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Cap. 25
Somma afflizione di Alfonso vedendo
dagli empj contradetta, e travagliata la Chiesa di Dio.
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Varie afflizioni in
questi tempi conturbavano, e tenevano in angustia lo spirito di Alfonso. I
continui riscontri, che aveva della peste di tanti libri, che tuttogiorno
uscivano ne' paesi Oltramontani, e specialmente in Francia, a danno così della
Religione, che dello Stato, pace non li davano, ne riposo. Maggiormente
piangeva l'intromessione, che di soppiatto facevasi da Libraj in Napoli, e che
divolgavansi nelle Provincie.
Sopratutto facevanli
senso, oltre tanti altri, le opere delle due anime avvelenate Volterre, e
Rousseau, tutti e due nemici giurati dello Stato, e della Chiesa. Volendo si
dasse del riparo, non lasciava - 124 -
riclamare al Real Trono, impegnandone, per interdirne l'intromissione e la
vendita, i due Marchesi Demarco, e Tanucci. Inculcava a Confessori, ed a
Missionarj volerne mettere in orrore la lezione. Specialmente incaricavane i
nostri, ed altri, che giravano per le Provincie.
Somma pena sperimentava
nel tempo istesso, considerando il gran veleno che in se contiene l'Opera di
Samuele Basnagio, ed il gran danno che questa cagionata tra meno oculati
Cattolici. Non avendo ne tempo ne forza, per discoprirne gli errori, perché
vecchio, e col peso del Vescovado, fe sentire al nostro padre D. Alessandro di
Meo, che impiegato vi si fosse, almeno per gli errori, che toccavano la
Religione.
"Ho avuto nelle mani, scrisse ancora, una scrittura donde ho ricavato
molte belle notizie contro i Giansenisti. Anche contro di questa peste vorrei
che vi armassivo. Sopratutto prego non perdete di vista il nostro amico
Basnagio. Questa sarebbe un Opera applaudita da tutta la Chiesa"a. Anche tempo innanzi animò l'Eminentissimo Spinelli a
voler sostenere l'Accademia, che istituita aveva contro questo mostro.
Maggiormente non davasi
pace per quei libri, che affettando Evangelica Purità, vedevansi dar fuori da
non sinceri Cattolici.
"Non v'è cosa, diceva Alfonso, che tanto rovina le anime, e che fa maggior
danno alla Chiesa, quanto l'errore mascherato collo specioso rigore di
Evangelica Perfezione. Specialmente l'intendeva de' moderni Giansenisti,
nemici, ei diceva, dannosi più di Calvino, e Lutero, perché occulti, e non
evitati. Chi si vuol metter in guardia, ripeteva, di Antonio Arnaldo, che vende
santità, ed altro non cerca che purità, e perfezione per accostarsi alla
comunione, quando altro intento non ha, che allontanare i Fedeli da questo
Sacramento, unico sostegno della nostra debolezza".
Ritrovandosi nelle
attuali controversie per la sua Teologia Morale, da Palermo li fu scritto dal
P. Sapio Gerolimino, che i Padri Patuzzi, e Consalez stavano armati contro di
lui. "Facciano ciò che vogliono, li rescrisse Alfonso a 7 Gennaro 1766, io
non ho scritto per acquistarmi onore, ma solo acciocché si conosca la verità:
se persuade quello che ho scritto, bene; se nò, non intendo restar vittorioso
per impegno, come mi carica il P. Patuzzi.
Mi dispiace, che li Signori Letterati stanno col pregiudizio, che non si stima
letterato, chi non va alla moda in difendere il tuziorismo, cosa di gran ruina
per le anime. Il Partito di
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Francia, si è sparso per molti Regni Cattolici, e trionfa; e frattanto le
Anime vanno a ruina.
Preghiamo il Signore, che ci rimedii. E' uscito un libro, così seguita a dire,
che si nomina: La realtà del progetto di
Borgo Fontana, in dove si fa vedere l'intento de' Giansenisti di buttar a
terra tutta la Chiesa di Gesù - Cristo. E' un gran libro, perchè tutto comprova
con autentiche scritture. V. R. se lo procuri, e legga. Ripeto, che è un gran
libro, e facilmente da PP. Gesuiti ne può aver notizia".
Amareggiavasi, e
vedevasi tutto fuoco anche per la Setta, che dicevansi Frammasoni, e che ora
diconsi Giacobbini.
