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Cap.26
Alfonso si vede infermo a morte in S. Agata: amarezza
de' Diocesani; dà la loquela ad un muto, e convalescente portasi di nuovo in
Nocera.
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Troppo critico fu per Alfonso
l'anno 1764 in 65. O che siano stati i trapazzi sofferti nella passata
carestia, o che Iddio per altre cause avesse così disposto, sorpreso si vide da
tal febbre ardente, che già disperavasi di sua vita. Fu munito del santo
Viatico, ed anche se li diede l'estrema Unzione; In questo stato era a tutti di
tenerezza il vedere un Vescovo di S. Agata morire sulla paglia, con lenzuola di
telaccia, e con coverta di rozza lana, quasi straccio da mendico.
Assistendolo il P.
Maestro Caputo da un lato, e dall'altro il Decano D. Evangelista Daddio,
Monsignore, quasi agonizzando lor disse, ma con voce moribonda, ditemi qualche sentimento. Tentò
suggerirgli cosa il P. Maestro, ma soprafatto dal pianto, non potè profferir
parola. Avendoli detto il Decano, Monsignore, la preghiera di S. Martino,
vedendosi moribondo, fu questa: Domine,
si adhuc Populo tuo sum necessarius, non recuso laborem, Alfonso, appena
movendo le labbra, anch'esso ripetette, non
recuso laborem.
Non ci fu Padre pianto
così amaramente da' proprj figli, come si - 130 -
piangeva da' Santagatesi la perdita di Monsignore. Troppo appassionato
erasi veduto pel suo popolo nell'anno antecedente. I poveri in ispecialità
assordivano il Cielo, volendo restituito in salute il proprio Padre.
Non vi fu luogo della
Diocesi, ove non facevansi pubbliche preghiere, e non ci fu persona, che non
fosse sollecita per la di lui vita. Anche in Napoli tante comunità Religiose
non mancarono adoprarsi presso Dio con Novene, ed altre preci in comune, ed in
privato, per vederlo in salute a beneficio della Diocesi, e di tutta la Chiesa.
Vedendosi sulle prime
quello, che il male minacciava, se li progettò farsi venire qualche Medico da
Napoli. In sentirlo Alfonso si ci oppose, dicendo, che la sua vita non meritava
tanto, e che avvaler si doveva de' Medici di Santagata, e non di Napoli, perchè
Iddio in Santagata avevalo destinato. Saputosi non però il suo stato da D.
Ercole suo fratello, vi si portò subito con due Primarj Professori.
Non solo i Vescovi
vecini furono a visitarlo, ma accorsero ancora, ritrovandosi in Napoli,
Monsignor Borgia, e Monsignor Pallante Vescovo di Sansevero. Anche tanti
Signori e dentro, e fuori Diocesi si viddero interessati per esso. Il Cavalier
Negroni non mancava spedire da Caserta una e due volte il giorno un'Ordinanza
per saper di sua salute. Bisognando la china, egli stesso lo provide della
migliore, che si aveva per uso del Re. Se evitò la morte, si attribuì da tutti
alle lagrime de' poveri, e ad un tratto di special Provvidenza; e ben si vide,
che Iddio lo volle in vita in beneficio di quella Diocesi troppo bisognosa di
spirituale sussidio.
In questa infermità non
mancò Iddio autenticare con un prodigio la santità di Alfonso. Persistendo in
letto, per la sua convalescenza, un giorno il Canonico D. Carlo Bruno, avendo
ucciso nella caccia alcune ficedole, stimò portarcele a regalare. Aveva questi
un Nipotino di anni quattro meno qualche mese, che era muto, e tale, che
ricorrendo al Padre, o alla Madre, non esprimevasi che con dire O. Portandosi
da Monsignore, fe presentargli da questo figliuolo le ficedole in un panerino.
In atto, che Monsignore ordinò al Fratello Laico di regalarlo di dolci, chiese
al canonico come il figliuolo si chiamasse. Tommaso, disse, ma che era muto, ed
in quell'età non ancora aveva profferito parola. Se ne afflisse Monsignore; ed
avendo segnato il figliuolo nella fronte, prende un'immagine della Madonna
della Potenza, avendone un fascicolo a fianco del letto, e dandocela a baciare,
li domanda come quella si chiamasse. Il Figliolo la bacia, e con lingua spedita
risponde, la Madonna. Da quel punto non ebbe più nella lingua veruno
impedimento, articolò perfettamente ogni parola, e chiese quello li bisognava.
