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Cap.29
Si rilevano altre particolarità di Alfonso nel
conferire gli Ordini, ed altre doti ricercate ne' novelli Sacerdoti.
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Anche vi è cosa di più
per li Giovanetti incaminati, o ascesi al Sacerdozio. Non era Alfonso per
l'Ordinazione né propenso, ne ritenuto. - 146 -
Non era di quei, che amano
farsi de' sudditi, o che per sistema non volessero ordinar veruno. Egli
ammetteva tutti. Non è di nostra
ispezione, diceva, il chiamare, o
escludere taluni da questo stato. Iddio è quello che chiama, e chiama in ogni
tempo. Godeva, volersi i giovanetti consacrare all'Altare: costumati,
ammetteva ognuno: non costumati, escludeva chiunque. Questo era il suo sistema.
Ritenuto era Alfonso
circa gl'Interstizj, anzi scrupolosissimo. Non dispensavaci, se evidentemente
non vi conosceva utilità, e bisogno della Chiesa. Avendolo pregato il Paroco D.
Pasquale Diodato per la dispensa ad un giovanetto costumato e dotto, scusossi
che non vi conosceva tal necessità. Soggiungendo il Paroco, che anche
l'Arciprete, perché esemplare volevalo per suo economo. "Sì, è vero, disse
Alfonso, ma l'Arciprete lo vuole, non perché tale, ma perché vi fa il suo
utile, risparmiando la spesa in altri, e perciò temporeggia in mettersi il
sostituto: ma non è causa questa, né io posio in coscienza; la necessità è
dell'Arciprete, non della Chiesa".
Non aveva tassativa,
come taluni per la collazione degli Ordini Minori, dandoli ad uno ad uno.
Regolavasi, ed aggraziava i Giovanetti secondo l'età, il costume, ed il sapere.
Essendoseli presentato per gli Ordini Minori il giovinetto D. Donato Truppi, di
presente degnissimo Decano in S. Agata, ed essendone rimasto sodisfatto, senza
esserne pregato, ordinò al Cancelliere, che distesa avesse la grazia per tutti
e quattro gli Ordini Minori. Essendosi questi opposto, volendo moltiplicare gli
atti, Alfonso, non occorre li disse: voglio che per tutti e quattro, ed anche
merita più di questo.
Amico non era
Monsignore di dispense per l'età, come da tanti con faciltà si accorda. Certi fervori, che si asseriscono in taluni,
non sono effetti, ei diceva, che di
avarizia, per quel benedetto carlino, ed in altri per quel dominantes in
Clero, e per fare il papotto in casa
propria. Non era per accordarla, se non vi conosceva un evidente bisogno
della Chiesa, e molto più un particolar costume.
Meno scrupoloso non era
circa gli esercizj. "Questo mezzo, diceva, è l'unico per far conoscere ai
giovani i proprj doveri". Non permetteva, che fatti si fossero in case
Religiose meno osservanti. Se non vi è
spirito di orazione per essi, ripeteva,
come vogliono pretenderlo per gli altri. Si ridurrebbero gli Esercizj a
starsene chiusi, e divertirsi alle carte di mattina, e di sera.
Impreteribilmente voleva, che portati si fossero i suoi Ordinandi, o nelle Case
di nostra Congregazione, o in Napoli in quella di S. Vincenzo de Paoli.
Scansava bensì quanto poteva Napoli, temendo qualche inciampo, che primo, o
dopo vi poteva essere, e godeva in S. Angelo a Cupolo, perché casa solitaria,
ed esente da occasioni peccaminose.
Avendolo pregato un
Diacono, volerlo mandar - 147 -
in
Napoli, e non in S. Angelo, perché luogo rigido, "A buon conto, li disse,
volete andare a spasso"; e soggiungendo questi, che poteva designarli
in Diocesi un qualche Monistero, "Sì,
disse, per andare a farvi un
tresette". In S. Angelo dovette portarsi, e non vi fu riparo.
Avendo riguardo alla
povertà delle famiglie, voleva, che per lo meno i Minoristi li avessero fatti
una volta per informarsi, e comprender prima del Suddiaconato cosa fosse lo
stato Ecclesiastico, e quali le proprie obbligazioni. Era così impegnato per
gli esercizj, che conoscendo taluno realmente povero, somministrava egli un
tanto per li cibarj.
Un Chierico di Bucciano
cercava con varj pretesti esentarsene. "Ditemi la verità, li disse
Alfonso, perché non volete andarvi. Candidamente rispose, che perché povero
rincresceva al Padre la spesa de' cibarj.
Andate, li disse, che somministro io
quanto bisogna. Così uno ad uno, ma a tanti sodisfece esso alle nostre case
li carlini venti, che dovevansi per il vitto. E' comune l'assertiva, che quanti
erano poveretti, tutti andavano a conto di Monsignore.
