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Cap.32
Giustizia esatta, e somma imparzialità di Alfonso nel
conferire i Beneficj.
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Altra agonia soffriva
Alfonso, ed era la provista de' Beneficja Anche questi,
benché semplici e senza cura, ma residenziali, mettevano - 161 -
alle strette il suo cuore.
Non contento del
costume, come da tutti si pratica, voleva il merito colla Chiesa, e col Popolo. Questi tutti e due sono interessati, diceva
Alfonso, vacando un Beneficio.
Parzialità non vi era con chiunque: tutto era giustizia; e distinzione non faceva
tra il greco, ed il romano.
Avendo con se un
librettino di memoria, notato vi teneva i Preti, ed i Chierici tutti della
Diocesi; e sotto di ognuno i proprj meriti, e demeriti. Cadendo la provista, bisogno
non aveva, per ordinario, d'informarsene. Il Canonico era fatto; ed il soggetto
senza saperlo, spirato l'altro, aveva già il biglietto di sua elezione.
Tante volte accadeva
che non poteva risolvere su due piedi. Se vi era il costume, e mancava il merito,
questo l'imbarazzava: maggiormente se in più soggetti concorreva il medesimo
merito, e lo stesso costume. In questi casi ricorreva per consiglio da persone
spassionate.
"Vi sono tre, che
mi vanno per capo, così da Arienzo in una sua in S. Agata all'Arcidiacono
Rainone. Per S. Agata altro non ci sarebbe a proposito che D. Giovanni Fusaro,
che sta a S. Tommaso, il quale è buono; ma appena sono otto, o nove mesi, ch'è
Parroco: ivi fa molto bene; e partendo di là lascierebbe tutte le buone cose
principiate, oltre di questo, è molto giovane. Il secondo, che mi va per la
testa, è D. Pio di Lucia, che ha qualche merito, mentre è stato tre anni a S.
Tommaso; e se lasciò, fu per la mala salute. E' più avanzato di età, ha fatto
più concorsi, ed è d'illibati costumi, com'è anche D. Giovanni. In terzo luogo
vi è D. Pasquale Diodato, ora Parroco di Bucciano. Questo terzo per altro è
assai più dotto di tutti li due, e più avanzato di età, ed è uomo di molto
discernimento. Desidero intendere il sentimento di V. S. Reverendissima circa
questi tre".
Non altrimenti vacando
un Beneficio, ponderava Monsignore nella bilancia del Santuario, e contrapesar
soleva innanzi a Dio i meriti, e i demeriti di chiunque.
Passato a miglior vita
un Mansionario in Arienzo, ed essendo stato da Monsignore il suo Medico,
raccomandandogli un Sacerdote. (Erano tre, che concorrevano): Se avessi tre Mansionariati, rispose
Alfonso, li darei a tutti e tre, perché
tutti tre li stimo meritevoli; ma io
debbo bilanciare i meriti di ognuno, e vedere chi pesa più nella
bilancia di Dio.
Concorrendo due
soggetti di merito nella vacanza di un Mansionariato, vedevasi Alfonso in somma
angustia, non sapendo a chi determinarsi, sembrandoli eguale il merito di tutti
e due. "Monsignore, li disse l'Arcidiacono, trattandosi di Beneficio
esentato da cura di Anime, V. S. Illustrissima non è in obbligo provvederlo al
più degno, ma può designarlo a chi vuole, purché non sia indegno". Tutto va bene, rispose Alfonso; ma io in tutte le proviste, ancorché non vi
sia cura di Anime - 162 -
e non mi contento del degno, ma voglio
provvederlo sempre in persona de' più degni. Ove vi è il danno del terzo, non
ci sto bene in coscienza.
Godeva l'Arcidiacono
Rainone tutta la confidenza di Monsignore, e mi assicurò, che vedevalo
agonizzare, sortendo qualche vacanza. Un giorno, tra gli altri, li disse: Sono tante le angustie, che sperimento,
morendo qualche Canonico, che mi contenterei cambiare la mia vita colla sua. Il
Canonico muore una volta, ed io cento.
