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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • cap.30 Esattezza, e somma scrupolosità di Alfonso nell'approvare i nuovi Confessori.
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cap.30

Esattezza, e somma scrupolosità di Alfonso nell'approvare i nuovi Confessori.

 


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Cautelato, anzi troppo esatto fu Monsignore Liguori nell'approvare i novelli Confessori. Rigido, anziché no v'era esame, né vi era parzialità, o rispetto per alcuno. Non era questo esame cosa di giorni, ma di settimane; e tante volte dovevasi ritornare, e soggettarsi ad altre dimande.

Avevasi Monsignore posto in Stampa tutte le dimande da farsi, e non contengono meno queste secche dimande, come rilevo nel suo stampato manuale, che ventiquattro pagine. Dal trattato della Coscienza, che incomincia, se ne discende per tutta intera la morale: vale a dire che non erasi sicuro dell'approvazione, se non erasi in forza di possedere tutti i trattati.

 

Ancorché non conferiva il Sacerdozio, se non si possedessero appieno tutt'i Trattati Morali, se per qualche motivo non dava in quell'atto, come dissi, la facoltà di ascoltar le Confessioni, dovendola in seguito conferire, voleva di nuovo sottoposto il soggetto a rigoroso esame.

Se vedeva, che frequentato avea lo studio di quelle materie, lo aggraziava: ma vedendolo fiacco, e balbutire, lo rimetteva per altro tempo a nuovo esame. A taluni, se abilitavali, non dava la Pagella: e ad altri non la dava, che coll'obbligo di ritornar da lui dopo i due, o tre mesi. Con questo non scoraggiva il soggetto, ed animavalo a maggiormente abilitarsi.

 

Venendo assistito da' Parrochi, o da altri, per darsi a taluno la facoltà di ascoltar le Confessioni, anche sul pretesto vero o falso che fosse, che la Pleve scarseggiasse di Confessori, non ammettevalo all'esame, senza prima informarsi del costume. Voleva sapere, se era uomo di orazione; se terminata la Messa, trattenevasi ne' dovuti ringraziamenti; se di sera vedevasi costante alla Visita del Sacramento.


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Molto più qual era la di lui conversazione, con chi se la faceva, e se frequentava casa di donne estranee senza bisogno. Cosa che appurasse in contrario, e che davagli negli occhi, bastava per non ammetter chiunque all'esame.

 

Dando la facoltà per ascoltar le Confessioni, altro non raccomandava, che equità evangelica, lontana dal lassismo, e dal rigore. "Ma la moda corrente, ei diceva, quant'è lontana dalla lassezza, altrettanto è portata per lo rigorismo. Non è questo, diceva, lo spirito della Chiesa, ne fu tale lo Spirito di Gesù - Cristo. Quando mai Giansenio portò un'anima in Paradiso, e l'adottato attuale rigorismo non è che un retaggio di Giansenio. Nostra regola deve essere il Vangelo, per vedere come Gesù - Cristo trattava i peccatori, non Giansenio, e i suoi seguaci".

 

Prudenza somma ricercavaConfessori, e somma carità.
"L'indulgenza è una, ei diceva, e la carità è un'altra. Voglio evitati i due estremi. Lassezza, e rigidezza. Abbracciatevi, diceva, i peccatori, compiangete con essi le loro miserie, e metteteli nella strada, come uno che guida un cieco. Mi fa orrore, disse un giorno, quello sputarsi rotondamente da taluni, senza compungere ed illuminare il penitente, un non posso assolvervi. Non è questo l'istesso, che dire ad un cieco, Va e dirupati. Come vuole emendarsi il penitente, e ritornare pentito ai piedi del Confessore, se non se li fa conoscere il suo stato, e non vede impegno nel Confessore di volerlo ajutare. Il Confessore se è giudice, è anche padre, e scompagnata in Dio non va la giustizia dalla misericordia".
 Pochi non furono quei tali che per lassezza riprovò, ne altri che per la rigidezza non ammise.

 

Non aveva Monsignore età determinata per la Confessione delle Donne. Certe assise, soleva dire, non abilitano, ne discapitano. Si regolava non dall'età, ma dal costume. Vi sono de' vecchi, diceva Monsignore, che ancorché decrepiti, non meritano un tal impiego; e non una, ma più volte si videro i Giovani preferiti a' Vecchi, perché più costumati, ed esemplari.

