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Cap.20
Prosieguono
li travagli della medesima carestia.
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Se sul principio furono
tali in S. Agata i travagli della penuria, in seguito si ridussero all'estremo.
L'avarizia de' benestanti avendo soffocati i granaj in Puglia, che ben provisti
ne stavano, anche in Napoli, e ne' luoghi della campagna mancò totalmente il
pane, e non si aveva del grano, ancorché a docati dodeci, e quindeci il tomolo.
Riscontrato di questo
dal fratello D. Ercole nel mese di Marzo "mi è dispiaciuto, li scrisse,
sentire la penuria di cotesta Capitale. Dico il vero, che ne ho gran pena; ma
perché Dio vuole così, sia sempre fatta la sua divina volontà. Scrivetemi
spesso; specialmente se si trova grano, e dove, ed in che quantità. In somma,
soggiunge, stiamo tutti angustiati. Voi costì, e noi quì. Stiamoci rassegnati
alla volontà di Dio. Iddio specialmente castiga la Città di Napoli, perché vi
sono molti, che non credono a Dio. Volesse Iddio, ed ora si ravvedessero".
Avanzata la penuria,
mancando il pane anche in S. Agata, e non facendo la fame quartiere a veruno,
vedevansi i poveretti, come Egli predetto aveva, dar di piglio alle frondi
delle siepi, e satollarsi per la campagna del rifiuto delle bestie, anzi
dell'erbe più nocive. vedendo Alfonso posto a partito la vita di tante migliaja
di poveri, che vedevansi moribondi, o spirati in mezzo alle strade, anch'esso
agonizzava, e non davasi pace. Non avrebbe voluto mangiare per soccorrere i
suoi figli.
Tutto il suo vitto in
questo tempo non si ridusse che a pane, e minestra. Avendosi chiamato il suo
Secretario "D. Felice mio, li disse, vedete che la gente sen muore per la
fame, bisogna che - 97 -
scarseggiamo
tutti, e dovete anche voi, e gli altri pazientare". Questa parte fece
ancora col Vicario. Tolse il terzo piatto, e non permise alla Famiglia che
minestra, e scarsissimo allesso.
Sollecito per il suo
Popolo chiama i Capi di tutti i Conventi, che vi erano in Diocesi. Impone a
questi, non che pregolli, che anch'essi per soccorrere i poveri, moderato
avessero il vitto alla propria Comunità. Insisteva con lettere, e giornalmente
informavasi come passava la limosina ne' respettivi Monasteri.
Avendo saputo che un
Superiore di un Convento bastantemente comodo passavala troppo scarsa coi
poveri, sel fa chiamare, lo rimprovera del suo fare, mettendoli avanti gli
occhi la propria crudeltà. Sono io in obbligo, rispose arditamente il Religioso
mantenere la propria mia Famiglia, ed il soverchio, e non altro darlo ai
poveri.
Questa risposta fu stoccata al cuore di Monsignore. Rialzandosi tutto fuoco
dalla sua sedia, con tuono grave, "Sapete
voi, li disse, cosa vuol significare
mantenere? vuol dire, che devi mangiar tanto, cho non muori, ed il di più sei
tenuto ai poveri. Quando ti facesti Monaco, dicesti supplicando, che volevi
menar vita povera, e penitente, non già che volevi empirti la pancia e
saziarti. Credi tu al Vangelo, o sei un turco? "
Mutò sistema il Religioso, ed i poveri di quel luogo si viddero altrimenti
provveduti.
In questo tempo di
penuria dir dobbiamo essersi veduto in S. Agata in persona di Alfonso il
trionfo della carità Cristiana. Riguardando ne' poveri la persona di Gesù -
Cristo, se li abbracciava, e rendevali consolati. Vedevasi lieto quando aveva
che dare, e distruggevasi in lacrime, vedendo il popolo, che chiedeva soccorso,
ed ei non aveva. Tutto era aperto per questi; nè vi era stanza in palazzo, ove
non vedevansi poveretti o rifocillati, o tolti di mano alla morte.
Merita memoria un caso,
che non stimo trasandarlo. Una delle sere, essendosi li poveri tutti
sodisfatti, il Secretario, nel portarsi a letto, vedendo un uomo disteso sopra
una panca della sala, credeva che dormisse. Unito come era col fratello
Francesc'Antonio, e col servidore Alessio, vanno per risvegliarlo, e trovano un
giovine coll'anima tra i denti, assiderato e senza verun moto. Sorpresi, ne
danno parte a Monsignore. Sollecito vi accorse, ed in veduta dello spettacolo
perde anch'egli la parola, cerca aceto per rinvenirlo, ed altri liquori; corre
alla stanza per un pezzetto di cioccolate, ed a stento, avendo strette le
mascelle, del fa intromettere nella bocca.
