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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap. 18 Missioni chiamate da Alfonso in Diocesi: suo disinteresse per queste; stile apostolico esatto da' Predicatori Quaresimalisti.
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Cap. 18

Missioni chiamate da Alfonso in Diocesi: suo disinteresse per queste; stile apostolico esatto da' Predicatori Quaresimalisti.

 


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Non contento impiegar di persona Monsignor Liguori la vanga, e la zappa per tener ben coltivata la sua vigna, chiamar soleva in ajuto altri operaj per vederla florida, ed esente da spineti.

Posto piede in Diocesi, o per dir meglio, accettato il Vescovado, pensò subito alle Missioni. In Napoli concertò questo sussidio coi capi di tutte le Congregazioni. Raccomandandosi con maniera particolare al Canonico D. Giuseppe Sparano Superiore della sua Congregazione delle Apostoliche Missioni, ed al Canonico D. Giuseppe Pace Superiore dell'altra detta della Conferenza, come comune Confratello. Fe premura al Preposito de' Pii Operarj il P. D. Stefano Longobardi per la Missione in Arienzo, ed al P. De Matteis Provinciale de' Gesuiti per la Terra di Durandazzo, avendone questi i Legati. Avanzò similmente le preghiere al Superiore de' Preti Missionarj esistenti nella Chiesa di S. Giorgio. Così ai PP. Domenicani; e raccomandossi con modo particolare al P. M. Cavaliere suo cugino.

 

Avanzato l'autunno, ebbe a sua disposizione dal Superiore della Conferenza venticinque e più soggetti, i migliori che si avevano. Con questi andò incontro ai principali luoghi, e nel tempo istesso fece attaccare Arienzo dai Pii Operarj, e Durazzano dai PP. Gesuiti.

Con questo assalto generale dato ai vizj tutta la Diocesi cambiò di aspetto. Sbarbicate si viddero tante male pratiche invecchiate, e tante inimicizie riconciliate. La virtù, e la pietà fiorì in ogni ceto. Tutti profittarono Ecclesiastici, Gentiluomini, e plebej.

 

Nel tempo medesimo, che questi ed altri operarj affaticavansi in varj luoghi della Diocesi, Alfonso, come a capo de' Missionarj, non


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riposavasi, soltanto lo era spettatore. Anch'egli prendeva a petto il peccato, come principalmente interessato.

Essendosi portato in Arienzo, in tempo che i PP. Pii Operari vi stavano con la Missione, anch'io, disse, voglio fare qualche cosa, non sfidandomi stare a spasso. Avendo preso di mira i Gentiluomini, risolvè dar loro i santi Esercizj. Se incessanti furono le fatiche che per otto giorni vi fece, copioso ancora vi fu il frutto.

Tanti attacchi si viddero sciolti, con edificazione del pubblico. Avendoli uniti in carità, vi stabilì una particolar Congregazione coi proprj statuti, ed animo tutti specialmente alla frequenza de' Sacramenti, a visitar Gesù Sacramentato, e nell'ossequiar Maria Santissima. Diede questi Esercizj nella Chiesa de' PP. Carmelitani. Dando i motivi di confidenza per ricorrere a Maria Santissima tal estro lo sorprese nella predica del Patrocinio, che videsi tutto raggiante, e talmente infocato, che non sembrava uomo, ma Serafino, e nel tempo istesso un soprannaturale splendore, che, come attestano, irradiò tutta la Chiesa, ed egli in estasi ecco la Vergine, esclamava, venuto a dispensarvi grazie, cercateli grazie, che è tutta pronta per consolarvi.

 

Sbrigata la Missione in Arienzo, stimò farla di persona nel Casale di S. Maria a Vico, popolazione di quattro mila e più anime, con procurarsi in sussidio dal Convento della Sanità di Napoli dieci PP. Domenicani. Perché la Parrocchiale non era capace di verun popolo, ottenne di farla dai PP. Domenicani nelle propria Chiesa. Il P. M. Eanti di quei di Durazzano faceva il Catechismo, un altro dava gli Esercizj al Clero, ed Egli la Predica.

Non una ma più volte, volendo soddisfare i peccati del popolo, si battè sulla cattedra, e troppo amaramente, con grossa fune. Una sera tra le altre mosso a pietà il Priore, ed altri del Clero, facendoli violenza, ce la strapparono dalle mani. Ventidue giorni durò la Missione, e faceva meraviglia, come un uomo di anni sessantasette, e così acciaccato potesse tirarla innanzi; ma maggior meraviglia faceva la vita penitente che ci menava.

