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Cap.22
Generali stabilimenti fatti in Diocesi da Alfonso,
dopo averla tutta visitata.
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Fattosi carico Alfonso dello
stato di tutta la Diocesi, prevenne il Papa, che pensava convocare un Sinodo,
per così dar riparo ai tanti abusi, e stabilire per legge sinodale,
coll'approvazione della Santità Sua, ciocchè stimavasi necessario. Godette il
Papa di questa sua determinazione.
Volendo rendere
gloriosa l'apertura del Sinodo, ut opus
tam pium majori cum fructu fiat, a 21 Giugno con altro suo Breve, Cum sicut accepimus, concesse Plenaria
Indulgenza ad ognuno, che confessandosi, e comunicandosi, visitato avesse la
Cattedrale di S. Agata, facendosene l'apertura. Così ogn'anno commemorandosi il
giorno anniversario, e pregandosi al solito per l'esaltazione di S. Chiesa.
Ritrovandomi in S.
Agata, volle, che portandomi in Napoli, consigliato avessi con Monsignor Borgia
Vescovo di Aversa, e col P. D. Gennaro Fatigati Confondatore, come dissi, della
Congregazione detta de' Cinesi questo suo proponimento. Tutti e due per giusti
motivi furono di sentimento contrario. Non altrimenti l'intesero altri Vescovi
amici.
Ritornato in S. Agata,
e riferendoli i sentimenti del Borgia e del Fatigati, considerandoli anch'esso,
mi disse: Quello che stabilir dovrei col
Sinodo, lo farò con tanti editti. Così
non starò soggetto a qualche cervello torbido, che potrà inquietarmi, ed
impedirmi in Napoli il Regio Assenso.
Avendo tenuto colloquio
per più tempo colle persone più cordate del Clero, specialmente
coll'Arcidiacono, e le altre Dignità del Capitolo, non omettono ancora di
sentire varj Gentiluomini, restrinse in - 107 -
sei Notificazioni quanto pel Sinodo aveva preparato, volendo, che come
tante leggi inviolabilmente osservate si fossero in tutta la Diocesi.
E' diretta la prima
Notificazione a Canonici, Mansionarj, e Cappellani. Troppo in attrasso stava la
disciplina del Coro così nella Cattedrale, che nelle Chiese Collegiate; che se
intervenivasi, non sodisfacevasi all'obbligo dell'officio che troppo
trapazzatamente.
Facendosi scorta
Alfonso colla Bolla di papa Benedetto XIV al Cardinal Delfino Patriarca di
Aquileja, fa intendere che lucrar non si possono le distribuzioni quotidiane,
né i frutti delle Prebende, se non si canti, e non si salmeggi come vuole S.
Chiesa.
Similmente che in
coscienza, e senza grave scrupolo di peccato, non possonsi donare, nè
rilasciare i respettivi frutti dagli altri Canonici a chi non assiste in Coro.
Raccomanda la pausa salmeggiandosi, e la divozione; e soggetta a stretta
puntatura chiunque in Coro non osservi il silenzio.
Vuole, che cominciato
l'Officio, non si esca di Coro, se non per ascoltar le Confessioni, o per
celebrare i divini Misteri; e che le Messe non escan in truppa, ma tratto,
tratto, avendosi di mira il comodo del popolo. Similmente comanda, che sia
anche puntato chiunque nel giorno de' Morti, o ne' due susseguenti, che si fa
l'Anniversario per li Vescovi, e Canonici defonti, non assiste di persona
all'Officio, ed alla Messa.
Insiste colla dottrina
del Sacro Concilio di Trento sopra l'abuso che vi era di sostituirsi l'un
l'altro nel Coro. Facendosi carico anche de' decreti della Sacra Congregazione,
non l'accorda che una, o al più due volte in ogni settimana, purchè i sostituti
non siano di servizio, e che stia in Città, e nel paese il Canonico
sostituente, come con altro decreto della medesima Congregazione.
Volendo la libertà de'
suffragj in Capitolo, comanda che tutte le cose gravi, che interessano il
Corpo, o taluni in particolare, così nella Cattedrale, che nelle Collegiate non
si risolvano tumultuariamente, e che far si debba per voti secreti. Sul dubbio,
se le cose siano gravi o no, vuole che decider si debba dall'Arcidiacono, o da
chi fa capo in Capitolo; e sempre che taluno de' Capitolari ricerchi i voti
secreti.