Non restringevasi
Alfonso, succedendo la vacanza, e facendo la scelta, nella sola Città di S.
Agata, ma spaziavasi per tutta la Diocesi. Nel caso di sopra proposto, uno era
Santagatese, uno di Arienzo, di Arpaja l'altro. In senso suo tutti erano figli,
e tutti avevano il jus all'eredità della medesima madre.
"So che cotesti Signori di S. Agata, così nella medesima lettera allo
stesso Rainone, imprenderanno la pretenzione per li soli soggetti di S. Agata;
ma per S. Agata io non istimerei altri meritevole, che D. Giovanni Fusaro, ma è
molto giovane, e per la Chiesa poco ha faticato.
Mi dia il suo
sentimento, perché quando vi sono della Diocesi soggetti certamente più degni,
è ingiusta la pretenzione che siano preferiti i cittadini, poiché il Clero così
della Cattedrale, come della Diocesi compone un solo corpo. Giova questo al
bene comune della Diocesi intera, acciocché tutti attendano ad avanzarsi nello
studio, e rendendosi più degni, siano i Diocesani anche assunti alla
Cattedrale".
Per l'opposto, non
volendo togliere il pane a Cittadini, e Diocesani, non favorì mai verun
forestiere. Tempo innanzi varj Canonicati eransi provveduti in persona di
questi, come anche lo furono da Vescovi successori; ma Alfonso stimavala
ingiustizia.
Un prete di Cajazzo, ma
di merito, perché avanzato di età, e Dottore, essendosi fatto mezzo cittadino,
per lo spesso trattenersi in S. Agata, avendosela intesa con taluni Capitolari,
illegitimamente ottenuto aveva la postulazione per un Canonicato. Essendosi
dato ad intendere ad Alfonso averla ottenuta dall'intero capitolo, anche con
piacere de' Cittadini, benché con rincrescimento, anch'esso erasi compromesso.
Avendo saputo, che la
postulazione non erasi ottenuta, che malis
artibus, dandosi in dietro, scrisse al Sig. D. Michele Nuzzi, che avevacelo
avvisato: "Non dubiti, V. S. Illustrissima, che io né ora, ne mai farò
provista di Beneficj in persona de' Forestieri. Fu costante in questo, ne diede
esempio in contrario".
Tremava Alfonso, e
vedevasi sospeso sino all'ultimo passo, ed ove ricevesse altro lume, non
esitava ritrattarsi in contrario.
Essendo per provvedersi
un Canonicato, erasi già determinato per un soggetto, e già aveva spedita, e
consegnata la lettera di grazia al servidore. Perché - 163 -
diluviava, questi non potette partire. Tra questo
mentre, scrivendogli l'Arcidiacono, ed esponendogli i meriti di un altro,
sospende il passo Monsignore, lacera la prima, e da fuori la seconda lettera.
Determinandosi, e non cadendoli dubbio in contrario, qualunque riflesso fatto
se li fosse a favore di altri, e non essendoci appoggio, duro vedevasi, ed
inflessibile.
Siccome qualunque
intoppo nel costume puntava l'Ordinazione, così arrestavalo per la collazione
de' Beneficj.
Altro delitto non aveva
un ottimo Sacerdote, senonché, essendo Cappellano, frequentava, ma non
gradivasi da Monsignore, un Monistero di Monache. Più volte corretto, non si
approfittò. Essendosi presentato, dovendosi provvedere un Canonicato: Voi non sarete mai Canonico, li disse
Alfonso, se non levate questo attacco
colle Monache. "Monsignor mio, rispose il Prete, appunto per
allontanarmi dal Monistero, io lo desidero".
Fu Canonico, ma dopo
aver rinunciata la Cappellania, ed essersi accertato Monsignore, che erasi
emendato.