Soleva Alfonso la
mattina dell'Ordinazione, prima di venirsi all'atto, radunare i giovanetti
nella Cappella, e far loro un sermone sopra l'eminenza dello stato, e
l'obbligo, che porta di viversi santamente. Così nella Messa, per animarli a
ricevere con fervore la santa comunione, solito era farvi un fervorino, ma così
pieno di unzione, che attirava le lagrime degli astanti, non che dei giovani
Ordinandi.
Premeva ad Alfonso,
vedendo il bisogno della Diocesi, avere i novelli Sacerdoti non solo costumati,
e dotti, ma che di fatti impiegati si fossero in ajuto delle anime, e promossa
da ognuno nel proprio paese la gloria di Gesù - Cristo. "Io quando
esamino, così spiegavasi cogli Esaminatori, non voglio approvati gli Ordinandi
per la sola Messa, che Messe non ce ne mancano, ma li voglio operarj, utili
alla Chiesa, ed allo Stato. Voglio, che siano capaci, ordinati che sono, per
ascoltar le confessioni, e servirmene, se bisogna, non solo per le parocchie, ma
anche alle Monache; e voglio, che sieno idonei per avvalermene in ajuto delle
Missioni, e per tutti i bisogni, che ho in Diocesi".
Col Sacerdozio, dava
per ordinario anche la facoltà per la Confessione degli uomini. Egli medesimo
istruivali circa la maniera, regolandoli pratticamente come portarsi cogli
abituati, recidivi, ed occasionarj. Vedendo taluno di questi novelli Sacerdoti,
che prometteva, e dava buona speranza di se, facendoci capitale, ove poteva,
non lasciava sorrogarlo per Sostituto, nella mancanza di qualche vecchio nelle
Parrocchie.
Stimando capaci due
diaconi per il Sacerdozio, ed anche per la Confessione, perché poveri, e
mancanti di età, ottenne loro, anche a sue spese, la dispensa. Bastava aver
costume, e talento, per esser una gioja incastrata nel cuore di Monsignor
Liguori.
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Avendo ordinato
Sacerdote D. Alessandro Capobianco, l'impose, che apparecchiato si fosse per la
Confessione. Ripugnò questi farla da Confessore, essendo per allora uscito di
Seminario. "Essendo così, li disse Monsignore, non direte Messa, se prima
non venite all'esame; se dite Messa non ci verrete più, lascerete i libri, e
perderete quanto in Seminario avete fatto". Non vi fu caso. Il Mercoledì
dopo l'ordinazione l'istruì, e fecelo Confessore. Essendosi ordinato Suddiacono
un giovane, partendo per Napoli, ove attendeva per gli studj, li disse, che
presto si fosse ritirato, perché pensava farlo Sacerdote, e Confessore.
"Monsignor mio, rispose il giovane, non ho impegno di esser
Confessore". "Non avete impegno, ripigliò tutto fuoco Alfonso? dunque
perché vi fate Sacerdote? se voi non avete voglia ajutar le anime, a me è
passata di darvi il Sacerdozio".
Volevali tutti
Confessori, ma scorgendo taluno che voleva l'onore, e non i fatti, esentandosi
dall'impiego, sospendevali l'autorità.
Era da più d'uno
criticato Alfonso per questo suo fare. Uno di questi era stato Monsignor
Pozzuoli, essendo in minoribus. Non
parlava così da Vescovo. Aveva per massima Alfonso, e vedevasi in pratica, che
se da prima non si accolla questo gioco, rincresce in appresso. Fattosi carico
Monsignor Pozzuoli dei giusti motivi, e vedendoli in pratica, anch'esso,
succeduto Vescovo in Santagata, col Sacerdozio dava la facoltà per confessare.
Obligati così anche per rispetto umano diceva Alfonso, rendonsi di
edificazione, s'impegnano e concorrendoci la Grazia, addivengono ottimi
operarj.
Non abilitava alcuno
per la prima Messa, se non era certo, che sapeva con esattezza le menome
rubriche. Storpiato, che uno si è, soleva
dire, non si acconcia più. Né
s'inducevano li Cerimonieri a dar fuori sede di approvazione, se non erano più
che certi dell'attitudine: maggiormente, che tante volte volevali Monsignore
veder celebrare alla sua presenza.
Un novello Sacerdote
spaventato dal rigore, con cui procedevasi, contentavasi non dir Messa, per non
esporsi all'esame. Persuaso però ritrovar compatimento più in Monsignore, che
nelli Cerimonieri, pregollo volerli far dire, esso presente, la Messa nella
propria Cappella. Si compiacque Monsignore, e così restò approvato.