E' diretta la seconda
Notificazione agli Arcipreti, Parrochi, e Rettori di tutta la Diocesi.
L'ignoranza de' figliuoli nelle cose necessarie a sapersi, e l'indolenza de'
Parrochi in ammaestrarli, era una spina, che troppo pungevali il cuore. Con
questa Notificazione Egli rinnova l'ordine già dato in S. Visita, e vuole, che
due volte ne' giorni festivi nelle Parrocchie si reciti col Popolo nella Messa
Parrocchiale, e nell'altra, ove vi sia concorso, il ristretto da esso fatto
della Dottrina Cristiana. Così comanda, che anche si faccia da ogni Sacerdote
dicendo Messa nelle Cappelle rurali.
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Incarica, che ogni
Domenica al giorno i Parrochi, oltre dell'anzidetto ristretto, s'interessino
per una diffusa istruzione delle cose della Fede, specialmente ai giovanetti, e
che in questo si facciano coadjuvare da altri Sacerdoti, e Chierici della
medesima Parrocchia. Che non potendo il Parroco, essendo aggravato da qualche
incomodo, almeno che assista, e vegga come dagli altri si disimpegna sì
sacrosanto ministero. Non contento si sappiano materialmente i rudimenti
Cristiani, vuole si faccia capire a' figliuoli, secondo la propria capacità,
quello che colla voce proferiscono.
Similmente comanda, che
prima di Pasqua, per più settimane, s'istruiscono tutti coloro atti per la
Comunione, con farsi loro capire cosa sia mai questo gran Sacramento, l'utile che
apporta, e la disposizione che si ricerca. Duolsi aver trovato giovanetti non
ancor comunicati, ancorché di anni quattordeci, e quindeci; e vuole si
ammettono per ordinario di nove in dieci anni, o al più di dodeci.
Ordina, che, con modo
particolare, si facciano imparare a' Figliuoli gli atti di Fede, Speranza,
Carità, e Contrizione, e si facci loro capire quanto questi atti siano
necessarj alla salute. Troppo a cuore era ad Alfonso, che anche si capisse da
tutti la necessità che abbiamo del gran mezzo della Preghiera; ed inculca a'
Parrochi di render persuasi e giovani, e vecchi che niuno può salvarsi, né
ottenersi da Dio l'ajuto per vincere le tentazioni, se umilmente non vien
pregato.
Volendo andare incontro
sempre più alla grande ignoranza, che in Diocesi regnava delle cose della Fede,
anche tra persone Civili, incarica che indispensabilmente, ed indifferentemente
si esamino tutti li sposi prima di contrarsi le nozze circa le cose necessarie
a sapersi.
Anche in questo si fa
forte colla dottrina di Papa Benedetto XIV. Vuole si facci sapere a tutti, che
niuno, chiunque sia, sarà per aver il permesso a poter sposare, se con
giuramento del Parroco non si attesta, che sia ben istruito in tutto ciò, che
necessariamente si deve sapere d'ogni buon Cristiano.
Questo fu un punto molto a cuore ad Alfonso; ne sono rare le ripulse, che da
tanti si ebbero per questo particolare.
In seguito mette in
veduta ai Parrochi lo stretto obbligo che si ha di predicare ogni Domenica. Quest'è pascere propriamente, Ei diceva,
le proprie pecorelle, replicatamente
comandato da Gesù Cristo a tutti i Pastori in persona di S. Pietro, e che tanto
è mancare in questo, quanto negar loro il proprio alimento.
Avverte, che non
facendosi un mese continuato, o per tre discontinui, come vogliono i dottori,
non si possa scusare il Parroco da peccato mortale. Vuole, come comanda il
Concilio di Trento, che la predica sia familiare, adattata alla capacità del
popolo, se non si vuole come non fatta, e che non passi mezz'ora con tutto
l'atto di contrizione.
