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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap. 28 Dottrina, e costume ricercato da Alfonso ne' giovani Ordinandi, e sua condotta co' novelli Sacerdoti.
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Cap. 28

Dottrina, e costume ricercato da Alfonso ne' giovani Ordinandi, e sua condotta co' novelli Sacerdoti.

 


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Se facevan peso ad Alfonso tutte le cose del Vescovado, per l'imposizione delle mani agonizzava, e sudava sangue. Voleva negli Ordinandi dottrina, e costume. Aprendosi l'esame, la dottrina sta per voi, diceva agli Esaminatori, ed il costume sta per me; ma in realtà era tutto suo, dottrina e costume. Avendo disposto nella quinta Notificazione sopra di che i giovani dovevansi esaminare, non era in libertà degli Esaminatori far loro arbitrio, se volevano.

 

Ricevendosi la prima tonsura, voleva conto della dottrina Cristiana, e quasi fossero, per potersi orare con profitto, le parti della meditazione. Saper dovevano i Minoristi la materia, e la forma dell'Ordine, tutto ciò che s'appartiene a' Sacramenti, cioè materia, forma, ricezione, ed amministrazione: ed istrutti esser dovevano secondo l'età nelle cose grammaticali della lingua latina.

Non ammettevansi al Suddiaconato, se oltre quello appartiensi all'ordine, non possedevansi i trattati del Giuramento, del Voto, delle Ore Canoniche, e delle Censure.

 Esigeva nel Diaconato i trattati della Coscienza, delle Leggi, degli Atti Umani, e de' peccati. Così voleva conto delle Virtù Teologali, della Carità verso il prossimo, della Religione, e de' vizj opposti, come la Superstizione, il Sacrilegio, la Tentazione di Dio, e la Simonia spettanti al primo precetto, e quello della Bestemmia attinente al secondo.

Ascendendosi al Sacerdozio, oltre di quello si appartiene a questo sacro Ordine, e ripetersi l'antecedente, sminuzzar doveansi i trattati dell'Eucaristia, del Sacrifizio della Messa, della Penitenza, dell'estrema Unzione, e del matrimonio, con quanto si appartiene ai precetti del Decalogo, e di S. Chiesa.

 

Si prevenne Monsignore, avendo così disposto, un'objezione,


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come se esiger volesse maggiore scienza di quello esige il Concilio di Trento. Egli però si fa forte col medesimo Concilio, che parlando del Presbiterato vuole, che ad docendum populum, ad ministranda sacramenta, gli ordinandi, diligenti esamine, idonei comprobentura

Chiama in ajuto anche la Bolla d'Innocenzo IIIb; e si spalleggia coll'altra di papa Benedetto XIV. Episcopos, così questi si spiega, in Domino hortamur, ut quantum fieri potest, cos tantum ad Sacerdotium assumunt, qui saltem Theologia Moralis competenter periti sunt. Con questo si diede a pensare ognuno a casi suoi. In certe circosatnze bensì vedevasi in Alfonso una certa equità, facendosi carico, non dell'ordinando, ma di qualche villaggio, ove a miracolo eravi un prete.

 

Nell'esame presedeva di persona, ed intervenir vi faceva tutti gli Esaminatori. Voleva presente gli altri Ordinandi, sì per renderli istruiti, che per far vedere non esserci eccezione. Non eravi in lui aria, contegno. Anche i Chierici voleva che sedessero; ed era così dolce la condotta che animava, e non disanimava chiunque. Per lo più aveva anch'esso il piacere in far le dimande, ma facevale con tal chiarezza, che dalla proposta venivasi in cognizione della risposta. Riprovando taluno, non scemavali la confidenza: non vi erano disprezzi, e rimproveri; anzi animavalo a studiare, compromettendosi in seguito di consolarlo.