"Questa Setta, e lo diceva quasi piangendo, un giorno ha da essere la
rovina non che della Chiesa, ma de Regni, e de' Sovrani. I Monarchi non la
curano, ma troppo tardi si accorgeranno del grave danno, che sarà per
cagionare. Non facendo conto di Dio, neppure lo faranno dei Monarchi".
Oltre le tante lettere ai Signori della Reggenza, partito che fu di Napoli
l'Augusto Carlo III, ne scrisse ancora, ed animò l'eminentissimo Sersale, che
cooperato lui si fosse, per vederli estirpati in Napoli, e nelle Provincie; ma
con nostro rammarico non esiste veruna di queste sue lettere.
Tra questo tempo,
animato dal suo zelo, ei compose di proposito a danno de' moderni increduli, la
sua grand'opera della Verità della fede, confutandone gli errori, e
discoprendone l'empietà.
"Io sto componendo, scrisse nell'anzidetta lettera al P. Sapio, un Opera
compita, e già n'ho fatta buona parte, contro gli errori moderni de Deisti, e
Materialisti. Mi raccomandi al Signore, acciocché io feriva in modo, che possa toglier d'inganno tanti poveri
giovani, che di presente stanno infettati di questi errori, specialmente per li
libri appestati, che continuamente escono da Francia, e proccurati da quelli
del partito. Bisogna piangere, e pregare per la povera Chiesa così combattuta, ma portae inferi non prevalebunt. Sto
stampando ancora un'opera di tutte l'Eresie, che è bella assai, ma perché
lunga, non so se la vedo terminata".
Non trovava pace
sopratutto, tra le tante miscredenze, ove attaccata vedeva, e posta in dubio,
in materia di Fede, l'infallibilità del Papa. Preintendendo che la maggior
opposizione, che facevasi a suo tempo circa l'infallibilità del Papa nelle
definizioni di Fede, rilevavasi dalla dichiarazione fatta nell'Assemblea di
Parigi l'anno 1682, si pose di proposito a confutarla con un Opuscolo dato alle
stampe, che intitolò: Riflessi spettanti
alla dichiarazione dell'Assemblea di Francia circa l'infallibilità del Papa.
Aveva questa
dichiarazione, come una spina, che trafiggevali il cuore. Compruova
l'infallibilità del Papa nelle definizioni di Fede con l'autorità de' padri, e
de' Concilj Ecumenici. Dimostra non - 126 -
doversene tener conto della detta dichiarazione, perché l'Assemblea non fu
generale, ma di soli 44 Vescovi, radunati per comando di Luigi XIV. Essendo il
Re disgustato col Papa, come Alfonso comprova, per esserli state negate le
rendite dei Vescovadi vacanti, volendolo amareggiare, ordinò l'Assemblea di
detti pochi Vescovi, comandando, che niun Dottore della Sorbona insegnato
avesse il contrario, ed a Vescovi assenti impose far'insegnare la medesima
dottrina nelle loro Diocesi.
Oltre l'autorità de'
Padri, e Concilj per l'infallibilità del Papa, dimostra ancora l'erroneità di
tal dichiarazione, anche per confessione di tanti dotti Francesi anteriori, e
posteriori alla dichiarazione sudetta, che concordemente han sostenuto tale
infallibilità; che anzi l'istessi quarantaquattro Vescovi, protestaronsi col
Papa, non aver avuto in mira condannare l'opposta sentenza. Quest'opuscolo fu
tale, che meritò anche gli elogj del partito opposto.
Ciocché tra questo
tempo anche conturbava non poco, e metteva alle strette il cuore di Alfonso,
era la tempesta, che, per ogni dove dell'Europa, mossa vedevasi a danno de'
Gesuiti. Preludj di questi travagli, che tempo innanzi eransi intesi, posto
aveano alle strette il di lui spirito.
"Le notizie circa
la Compagnia, così in una sua al Provinciale de Matteis, non l'ho ricevute
ancora. Io di queste notizie ne sto quasi più anzioso, che se fossero della
nostra minima Congregazione, trattandosi di una Religione, che ha santificato,
per così dire, tutto il Mondo, e seguita tuttavia a santificarlo".
Avanzate le calunnie, e vedendoli sopraffatti, ed in procinto di esser soppressi,
ne moriva di dolore.