Incarica, che spesso si
faccia memoria de' Novissimi; che si specifichi la gravezza del sacrilegio; e - 109 -
che una volta il mese,
come altrove già disse, per scemare l'erubescenza, si richiami nella Parrocchia
un Confessore estero.
Volendo evitare i gravi
inconvenienti non rari tra sposi, impone a Parrochi, non prendersi la parola
degli sponsali, se certi non sono esser prossime le nozze. Vuole, che anche
s'inculchi a genitori non far pratticare in propria casa giovanetti, che possono
essere di scandalo alle figlie, e si rammenti essere questo un caso riserbato
alla scomunica.
In ordine al Precetto
Pasquale comanda che tutti, generalmente parlando, non si ammettano alla
comunione, senza prima essere stati esaminati dal proprio Parroco circa le cose
necessarie alla salute, e che da Confessori non si ammettano al Sacramento
della Penitenza, se non quelli che dal Parroco hanno avuto la cartella di
essere stati esaminati.
Che facendosi dal
Parroco lo stato delle Anime, si dia a tutti la cartella col nome della
persona, per ammettersi alla Comunione Pasquale. Che elasso questo tempo, si
riscuotino dal medesimo le cartelle, per vedere chi abbia o no adempito al
Precetto, e che non da altri si ricevano le cartelle che dal medesimo Parroco.
Vuole si avvisino i
Figliani non sodisfarsi al Precetto, e che resta scomunicato chi non l'adempie
nella propria Parrocchia, ancorché si comunichi nella Cattedrale.
Finalmente comanda, che
scorso la festa della Trinità, essendoci persone, che non l'abbiano adempito,
di darsegli nota senza alcun riguardo, e senza fraposta di tempo, per prendersi
da esso i dovuti espedienti.
Questi espedienti non furono rari con consolazione de' buoni, e con
raccapriccio de' scostumati.
Oltre del precetto
Pasquale, avendo a cuore veder rifocillati i Figliuoli grandetti, e le
Figliuole col pane Eucaristico, impone ai Parrochi che vi siano per questi due
Comunioni generali, una nella Domenica fra l'ottava dell'Assunta, e l'altra tra
le feste di Natale.
"Ogni sollecitudine per questi non
sarà mai soperchia, diceva Alfonso:
se da Figliuoli non s'invogliano di questo divin Sacramento, svogliati si
veggano avanzati in età. Disponevansi cogli atti preparativi fin dal giorno
innnanzi, e facevansi loro comprendere le grazie che si ricevono, e forza che
si acquista per non cadere in peccato.
Somma trascuratezza
avendo rilevato nel Viatico, ed estrema Unzione, incarica i Parrochi doversi
dare il Viatico sempre che vi è segno di pericolo di morte: così l'Estrema
Unzione, come vuole Papa Benedetto XIVa vedendosi l'infermo
gravemente travagliato. Avverte, come spiega il Catechismo Romano, che
gravemente peccano quei Parrochi, che non danno l'Estrema Unzione, se non
quando l'infermo ha perduto i sensi.
Imbarazzo non poco
ritrovò nelle Parrocchie, ed altre Chiese per gli obblighi delle Messe
perpetue. Ordina a Parrochi, Rettori, ed - 110 -
altri che in Sacristia vi sia Tabella coi giorni, ed Altari a quali sono
addette, e per quali persone. Li morti, diceva
Alfonso, se non possono vedere i proprj
interessi, spetta a Noi garantirli.
Vuole ancora che sia a
veduta anche la Tabbella di tutti i Beneficj coi nomi de' Fondatori. Similmente
comanda, essendoci Legati nelle rispettive Chiese, che tra un mese dalla morte
di un Testatore si esiggano dagli Eredi, ed essendo renitenti, che si
costringano col competente Giudice: in caso contrario se ne dia parte a lui per
gli espedienti da prendersi.
Vuole ancora che non si
accetti verun Legato senza prima farnelo inteso, per vedere le convenga
accettarsi o nò, e se si possono le Messe sodisfare da' respettivi Cappellani.
Ogni diece anni comanda
si rinnovi l'inventario di questi obblighi, e che fattane copia, una sia presso
l'interessato, e l'altra in Curia. Così fortendo la morte di qualche
Beneficiato, ordina a suoi Vicarj foranei, che subito se ne faccia inteso.