Avendoli detto il Decano Daddio, che almeno si fosse fatta coi Chierici la formalità di farli spiegare all'impiede, Io sono padre, disse Alfonso: e voi vi siete dimenticato cosa vuol dire esser esaminato. Siccome un Padre tratta familiarmente i figli, così egli trattava qualunque Ordinando. Avea il mele nella bocca, ed il rasojo nelle mani.

 

Riammesso all'esame un Diacono, altre volte riprovato, ancorché degli Esaminatori cercasse agevolarlo quanto più poteva, non gli riuscì. "Figlio mio non ho che vi fare, disse Alfonso, studiate, e studiate con impegno, che non mancherò ordinarvi. D. Cesare (era questi l'Esaminatore) ve l'ha imboccato col cocchiarello. Cosa volete che vi faccia?" Costui era nipote di un Parroco, e facevane Monsignore tutta la stima. Essendoseli questi presentato, spiegava, senza parlare, la sua afflizione. "Perdonate, li disse, vostro nipote ha afflitto anche me: perdonate per amor di Dio, che la coscienza non mel detta. Dimandate al canonico Michella la carità, che se l'è usata". Non fu Sacerdote, se a rigore non possedette tutti li trattati Morali.

 

Un costumato giovane, ma applicato, sorpreso da dolori di petto, scorso non aveva il trattato de Censuris. Presentandosi per il Sacerdozio, ci ritrovò nell'intoppo. Gli editti si fanno, disse Monsignore,


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perché si osservino, non perché impiastrino la Sacrestia. Assicurandolo il Parroco D. Pasquale Bartolini, che perché suo discepolo, non avrebbe mancato al di più, l'approvò, avendolo trovato pienamente istruito negli altri trattati.

 

Tra tutti gli ordini però l'esame del Suddiaconato era lo più scabroso, così per li giovani, che per Monsignore istesso. Se dico A, diceva, per necessità devo dir B. Attesta un Parroco, che cinque ore tenuto alla corda, esaminandosi pel Suddiaconato. Volle stretto conto di tutti i trattati, cioè degli Atti Umani, della Coscienza, delle Leggi, de' Peccati, del Voto, e Giuramento, e della Restituzione. Confessa, che a grazia approvato; ed essendo passata un'ora dopo mezzo giorno, anche il Vicario si vide infastidito.

 

Non davasi il caso, che per l'esame rimetter si volesse al Vicario, o ad altri. Anche i Seminaristi, benché conosciuti da lui in varj esami fatti in Seminario esso presente, passando dovendo agli Ordini, soggettati li voleva a nuovo esame.
Mi attestano il P. M. Caputo, che n'era Rettore, ed altri, che con questi, per maggiormente invogliarli allo studio, più rigoroso era l'esame. Siccome consolavasi, e magnificava il talento di chi rendevasi singolare, così alla presenza di tutti umiliava i poltroni. Incaricava agli Esaminatori, che coi Chierici del Seminario proceduto si fosse con maggior rigore.

Trovandosi scarso taluno, e volendosi abilitare dagli Esaminatori colla fiducia, che il profitto non fatto, supplir potevalo trattenendosi in Seminario. Monsignore non ammetteva questa speranza. Io voglio, diceva, il fatto, e non il faciendo, avendo luogo nella mia grammatica il tempo preterito, e non il futuro. Così umiliando il Candidato, spronava tutti a maggiormento profittare.

 

Alessandro Lettieri, giovane di gran riuscita, avendo fatto in Napoli, vivendo Monsignor Danza, il corso de' studj, tenuto aveva conclusione dogmatica nella Chiesa di S. Caterina a Formello. Presentandosi per esser promosso al Sacerdozio, ed affacciando per requisito la conclusione tenuta in Napoli, non intendeva esporsi all'esame. "In Napoli, disse Alfonso, furono tutti spettatori, ma non Esaminatori; e qui per esser ordinato dovete esaminarvi".

