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cap.30
Esattezza, e somma scrupolosità di Alfonso
nell'approvare i nuovi Confessori.
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Cautelato, anzi troppo
esatto fu Monsignore Liguori nell'approvare i novelli Confessori. Rigido,
anziché no v'era esame, né vi era parzialità, o rispetto per alcuno. Non era
questo esame cosa di giorni, ma di settimane; e tante volte dovevasi ritornare,
e soggettarsi ad altre dimande.
Avevasi Monsignore
posto in Stampa tutte le dimande da farsi, e non contengono meno queste secche
dimande, come rilevo nel suo stampato manuale, che ventiquattro pagine. Dal
trattato della Coscienza, che incomincia, se ne discende per tutta intera la
morale: vale a dire che non erasi sicuro dell'approvazione, se non erasi in forza
di possedere tutti i trattati.
Ancorché non conferiva
il Sacerdozio, se non si possedessero appieno tutt'i Trattati Morali, se per
qualche motivo non dava in quell'atto, come dissi, la facoltà di ascoltar le
Confessioni, dovendola in seguito conferire, voleva di nuovo sottoposto il
soggetto a rigoroso esame.
Se vedeva, che
frequentato avea lo studio di quelle materie, lo aggraziava: ma vedendolo
fiacco, e balbutire, lo rimetteva per altro tempo a nuovo esame. A taluni, se
abilitavali, non dava la Pagella: e ad altri non la dava, che coll'obbligo di
ritornar da lui dopo i due, o tre mesi. Con questo non scoraggiva il soggetto,
ed animavalo a maggiormente abilitarsi.
Venendo assistito da'
Parrochi, o da altri, per darsi a taluno la facoltà di ascoltar le Confessioni,
anche sul pretesto vero o falso che fosse, che la Pleve scarseggiasse di
Confessori, non ammettevalo all'esame, senza prima informarsi del costume.
Voleva sapere, se era uomo di orazione; se terminata la Messa, trattenevasi ne'
dovuti ringraziamenti; se di sera vedevasi costante alla Visita del Sacramento.
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Molto più qual era la di lui conversazione, con chi se la faceva, e se
frequentava casa di donne estranee senza bisogno. Cosa che appurasse in
contrario, e che davagli negli occhi, bastava per non ammetter chiunque
all'esame.
Dando la facoltà per
ascoltar le Confessioni, altro non raccomandava, che equità evangelica, lontana
dal lassismo, e dal rigore. "Ma la moda corrente, ei diceva, quant'è
lontana dalla lassezza, altrettanto è portata per lo rigorismo. Non è questo,
diceva, lo spirito della Chiesa, ne fu tale lo Spirito di Gesù - Cristo. Quando
mai Giansenio portò un'anima in Paradiso, e l'adottato attuale rigorismo non è
che un retaggio di Giansenio. Nostra regola deve essere il Vangelo, per vedere
come Gesù - Cristo trattava i peccatori, non Giansenio, e i suoi seguaci".
Prudenza somma
ricercava né Confessori, e somma carità.
"L'indulgenza è una, ei diceva, e la carità è un'altra. Voglio evitati i due
estremi. Lassezza, e rigidezza. Abbracciatevi, diceva, i peccatori, compiangete
con essi le loro miserie, e metteteli nella strada, come uno che guida un
cieco. Mi fa orrore, disse un giorno, quello sputarsi rotondamente da taluni,
senza compungere ed illuminare il penitente,
un non posso assolvervi. Non è questo l'istesso, che dire ad un cieco, Va e dirupati. Come vuole emendarsi il
penitente, e ritornare pentito ai piedi del Confessore, se non se li fa
conoscere il suo stato, e non vede impegno nel Confessore di volerlo ajutare.
Il Confessore se è giudice, è anche padre, e scompagnata in Dio non va la
giustizia dalla misericordia".
Pochi non furono quei tali che per
lassezza riprovò, ne altri che per la rigidezza non ammise.
Non aveva Monsignore
età determinata per la Confessione delle Donne. Certe assise, soleva dire, non
abilitano, ne discapitano. Si regolava non dall'età, ma dal costume. Vi sono
de' vecchi, diceva Monsignore, che ancorché decrepiti, non meritano un tal
impiego; e non una, ma più volte si videro i Giovani preferiti a' Vecchi,
perché più costumati, ed esemplari.
