allora Canonico di Avella. Così de' due insigni soggetti che vi
erano tra i Cappuccini di Arienzo, cioè Samuele, e Cipriano da Napoli, che
conformati se li aveva secondo il proprio cuore. Questi specialmente destinava
anche per le prediche dell'Avvento, e per altri sermoni, che occorrevano nella
Cattedrale.
Spettando la nomina
alle Università, non mancava industriarsi coi capi delle popolazioni per aver
soggetti conosciuti, e di suo compiacimento. Lo stipendio che si dà al
Predicatore, diceva, è tutto sangue de' poveri. Se il popolo non è per
ricavarne profitto, è un torto che se li fa; ed è tenuto alla restituzione il
Predicatore che sel riceve, ed il Sindaco che lo baratta.
In Arienzo i tre Quaresimali
che vi sono, ab antico proveder si dovevano dall'Università in publico
Parlamento. Tutto era impegno e partito; e per lo più avevansi soggetti non
secondo il suo cuore. Monsignore, volendo rimediare a questo disordine,
adoperossi, e l'ottenne, che fissati si fossero i Quaresimali in persona de'
PP. Cappuccini. Tra l'altro rappresentò, che prestandosi da questi santi
Religiosi a moribondi una continuata assistenza con tanto sollievo del publico,
richiedeva il dovere, - 91 -
che
anche qualche emolumento dar si dovesse per soccorso di vitto ai medesimi
Cappuccini.
Dando fuori la patente
esigeva, che si obligasse ognuno di voler dare nella settimana di Passione i
santi Esercizj a foggia di Missione. Ritrovandovi in questo della renitenza, la
patente era negata. Dir soleva a chi proponeva il Predicatore. La nomina è
vostra, ma la predica è mia. Per lo più in questo andavano a male i Regolari,
perchè avezzi di predicare a stile. Questi avevali per inutili. Se la carta cade, diceva Alfonso, la scienza è svanita.
In questi Esercizj di
quaresima faceva precedere alla predica anche il Catechismo, e voleva si
disimpegnasse da Parochi, o da altri zelanti Sacerdoti. Anche in questo tempo
voleva si cambiassero al solito i Confessori di una Parrocchia in un'altra. Non
voleva interesse di veruno. Egli soccombeva al vitto, e ad ogni altra spesa,
somministrandosi tutto da' suoi Vicari foranei. Così i Quaresimali, che per lo
più infruttuosi sono al Popolo basso, in tempo di Monsignor Liguori riuscivano
di profitto a tutti.
Presentandosi i
Quaresimalisti per la benedizione, e permettendolo il tempo, godeva averli con
se per alcuni giorni. Discorrendo con questi alla larga, così sperimentava in
taluni, che erano nuovi, le abilità e le dottrine che possedevano. Facevali
carichi del proprio ministero; raccomandava loro con special modo ad usar
carità coi peccatori, abbracciarseli, ed animarli alla penitenza. Se non
guadagnava tutto, strappavane quel che poteva. In S. Agata però , o residendo
in Arienzo, assistendoci di persona, uopo è dire che sudava sangue chiunque si
cimentava.
Anche ne' Panegirici
voleva si avesse in mira il Popolo. A che fine si fanno i Panegirici , diceva
Alfonso, se non per mettere in prospetto la virtù del Santo, e promuoverne
l'imitazione. Inutili sarebbero se solo si restringessero nell'encomio: ma se
il Popolo non capisce, e non se ne fa carico, come si vuole animare ad
imitarlo? Voleva chiarezza; e che il frutto della virtù fosse nudo e palpabile,
ed involto non fosse in fronde a pampini. I Panegeristi Diocesani eransi così
adattati a questo stile, che godevane Alfonso, vedendo il profitto che
ritraevasi dall'uditorio.
Celebrandosi in Arienzo
la festa del Cuore di Gesù, venne da Napoli pel Panegirico un soggetto di una
rispettabile Congregazione. Assistendoci Alfonso, perché storpio, ed impotente
a celebrare, come altrove dirò, e non potendo soffrire i fiori e le frasche che
vi erano intrecciate, se non partì di Chiesa, per non disturbar la funzione, si
rivolse in maniera verso l'Altare maggiore, che quasi si voltò colle spalle al
Predicatore.
Ritirato a casa, ed avendoselo chiamato, feceli in tuono Ponteficio una tirata
di memoria. Non è questo, li disse,
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un voler tradire Gesù - Cristo, ed il popolo. Non vi ho fatto calare dal
pergamo per rispetto dell'abito. Che ne ha ricavato il popolo di tanti tropi, e
figure, e dalle pompose descrizioni che ci avete intrecciate? Tutto effetto di
pura vanità, e tutto fuoco per l'anima vostra. In questo discorso che ci
dovevano essere fiumi di lacrime, il popolo neppure ha capito di chi avete
parlato.
Il maggiore travaglio per Alfonso era,
se facendo i Ponteficali, di necessità assister doveva a qualche panegirico,
che non rappresentavasi da Prete Diocesano.
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