 

Con pubblico editto si spiegò sin da che giunse in Diocesi, e lo confirmò col fatto, che niuno avesse preso impegno, così per gli Ordini, come per qualunque beneficio, e che tanto era impegnare taluno, quanto rotondamente essere escluso, e rendersi indegno. I soli meriti proprj dell'Ordinando erano gl'impegni che prevalevano, ed i contesti di persone probe, e moriggerate. Se questi mancavano, era disperato il caso.

Avendo ritrovato in Ariola un Diacono, dotto bensì, ma non sodisfatto Monsignore del suo costume, qualunque persona si fosse interposta,


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l'escluse dal Sacerdozio. Essendosi vestito di lungo, frequentando la Congregazione de' Missionarj ivi già stabilita, ed i Sacramenti, e non trattando che con persone oneste, l'ammise, senza impegno di veruno, all'ordine, dopo già scorsi tre anni, avendone avuto reiterate informazioni da varj ottimi Sacerdoti.

 

Ammiravasi in lui, come dissi, somma dolcezza, e somma fortezza. Avendo ritrovato ignorante nel suo arrivo in Diocesi un Chierico Beneficiato, qualunque mediazione vi si fosse frapposta di persone autorevoli, neppure l'ammise agli ordini. Con un non posso in coscienza, laconicamente disbrigossi con tutti.

 

Ritrovandosi all'esame di un Ordinando di Durazzano D. Pasquale dell'Acqua, e forse eravi appostatamente andato, perchè suo dipendente, essendosi fatte poche dimande da Monsignore, e dagli Esaminatori, troncando l'esame D. Pasquale, disse: "viamò Monsignore, l'abbiamo per approvato; e Monsignore: "quando voi sarete Vescovo, allora farete come vi piace: spetta a me, e ci va la coscienza mia per sotto.

 

Entrò nell'impegno un Gentiluomo veder ordinato un suo raccomandato, che Monsignore non sel sognava. Cercava persuaderlo con mille motivi, e ragioni. Perorò questi circa un'ora, e Monsignore, con una pazienza invitta, lo stiede ascoltando.
Vedendo esausta la materia, quando credeva il Gentiluomo averlo capacitato, Monsignore placidamente ripigliò: avete altro che dire? e rispostogli, che bastantemente avevalo tediato: così è, con un sorriso, disse Monsignore; ma figuratevi d'aver parlato ad un morto. Cosa volete dire con questo, disse il Gentiluomo; e Monsignore: un morto vi può dar risposta intorno a questo? così anch'io non posso rispondervi. Alfonso aveva cose in contrario per il costume, e sbrigossi così, per non offendere il Chierico.

 

Anche il Principe della Riccia si provò per veder Suddiacono un suo vassallo, già riprovato nell'ordinazione antecedente. Troppo tenuto eragli Alfonso, perchè troppo favorivalo, e coadjuvavalo. Signor Principe prego perdonarmi, li scrisse, se non posso compiacervi, perchè in coscienza non posso. Questi mettono impegni, con discapito dell'anima mia, ma io non sono Vescovo, per andar all'inferno.
Edificato, e non offeso il Principe li rescrisse.

"La lettera scrittami da V. S. Illustrissima, e Reverendissima, in risposta delle suppliche, che li diedi per l'ordinazione di N. mio Vassallo, mi ha consolato, vedendo la sua fortezza, che può dirsi apostolica; e nell'atto che l'assicuro, essermi riuscita di molta edificazione la negativa, le prometto non più angustiar la delicatezza di sua coscienza, e pregarlo in cose simili. Prego V. S. Illustrissima, e Reverendissima tenermi presente nelle sue preghiere, e col desiderio di molti suoi comandi costantemente mi raffermo".


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Similmente gli Ordinandi rimessi colle dimissorie de' proprj Vescovi non ammettevali all'Ordinazione, se non assicuravasi de' talenti. Un giovane mandato da Monsignor Filomarino Vescovo di Caserta, non l'ammise senza averlo prima esaminato. Corrivato quel Vescovo, ed avendo egli rimesso, essendo impotente, uno de' suoi, anche questi volle esaminarlo. L'ebbero a male i Santagatesi; ma non se ne offese Alfonso: Se l'ha fatto, disse, ha fatto la sua obbligazione.