 

In senso di Monsignore avrebbe voluto, che ogni Sacerdote avesse operato, e che utile fosse stato alla propria Popolazione. Conferendo il Sacerdozio, rilevava a tutti questa obbligazione e spronava ognuno per lo Ministero della Parola, ed animavali, come proprio dovere, ad ascoltar le Confessioni. Vedendoli esatti nell'impiego, tutto se ne consolava, e nelle occasioni non mancava averli presenti, e vantaggiarli. Se vedeva taluno raffreddato nella pietà, e ipostato dal proprio dovere, richiamavasi subito la Pagella, se questa era fuori, o sospendevalo dall'impiego, se a voce avevalo abilitato.


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Fatta idea del soggetto, non ogni ravvedimento l'appagava, ed anni ci volevano; e non mesi per aggraziarlo di nuovo. Ve ne furono tanti, che non videro il Confessionile per tutto il tempo, che Alfonso stiede in Diocesi.

 

Non era meno rigoroso Monsignore co' Regolari, di quello lo era co' Preti; anzi con questi procedeva con maggior esattezza. Vivendo preoccupato, che tanti vogliono essere Confessori, e godere un tal onore, ma senz'applicarsi di proposito sopra lo studio della Morale, come capitava taluno di questi, non l'abilitava per la Confessione, se non presentavasi all'Esame. Attestati di Provinciali, e requisiti di esser stato Confessore in altre Diocesi, non avevano luogo presso Monsignor Liguori.

 

Essendo andato Priore in S. Maria a Vico, Terra di Arienzo, un Religioso Domenicano, amico di D. Ercole Liguori di lui Fratello, questo, impegnato anche da altri, lo accompagnò con una sua commendatizia. Monsignore lo ricevette con garbo, ed usolli delle finezze.

 Richiesto dal P. Priore per la facoltà di confessare, si spiegò che bisognava presentarsi all'esame. Qualunque finezza, li disse, in che posso, non mancherò di servirvi, ma in questo non posso dispensarvene in coscienza. Ribrezzo ebbe il Priore di presentarsi, e maggiore l'ebbe Monsignore in accordargli una tal facoltà. Il fatto fu, che morì Priore, ma non già Confessore nel suo Convento.

 

Tutto pettoruto, e con aria presentossi un Religioso, facendo pompa del Magistero. Sorridendo Alfonso lepidamente disse al Vicario: Appunto perché è Maestro bisogna esaminarlo. Avendolo ricevuto colle maniere garbate, compatitemi, gli disse, se vi debbo esaminare, perché è stabilimento fatto. Posto nell'esame, si confuse in maniera il P. Maestro, che non seppe che si dire. Monsignore, senza dichiararlo riprovato, se ne uscì, dicendoli, che si fosse tra di tanto trattenuto, perché stimava farlo di concerto col suo Priore.

 

Curioso è quello, accadde con un Religioso Francescano. Essendosi questo presentato con lunga barba, ed in abito di penitenza, asserì esser venuto dalla Bosna, ove lungo tempo era stato colle Missioni a que' Infedeli. Se ne compiacque Monsignore; e godendo di quelle notizie, e conversioni, che il Francescano spiacciava, lo tenne con se due giorni. Era stato destinato il Frate di stanza in Arpaja. Licenziandosi, cercò la facoltà per ascoltar le Confessioni. Qui intoppò Monsignore: godo, disse, del vostro zelo; ma bisogna, che vada di concerto co' vostri Superiori. Essendosi informato, ritrovò esser Apostata, e solenne impostore; e senza perdita di tempo, apostolo e buono dovette esiliarlo da tutta la Diocesi.

 

In Arienzo fu proveduto il Pulpito della Chiesa dell'Annunciata


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in persona di un Padre graduato Cappuccino, uomo esemplare, e tenuto in singolar dottrina tra' suoi Religiosi. Essendosi presentato per la pagella, ottenne quella della Predica, ma per la Confessione, li disse Monsignore, che l'avrebbe data dopo l'esame. Questo un tuono per il Predicatore. Cominciò il Quaresimale, ma non sedette al Confessionile. Andava, e veniva spesso dall'Episcopio, non mai spiegandosi volersi esaminare. Monsignore complimentavalo, e non ci mancavano delle cerimonie, ma di volerci bene non se ne parlava; ne se ne parlò per tutto il corso della Quaresima. Se rincresceva al predicatore esporsi all'esame, molto più rincresceva ad Alfonso darli la Confessione.