Così con sua consolazione ritornato si vide quel povero giovine da morte a
vita.
Questo caso risvegliò
in Monsignore maggior tenerezza per li poveri. Ordina che si abbiano alla mano
liquori, ed altre cose spiritose; e che essendoci in Città poveretti esinaniti,
rifocillati si fossero del medesimo vitto che per se apparecchiavasi, e per li
suoi familiari.
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Se per li poveri in
ogni tempo non vi era portiera, in questo della penuria vedevasi Alfonso alla
porta de' poveri. Portandosi in giro per le case, provvedeva i tanti miserabili
di medicamenti, e di vitto. Essendosi raccomandato per dolci alle monache in
Napoli o penitenti, o parenti, soccorreva per se, e per mezzo di altri le
persone inferme. Sollevati vedevansi i poveri, e più sollevato anch'esso,
vedendo i poveri sazi di pane.
Non avendo più che
vendere in sollievo de' poveri, pensava esitare anche l'argento de' passati
Vescovi, che conservavasi nella Cattedrale; cioè pastorale, bacile, bocale, e
bugia, com'anche la gioja di valore, che affibbia nel petto il piviale.
Come facciamo, li dissero i Canonici, non volendoli dare un aperta negativa,
dovendo voi tenere i Pontificali? Mi
servirò, rispose Alfonso, del bacile,
e bocale di creta. Forse l'argento è precettato? Vedendosi resistito, con
suo rammarico pregò che almeno si fosse pignorato, e neppure fu compiaciuto.
Questa seconda negativa penetrogli maggiormente il cuore. Non potendo urtare,
non essendo cosa sua, vedevasi da solo a solo cogli occhi grondanti di lacrime
andar freneticando per le stanze del palazzo.
In queste angustie invidiava egli i Vescovi
ricchi, perché avevano maggior mezzo per soccorrere i miserabili. Non sono io,
disse un giorno, di tanto merito presso Dio, come S. Tommaso da Villanova, che
ritrovar possa ripieni di grano i miei granaj.
Non è che la sola Città
di S. Agata vedevasi in queste strettezze. Tutta la Diocesi cercava pane, e
faceva capo da Monsignore; anzi vi concorreva gente da' convicini casali e
paesi. Vedevansi i migliori Gentiluomini, e tante persone benestanti e
denarose, che nè anche aveano pane da poter vivere. A tutti porgeva mano
Alfonso, ma non poteva soddisfar tutti.
Mi attestano i Parrochi
che non vi fu paese, che non avesse avuto in quantità grano, e legumi, ed anche
danaro per li comuni bisogni. Solo in Arpaja mandò in una volta tomola nove di
fave, come mi dice il Parroco D. Pasquale Leffo.
Perché come Vescovo era
Barone del Feudo di Bagnolo, accerchiato vedevasi da quei naturali, anzi
minacciato. Avendo avuto di soppiatto da Napoli quantità di grano a docati sei
il tomolo, provvedeva giornalmente con competente quantità di pane quelle tante
famiglie.
Se amare e dolorose
furono in S. Agata le premesse nell'anno sessantatrè, più triste furono le
conseguenze. In altri gravi travagli, ed angustie ei si vide, che troppo li
oppressero lo spirito. Qualunque fossero le sue sollecitudini non era da tanto,
che soccorrer poteva, e farsi incontro ai bisogni di ognuno.
A venti di Febrajo
dell'anno susseguente, avanzata la penuria, S. Agata si vide tutta in rivolta.
La plebe, che non ammette ragione, dichiarossi tutta a danno di D. Domenico
Cervo, - 99 -
che in quel
tempo era Sindaco. Erasi munito il poveretto nella propria casa; ma il popolo,
volendolo assassinare, si diede a fracassare il portone con accette alla mano.
Riuscì al Cervo rifuggiarsi nel palazzo vescovile. Sapendosi dai tumultuanti,
che ivi erasi rifuggiato, perduto ogni riguardo per Alfonso, assaliscono e
circondano il palazzo; e fattisi dentro cercano il Sindaco per farlo a pezzi.
Alfonso fattosi incontro si offerisce vittima al comun furore: abbraccia, e
stringesi al petto ognuno, e tutto lacrime scusa il Sindaco il meglio che
poteva.
Vita per vita,
gridava la moltitudine.
Alfonso volendo
raddolcire lo sdegno, e confidando nella provvidenza di Dio, dispartisce tutta
la farina, e tutto il pane, che riserbato teneva per li poveri più bisognosi.
Corre nel Seminario, e distribuisce ancora tutto il pane, e tutta la provista,
che vi era per que' giovanetti. Cessò la mossa, ma non si vide fuori di
affanni. "Quì stiamo in gran timore
per la carestia, scrisse a' 21 di Febrajo al suo fratello D. Ercole. L'altro ieri successe una sollevazione
molto spaventosa, e Domenica ne temiamo un'altra.