 

Per lo stesso cerchio anche passar dovevano i Regolari, ancorché con dimissorie de' proprj Provinciali. Volendo far loro cosa grata, chiamava due Padri del medesimo ordine, e facevali esaminare in sua presenza. Mancando i rispettivi Conventi, facevalo di persona unito col Vicario, o con altro Canonico.

Tenendo l'ordinazione in S. Maria a Vico, in atto, che calava per tenere i Ponteficali, se li disse, dal Mastro di Cerimonie, che anche vi era un giovane Carmelitano. Tutto va bene, rispose Monsignore, ma bisogna che si esamini. Fattosi chiamare il giovane, li disse, doversi esaminare. Rispondendo esser stato esaminato dal suo Provinciale, "Son persuaso, li disse Monsignore, ma tocca a me imporvi le mani, e non al Provinciale".


Costante egli in esiger l'esame, e più costante il giovane nel non volergli esporre, si spoglia del camice, e va via.

 

Erasi perduta nella sua Curia la stampa per le Lettere Dimissoriali, per chi esposto non si fosse all'esame, ed egli informato del costume. Avendo osservato in Frascio il P. Spinelli Gesuita, fratello di quel Principe, un giovanetto di talento, figlio di un povero artista, portandolo seco in Napoli, abilitollo ne' studj delle proprie scuole. Succeduta l'espulsione, restò abbandonato questo giovane. Il Consiglier Spinelli, compassionandolo, e facendo presente al Re il di lui stato, ottenne, per poterli ordinare, una Cappellania di docati 72. Avendo scritto ad Alfonso per la dimissoria, n'ebbe la negativa; ed in tutti gli ordini, che dovè prendere, presentar si dovette all'esame; ne ordinato, e non precedente informo per il costume.

 

Non sta qui tutto il forte per gli Ordinandi. Volendoli dotti, e costumati, stabilì per potersi comodamente informare della condotta di ognuno, che presentar se gli dovessero i memoriali molto prima dell'Ordinazione, e tutti nel medesimo tempo. Per quella di Natale presentar dovevansi nella prima settimana di Novembre; per Cineres, la settimana antecedente alla Settuagesima; per Pentecoste, la settimana in Albis; e per quella di Settembre, nella prima settimana di Agosto.

sentire nella medesima Notificazione, come di fatti l'osservava, che non presentandosi a tempo i memoriali; non erano più ammessi. Non retrovando, tra questi intervalli, cose in contrario nel suo librettino di memoria, informavasi ancora secretamente, non che da' Sacerdoti moriggerati,


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ma da' Secolari cordati, e prudenti. Anche talvolta da' compagni de' rispettivi giovanetti, e bastava ogn'ombra per esser esclusi.

 

Insisteva, ed incaricava la coscienza de' Parrochi, per non esser tradito. Per la dottrina mel vedo io, ei diceva, soggettando ognuno a replicati esami, ma pel costume vel vedete voi, diceva a' Parrochi. Non contestandosi del semplice attestato, voleva fede giurata dai medesimi. Gli attiestati de' Parrochi, diceva, sono carte strappate dal rispetto umano.

Voleva attestato con giuramento, non aver mancato l'Ordinando, in tutte le Domeniche, e Feste di precetto, di assistere in Chiesa; aver insegnata la dottrina, ed esser andato in giro raccogliendo i figliuoli; essersi confessato, e comunicato almeno ogni quindeci giorni: che ogni mattina ne' giorni feriali avevasi intesa la Messa, e di sera esser stato alla Visita del Sacramento.

Così non essersi veduto senza sottana, non aver mai giuocato alle carte, e non essersi portato a qualunque caccia. Tutto questo precedeva l'esame: vale a dire, che ammessovi, aveasi per saltato il fosso del costume.