Nella Messa del Giovedì
Santo vuole, si legga al popolo la Tabbella de' Casi riservati da lui.
Proibisce il grave abuso di darsi a Chierici, e tanto meno a' Laici la chiave
del Santo Sepolcro; e sotto grave precetto comanda non consegnarsi dalla
Cattedra e l'Oglio Santo per le Parrocchie, se non a Sacerdoti, o almeno a
costituiti in Sacris.
Fa carico i Parrochi coll'autorità
di Papa Benedetto XIV anche non ostante qualunque consuetudine, o abuso in
contrario, ancorché non si abbia sufficiente congrua, dell'obbligo della Messa
per il popolo in tutte le Domeniche e Feste di precetto.
Soprattutto, che per
giustizia sono tenuti, anche con pericolo della vita, sempre che vi è speranza
di emenda, ammonire chiunque vive in peccato mortale, o sia nel pericolo di
cadervi, e questo non solo nella necessità estrema, ma anche nella grave; e che
mancandosi, son tenuti alla restituzione de' frutti malamente percepiti.
Disordine non poco,
come dissi, rilevò circa la residenza. Facendo carichi i Parrochi di questo
dovere, avverte che star non possono assenti dalla Parrocchia, se non per cause
urgenti, e col permesso del proprio Vescovo, e che non possono sostituirvi
altri, senza l'approvazione del medesimo.
Che mancandosi, si pecca gravemente, e sono tenuti, giusta la rata
dell'assenza, alla restituzione de' frutti o a poveri del luogo, o alla
fabbrica della Chiesa.
Così esser tenuto alla
stessa colpa e pena chiunque non adempie a proprj doveri; e che per tale si
debba avere, in senso della Congregazione del Concilio, chi non esercita per
due mesi i principali officj del proprio Ministero, che sono la Predicazione, e
l'Amministrazione de' Sacramenti.
Comanda finalmente che
i Parrochi indispensabilmente debbono abitare, per esser pronti a' bisogni de'
Figliani, o nella Casa della Parrocchia, o in altra vicina.
Dirigge Alfonso la
terza Notificazione a tutti i Confessori Secolari, - 111 -
e Regolari. Rileva la necessità, che si ha per lo
studio delle cose morali. Si spiega che non basta per esser Confessore la
facoltà ottenuta, se con quella non si unisce la scienza che vi si ricerca.
Comanda l'intervento di chiunque alla Congregazione de' Casi morali; e che due
volte l'anno il Secretario li faccia notamento in fine di Giugno, e di Decembre
di coloro, che vi sono mancati.
Impone che non si
ometta la dimanda, essendo padri e madri, se fanno assistere i figli alla
Dottrina Cristiana, e che ai manchevoli si nieghi l'assoluzione, e si faccino
avvertiti del caso riserbato. Che non si ammetta veruno alla Confessione in
tempo di precetto, se non costi esser istruito ne le cose della Fede, e non
abbia la cartella del proprio Parroco. Vuole che soprattutto s'interroghino
coloro che di raro si confessano, o che loro non è nota la Coscienza.
Avverte non assolversi,
se non si è tolta l'occasione del peccato, chiunque si trova il occasione
prossima volontaria; ed essendo necessaria, si differisca l'assoluzione
fintantoché da prossima non siasi fatta rimota. Che giovanetti maschi e femine,
che amoreggiano e trattano insieme, non si assolvino, ancorché non vi sia del
male. Quello che non vi è stato, vi può
essere, diceva Monsignore. Sopratutto che si neghi l'assoluzione ai Capi di
casa, che permettono simili commercj, ricordandosi la scomunica, che vi è col
caso riservato.
Impone che siano
cautelati i Confessori nel non assolvere i recidivi, o abituati nel peccato,
massime nella bestemmia, se non si veggono ravveduti, e non diano un segno
certo straordinario della loro disposizione.