In senso di Monsignore
avrebbe voluto, che ogni Sacerdote avesse operato, e che utile fosse stato alla
propria Popolazione. Conferendo il Sacerdozio, rilevava a tutti questa obbligazione
e spronava ognuno per lo Ministero della Parola, ed animavali, come proprio
dovere, ad ascoltar le Confessioni. Vedendoli esatti nell'impiego, tutto se ne
consolava, e nelle occasioni non mancava averli presenti, e vantaggiarli. Se
vedeva taluno raffreddato nella pietà, e ipostato dal proprio dovere,
richiamavasi subito la Pagella, se questa era fuori, o sospendevalo
dall'impiego, se a voce avevalo abilitato.
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Fatta
idea del soggetto, non ogni ravvedimento l'appagava, ed anni ci volevano; e non
mesi per aggraziarlo di nuovo. Ve ne furono tanti, che non videro il
Confessionile per tutto il tempo, che Alfonso stiede in Diocesi.
Non era meno rigoroso
Monsignore co' Regolari, di quello lo era co' Preti; anzi con questi procedeva
con maggior esattezza. Vivendo preoccupato, che tanti vogliono essere
Confessori, e godere un tal onore, ma senz'applicarsi di proposito sopra lo
studio della Morale, come capitava taluno di questi, non l'abilitava per la
Confessione, se non presentavasi all'Esame. Attestati di Provinciali, e
requisiti di esser stato Confessore in altre Diocesi, non avevano luogo presso
Monsignor Liguori.
Essendo andato Priore
in S. Maria a Vico, Terra di Arienzo, un Religioso Domenicano, amico di D.
Ercole Liguori di lui Fratello, questo, impegnato anche da altri, lo accompagnò
con una sua commendatizia. Monsignore lo ricevette con garbo, ed usolli delle
finezze.
Richiesto dal P. Priore per la facoltà di
confessare, si spiegò che bisognava presentarsi all'esame. Qualunque finezza,
li disse, in che posso, non mancherò di servirvi, ma in questo non posso
dispensarvene in coscienza. Ribrezzo ebbe il Priore di presentarsi, e maggiore
l'ebbe Monsignore in accordargli una tal facoltà. Il fatto fu, che morì Priore,
ma non già Confessore nel suo Convento.
Tutto pettoruto, e con
aria presentossi un Religioso, facendo pompa del Magistero. Sorridendo Alfonso
lepidamente disse al Vicario: Appunto
perché è Maestro bisogna esaminarlo. Avendolo ricevuto colle maniere
garbate, compatitemi, gli disse, se vi debbo esaminare, perché è
stabilimento fatto. Posto nell'esame, si confuse in maniera il P. Maestro,
che non seppe che si dire. Monsignore, senza dichiararlo riprovato, se ne uscì,
dicendoli, che si fosse tra di tanto trattenuto, perché stimava farlo di
concerto col suo Priore.
Curioso è quello,
accadde con un Religioso Francescano. Essendosi questo presentato con lunga
barba, ed in abito di penitenza, asserì esser venuto dalla Bosna, ove lungo
tempo era stato colle Missioni a que' Infedeli. Se ne compiacque Monsignore; e
godendo di quelle notizie, e conversioni, che il Francescano spiacciava, lo
tenne con se due giorni. Era stato destinato il Frate di stanza in Arpaja.
Licenziandosi, cercò la facoltà per ascoltar le Confessioni. Qui intoppò
Monsignore: godo, disse, del vostro zelo; ma bisogna, che vada di concerto co'
vostri Superiori. Essendosi informato, ritrovò esser Apostata, e solenne
impostore; e senza perdita di tempo, apostolo e buono dovette esiliarlo da
tutta la Diocesi.
In Arienzo fu proveduto
il Pulpito della Chiesa dell'Annunciata - 153 -
in persona di un Padre graduato Cappuccino, uomo esemplare, e tenuto in
singolar dottrina tra' suoi Religiosi. Essendosi presentato per la pagella,
ottenne quella della Predica, ma per la Confessione, li disse Monsignore, che
l'avrebbe data dopo l'esame. Questo fù un tuono per il Predicatore. Cominciò il
Quaresimale, ma non sedette al Confessionile. Andava, e veniva spesso
dall'Episcopio, non mai spiegandosi volersi esaminare. Monsignore
complimentavalo, e non ci mancavano delle cerimonie, ma di volerci bene non se
ne parlava; ne se ne parlò per tutto il corso della Quaresima. Se rincresceva
al predicatore esporsi all'esame, molto più rincresceva ad Alfonso darli la
Confessione.