 

Avean molto che fare, per questo medesimo motivo i giovanetti, che facevano in Napoli il corso de' studj. Informo non vi era per questi, che appagasse Alfonso. Saper voleva sotto di chi studiavano; se erano assidui alle scuole; con chi praticavano; e se lontani lo erano da' giuochi, e da' teatri. Sopratutto saper voleva la frequenza de' Sacramenti, e se nel Vescovado assistito avevano ogni Domenica alla Congregazione de' Chierici forestieri. Prendeva tempo a risolvere, e non mancava fare in Napoli, per mezzo di persone amiche, le più esatte diligenze. Povero lui, se di taluno ricevuto avesse un masticato informo.

 

Essendosi presentato per la prima Tonsura, ed Ordini Minori il giovanetto D. Pasquale Bartolini, di poi degnissimo Parroco in Airola, Voi sapete, li disse, che io non ordino alcuno, che non sia nel mio Seminario, o che stia fuori senza mio permesso.
Avendo detto, che erano circa nove anni, che trattenevasi in Napoli, che fatto aveva il corso Filosofico, e che in atto studiava Teologia, Monsignore sentendo un tale apparato, non dico questo, disse, per escludervi, ma vediamoci da qui a quindeci giorni. Prendeva tempo, per informarsi. Licenziandosi il Bartolini, e portandoli i saluti del Missionario D. Gaetano di Geronimo, e del servo di Dio D. Paolo di Majo, arrestandosi Monsignore "conosci, li disse, D. Gaetano? sì, rispose, e mi confesso dal suo fratello D. Ignazio.

Respirò Alfonso: quand'è questo disse fatemi scrivere da D. Ignazio". Con questo attestato fu ammesso all'Ordinazione.

 

Se non eravi pietà per la dottrinamediazione, maggiormente non vi era per il costume. Un giovanetto novizio, quantunque


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esemplare, non fu ammesso agli Ordini Minori, perché talvolta trattava con un Sacerdote mal costumato. Pietà non vi fu per un Chierico Seminarista se più volte, perché meno studioso, e poco costumato, fu escluso dall'Ordinazione. Disperato vedendosi di esser aggraziato, depose da se l'abito Clericale, e licenziossi dal Seminario.

Un Diacono essendosi fatto lecito andar girando una notte con alcuni cantatori, e dilettarsi anch'esso, li arrestò il Sacerdozio. Pianse, ed inutilmente s'interposero anche personaggi di riguardo. Diacono morì, e non vi fu riparo. Cose gravi non ho, diceva Monsignore, ma mi fa peso l'andar caminando, e divertirsi di notte.

 

Un Chierico Minorista per anni, ed anni fu attrassato pel Suddiaconato, essendo amante del vino. Ancorché se li dicesse essersi sposato coll'acqua, e fatto divorzio col vino, non si arrese Monsignore. Non volendolo nel proprio Seminario, ed essendosi situato in altro, benché accertato da quel Rettore circa il costume, neppure si smosse. Volendo esser certo dell'emenda, lo volle in quello di S. Agata; ne si risolvette ad ordinarlo, se nol vide confirmato nel costume, e nell'astinenza dal vino.

 

Speranza di vedersi prete taluno non vi era, ove subodorato avesse anche l'ombra dell'impurità. Non solo escluso si vedeva dall'ordinazione, ma privavalo anche dell'abito. Pietà non vi per quei tre giovanetti, che uniti, come dissi, discacciò di Seminario. Uno l'ammise, ma dopo molti anni, al Suddiaconato, con essere accertato pel costume dal parroco, e da altri probi ecclesiastici.