Non davasi pace coi
Medici, per li tanti o che morivano senza Sacramenti, o che destituiti da sensi
li ricevevano, divenuti già cadaveri. Impone ai Confessori volersi loro
ricordare il grave obbligo, che li assiste, per la Bolla precettiva di S. Pio
V. di ordinare i Sacramenti a chiunque dopo la terza visita, conoscendosi grave
il male, o che tale possa divenire. Anche
questo non basta, diceva Alfonso, Vedendosi
restii, specialmente taluni de' Casali, e Villaggi, sono tenuti, secondo il
precetto di S. Pio, non più visitarli, se prima non proveggono ai bisogni
dell'Anima.
Condanna Alfonso la
facilità, che incontrarsi in tanti Confessori, nel darsi facilmente l'assoluzione
sacramentale sopra peccati veniali, se certi non sono del pentimento, e
proposito; e in dubbio vuole che dar si faccia in colpa qualche peccato grave
già confessato, per così esser certi della materia. Similmente avverte, che non
s'imponga penitenza sotto colpa grave, di cui preveggono difficile
l'adempimento.
Avendo a cuore il gran
mezzo della Preghiera, vuole si faccia capire, specialmente a quei penitenti,
che spesso sogliono cadere in colpe gravi, - 112 -
quanto sia efficace in se stesso, animandoli di spesso cercare a Dio la
perseveranza nel bene, e che tentati invochino con effetto, mentre dura la
tentazione, i Nomi Santissimi di Maria, e di Gesù Che con carità s'istruiscano
brevemente, quei che più disposti si veggono per la pietà, nell'esercizio
dell'orazione mentale, massime zitelle, e giovanetti.
Soprattutto che
s'insinui la divozione verso Maria Santissima, la recita del Rosario, e far
delle novene il suo onore. Similmente che sera e mattina, prima di porsi e
levati da letto, se le recitino tre ave, essendo Maria la Madre della
perseveranza.
Sussiegue la quarta
Notificazione. E' questa soltanto diretta ai Sacerdoti secolari. Raccomanda,
che tutti intervengano nella Congregazione de' Casi morali, e prescrive il modo,
che dovrà tenersi. Che i Confessori, per aver la proroga della pagella, portar
debbano l'attestato del Secretario non averci mancato; e che mancandoci i
semplici Sacerdoti, si avrà a demerito accadendo la provista di qualche
Beneficio, nè saranno ammessi al concorso, vacando qualche parrocchia.
Rinnova Alfonso la
sospensione ipso facto, terminandosi
la Messa, ancorché de' Morti o votiva di Maria Santissima, tra lo spazio meno
di un quarto. Ricorda il grave obbligo che si ha di sodisfarsi le Messe piane
de' Vivi tra due mesi, e tra un mese quelle de' Defonti. Raccomanda il dovuto
apparecchio, ed un quarto, se non mezz'ora di ringraziamento Vieta soprattutto
ogni confabulamento, o passeggio in Sacrestia, vestiti cogli abiti sacri: abuso
che in tanti non faceva ne' ribrezzo, né rossore.
Comanda aversi in
Sacrestia dai rettori delle Chiese un libro, ove notati siano in distinti
luoghi le Messe di obbligo perpetue coi nomi de' Testatori; e che ognuno,
avendo celebrato, vi noti la propria soddisfazione. Avverte ancora i medesimi,
che il Crocefisso negli Altari sia, come comanda Benedetto XIV grande, e
talmente rilevato, che veggasi non solo dal Celebrante, ma che anche dal popolo
vi si possa discernere.
Rammenta la sospensione
ipso facto, già posta, per chiunque
ordinato in sacris si divertisca in
giuoco di sorte, come bassetta, primera, dadi, e simili: così ogni altro giuoco
in luogo pubblico. Senza suo permisso scritto anche proibisce qualunque sorta
di caccia collo schioppo, o colle reti, ma non mai in giorno di precetto
festivo. Similmente proibisce il recitarsi in comedia, ancorché sacra, ed in
casa privata, sotto pena di sospensione a quei che sono in sacris, e l'inabilità agli ordini maggiori, se sono in minoribus. Un altro abuso interdisse,
e fu il prendersi ad affitto le gabbelle, ed altre cose pubbliche, ancorché
sotto finto nome, o che si fosse a parte con altri.
Esorta finalmente
ognuno voler coadiuvare il Parroco nell'esercizio della Dottrina Cristiana,
compromettendosi averli presenti nelle proviste de' beneficj, e di ogni altro
emolumento ecclesiastico.