Mettendo piede in
Diocesi, come dissi, erasi già protestato, che per li Beneficj non voleva
impegni, e mediazione: e che tanto era impegnarlo, quanto rendersene
immeritevole. Lo disse, e l'attese. Non vi fu caso, in tutto il tempo che fu
Vescovo in S. Agata, aver prestato orecchio a qualunque personaggio, benché di
riguardo. Solo i meriti avevan luogo, e svanivano questi, se accoppiati
vedevansi con qualche impegno, o raccomandazione.
Essendo scaduto un
Canonicato in Arienzo, erasi fissato Monsignore in un Sacerdote, che tra tutti
sembravali più meritevole; maggiormente che tra i tanti, che eransi presentati,
questi non erasi veduto, nè avevali fatto parlare da veruno. Siccome questo
secondo riflesso l'aveva vie più edificato, così confirmato avevalo nella sua
determinazione.
Era già per dar fuori
la grazia, quando questi se li presentò con lettera impegnativa di D.
Giambattista Filomarino, Principe della Rocca. Dio vel perdoni! disse Monsignore, io già avevami fissato darvi il Canonicato; ma perché mi avete portata
questa lettera, non sono più in grado di darvelo. Indignus, quia petisti.
Restò mortificato il poveretto, pianse, supplicò, ma non vi fu riparo.
Rescrisse al Principe Alfonso, averlo per compatito, perché dandosi un tale
esempio, si sarebbe aperta la strada, con grave scandalo, ad altri impegni.
Ritrovandosi Alfonso in
Nocera, era per provvedersi un Canonicato in S. Agata. Avendoli dato parte il
Canonico D. Michele Jermieri suo Cancelliere, pregollo in persona del proprio
fratello. Fecelo, e con fiducia, perché questi nelle occasioni assisteva, ed aveva
qualche merito con Monsignore. Nel tempo istesso scrisse, ed impegnò il
nostro - 164 -
Padre D. Geronimo Ferrara. Fu stimato un delitto
questa interposizione da Monsignore. Giunto in S. Agata, non solo rimproverò il
Jermieri per questo preso impegno, ma restò escluso il fratello, e provveduto
il Canonicato in persona di altri. Persuadetevi,
disse, che per lo stesso verso, che
si prendono impegni, io dichiaro, e stimo indegno chicchessia.
Ritrovandosi in Arienzo
Monsignor Pignatelli, già eletto Arcivescovo di Bari, e raccomandandoli un
giovane di sua divozione, e di buon costume, per un Beneficio che vacava,
rotondamente restò escluso. Il Consigliere Carfora avendolo pregato, voler
conferire un Beneficio a favor di un Sacerdote, Quando sarete Vescovo voi, li disse Alfonso, potrete voi conferircelo: il merito se lo deve far egli, e non farselo
per via d'impegni.
Un Sacerdote di Mojano,
stando col catarro del Canonicato, e vacando questo nella Cattedrale, impegnò
la Principessa della Riccia. Alfonso, avendone ricevuto i comandi, se ne
disbrigò con tal prudenza, che non cel negò, ne la compiacque. "Non ancora
il Sacerdote N. che aspira al Canonicato, così rescrissele a 3 Marzo 1773 ha
presentato i suoi requisiti in questa mia Curia; portandoli, rappresenterolli
puntualmente a sua Santità nostro Signore. Bisogna intanto che il medesimo si
raccomandi a Dio, acciò faccia conoscere al Papa, che i suoi requisiti sieno
maggiori degli altri. Mandò i requisiti, non già la comendatizia; né fu mai
Canonico il pretensore, residendo Alfonso in S. Agata - dalla p -
.
Ripeter soleva sempre,
in queste occasioni: Non voglio impegni.
Esaminerò io i meriti, e l'abilità de' Soggetti, e poi farò quello che mi detta
la coscienza, e Dio. Anche le Secreterie Reali, avendo subodorato in queste
proviste la sua imparzialità, non davano fuori dispacci, né prendevano impegni
per chicchessia. Solo una volta li scrisse, ma privatamente, vacando un
Beneficio, e raccomandandoli un giovane, il Marchese di Marco, spiegandosi, che
con libertà avesse operato, e che conoscendo meritevole il suo raccomandato,
aggraziato l'avesse. Il fatto fu, che non trovò grazia il raccomandato, ma disgrazia presso Monsignore.