Avendo saputo altr'ombra di leggerezza, alzò mano al Diaconato. Confuso, non sperando più grazia, fecesi soldato della Guardia Italiana. Questo passo pose in angustia Monsignore. Odiava il vizio, ma non la persona. Questa pecora, disse, è perduta, se non si soccorre. Avendo fatto capo dal Generale di Sangro, riscattollo col suo, e con limosine mendicate dalle Cappelle. In Napoli fecelo vestire nella Giudea con abiti ecclesiastici. Per un pezzo fecelo trattenere nel proprio palazzo in S. Agata, stando egli in Arienzo, e fecelo alimentare dal Canonico Jermieri. Volendo farlo vivere, assegnolli grana cinque il giorno, e situollo Sacristano nella Cattedrale, ne si parlò mai di Ordinazione.

 

Due afflizioni sperimentò Alfonso in rapporto all'Ordinazione, e tutte e due funeste. Giungendo in S. Agata, ritrovò in Seminario un disgraziato Diacono, tanto singolare nel talento, che scioglieva qualunque difficoltà in Filosofia, e Teologia. Avendo inteso, che era dato al vino, non vino, non vi fu caso che l'ammettesse al Sacerdozio. Persone di riguardo, essendosi interposte: "Non me ne parlate, rispose, se non mi volete dare un grande disgusto". Essendosi interposto a capo di molti anni il Parroco, ed altri del Capitolo, fu anche duro per molto tempo.


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Convinto dai tanti motivi di emenda, Io, disse, l'ordinerò Sacerdote, ma poco goderà del Sacerdozio: caderà nel medesimo vizio, e farà una morte disgraziata. Ordinato Sacerdote, perché di talento, Alfonso fecelo anche uscire nelle missioncine de' Casali, unito coi Preti da esso addestrati.


Molto tempo non passò, che ritornato si vide al vino. Compiangendo Alfonso, e chiamandolo innanzi al proprio Parroco, con maggior enfasi li ripetè un giorno: non vuoi lasciar il vino, povero di te! il vino farà il tuo destino. Quanto disse, tanto si avverò. A capo di un anno si buttò da se, stando ubbriaco, in una cisterna, ove vi lasciò disgraziatamente la vita.

 

Per più anni ammesso non aveva al Sacerdozio un altro Diacono. Cosa di positivo scandalo non vi era, ma Monsignore non sentivasela vederlo sull'Altare. Persona Ecclesiastica, ma di merito, prese a petto in espugnare la sua costanza. Più volte in varie occasioni li fe presente la frequenza de' Sacramenti, la di lui ritiratezza, ed il vivere costantemente esemplare. Pregossi Monsignore; ma non tanto ordinato, che, con scandalo della Diocesi, diedesi in reprobo senso.
Rinfacciando Alfonso all'Ecclesiastico il troppo impegno dimostrato, rispose, che era povero. Come, li disse, ma tutto acceso di zelo, perchè povero, voi tradite me, e Gesù Cristo? Si dovè venire alla cattura, riuscito inutile ogni rimedio rifonder ci dovette, per averlo nelle mani, ducati sei a sei Birri; mascassate le Carceri, e postosi in fuga, non vidde più la Diocesi.

 

All'infuori del costume e la dottrina, altro non restava che la sussistenza del Patrimonio. Questo, come ogni altro requisito era ricercato da Monsignore. "Mancando il Patrimonio, diceva, o il Prete deve andare a zappare, o si ha da dare a cattive azioni".

Non ammetteva patrimonj caritativi, e quasi a pompa. "Queste non sono opere di carità, diceva, ma vere discarità. Chi è quello che, essendo in bisogno, voglia chieder i frutti, sapendo, che realmente non li furono donati". Voleva liberi da' pesi ducati cinquecento. Esaminava gli stabili, e la rendita, e non essendo specchiato il frutto di ducati 24, non ammetteva il Patrimonio. Oltre di ciò, non voleva lesa la legittima degli altri figli. Saldati questi tre punti. Patrimonio, Dottrina, e Costume, tutto era prospero per chi dovevasi ordinare.

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Posizione Originale Nota - Libro 3, cap. 23, pag. 139




a Sess. 23. Cap. 14. de Refor.



b postolici Ministerii






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