Una semplice minestra mal condita, cucinando il suo laico, con poche oncie di allesso, e qualche frutto era tutto il suo pranzo, e questo fu sempre il tenore in tutte le missioni, che fece in Diocesi.

 

Avendo terminata la predica una delle sere il Domenicano che predicava al Clero, fuori di aspettativa vi si presentò Monsignore. Se tra di voi, disse, vi è taluno con scrupolo di aver ricevuto simoniacamente qualche beneficio, che venga da me, che sono qui per aiutarlo. Di fatti li seppe, che vi era uno di questi, e che essendosi presentato da Monsignore, fu abilitato e tolto da scrupolo.

 

Gran frutto si sperimentò in questa Missione. La sua modestia, la sua povertà, e la vita penitente che menava, compungeva ognuno. Tanti scandali furono detestati. Vi piantò nel Popolo la vera divozione,


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e sopra tutto la frequenza de' Sacramenti, ed una special divozione a Gesù Sacramentato, ed a Maria Santissima.

Volendo, che le coscienze si fossero sgravate con tutta libertà, chiamò in S. Maria i migliori Confessori di tutta la Diocesi. Allocolli nel medesimo Convento, non interessando per se, e per questi, né il pubblico, né i PP. Domenicani.

 

Non predicò, ma assistè nell'altra Missione di Airola. Il giorno di Natale trovandosi in Arienzo, tenne i Ponteficali nella Collegiata di S. Andrea. Attesta il Canonico D. Angelo Morgillo, e lo contestano altri, che fatta la Sunzione, Monsignore si vide in estasi trasformato, e divenuto tutto fuoco.

 

Sbrigata in quest'anno l'intera Diocesi, fece restare con se il P. D. Giuseppe Jorio, Missionario ben noto in Napoli e fuori per la sua pietà, zelo, e dottrina. Fe girar questi, rinnovando lo spirito con poche prediche nelle diverse popolazioni, animandosi ognuno alla perseveranza. Questa dimora del Jorio di gran profitto. Sistemò da per tutto le opere già stabilite, ne piantò delle nuove, ed accrebbe di fervore in Airola, e Durazzano le Congregazioni stabilite da Monsignore di Chierici, e di Preti Operarj.

 

Nel primo arrivo non volle servirsi de' Missionarj di sua Congregazione, sul dubbio non fossero appresi come tante sue spie. Volle soggetti tali, che con libertà disimpegnato avessero il proprio ministero. Sopra de' suoi Congregati bensì fondava Egli le sue speranze; ed in seguito se ne serviva ogni anno, chiamandoli dalle Case di Nocera, di Ciorani, e di S. Angelo a Cupola.

 

Oltre de' Missionarj Napoletani e nostri, non trascurò chiamare altri Operarj che aver poteva in Provincia. Avendo saputo, che nel Clero di Caserta vi erano Sacerdoti, che impiegavansi con frutto in beneficio delle Anime, non lasciò mezzo per averli in Diocesi. Così invitò in varie occasioni i PP. Missionarj della rispettabile Congregazione di S. Pietro a Ceserano, Uomini zelanti, e a niuno i secondi in quest'impiego.

 

Avendo animato in santa Visita per impiegarsi alla salute della Anime, come dissi, varj  buoni Sacerdoti, che ritrovò atti in Durazzano, ed Airola, ed altri avendone dirozzati in S. Agata, impiegava questi ogni anno per certi villaggi di poche anime, che disperse si veggono per li Casalotti di S. Agata, Airola, ed Arienzo, tutti luoghi abbandonati. Così invitò per questi lochetti alcuni Preti di Cerreto anch'essi addestrati nel Ministero Apostolico.

 

Siccome ogni due anni visitava tutta la Diocesi, così vedevasi girarsi tutta da varj Missionarj. A chi riprovava queste tante Missioni dir soleva, che gli accorti agricoltori gettar sogliono semenza doppia, ove


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s'incontrano in un terreno arsiccio, e sterile: così noi dobbiamo fare, se raccogliere vogliamo a sufficienza. La semenza abbondantemente buttata, se non tutta, almeno germoglia in parte. La Parola di Dio è assomigliata da Gesù Cristo al frumento. Se non si semina, non si raccoglie.