 

Essendo stato destinato al governo del Monastero d'Airola il P. Abbate Muscati Verginiano, non mancò Monsignore andare a complimentarlo. Essendosi l'Abbate portato a ritrovarlo in Frascio, tra l'altro gli chiese la Confessione per due Religiosi.
Cercò scusa Monsignore, che non poteva accordarla senza scrupolo di coscienza, se non si faceva carico della loro abilità. Istette, e ripregò l'Abbate, ma Monsignore non si smosse. Vedendo tal costanza l'Abbate, non ebbe lo spirito chieder tal facoltà per se medesimo; ed avendoci interposto persona di autorità, fu escluso, e dovette presentarsi. Monsignore però usando prudenza, avendolo da solo a solo, gli fece alcuni dubbj senza formalità. Così l'abilitò; ma i due Religiosi non si presentarono, se non dopo aver studiato per un pezzo tali maniere morali.

 

Non pochi Superiori de' Monasterj, sapendo la fermezza di Monsignore fu questo particolare, entrando al governo, se facevano la visita di complimento, e lo frequentavano nelle occasioni, si contentavano però starsene senza una tal facoltà, e non esporsi a cimento; ma non si diede il caso, che Monsignore avesse permesso, usando finezza a taluno, ascoltar le Confessioni, senza presentarsi all'esame, o di conoscere almeno in discorso largo largo l'abilità, che si aveva. In questa miseria non si aspettavano complimenti da Monsignore, ancorché si fosse, per così dire, un famoso Cattedratico.

 

Essendo stato a complementarlo l'Abbate Carafa Olevetano, pregollo per la pagella. Va bene, disse Monsignore, ma vediamoci un altro giorno, perché vorrei sapere di quale libri vi siete servito in materia morale. L'Abbate, avendo odorato l'esame, non ci ritornò più, né più ebbe impegno per la Confessione.

 

Aveva Monsignore in sommo credito un Parroco per la sua abilità, specialmente in materia morale. Avendogli questo cercata la Confessione per un capo di Monistero, accertandolo della capacità del soggetto, e moltopiù dell'esemplarità della vita. Monsignore essendosi posto in dubbio, perché non conosceva il soggetto, non si potette indurre a dargli la Confessione.
Un altro Religioso, anche Maestro Domenicano,


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avendolo Monsignore per uomo dotto, ma stravagante, non volendosi presentare all'esame, restò per tutto il tempo, che stiede in quel Convento, senza confessare.

 

Capitò nel Monistero de' PP. Domenicani Lombardi in Durazzano un Maestro, ch'era stato Provinciale, ed anche Vicario Apostolico nelle Smirne. Essendosi presentato da Monsignore per la Confessione, garbatamente gli disse, che non poteva far a meno di esaminarlo, sì per togliersi lo scrupolo, che per non dare da parlare ad altri. Son pronto, rispose il Maestro; ma voi non sapete, Monsignore, quanti Gesuiti ho io riprovato, approvati da Propaganda.

Vi fu accompagnato il Padre Maestro con D. Saverio dell'Acqua, allora Sovraintendente in Caserta, e tutti e due restarono invitati a pranzo. Dispiacendo a D. Saverio la negativa, e vedendo la fermezza di Monsignore, pregollo, che volendolo favorire, poteva indirettamente esaminarlo, con introdurre in tavola discorsi morali. Il fatto fu, che il Maestro era dotto, e bastantemente ne sapeva di morale. Monsignore se ne consolò; e poco mancò, che da esaminando, addivenisse Esaminatore.

 

Per questa trafila passò ancora l'Abbate Pignatelli, uomo di quel merito che ognun fa, e che fu poi Arcivescovo di Bari, e di Capua.

Essendo passato alla Badia di Airola, e non avendo Monsignore idea di lui, essendo pregato per la facoltà di confessare, disse che non poteva, senzacché l'Abbate si presentasse all'esame. Questa negativa dare in dietro l'Abbate. Vedevansi, e complimentavansi con Monsignore; ma né esso si presentava per l'esame, né Monsignore si sognava abilitarlo per la Confessione.

Affliggevasi il Vicario, e rincrescevagli questo tratto coll'Abbate. Conoscendo Monsignore inflessibile, e volendo toglierlo da scrupolo, facciamo così, gli disse: favorendo qui l'Abbate, destramente entriamo in discorsi morali: se non è tale, come vel credete, potete senza scrupolo abilitarlo. Non dispiacque il progetto a Monsignore.
Come l'Abbate vi fu, con destrezza si entrò nelle materie morali. Nel discorso si vide, che l'Abbate ne sapeva, e di vantaggio; e da una cosa passandosi all'altra, si ritrovò espertissimo anche nelle materie Dogmatiche. Monsignore essendosene compiaciuto, di per se l'abilitò a confessare.

