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Cap. 19
Eccessiva carità, e somma sollecitudine di Alfonso
nella carestia dell'anno 1763 in sessantaquattro.
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Carico di afflizioni,
ma più di meriti fu per Alfonso la penuria dell'anno 1763 in sessantaquattro. Si
sà in quali angustie fu Napoli, ed ogni Provincia del Regno. Questo travaglio
Ei lo previde in ispirito tempo innanzi all'elezione in Vescovo.
Dando in Napoli li
santi Esercizj nella Chiesa della Misericordiella, facendosi di fuoco una sera,
ed inveendo contro il peccato, come attesta tra gli altri il Sacerdote D.
Nicolò Rotondo della Terra di Tegòra:
Badate, disse, e lo replicò più volte,
badate, che Iddio ci prenderà a fame. Replicò questo istesso in altre due
sere. Faceva senso il preludio in bocca sua, ma appoggio non vi era per sì
fatto castigo.
Preso possesso del
Vescovado, ed incaricando al Popolo come mi attestava con altri il Decano
Daddio, l'emenda del costume, figli miei,
lor disse, levate il peccato, perché
si aspetta un gran castigo; ed altra volta assistendoci alla predica il
Canonico D. Vincenzo Viscardi, figli
miei, replicò, emendatevi, e
raccomandatevi a Dio, perché ci sta sopra una grossa carestia.
L'anno antecedente al
1763 spiegossi in termini più chiari. In Arienzo predicando nella Collegiata di
S. Andrea, ed increpando nel popolo la gravezza de' peccati, Iddio, disse, ci castigherà con una grossa penuria, e sarà tale, che, mancando il
pane, si mangeranno anche le erbe delle siepe.
Un altro giorno,
essendoci presente il Parroco D. Lorenzo Caprio, badate, disse, e tremate, che
Iddio preparato ci tiene un gran flagello, non perché ci vuol morti, ma per
farci ravvedere; e più chiaro soggiunse: In quest'anno venturo saremo mortificati con una somma scarsezza.
Ristuccata la gente minuta, come mi dissero li medesimi Viscardi e Caprio, in
sentir più ripetere flagelli e carestie, questo Vescovo, dicevano, da che è
venuto, non sa predicar altro, che fame e malannata.
Non furono vane le
profezie. Iddio però permise, che se profetizzò - 93 -
per gli altri, non profetizzò per se stesso.
Non avendo danaro per soccorrere i poveri, riscosso il terratico terminata la
ricolta dell'anno sessantatrè, e riserbata per li poveri la solita quantità, il
di più lo vendette: vale a dire che nel suo entusiasmo il profeta tante volte
parla, ed ei medesimo non l'apprende.
Non tanto erasi sbrigato del grano che avea,
che quasi risvegliandosi un giorno, chiama sollecito il Verzella, e tutto fuoco
li ordina di far compra in quantità di fagiuoli, fave, ed altri legumi. Non
capendosi il mistero, se ne ridevano tutti, e maggiormente egli medesimo il
Verzella. Il ricolto se non fertile, per lo meno era stato mediocre.
Insistendo Monsignore, non si mancò incettare ne' mesi di Settembre, ed Ottobre
gran qualità di questi legumi. Se altro lume ricevette da Dio, vedendosi così
sollecito, non spetta a me indovinarlo.
Non erasi nella fine di
Novembre, che quasi baleno la carestia si spiegò in tutto il Regno. Non è da
credersi in quali afflizioni ritrovossi Alfonso, vedendosi accerchiato da
sterminata quantità di tanti e tanti poveri.
Mancato il pane in piazza, tutti ricorrevano dal comun padre; e nel gran salone
dell'Episcopio vedevansi i quattro, ed i cinquecento poveretti ginocchioni, che
piangendo cercavano pane, e tra questi anche persone che prima vivevano del
proprio. Slarga la mano alla carità, e cerca consolar tutti. Non fate, che taluno se ne vada scontento, disse
alla servitù, quello che cercano, è roba
loro.
Nel tempo istesso si raccomanda per grano, e
per legumi a benestanti amici. Dalla Cerra ebbe, ma a caro prezzo, tomole
cinquanta di fave. Fe capo anche in Napoli al Fratello D. Ercole, ritrovandosi
in quel tempo uno de' Reggenti della Città. Non essendo ancora Napoli in
estremo, ricevette quantità di grano, ancorché a docati sei il tomolo.