Oltre le Missioni, non mancava rinforzar i buoni, e scuotere i viziosi con altri Esercizj Apostolici. Ove intrecciava una novena, ed ove un Triduo al popolo. Sopratutto avendo introdotto le quarant'ore nell'ultimo di Carnovale, vi destinava per le prediche Uomini Apostolici e zelanti.

 

Come aveva a cuore le Missioni, così avrebbe desiderato che i Missionarj fossero tutti secondo il cuor suo. Voleva in tutti carità somma,  e somma bontà coi peccatori, e soffriva di mal cuore ceri spiriti rigidi, alieni della dolcezza di Gesù - Cristo, e dallo Spirito Evangelico; né davasi pace, come questi coi loro rigori profittar potessero nelle anime. Essendo da lui le compagnie, qualunque fossero, non mancava amorevolmente farli carichi del proprio ministero, ministero, com'ei diceva, di grazia, e di perdono.

Una delle volte troppo chiaro si spiegò con alcuni Missionarj che sapeva peccare di rigidismo, ed erano questi di una rispettabile Congregazione. Padri miei, lor disse, siccome la  lassezza, ascoltandosi le Confessioni, ruina le anime, così loro é di un gran danno la rigidezza. Io riprovo certi rigori non secondo la scienza, che sono in distruzione, e non in edificazione. Coi peccatori ci vuole carità, e dolcezza: questo fu il carattere di Gesù Cristo; e noi, se vogliamo portare anime a Dio e salvarle, Gesù Cristo, e non Giansenio dobbiamo imitare, che è il capo di tutti i Missionarj.

 

Raccomandava similmente a' Missionari non solo il predicar chiaro, e familiare, ma sciolto, e senza concatenamento di periodi. Gesù Cristo, diceva, quando predicava, non andava trovando periodi rotondi, ne parole, né frasi rettoriche. Tutto era semplice e popolare; né servivasi di argomenti astrusi ed intricati.

Predicando non si avvaleva che di parabole, e similitudini. Queste muovono e restano impresse, toccano il cuore, e muovono la volontà. Se non si predica con spirito Evangelico, inutili si rendono, diceva Alfonso, tanti viaggi, e tante spese e fatiche. Si vedevano i primi Missionarj, in queste brevi, ma sensate istruzioni, calar la testa, e confusi uscirne dalla sua stanza.

 

Assistendo ad una Missione, e i soggetti erano di cospicua Congregazione di Napoli, contorcevasi sul trono, vedendo che dal Predicatore usavansi termini scelti, e frasi mendicate. Non così ebbe terminata la predica che sel chiama, e con tuono ed aria Vescovile, feceli una pesante correzione: questo, disse, è un tradire il popolo, e Gesù Cristo. Quando volevi predicare te stesso, e non Cristo Crocefisso, potevi far a meno uscir da Napoli. Io non vi scuso da peccato mortale.


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Come a quanto fosse impegnato Alfonso per l'Opera delle Missioni non è facile individuarlo, Pruova del suo zelo sono il disinteresse, e quella sollecitudine che per queste ne dimostrava.

Lo zelo delle Anime lo consumava. Non vedesì così agitato un agricoltore che vede deserta la sua vigna, ed ha premura di coltivarla, come vedevasi affannato Alfonso per rimettere in coltura la propria Diocesi. Corrieri venivano da Napoli, e corrieri respingeva ovunque poteva avere Operaj, e corrieri per disporre il bisognevole ne' respettivi luoghi, e togliervi ogn'intoppo. Qualunque spesa facesse d'uopo per le Missioni, eccetto quelle venivano da Napoli, avendo i proprj legati, a tutto soccombeva il suo zelo. Egli interessavasi per li viaggi, per l'abitazione, e per il vitto. Così non interessava i Parrochi, e molto meno le università per olio, e cera in Chiesa.

Questo era il meno. Ovunque portavansi i Missionarj trovavano banco aperto negli Economi della Mensa. Anche per le Opere che da questi si meditavano, a tutto soccombeva Alfonso. Specialmente che provveduti si fossero di letti, ed altro chi teneva figli a dormire con se: così le famiglie bisognose, e sopratutto le donne ravvedute, o le figlie pericolanti.