Essendo stato destinato
al governo del Monastero d'Airola il P. Abbate Muscati Verginiano, non mancò
Monsignore andare a complimentarlo. Essendosi l'Abbate portato a ritrovarlo in
Frascio, tra l'altro gli chiese la Confessione per due Religiosi.
Cercò scusa Monsignore, che non poteva accordarla senza scrupolo di coscienza,
se non si faceva carico della loro abilità. Istette, e ripregò l'Abbate, ma
Monsignore non si smosse. Vedendo tal costanza l'Abbate, non ebbe lo spirito
chieder tal facoltà per se medesimo; ed avendoci interposto persona di
autorità, fu escluso, e dovette presentarsi. Monsignore però usando prudenza,
avendolo da solo a solo, gli fece alcuni dubbj senza formalità. Così l'abilitò;
ma i due Religiosi non si presentarono, se non dopo aver studiato per un pezzo
tali maniere morali.
Non pochi Superiori de'
Monasterj, sapendo la fermezza di Monsignore fu questo particolare, entrando al
governo, se facevano la visita di complimento, e lo frequentavano nelle
occasioni, si contentavano però starsene senza una tal facoltà, e non esporsi a
cimento; ma non si diede il caso, che Monsignore avesse permesso, usando
finezza a taluno, ascoltar le Confessioni, senza presentarsi all'esame, o di
conoscere almeno in discorso largo largo l'abilità, che si aveva. In questa
miseria non si aspettavano complimenti da Monsignore, ancorché si fosse, per
così dire, un famoso Cattedratico.
Essendo stato a
complementarlo l'Abbate Carafa Olevetano, pregollo per la pagella. Va bene,
disse Monsignore, ma vediamoci un altro giorno, perché vorrei sapere di quale
libri vi siete servito in materia morale. L'Abbate, avendo odorato l'esame, non
ci ritornò più, né più ebbe impegno per la Confessione.
Aveva Monsignore in
sommo credito un Parroco per la sua abilità, specialmente in materia morale.
Avendogli questo cercata la Confessione per un capo di Monistero, accertandolo
della capacità del soggetto, e moltopiù dell'esemplarità della vita. Monsignore
essendosi posto in dubbio, perché non conosceva il soggetto, non si potette
indurre a dargli la Confessione.
Un altro Religioso, anche Maestro Domenicano, - 154 -
avendolo Monsignore per uomo dotto, ma stravagante,
non volendosi presentare all'esame, restò per tutto il tempo, che stiede in
quel Convento, senza confessare.
Capitò nel Monistero
de' PP. Domenicani Lombardi in Durazzano un Maestro, ch'era stato Provinciale,
ed anche Vicario Apostolico nelle Smirne. Essendosi presentato da Monsignore
per la Confessione, garbatamente gli disse, che non poteva far a meno di esaminarlo,
sì per togliersi lo scrupolo, che per non dare da parlare ad altri. Son pronto,
rispose il Maestro; ma voi non sapete, Monsignore, quanti Gesuiti ho io
riprovato, approvati da Propaganda.
Vi fu accompagnato il
Padre Maestro con D. Saverio dell'Acqua, allora Sovraintendente in Caserta, e
tutti e due restarono invitati a pranzo. Dispiacendo a D. Saverio la negativa,
e vedendo la fermezza di Monsignore, pregollo, che volendolo favorire, poteva
indirettamente esaminarlo, con introdurre in tavola discorsi morali. Il fatto
fu, che il Maestro era dotto, e bastantemente ne sapeva di morale. Monsignore
se ne consolò; e poco mancò, che da esaminando, addivenisse Esaminatore.
Per questa trafila
passò ancora l'Abbate Pignatelli, uomo di quel merito che ognun fa, e che fu
poi Arcivescovo di Bari, e di Capua.
Essendo passato alla
Badia di Airola, e non avendo Monsignore idea di lui, essendo pregato per la
facoltà di confessare, disse che non poteva, senzacché l'Abbate si presentasse
all'esame. Questa negativa fè dare in dietro l'Abbate. Vedevansi, e
complimentavansi con Monsignore; ma né esso si presentava per l'esame, né
Monsignore si sognava abilitarlo per la Confessione.
Affliggevasi il
Vicario, e rincrescevagli questo tratto coll'Abbate. Conoscendo Monsignore inflessibile,
e volendo toglierlo da scrupolo, facciamo così, gli disse: favorendo qui
l'Abbate, destramente entriamo in discorsi morali: se non è tale, come vel
credete, potete senza scrupolo abilitarlo. Non dispiacque il progetto a
Monsignore.