Non fu scontento Alfonso; ma non capiva in se stesso, vedendosi in stato di
poter soccorrere i suoi cari Santagatesi.
Fattosi carico dello
stato lacrimevole in cui era la Città, vedevasi tutt'occhi, spiando per mezzo
de' Parrochi, de' Sacerodti, e di altre persone probe, i respettivi bisogni.
Avendo fatto formare un tabellone in sala, notato vi aveva per alfabeto le
famiglie bisognose con tanti laccetti. Come i poveretti venivano, tirandosi il
laccetto, consolavasi respettivamente ognuno con una porzione di fave, o altro
legume, corrispondendo alla famiglia con un tanto di danaro.
Secretamente con
specialità aveva in nota tante case, che maggiormente sperimentavano gli
effetti della penuria, che o non potevano farsi strada in piazza tra la folla
del popolo, o che vergognosi non avevano il coraggio presentarsi a palazzo.
Consolavasi Alfonso, e
consolavansi tutti in vista di tanta sollecitudine.
Una delle sere bensì ebbe in Chiesa un complimento, che non se l'aspettava.
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Predicando , ed
insinuando al popolo di essere grati a Dio, per la grande provvidenza che
vedevasi in S. Agata, quandoché tanti altri luoghi scarseggiavano e perivano di
fame, una donnaccia spezzandoli la parola, ed alzando la voce, non ebbe ritegno
rimproverargli la vendita che fatto aveva del grano. Ammutolì Alfonso; e quasi
piangendo non seppe che si dire. Tale sfacciataggine però fe senso in tutti;
Più la donna avrebbe detto; ma ebbe a caro scappare di Chiesa, e sfuggirsene.
Avendo cercato danaro
ad interesse, vedendo il bisogno, e non avendo che riscuotere, costantemente li
fu negato. Chi voleva rischiar il contante con un vecchio asmatico, carico di
acciacchi, e di anni sessantasette? In questo abbandono non sapendo ove dar di mano,
esitò due anelli di valore, uno regalatogli in Napoli da D. Giovanna Sersale
vedova di D. Francesco Cavaliere, e moglie del consiglier Vespoli; e l'altro,
come dissi, di Mons. Cavaliere suo Zio, che ebbe in regalo da Mons. Giannini
Vescovo di Lettere.
Ritrovandosi in S.
Agata il Sacerdote D. Bonifacio Galdieri, che fu nostro, ed ora è degnissimo
Arciprete di Orsomarzo, consegnò a questi, per vendersi in Napoli, anche una
crocetta di oro, che eragli stata regalata, ritenendo per se una di argento in
dorato per l'uso de' Ponteficali; ed ordinò al Mastro di casa che vendute si
fossero anche le poche posate di tavola. Bastano per noi, disse; quelle di
ottone.
Non sapendo più che
vendere, era per esitare anche il rocchetto, e l'orologio di sacca. In questo venne
impedito da tutti, comecché di un meschino valore; e per l'orologio, anche per
lo sconcerto in cui sarebbesi veduto, non avendo come regolarsi nelle sue
azioni.
Avanzati i dolori della
carestia risolvette vendersi la carozza, ma li furono sopra il Vicario, i
Canonici, e Gentiluomini, facendolo carico non solo de' suoi acciacchi, ma del
decoro del carattere. S. Pietro era Papa,
disse Alfonso, e non andava in
carozza, ed io non sono da più di S. Pietro.
Si oppose per questa
vendita, conoscendone il preciso bisogno, anche da Napoli il fratello D.
Ercole.
"Questa vostra specie per la carozza, gli rescrisse Monsignore, vi dico
che è certa tentazione del demonio per inquietare me e Voi. Io mi consiglio
nelle cose dubbie, ma non già nelle certe; e tengo per certo, che Dio non
vuole, che io tenga inutilmente questa spesa. Io sono vecchio col piede alla
fossa, sono carico di debiti, avrei da fare molte spese necessarie per la
gloria di Dio, e mi sento morire di non poterle fare, perché bisogna prima
levarmi i debiti che tengo con voi, e col Seminario.
Vi prego non inquietarmi più sopra questo affare, altrimenti io più non vi
risponderò. Già sapete, che quando fo qualche risoluzione, dopo averla considerata,
non mi rinnovo più. Non mi fido sopportare la pena di star a vedere quasi tutto
l'anno le mule a spasso dentro la
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stalla, il cocchiero dentro la
taverna, e li poveri, che mi gridano pietà.