 

Ancorché così sollecito ei si vedesse, e tutto andasse a conto suo per quest'opera, pure vedevasi in travaglio, ed era il massimo, per superare le difficoltà, che incontravansi nei vecchi Parochi. Mal soffrendo questi un tale imbarazzo, per ostacolo principale si prefiggevano l'abitazione. Mancava questa in tanti luoghi, perché non si volevano i Missionarj. Vedendosi escluso Alfonso per mancanza di casa, sollecito scriveva ai respettivi Vicarj, che senza badarsi a spesa, e non fu questo una volta o due, si spendesse, e si pigionasse a conto suo. Troppo caro li costava: ma egli n'era ben contento.

 

Non poco di pazienza per quest'istesso motivo ebbe a soffrire con un Paroco. Non volendo questi la Missione, scusavasi che non aveva, né poteva ritrovar casa. Rescrisse Alfonso, avendo capito il mistero, che si affittasse a conto suo, e non si badasse a denaro. Convinto il Paroco non li mancarono altri pretesti in contrario.
Non volendo Alfonso darcela per vinta, rescrisse in termini forti, che non restava edificato di sua condotta; e che ove gli altri Parochi si vedevano impegnati per questa opera e lo ringraziavano, egli solo non curavala e mostravasi renitente.
Questa lettera punse il Paroco, e non ebbe ritegno risponderli con termini risentiti, anzi offensivi. senso in tutti questa risposta. Il Vicario, ed altri volevano si fosse il Paroco carcerato.


Non tanta fretta, disse Alfonso. Compatendo la debolezza nel Parroco, e volendo la Missione, non solo non si risentì, ma li chiese scusa. Io non ho detto, rescrisse, che V. S. ci abbia posto impedimento, ma ho detto, che non ha dimostrato impegno, come da me si voleva: se ho mancato sia per non detto. Benedetto Iddio, che ha ciò permesso


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per mia, e per vostra mortificazione.

 Sensi così umili confusero  il Paroco, ritrovossi la casa,  e si ricevette la Missione. A tal costo Alfonso, e con tali complimenti promoveva il bene delle Anime.

 

Volendo superare quest'ostacolo della casa, ch'era il massimo in ogni Missione, Alfonso faceva capo anche dai Baroni, che non stavano in residenza, ed avevan vuoti i proprj Palazzi. In Airola specialmente sempre capo dal Principe della Riccia per un quarto nel proprio palazzo; e tante volte fu compiaciuto, quante volte lo richiese.

Troppa venerazione aveva per lui D. Bartolomeo di Capua, che fu l'ultimo Principe di questa Famiglia. Avrebbe fatto capo al Sovrano non che al Sommo Pontefice, trattandosi situare una Missione con sodisfazione de' Missionari, e con vantaggio delle Anime.

 

Perché la Parrocchiale in S. Maria a Vico non era capace del popolo, non potendo avere la Chiesa de' Padri Domenicani, per non essere permesso, eccetto i proprj Religiosi, predicarvi altri, Alfonso volendo l'intento ne scrisse a Roma, ed ottenne dal P. Generale quanto bramava.

 

Non meno con le Missioni, profittar voleva coi Quaresimali. Anche in queste prediche voleva stile chiaro, e popolare. Come vuol profittare il Popolo, diceva, se taluni non capiscono essi medesimi ciò che dicono? Chiunque chi a tempo suo andar doveva a predicare in Diocesi, dovevaci pensare; ed a taluno mancava la voglia.

Servivasi tra gli altri del grande operaio e servo di Dio D. Cesare Abbignenti Canonico della Cattedrale di Sarno, e di D. Benedetto Barba, un tempo de' PP. di S. Pietro e Cesarano, ed allora Canonico di Avella. Così de' due insigni soggetti che vi erano tra i Cappuccini di Arienzo, cioè Samuele, e Cipriano da Napoli, che conformati se li aveva secondo il proprio cuore. Questi specialmente destinava anche per le prediche dell'Avvento, e per altri sermoni, che occorrevano nella Cattedrale.

 

Spettando la nomina alle Università, non mancava industriarsi coi capi delle popolazioni per aver soggetti conosciuti, e di suo compiacimento. Lo stipendio che si al Predicatore, diceva, è tutto sangue de' poveri. Se il popolo non è per ricavarne profitto, è un torto che se li fa; ed è tenuto alla restituzione il Predicatore che sel riceve, ed il Sindaco che lo baratta.