Non ancora ei respirava
per lo passato travaglio, che ne successe un altro. Fatta intesa la Corte in Napoli
del sollevamento sortito in S. Agata, e temendosi di peggio, vi distaccò
sessanta soldati di Cavalleria. Questi non intimorirono, ma aizzarono
maggiormente il popolo.
Moltiplicata la gente,
di vantaggio mancava l'annona; e questo istesso fomentava un'altra mossa.
Considerando Alfonso le conseguenze non mangiava, né dormiva. In tutte le ore
conferiva coll'Officialità, affinché i Soldati non fossero stati di modestia a
veruno, e nel tempo istesso si maneggiò in Napoli per lo richiamo della
soldatesca. Chiama i Capi popolari, raccomanda la quiete, compatendo la comune
afflizione. Avendo procurato altro grano e legumi, soccorreva tutti, per quanto
poteva, con pane e con danaro; né si vide in pace se non partiti i soldati, ed
il popolo acquietato.
"In questi giorni passati, così
a 21 Febraro al medesimo D. Ercole, Dio
sà in quale confusione sono stato, che per più giorni mi han levato il sonno.
Tra queste emergenze
non solo ajutavasi colla limosina, ma suppliva ancora coll'orazione.
Assistendolo co' suoi lumi lo spirito di Dio, preveder li faceva i travagli, e
darvi del riparo anche ne' luoghi lontani.
In Arienzo specialmente
evitò, profetizzando, il massimo de' travagli per D. Ciro Lettieri, che n'era
Capoeletto. Avendo ritrovato giungendo in S. Agata tutto sconvolto l'Archivio,
per riordinarlo chiamato si aveva il Tesoriere di quella Collegiata D.
Fabbrizio Lettieri fratello di esso D. Ciro.
Richiesto questi che
tempo vi necessitava, per lo meno, disse, una quindecina di giorni. Alfonso
ancorché così preoccupato, non erano passati otto giorni, che chiamandosi di
Sabbato il Tesoriere, dimanda a che stassero le scritture. Non sò, rispose il
Tesoriere, se mi - 100 -
bastano
altri otto giorni. Nò, ripigliò
Alfonso, voglio, che stasera vi portiate in
Arienzo, perché ci bisognate, ed avete che fare; e sul punto avvisa i
familiari per apprestarseli un comodo. Ammirato restò il Tesoriere per sì fatta
licenziata, non sapendo il perché. Partì; ma mal sodisfatto di Monsignore.
La mattina di Domenica
ritrovandosi in Arienzo, sentendo la campana a parlamento, curioso vi si porta,
e nel giungervi ritrova il popolo, per la mancanza del pane, tutto in armi, e
tumultuante contra di D. Ciro di lui fratello. Conobbe allora il Tesoriere il
bisogno, che Alfonso dicevali di sua persona. Se esso mancava, il fratello
sarebbe stato assassinato. Con ritrovarsi nel conflitto, salvollo nel Convento
de' PP. Agostiniani; e da Frate vestito, postolo in fuga, libero lo rese dalle
mani de' tumultuanti, e non erano da meno di quattro in cinque mila.
Non finì in S. Agata
cogli anzidetti anfratti la dolente istoria dell'anno sessantaquattro. Amaro e
troppo disgustoso per Alfonso fu questo calice, e restavaci porzione di feccia
non ancor tranguggiata.
Informato il Tribunale
di Montefusco del passato tumulto, vi destinò in ricerca de' capi tumultuanti
il Fiscale D. Niccola Vuolo. Vennero rubricati dai Subalterni, ma erano
innocenti, da trenta capi di casa, ed in seguito citati tutti in Montefusco. I
Governanti della Città, considerando rovinate tante famiglie, dolenti fecero
capo dal comun Padre. Gelò Alfonso in sentirne il rapporto; e prevedendo le
conseguenze, ne pianse.
Ritrovavasi allora Preside in Montefusco il Marchese di Monteverde. Non
perdendo tempo li rappresenta Alfonso l'innocenza di quei poveretti, e prega
esentarli da quel travaglio. Furono così efficaci le sue rimostranze, e tal
credito egli aveva presso il Tribunale, che più non se ne parlò delle asserite
criminalità.
Così riparò ancora altri guai in altri luoghi della
Diocesi. Né fu poco il sollievo di tanti e tanti doppiamente afflitti e dalla
fame, e dalle reità addossate. Patì la Diocesi di S. Agata, non v'ha dubbio, ma
non soffrì gran cosa in paragone delle altre. Ove i tanti luoghi non mangiavasi
il pane, che a grana dieci, e dodici il rotolo, in S. Agata si aveva a grana
sei e mezzo, benché compravasi il grano a docati sette il tomolo.
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