Volendo Monsignore
occultar la grazia, non è vero, disse
al canonico, - 131 -
ch' è muto: ha bensì una lingua bovina, ma questa a poco a poco si và a sciogliere.
Fu troppo patente questo miracolo in Santagata; e maggiormente si fece da
tutti un'alta idea della santità di Monsignore.
Vedendosi scabrosa la convalescenza,
e dubitandosi da Medici, che sopravvenendo l'Autunno, e non essendosi
ristabilito, avrebbe potuto in tutto l'inverno passarla male, consigliarono
l'aria di Nocera, sperimentata per esso molto più salubre. Questo fu un tuono,
che spaventò Monsignore. Come posso io,
disse, star fuori di residenza:
mettiamoci in mano a Dio, che Dio provvederà. Ritrovandosi in S. Agata il
P. Villani, fu animato da tutti a volerlo obbligare. Così si fece, e così
Alfonso s'indusse a portarsi in Nocera.
Convalescente non
mancava, come uno de' Nostri ai soliti atti della comunità, né desisteva al
solito dalle sue applicazioni letterarie. Momento di sollievo non vi fu per
esso.
Pregato un giorno a
voler toccare il cembalo dal sacerdote D. Giuseppe Messina suo confidente, che
si ha da dire, rispose, che Monsignore in vece di pensare alla Diocesi, se la
divertisce col suono. La mia applicazione si è, ed è chiunque è Vescovo, il dar
udienza a tutti, orazione e studio, non già il cembalo. Ciocchè produsse
qualche rileviamento furono le visite continuate di Ecclesiastici, e
gentiluomini, chi per consiglio, e chi per godere di sua conversazione.
Spesso dalla Cava era
da lui Monsignor Borgia, e più spesso era a trattenervisi Monsignor Volpe
Vescovo di Nocera; cosicché rubar doveva il tempo, per applicarsi alle opere,
che aveva per le mani. Similmente ogni sabato non mancava sermocinare al popolo
nella nostra Chiesa in onore di Maria Santissima; e di volta in volta era anche
chiamato per sermoni familiari ne' monasterj delle Monache.
Qualche particolarità
nel vitto se li usava dal rettore, non come Vescovo, ma come infermiccio.
Questo faceva il martirio di Monsignore. Avrebbe voluto non altrimenti esser
trattato, che uno de' nostri; ed ogn'ombra di distinzione eragli pena, ed affanno.
Iddio però volendo assecondare i suoi desiderj, permise cosa, che stentasi a
credere. Mangiava Monsignore in una stanza soprana. Non facendo uso del vino,
chiede acqua per bere.
Un Fratello Laico
vedendo un vase, ch'era pieno d'acqua, ce lo presenta. Monsignore beve, e non
si dà per inteso. Collo smuoversi del vase, il P. Apicella, che stava
assistendolo, sente un cattivo odore: guarda, e vede ch'era un'acqua corrotta,
in dove giorni addietro, come poi si seppe, ci erano stati riposti varj fiori. Non
si risente Monsignore col Fratello, né disse veruna parola.
Celebrando nella
Cappella domestica di Maria Addolorata, al cominciar del salmo Judica me Deus, avendo fissato gli
occhi in faccia alla Statua, si vide interrompere, e non proseguire. Il P. Siviglia
che servivalo, credendolo dimenticato, e non sapendo il mistero suggeriva - 131 -
il versetto. Non
sentendolo ripigliare, cel suggerisce la seconda, e terza volta; ma alzando la
testa, vide Monsignore elevato in estasi e così starsene per un pezzo, ancorché
replicatamente lo scotesse, e li stirasse il camice.
Anche di lontano avea
presente Alfonso i bisogni della Diocesi. A momento, pe dir così, esser voleva
informato di tutto. Corrieri spedivansi da Nocera, e corrieri venivano dal
Vicario, da Parrochi, e da Vicarj Foranei di varj luoghi. Anche tanti Secolari
Diocesani facevano capo da lui. Ci fu giorno, che giunsero a venire sino ad
otto corrieri. A tutti dava provvidenza Alfonso; e come una cosa maturava, così
l'altra era spuntata.