 

In Arienzo i tre Quaresimali che vi sono, ab antico proveder si dovevano dall'Università in publico Parlamento. Tutto era impegno e partito; e per lo più avevansi soggetti non secondo il suo cuore. Monsignore, volendo rimediare a questo disordine, adoperossi, e l'ottenne, che fissati si fossero i Quaresimali in persona de' PP. Cappuccini. Tra l'altro rappresentò, che prestandosi da questi santi Religiosi a moribondi una continuata assistenza con tanto sollievo del publico, richiedeva il dovere,


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che anche qualche emolumento dar si dovesse per soccorso di vitto ai medesimi Cappuccini.

 

Dando fuori la patente esigeva, che si obligasse ognuno di voler dare nella settimana di Passione i santi Esercizj a foggia di Missione. Ritrovandovi in questo della renitenza, la patente era negata. Dir soleva a chi proponeva il Predicatore. La nomina è vostra, ma la predica è mia. Per lo più in questo andavano a male i Regolari, perchè avezzi di predicare a stile. Questi avevali per inutili. Se la carta cade, diceva Alfonso, la scienza è svanita.

 

In questi Esercizj di quaresima faceva precedere alla predica anche il Catechismo, e voleva si disimpegnasse da Parochi, o da altri zelanti Sacerdoti. Anche in questo tempo voleva si cambiassero al solito i Confessori di una Parrocchia in un'altra. Non voleva interesse di veruno. Egli soccombeva al vitto, e ad ogni altra spesa, somministrandosi tutto da' suoi Vicari foranei. Così i Quaresimali, che per lo più infruttuosi sono al Popolo basso, in tempo di Monsignor Liguori riuscivano di profitto a tutti.

 

Presentandosi i Quaresimalisti per la benedizione, e permettendolo il tempo, godeva averli con se per alcuni giorni. Discorrendo con questi alla larga, così sperimentava in taluni, che erano nuovi, le abilità e le dottrine che possedevano. Facevali carichi del proprio ministero; raccomandava loro con special modo ad usar carità coi peccatori, abbracciarseli, ed animarli alla penitenza. Se non guadagnava tutto, strappavane quel che poteva. In S. Agata però , o residendo in Arienzo, assistendoci di persona, uopo è dire che sudava sangue chiunque si cimentava.

 

Anche ne' Panegirici voleva si avesse in mira il Popolo. A che fine si fanno i Panegirici , diceva Alfonso, se non per mettere in prospetto la virtù del Santo, e promuoverne l'imitazione. Inutili sarebbero se solo si restringessero nell'encomio: ma se il Popolo non capisce, e non se ne fa carico, come si vuole animare ad imitarlo? Voleva chiarezza; e che il frutto della virtù fosse nudo e palpabile, ed involto non fosse in fronde a pampini. I Panegeristi Diocesani eransi così adattati a questo stile, che godevane Alfonso, vedendo il profitto che ritraevasi dall'uditorio.

 

Celebrandosi in Arienzo la festa del Cuore di Gesù, venne da Napoli pel Panegirico un soggetto di una rispettabile Congregazione. Assistendoci Alfonso, perché storpio, ed impotente a celebrare, come altrove dirò, e non potendo soffrire i fiori e le frasche che vi erano intrecciate, se non partì di Chiesa, per non disturbar la funzione, si rivolse in maniera verso l'Altare maggiore, che quasi si voltò colle spalle al Predicatore.


Ritirato a casa, ed avendoselo chiamato, feceli in tuono Ponteficio una tirata di memoria. Non è questo, li disse,


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un voler tradire Gesù - Cristo, ed il popolo. Non vi ho fatto calare dal pergamo per rispetto dell'abito. Che ne ha ricavato il popolo di tanti tropi, e figure, e dalle pompose descrizioni che ci avete intrecciate? Tutto effetto di pura vanità, e tutto fuoco per l'anima vostra. In questo discorso che ci dovevano essere fiumi di lacrime, il popolo neppure ha capito di chi avete parlato.

Il maggiore travaglio per Alfonso era, se facendo i Ponteficali, di necessità assister doveva a qualche panegirico, che non rappresentavasi da Prete Diocesano.




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