"La Chiesa, ei diceva, è chiamata vigna da Gesù - Cristo, se manca chi la
coltivi e zappi, triboli produce e spine, e tra queste i serpenti vi allignano
contro la Religione, e lo Stato. Se mancano questi, e dicevalo con enfasi di dolore,
siamo rovinati". Felice stimava quella Città, ove si avesse un Collegio
della Compagnia. "I Gesuiti, dir soleva, oltre le Missioni, che non sono
di poco profitto, buttano la semenza della pietà nelle scuole, e ne fanno i
vivaj, che trapiantati nelle tante Congregazioni, che hanno di ogni ceto,
santificano le Città, e le Popolazioni".
Un giorno tra gli
altri, disse: "I Giansenisti, e tutti i Novatori li vogliono tolti dal
Mondo, per togliere un baluardo alla Chiesa. Mancando i Gesuiti, non così
facilmente si ritrova chi si oppone ai loro errori. I Gesuiti hanno franco la
penna, e la Compagnia si fa gloria di combattere tali nemici".
Affliggevasi maggiormente, che ingannati i Regnanti dai falsi rapporti de'
miscredenti, ma creduti zelanti Cattolici, anch'essi li guardavano di
mal'occhio. "La Religione, e lo Stato, diceva Alfonso, si danno
scambievolmente la mano, ove questa vacilla, anche lo Stato tracolla, e va in
ruina".
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Avendo dato fuori Papa
Clemente XIII una Bolla, con cui di nuovo confirmava l'Istituto, e la
Compagnia, ne fu Alfonso così soprappieno di consolazione, che con sua lettera
ringraziò il Pontefice di tanta beneficenza; ed è questa, che sussegue:
Santissimo Padre.
"La Bolla, che
Vostra Santità ultimamente ha data fuori in lode, e conferma della Venerabile
Compagnia di Gesù, ha rallegrato tutti i buoni, e specialmente me miserabile,
che tanto la stimo, vedendo il gran profitto, che fanno questi Santi Religiosi
in tutt'i luoghi dove sono e col loro esempio, e colle fatiche incessanti che
impiegano nelle scuole, nelle Chiese, e negli Oratorj di tante Congregazioni
che diriggono, così colle Confessioni, e prediche, che cogli Esercizj
spirituali, che danno in tante Chiese, e Monasterj di Vergini, con anche
affatigarsi nelle carceri, e galere; ed io ne sono testimonio per quello, che
ho veduto dimorando nella Città di Napoli.
Il Signore in questi
ultimi tempi ha voluto provarli con diverse contraddizioni, e traversie; ma
Vostra Santità, ch'è il Capo della Chiesa, ed è il Padre comune de' Fedeli, gli
ha consolati, consolando ancora tutti noi suoi figli, in aver manifestati da
per tutto, colla sua Santa Bolla, i pregi, ed i meriti della loro Compagnia.
Così ha chiuse le bocche a malevoli, che han cercato discreditare non solamente
i loro portamenti, ma anche il loro Istituto.
Pertanto noi altri, che
ci ritroviamo al governo delle nostre Pecorelle, che ricevono tanto utile dalle
fatiche di questi buoni Religiosi, e singolarmente io, che sono il minimo de'
Vescovi, ne rendiamo umilissime grazie alla Santità Sua, supplicandola
istantemente a proteggere questa santa Religione, che ha onorata la Chiesa di
tanti Operaj, che sono anche morti per la Fede, e che per tutto il Mondo finora
han dato tanto frutto di anime presso molti Regni, non solo de' Cattolici, ma
anche degl'Infedeli, e degli Eretici; ma maggiormente lo darà in avvenire, come
dobbiamo sperare alla Divina Bontà, che humiliat,
et sublevat. Prostrato intanto a suoi piedi umilmente li bacio, e le cerco
la S. Benedizione.
Se ne compiacque il
Papa estremamente. "Noi con piacere, li rescrisse, abbiamo ricevuto le tue
lettere, e senza di queste anche eravamo persuasi del vostro compiacimento,
vedendo confirmato da Noi l'Istituto, e la Compagnia di Gesù": Libentissime legimus literas tuas, ex quibus
intelleximus, quod etiam fine literis arbitrabamur, Costitutionem nostram, qua
pium Societatis Jesu Institutum laudavimus, confirmavimus, Fraternitati tuae
jucundissimum accidisse.