Umile, e dolce era
Alfonso nella sua condotta, ma vedendosi stretto e tocco nella coscienza, per
ciò che non conveniva, mettevasi in tal contegno, che davasi addietro chiunque.
Vacando un Canonicato,
erasi già determinato per D. Domenico Bruno, ma concorrevano altri impegni in
persona, che non avea in credito. Anche il Vicario erasi sbilanciato, e così il
Secretario. Vedendo questi disperato il caso, animarono il medico, e Canonico
D. Marcantonio d'Ambrosio, come confidente di Monsignore a volersi interporre.
Facendo cader il
discorso, chiese l'Ambrosio come pensava per l'attuale provista. "Canonico
mio, non potete credere, rispose Monsignore, quanti impegni mi assistono, e
come mi tengono sull'eculeo, ma mi sono determinato in persona di D. Domenico
Bruno. Questo poveretto è di ottimi costumi, e sel merita. Nella passata
epidemia si è così sacrificato specialmente per gli ammalati, che si è coricato
di fianco ai moribondi".
Ed a quel poveretto,
ripigliò il Canonico (intendendo il raccomandato dal Vicario) non ci avete
pensato? Capì subito Monsignore il maneggio, e troncandoli la parola: io sono il Vescovo, li disse, non sei tu. Tu pure ci mancavi. Lo
disse con tal tuono, che il Canonico non vide la porta per uscirsene. Io sono depositario, diceva Alfonso, non padrone per dispensar li Beneficj a chi
voglio, - 165 -
ma a chi se li fa suoi colle sue fatiche.
Posso dar il mio, ma non quello, che è sangue de' poveri. Se non si dà a chi se
l'ha stentato, non ci sto bene in coscienza.
Essendo vacato un
Beneficio, interpose per se un prete della Diocesi un altro Sacerdote, che
credeva prevalere con Monsignore. Tra l'altro, li scrisse, che pregato l'avesse
per amore della Madonna. Insinuò così, assicurandolo che di certo avrebbelo
ottenuto, mentre Monsignore negar non sapeva cosa, ricercandoseli per amore di
Maria Santissima. Alfonso, che non stimavalo degno, vedendo l'impegno, rispose: Diteli, che anche per amore della Madonna
io ce lo nego. La Madonna vuole il bene, e non il male.
Detestava qualunque
impegno, anche perché temeva l'ombra di qualche simonia. Dir soleva, che sono gemelli impegno, e simonia, e che
hanno per padre il medesimo demonio. Se cosa di questa odorato avesse anche
di lontano, avevala in orrore. Maggiormente era persuaso di questo, quando
vedevasi per lo mezzo persona, che non stimavala di coscienza troppo delicata.
Questi, dir soleva, non fanno piaceri, senza aver piaceri.
Mal soddisfatto stava
Monsignore di un Parroco, che quanto ricco di altre doti, altrettanto era in
attrasso colla cura. Non essendoci di sopra nè col dolce, nè coll'amaro,
vacando un Canonicato, pensò farlo Canonico, e sostituirli nella Parrocchia altro zelante sacerdote.
Avendo spedita in Napoli la sua commendatizia per Roma, e non sapendo il
Parroco le buone intenzioni di Alfonso, raccomandossi al Vicario, ma con questo
di più, che ben sapeva la propria obligazione.
Fattone inteso
Monsignore, inorridì a tal progetto. Nell'istante spedisce subito, a quattro
della notte, corriere in Napoli, richiamando, e facendo altra commendatizia.
Non contento di questo, astrinse il Parroco per la rinuncia; e dovette
effettuarla, restando privo della Parrocchia, e del Canonicato: ne più
guardollo per finché vi fu Vescovo.