Un giorno essendo a
visitarlo Monsignor Volpe, e trovandolo soprapensiere, "Che c'è, li disse,
vi vedo in angustia". "Lo sono, rispose Alfonso, perchè sono Vescovo.
Ho dato lo sfratto ad una donnaccia, che non voleva finirla, ed ora sento, che
di nuovo è ritornata tutta fiocchi, e fettuccie". Fu tale quest'angustia,
che non badando a se, accelerò il ritorno, per riparare in S. Agata un tale
scandalo.
Circa un mese stiede in
Nocera. Avendolo pregato Monsignor Volpe a trattenervisi qualche altro gliorno,
Monsignor mio, li disse, uxorem duxi. Dio vuole, che io sia in S.
Agata, e non in Nocera. Insistendo il Volpe, non posso, non posso, ridisse Alfonso; e ripetettelo quasi mezzo
alterato, non posso, perché sto pieno di
scrupoli sino alle ciglia, e più non ce ne capono. Di fatti partì per S.
Agata; né prevalesero per trattenerlo le preghiere de' nostri, e degli amici.
Consigliato da Medici,
avendola passata male l'inverno antecedeute in S. Agata con catarri, ed affanni
di petto, ritirossi in Arienzo, comecché in clima più salubre. Troppo male
l'intesero i Santagatesi questa sua lontananza. Quest'istesso affliggeva
Alfonso, e molto più, che da Medici volevasi, che a lungo vi si fosse fermato.
"A S. Agata dispiace assai, così Egli al
P. Villani a 25 di Giugno; che io nell'inverno futuro stia in Arienzo, ed a me
anche dispiace, perchè ivi sta la Cattedrale, la Curia, e quello che più
importa, il seminario. All'incontro nelli due inverni passati ci sono stato
male; onde mi hanno consigliato a stare in Arienzo in una casa a S. Maria a
Vico, in dove l'aria non è così umida, come quella di S. Agata. L'angustia mia
maggiore è che lasciando S. Agata per tanti mesi, ch'è un paese infetto,
s'infetterà molto più con tale mia lunga assenza. Voglio il consiglio di V. R.
per rimaner sicuro".
Tanto il P. Villani,
quanto Monsignor Borgia, Monsignor Volpe ed altri, che anche consultò, furono
tutti di parere, che si levasse da scrupolo, e che persistesse in Arienzo.
Ripigliate le forze
uscì in Visita. Considerando il P. Villani i suoi gravi acciacchi, l'età, e le
replicate malatie, non volle, che più in fosse di quel letto, che la buona
sorte li preparava. Ubbidì Alfonso, ma con suo sommo rincrescimento. In senso
suo, perchè esente da febbre, credeva aver salute da vendere.
Da S. Agata a 25 di
Settembre, così scrisse al P. Villani. "Per grazia del Signore, io mi sono
totalmente ristabilito, e Domenica passo in Arienzo. Non tanto si vide in
salute (dico in salute, ma relativa a suoi acciacchi), che ripigliò la
crocefissione di se medesimo. In questo bensì ammirar dobbiamo la sua
scrupolosità, con cui anche da Vescovo dipendeva dal suo direttore.
"Io non dormiva
più sopra la paglia, così a 28 Ottobre al medesimo P. Villani, ma coll'uso del
latte mi sento meglio assai: se vi piace, vorrei ripigliar la paglia.
Similmente è stato necessario chiudermi un emissario, essendo restato l'altro.
Ho cominciato a portare la catenetta a quella parte d'onde s'è tolto
l'emissario: vi prego darmici la benedizione".
Ed in un'altra lettera.
Io prima la mattina prendeva solamente il bollito, lasciando l'antipasto.
Essendomi ridotto a mangiare una volta il giorno, mi consigliai col Padre
Majone, e mi disse, che prendessi la seconda pietanza. Dimando, in caso che il
bollito mi potesse bastare, e fosse tenera la carne, perché molte volte è dura,
e non posso usare molto pane, perché mi nuoce, nel caso dico, che la carne
fosse tenera, e bastante, dimando a V. R. come mio principale direttore, di
lasciare l'antipasto, se li piace, se no farò l'ubbidienza.
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