Gradì la lettera il Papa, avendo ritrovato uniforme il di lui sentimento a
quello di tanti altri Vescovi: - 128 -
Gratissimum praeterea Nobis illud fuit eadem te de
illa societate honorificentissime praedicare, quae a pluribus aliis Ven. Fratibus
Episcopis per litteras Nobis datas singularibus laudibus efferuntur. Loda il di lui zelo, e si compiace della libertà de'
di lui sentimenti: Ceterum tuum justitiae
amorem, animi tui magnitudinem, libertatemque Episcopo dignam summopere amabus,
Ven. Frater, qui nullo rerum humanarum
respectu deterritus, nihil veritus es de memorato Istituto, ejusque
sectatoribus, per litteras tuas apud Nos profiteri, quid sentias. Conchiude. Et
Fraternitati Tuae, quam in nostre Charitatis gerimus sinu, Apostolicam benedictionem
peramanter impertimur.
La data è in Castel Gandolfo a 19 Giugno 1765.
Tra lo sfacelo di tante
cose solo consolavasi Alfonso, vedendo benedetta da Dio, e dal Sovrano la sua
picciola Congregazione.
Anzioso di sempre più
vederla avanzata in virtù, non lasciò, con altra sua circolare de' 27 Agosto,
animar tutti a maggior perfezione, e renderla utile ai Popoli, ed alla Chiesa.
Riguardava quest'opera come la pupilla degli occhi; ed ogni mancanza picciola
che fosse facevali senso, e stimavala di peso.
"Sento, disse, con
mia pena (così in questa enfaticamente si spiega), che lo spirito è molto
decaduto ne' Soggetti della Congregazione; e prego ognuno da oggi avanti badare
a se, perchè io non posso soffrire vedere in vita mia rilasciata l'osservanza.
Come sento, poco piace la povertà, e la mortificazione. Dunque siamo venuti
alla Congregazione per star comodi, e spassarci? Meglio era restarci nelle case
nostre. L'ubbidienza a Superiori sento, che sia andata a terra. Finita
l'ubbidienza, è finita la Congregazione. Perdendosi l'ubbidienza, che cosa
diverranno le nostre case, se non ridotti d'inquietudini, di contrasti, e di
peccati".
Soggiunge, e dice:
"Mi ho chiamato qui il P. Vicario D. Andrea Villani, e gli ho detto, che
de' difetti notabili ne voglio essere inteso, perché a difetti notabili si
daranno notabili mortificazioni; e chi si conoscerà incorrigibile, anderà
fuori. La Congregazione non ha bisogno di molti Soggetti, ma di Soggetti che
vogliono farsi santi: basta che ne restino dieci, i quali amino veramente
Iddio. E' troppo ingratitudine a Dio, che mentre egli sta sollevando la
Congregazione, noi lo paghiamo con difetti, e mancanze.
Che vogliamo diventare
come tanti altri, che sono più di scandalo alla Chiesa, che di edificazione. Ho
ammonito il P. D. Andrea, che egli nel suo governo è troppo debole e dolce, e
li ho detto che delle cose più gravi ne voglio io esser inteso.
Così prego ognuno ad avvisarmi de' sconcerti più gravi, quando ne avrà avvisato
il P. Villani, e vedrà che non vi da rimedio, perché troverò io la via di
rimediarvi. Il Signore a questo fine mi mantiene in vita".
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Volendo ammortire nella gioventù ogni prurito di
propria gloria, e nutrirvi lo spirito della santa umiltà, si avanza e dice:
"Raccomando ai Giovani, che non fomentino una cert'anzia di predicare.
Vorrei che avessero anzia di dar gusto a Gesù - Cristo. Niuno dimostri voler
predicare, se non gli è imposto dall'ubbidienza. Prego tutti specialmente i
Giovani a ben rivedere, e studiare quello che hanno da dire in publico,
ancorché fosse un sentimento di notte. Ora si predica a staccio. Perché poi ci
lamentiamo sentir dire dagli altri, che predichiamo allo sproposito?
Ogni Giovane senza meno si facci rivedere le prediche da qualche Padre
intendente, come dal P. Cajone, dal P. Rizzo, e simili; ed ognuno andando a
predicare, o a far l'istruzione, che studj, e rilegga attentamente quello che
ha da dire, acciocché tutto sia ordinato e sodo, senza frasi toscane, ma alla
familiare, perché questo è lo stile de' Missionarj.
Prima di tutto però bisogna attendere alla mortificazione, e a dar gusto a Dio,
altrimenti Iddio non ci concorre, e si predicherà al vento. Benedico tutti, ma
benedico coloro, che hanno buona intenzione; altrimenti se io non li maledico,
li maledirà Iddio, e li caccierà dalla Congregazione".
Posizione
Originale Nota - Libro 3, cap. 25, pag. 124
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