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La sesta, ommettendo la
quinta, riserbandomela ove parlerò degli Ordinandi, raggirasi sulla decenza
degli abiti, e tonsura. Grande abuso vi ritrovò, come dissi, sembrando taluni
piuttosto ganimedi, che consacrati all'Altare.
Inibisce coll'autorità
di Alessandro IIIb
i capelli ad uso di chioma, molto meno innannellati, o coverti di cipro. Vuole
che siano lisci, e che non giungano a coprire il collo, e gli orecchi. Che dai
Chierici si portino rasi, come i Seminaristi; e che usandosi altrimenti saranno
esclusi dagli Ordini. Che la Chierica ne' Sacerdoti non sia meno di un'ostia
grande, ne' Diaconi più picciola, e proporzionata ne' Chierici, ma non minore
particola, e che in tutti si rinnovi ogni giorni quindeci.
Proibisce in Città il
vestire giamberga, e cappa di colore; permettelo bensì, andandosi in campagna,
o essendo di viaggio, ai soli Sacerdoti; ma la giamberga guarnita non sia con assole, come diconsi, e con fila d'oro.
Così proibisce per chiunque i manicotti attaccati alla camicia, ed i merletti
di seta increspati, ivi chiamati
girandole.
Comanda, che tutti i
Chierici in minoribus usino in Città
la veste talare, non già zimarra, ma tutta chiusa innanzi, e che questi debbano
avere attestato del parroco, presentantosi per l'ordinazione, che non
altrimenti abbino vestito.
Ordina finalmente che
di mattina i Sacerdoti dal mese di Maggio per tutto Ottobre, usino la veste
talare a tenore de' Canoni, se incorrere non vogliono ipso facto la sospenzione da esso imposta; e da Novembre fino ad
Aprile, perché i luoghi della Diocesi sono fangosi e freddi, permette che si
vesta di corto, maggiormente che tanti debbono andare a celebrare in luoghi
lontani. Comanda bensì che celebrandosi, o assistendosi colla cotta a divini
officj, si usi la sottana senza maniche, non già la faldiglia.
Questo è quanto, che
senza tener il Sinodo, si stabilì in accorcio da Monsignor Liguori pel suo
Clero, e per lo bene della sua Diocesi. Non fu amico di aggravare il Clero, e
molto meno il popolo di quello non conveniva. Confessa, non esser andato
secondo il rigore antico de' Canoni, avendo avuto riguardo, ma con suo
rincrescimento, alle circostanze de' tempi. Spiegasi, che quanto è stato
indulgente, altrettanto sarà rigido, come lo fu, coi meno osservanti. Qualunque disprezzo in persona mia non mi
fa senso, soleva dire, anzi lo
benedico; ma totelar non posso qualunque disprezzo per le leggi, che ho
promulgate.
Aveva Monsignore questi
decreti come tante leggi fondamentali, che sostener potevano il bene de' suoi
Diocesani, e che ometter non si potevano senza disordine, e senza peccato. In
questi raggiravansi in S. Visita tutte le sue sollecitudini. Non contento della
fedeltà de' Vicarj Foranei, - 114 -
aveva persone, che in secreto l'avvisavano d'ogni trascuraggine. Compativa
la debolezza; ma ove vedevaci disprezzo, non mancava venire alle strette, e con
castighi esemplari.
Ancora sel ricorda un
Parroco. Avendolo trovato manchevole, non sò in quale di questi Decreti, reso
inflessibile, privollo ancora in parte de' frutti della Parrocchia.
Un altro avendo trascurato in due disgiunte settimane
la Congregazione de' Casi morali, sul punto avendolo fatto chiamare, non mancò
caricarlo di una pesante riprensione. Con sgarbo lo ricevette, né li diede
sedia, cosa mai praticata da Monsignor Liguori, come mi attesta il Canonico
Verzella, allora suo Secretario. Tra l'altro li disse: il maggior dolore che assaggiar posso si è, quando vedo attrassato il
Caso Morale, e la predica di Maria Santissima nel Sabbato.
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Posizione
Originale Nota - Libro 3, Cap. 22, pag.109 e 113
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