Avendoli scritto D.
Ercole, che Monsignor Testa anche la sentiva in contrario. Se Monsignor Testa,
soggiunse Alfonso, sentisse a me, anche mi darebbe ragione, ma gli avrei da dir
tutto.
Non si arrese D.
Ercole, affaciando tra l'altro anche il bisogno, che potevaci essere per
portarsi in Napoli; e Monsignore in data de' tredici di Decembre.
"Sappiate, li scrisse, che difficilmente io vengo più in Napoli, avrebbe
da essere la disgrazia di qualche chiamata; ed in tal caso ci manderò il mio
Vicario, o qualche Canonico; giacché ho printa la scusa, che son vecchio,
ammalato, e non esco di casa". Come risolvette, così fece.
A cinque di Gennaro
mandò in Napoli mule, e carrozza. Non volendola vedere in mano di altri l'altro
fratello D. Gaetano se la prese per se, pagandola a prezzo troppo caro. Mi lusingava,
li rescrisse D. Ercole nel medesimo giorno, che aveste mutato pensiero: non
mutando pensiere fate capitale, che la carozza è vostra, e volendola ve la
donerò io di mio denaro. Voi siete, e farete sempre, come sempre lo siete stato
l'assoluto padrone di tutta questa vostra casa, che propriamente è vostra.
Vedendosi sempre più
grave il flagello, fe capo dal papa, rappresentando il comune bisogno, e
supplicando pel permesso di obbligare i corpi della Mensa, per aver danaro da
poter soccorrere i poveri. Benché lo compiacque il Papa, non venne a tempo la
risposta. Avendosi chiamati i Capi delle Cappelle prega, e comanda pignorarsi
l'argento che si aveva. Tutto si fece, ma non erano queste che tante stille di
acqua in faccia ad un sì grave incendio. Non vi fu più per Alfonso né pace né
quiete.
Ogni giorno convocando
i primi Gentiluomini, Canonici, e Regimentarj sessionava come sollevarsi la
Città, e non vedere i poveretti vittima della fame. Se tanti negarono
rischiarli il danaro, vi furono altri che, fattasi compassione, sollevarlo non
mancavano con pingui elemosine; e taluno non avendo il coraggio dargli la
negativa, azzardavano l'imprestito, tenendolo perduto. Tra gli altri non mancò
compiacerlo in buona somma la gentildonna D. Camilla Vinaccia, sicura di non
più riscuoterla. Avendo saputa la sua grave angustia il P. Matteis Provinciale
de' gesuiti, non richiesto li mandò in beneficio de' poveri una polisetta di
docati trenta.
Tra questo tempo,
avendosi addossato i peccati del popolo, carico vedevasi di catenette, e tutto
giorno flaggellarsi a morte, per richiamare sopra di se lo sdegno di Dio.
Volendo commuovere anche i cuori de' suoi figli a penitenza, ogni festa
predicava, facendo carico il popolo esser il peccato l'unica causa di tutti i
mali; ed ogni sera, calando alla visita di Gesù - Sacramentato, non inculcava,
che odio al peccato, ed emenda della vita.
Altro complimento ebbe una delle sere da altra
donnaccia. - 96 -
Questa;
essendo Egli per ritirarsi in palazzo, fattaseli incontro tutta adirata,
"non ci fossi mai venuto", disse: "da che sei venuto altro non
ci hai predicato, che malannata, ed ora ci fai mangiare il pane a grana sette
il rotolo". Così dicendo, ed alzandoli le mani in faccia, soggiunse:
"te lo possi mangiar tu".
Non si smosse Alfonso a questo improviso complimento, ma la benedisse. D.
Michele d'Apruzzo capo Sacristano, che accompagnavalo, riprendendo la donna,
con un colpo di mano alla spalla, ce la tolse d'avanti. Altamente dispiacque
quest'atto ad Alfonso, ripreselo, ed in pena lo restrinse per quattro giorni
nelle carceri. "Poveretti,
disse, meritano compassione; sono effetti
non del cuore, ma della fame".
Tanto fece Alfonso. Iddio però non l'intese così. Dove prima la disgraziata
vedevasi vistosa, e ben vestita, a capo di pochi mesi malridotta si vide, ed
accattando per vivere.
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