In alcune Cattedrali, e
sel pretendono anche i Collegj, per lo più non si hanno i Mansionarj, che come
servi de' Canonici, ed hanno a sdegno i Canonici vederli innalzati al loro
stallo. Alfonso, che pesava il merito nella sua bilancia, e non la persona,
volendo animare ogni ceto al servizio della Chiesa, volentieri passava i
costumati, e meritevoli Mansionarj al grado di Canonico; e faceva, che così il
Mansionariato fosse gradini al Canonicato, come lo erano le Parrocchie.
Eleggevansi i
Mansionarj in S. Agata ad arbitrio del Vescovo. Alfonso, volendo evitare
quest'impegni, e fare un bene alla Chiesa, stabilì un merito particolare per
questi. Perché l'officio loro è di cantare in Coro, introdusse il concorso nel
canto. Così i Chierici, e Preti, colla speranza del Mansionariato, si diedero
tutti al canto gregoriano, ed - 166 -
il Coro in seguito restò meglio servito.
Succeduta la prima
vacanza, vi concorrettero tre, cioè un Cappellano dell'Annunciata di anni 60.,
un Prete, che contava i 40., ed il Chierico seminarista D. Giovanni Fusaro di
anni 16. Fatto il concorso, gli Esaminatori riferirono che il Chierico Fusaro
erasi portato migliore di tutti. Abbiamo
torto, disse Alfonso. Conferendo a questi il Mansionariato, dolorosa fu la
ripulsa pel Prete. Era questi così sicuro della palma, che anche apparecchiato
aveva li rinfreschi per amici e parenti. Insistito Alfonso a favore di questo
Prete: La legge è fatta, disse, nè posso in coscienza defraudare il
Chierico Fusaro, avendoci acquistato il jus.
Avendo a cuore il
servizio della Chiesa, geloso vedevasi per la residenza. Non poteva soffrire,
nè egli permetteva veder lontano dalla propria Chiesa un Canonico più di quello conveniva.
Troppo saporito è ciò,
che accadde con un Mansionario della Cattedrale di S. Agata.
Serviva questi da molti anni, in qualità di Secretario, il Conte di Cerreto, e
non portavasi che di volta in volta nella Cattedrale. Essendo morto un
Canonico, concorrette subito pel Canonicato. Richiesto dagli amici come
ritrovarsi in S. Agata, rispose: tutti mi dicono che questo Vescovo è un santo,
e che ama la giustizia: essendo così, il Canonicato spetta a me, perché il più
anziano fra tutti li Mansionarj.
Portandosi da Monsignore, ed esponendo i suoi meriti: Mi sei nuovo, disse Alfonso,
perché non vi ho mai veduto in Chiesa. Sì è vero, rispose, ma tutto gajo il
Mansionario, perché sono tanti anni, che ho l'onore di Secretario col Sig.
Conte di Cerreto. Bene, ripigliò
Monsignore; e perché non vi fa Canonico
il Signor Conte? Postosi in contegno, "D. Francesco, li disse (così questi chiamavasi) o rinunciate quanto presto all'impiego di
Secretario, e venite a servire la Chiesa, o io vi tolgo da Mansionario".
Calando di Palazzo, curiosi gli amici dimandarono cosa avesse fatto. Ho fatto
tutto, rispose: il Canonicato non è per me, e sto anche in pericolo di perdere
il Mansionariato.
Un Canonico tra le
Colleggiate della Diocesi, essendosi istradato nell'impiego di Vicario, mancava
nella Chiesa. Avendoselo Monsignore chiamato, li parlò a piè fermo
dell'obbligo, che aveva di servire la propria Chiesa, e conchiuse: O desistete dall'officio di Vicario, o
rinunciate il Canonicato. Non potette evitare una delle due; e prevalendo
più la speranza del possibile, che il bene presente, rinunciò il Canonicato, e
seguitò l'officio di Vicario. Il soggetto era degno, ma Monsignore non si fe vincere da verun
rispetto.
Posizione
Originale Nota, Libro 3, cap.32, pag. 160
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