Come l'Abbate vi fu, con destrezza si entrò nelle materie morali. Nel discorso
si vide, che l'Abbate ne sapeva, e di vantaggio; e da una cosa passandosi
all'altra, si ritrovò espertissimo anche nelle materie Dogmatiche. Monsignore
essendosene compiaciuto, di per se l'abilitò a confessare.
Questo tratto non
disgustò l'Abbate Pignatelli, che anzi si edificò dell'imparzialità di
Monsignore: si amavano, ma più si strinse l'amicizia tra di loro; e Monsignore,
conoscendone il merito, anche si adoprò non poco, per vederlo Arcivescovo di
Bari.
Tal rigore non vi era
con persone delle quali egli n'aveva contezza, ed era persuaso, che fondati lo
erano nelle facoltà morali. Essendo stato a complimentarlo l'Abbate Farancola,
ed avendo Monsignore fatta idea nel discorso del sapere, come l'aveva della di
lui onestà, - 155 -
senza
esserne richiesto, mandolli la Pagella nel Monistero, anche coi casi riservati.
Così a varj altri.
Non fù meno ritenuto
per questo anche coi Quaresimalisti. Non abilitava chiunque, se non se chi eragli
noto per probità, e per dottrina, come il Canonico Avignente di Sarno, il
Canonico Barba di Avella, il Canonico Clemente di Montella, e simili; ma
quelli, che non erano di sua nomina, che si presentavano dalle Università, e
non erano da esso conosciuti, indistintamente volevali esaminati.
Tanti di questi, Preti,
o Religiosi che fossero, non volendosi soggettare, si contentavano non sedersi
in Confessionale in tempo di Quaresima; e tanti e tanti rinunciarono anche il
Pulpito, per non esporsi all'esame.
Un Prete di Forchia di
Arpaja, benché Predicatore, perché non volle esporsi all'esame, non fu mai
abilitato da Monsignore ad ascoltar le Confessioni. Avendo ottenuto con impegno
il Quaresimale nella Real Terra di Valle, impegnò il Cavalier Negroni, Sopraintendente
di Caserta, per la facoltà di confessare. Era molto tenuto Monsignore al
Cavaliere. Questi, avendolo pregato, n'ebbe rotondamente la negativa. Non se
n'offese il Negroni, ma replicò di nuovo le peghiere, e di nuovo Monsignore fè
sentirli, che senza scrupolo di coscienza, e senza che il Predicatore si
presentasse all'esame, non poteva compiacerlo. Predicò, ma non si sedette mai
al Confessionale.
Essendo venuti in
Diocesi per la predica di Quaresima, varj soggetti dello stato Beneventano,
Monsignore non accordò loro la Confessione, senza prima esaminarli. Dispiacque
questo a Monsignor Colombini Arcivescovo di Benevento. Avendo avuto il Pulpito
di Paolisi in Diocesi di Benevento D. Pasquale Bartolino, Sacerdote d'Ariola;
ed essendo stato per la Benedizione, e per la facoltà di confessare
dall'Arcivescovo, li disse: Contentatevi di essere esaminato: io sto in collera
con Monsignor Liguori, perché esso ha esaminato anche i miei. Dovette
sogettarsi ad una certa formalità, per così contentare l'Arcivescovo.
Monsignore non se ne offese; ma avrebbe voluto, che fatto per zelo, e non per
puntiglio.
Quanto Alfonso era
renitente in dar la Confessione, bisogna dire, che altrettanto era lesto nel
toglierla. In questo vi soccombettero specialmente i Regolari. Come
compiacevasi dar loro la Confessione, ritrovandoli esemplari, ed istrutti:
così, senza verun ritegno, avendo motivo in contrario, sospendevali, e
talvolta, come altrove dirò, volevali fuori Diocesi.
In Arpaja, con suo
compiacimento, dato aveva la Confessione ad un Religioso. Avendo inteso, che
ordinariamente ributtava la gente minuta, e che spassandosi con poche bizzoche,
non mancava tenervici qualchè visita, avendoselo chiamato li sospese subito la
facoltà.
Un altro Religioso, stimato, e molto amato da
Monsignore - 156 -
per sua
esemplarità e dottrina, avendolo abilitato per la Confessione, ne stava
soddisfatto. Essendosi allascato, e datosi a frequentare, con ammirazione del
paese, varie case di penitenti, Monsignore, trovando sussistenti i rapporti,
non esitò chiamarlo, ed ammonirlo. Non essendosi emendato, sospeseli la
facoltà; né più ce la diede per tutto il tempo, che fu Vescovo, e persistette
in Diocesi.
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