Riprovava, e non voleva
nella prima messa festini, ed allegrie secolaresche; anzi proibiva
espressamente il dar tavola, e far invito di estranei. Nella tavola, diceva Monsignore,
domina il vino, ed ove il vino signoreggia, non vi manca il peccato. Suo
desiderio era, che in quel giorno il novello Sacerdote se ne stasse raccolto,
per meritarsi da Dio quella pienezza di grazie cotanto necessarie per un tale
stato. Chiamava il giorno della prima Messa, giorno di solenne sponsalizio tra
Gesù Cristo, e l'anima. Così voleva, che la prima Messa anche si dicesse in
luogo esente da moltitudine.
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Ordinato Sacerdote D.
Custode Troisi, Monsignore che teneramente l'amava, avendoli imposto secreto, facevali
dir Messa senza intesa de'parenti nella sua Cappella. Credevano quelli, che
perché non appieno istruito nelle Rubriche, non avesse il permesso a poter
celebrare. Se lo seppero, fu perché un sarto ritrovandosi in Palazzo, se ne
consolò col Padre, avendolo veduto celebrare.
Asceso al Sacerdozio D.
Alessandro Capobianco, ed essendosi portato a ringraziarlo, lo richiese
Monsignore, quando avrebbe detto la prima messa. Disse, che nella Domenica
susseguente, e che facevali il Panegirico il Sacerdote D. Giuseppe Petrillo. In
sentir Panegirico restò sorpreso Alfonso: se
vi è panegirico, disse, vi è festino:
Io non vel permetto, e se lo fate, ve ne farò pentire. Avendo inteso, che
erano i parenti più stretti, ve
l'accordo, disse, ma non voglio
estranei, e sopra tutto le donne.
Avendo ordinato
Sacerdote D. Vincenzo d'Ambrosio di Durazzano, espressamente li proibì non fare
invito a tavola. Non curando le genti di casa la proibizione, vi fu invito di
parenti, ed amici. Avendolo saputo Monsignore, ne scrisse subito ad un
Sacerdote per esserne informato; e non avendo avuto a tempo risposta, replicò
la seconda lettera. Accertato, non solo lo riprese, ma per giorni quindeci lo
sospese dalla Messa; e se li ridusse a dieci, fu per essersi interposto D.
Pasquale dell'Acqua suo amicissimo, e Regio Governadore in quel Paese.
Anche in Congregazione,
prendendosi la Messa da taluno de' nostri in Casa propria, non voleva
sollennità. Avendo presa la Messa tempo addietro in Avellino il nostro P. D.
Pasquale Capriola, e cercandoli il permesso di celebrar ivi la prima Messa, per
consolazione de' suoi, iscrisse, che non avesse fatto invito di nessuno, e
senza niuna pompa, ma che avesse celebrato in secreto senza invito di altri.
Inculcava ne' novelli
Sacerdoti il dovuto apparecchio nel celebrare, disponendosi coi replicati atti
di Fede, e Carità, per trattare degnamente un sì tremendo mistero: così di non
uscire di Chiesa dopo aver celebrato, senza aver fatto il dovuto
ringraziamento. "Cogli Atti antecedenti, ei diceva, si purifica, ed evacua
il vase, specialmente cogli Atti di pentimento, e coi susseguenti si riempie di
doni, e grazie".
Siccome abbominava, ed
aveva in orrore il precipitarsi la Messa, senza divozione: così riprovava certe
affettate lungherìe, con rincrescimento del Popolo. La Messa, ei diceva, che
passa la mezz'ora, genera tedio, e non divozione a chi ci assiste; e portar
soleva l'esempio di S. Filippo Neri, che riformò se stesso, celebrando in
pubblico.
Pausa, e non
sollecitudine insinuava nella recita dell'Officio. Per minuti più o meno che non s'impiegano, diceva Monsignore, si meritano anni di Purgatorio. Sopra
tutto, che non si riducessero a recitarlo - 150 -
in faccia alla mezzanotte, e precipitarlo con fretta nell'ultima ora della
sera. Messa ed Officio, replicava: "Siccome
possono santificarci, soddisfatti a dovere, così ci sono di danno; e ci privano
delle migliori grazie, se trapazatamente si soddisfano".
Queste, ed altre erano le sollecitudini di Monsignor
Liguori, per così avere dotti, ed esemplari Sacerdoti, utili al popolo, e di
consolazione per la Chiesa. Ma siccome nel grano non manca il loglio, e tra i
coltivati poderi vi spuntano le spine, così non mancavano di queste in Diocesi,
che come altrove dirò, trafiggevano, e mettevano in affanno il cuore di
Monsignore.
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