Questo tratto non disgustò l'Abbate Pignatelli, che anzi si edificò dell'imparzialità di Monsignore: si amavano, ma più si strinse l'amicizia tra di loro; e Monsignore, conoscendone il merito, anche si adoprò non poco, per vederlo Arcivescovo di Bari.

 

Tal rigore non vi era con persone delle quali egli n'aveva contezza, ed era persuaso, che fondati lo erano nelle facoltà morali. Essendo stato a complimentarlo l'Abbate Farancola, ed avendo Monsignore fatta idea nel discorso del sapere, come l'aveva della di lui onestà,


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senza esserne richiesto, mandolli la Pagella nel Monistero, anche coi casi riservati. Così a varj altri.

 

Non meno ritenuto per questo anche coi Quaresimalisti. Non abilitava chiunque, se non se chi eragli noto per probità, e per dottrina, come il Canonico Avignente di Sarno, il Canonico Barba di Avella, il Canonico Clemente di Montella, e simili; ma quelli, che non erano di sua nomina, che si presentavano dalle Università, e non erano da esso conosciuti, indistintamente volevali esaminati.

Tanti di questi, Preti, o Religiosi che fossero, non volendosi soggettare, si contentavano non sedersi in Confessionale in tempo di Quaresima; e tanti e tanti rinunciarono anche il Pulpito, per non esporsi all'esame.

 

Un Prete di Forchia di Arpaja, benché Predicatore, perché non volle esporsi all'esame, non fu mai abilitato da Monsignore ad ascoltar le Confessioni. Avendo ottenuto con impegno il Quaresimale nella Real Terra di Valle, impegnò il Cavalier Negroni, Sopraintendente di Caserta, per la facoltà di confessare. Era molto tenuto Monsignore al Cavaliere. Questi, avendolo pregato, n'ebbe rotondamente la negativa. Non se n'offese il Negroni, ma replicò di nuovo le peghiere, e di nuovo Monsignore sentirli, che senza scrupolo di coscienza, e senza che il Predicatore si presentasse all'esame, non poteva compiacerlo. Predicò, ma non si sedette mai al Confessionale.

 

Essendo venuti in Diocesi per la predica di Quaresima, varj soggetti dello stato Beneventano, Monsignore non accordò loro la Confessione, senza prima esaminarli. Dispiacque questo a Monsignor Colombini Arcivescovo di Benevento. Avendo avuto il Pulpito di Paolisi in Diocesi di Benevento D. Pasquale Bartolino, Sacerdote d'Ariola; ed essendo stato per la Benedizione, e per la facoltà di confessare dall'Arcivescovo, li disse: Contentatevi di essere esaminato: io sto in collera con Monsignor Liguori, perché esso ha esaminato anche i miei. Dovette sogettarsi ad una certa formalità, per così contentare l'Arcivescovo. Monsignore non se ne offese; ma avrebbe voluto, che fatto per zelo, e non per puntiglio.

 

Quanto Alfonso era renitente in dar la Confessione, bisogna dire, che altrettanto era lesto nel toglierla. In questo vi soccombettero specialmente i Regolari. Come compiacevasi dar loro la Confessione, ritrovandoli esemplari, ed istrutti: così, senza verun ritegno, avendo motivo in contrario, sospendevali, e talvolta, come altrove dirò, volevali fuori Diocesi.

In Arpaja, con suo compiacimento, dato aveva la Confessione ad un Religioso. Avendo inteso, che ordinariamente ributtava la gente minuta, e che spassandosi con poche bizzoche, non mancava tenervici qualchè visita, avendoselo chiamato li sospese subito la facoltà.

Un altro Religioso, stimato, e molto amato da Monsignore


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per sua esemplarità e dottrina, avendolo abilitato per la Confessione, ne stava soddisfatto. Essendosi allascato, e datosi a frequentare, con ammirazione del paese, varie case di penitenti, Monsignore, trovando sussistenti i rapporti, non esitò chiamarlo, ed ammonirlo. Non essendosi emendato, sospeseli la facoltà; né più ce la diede per tutto il tempo, che fu Vescovo, e persistette in Diocesi.




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