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Cap. 36
Persecuzione mossa contro la Casa d'Iliceto, e quella
de' Ciorani.
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Pace e quiete non
voleva Iddio in Alfonso, ma esercizio di rassegnazione, e pazienza. Troppo in
auge vedevasi l'opera della Congregazione. Godeva egli, e godevano i nostri,
come Iddio ricolmavala di sue beneficenze; ma l'uomo inimico, o per dir meglio
l'inferno, perché opera di Dio, non poteva lasciarla in pace, né esser esente
Alfonso dal vedersi in afflizione.
Un malinteso dispiacere
fin da tre anni addietro, prodotto aveva in Iliceto tra i nostri, e
Francescantonio Maffei, persona prepotente, il massimo travaglio, non men di
quella Casa, che dell'intera Congregazione.
Questi, essendo entrato
in briga col popolo, perché Affittatore di quel feudo, attaccato vedevasi
presso del Re con varie criminalità. Acceso il fuoco, ed evitar volendone i
nostri il riverbero, impegnarono in Foggia, per mezzo di Monsignor Basta,
Vescovo di Melfi, il Presidente Granito, che venendo allegati dal Popolo per
testimonj in quelle vertenze, esentati li avesse. Questa neutralità offese il
Maffei. Chi non è meco, disse, è contro di me. Voleva, che i padri esaminati si
fossero, e che deposto avessero in suo favore. Dichiaratosi inimico, giurò
l'esterminio, non che della Casa, ma di tutta la Congregazione.
Sulle prime contrastò
astiosamente la cittadinanza; ed avendo di sua dipendenza i Reggimentarj, se
non proibì l'acqua, inibì il legnare, ed ogni uso civico. Perché tempo
d'inverno, mancando il fuoco, i Soggetti non levavansi di letto, che avanzato il giorno, e non servivansi per la
cucina, che de' scanni della Chiesa.
Anche il Clero, per
assecondarlo, si vide rivolto a nostro danno; tutto era gius parrocchiale. Non
stava un qualche Soggetto gravemente infermo, che vedevasi a vista uno, o due
Canonici, per tirarla l'animo dal petto. Ove prima il Parroco godeva vedersi
coadjuvato nella cura, avendo ogni Domenica i Missionarj a catechizzare il
Popolo, in seguito li discacciò di Chiesa.
Avendo ingombrato la
mente dell'ottimo Principe D. Mattia Miroballo, dichiarar lo fece a nostro
danno, privandoci delle sue beneficenze. Coadjuvato da tutti, non per amore, ma
per timore, giurato aveva, come dissi, il desolamento non che della Casa, ma di
tutta la Congregazione. Uomo quanto facile nell'attaccar brighe, altrettanto
più forte in sostenerle.
Vivevano in armonia i
nostri nella Casa de' Ciorani col Barone D. Nicolò Sarnelli; ma in cuor suo mal
soddisfatto ne stava pel podere - 184 -
ad Alfonso donato dal Fratello, misero sostegno della medesima, e per varie
opere pie ad aures comunicate.
Più di una volta
affacciato aveva delle pretensioni, e con nostro interesse erasi quietato. Tra
questo tempo l'inimico infernale anche dichiarollo a nostro danno. Trascurata
in Chiesa un attenzione colla Baronessa, si ruppe l'armonia tra noi, ed il
Barone. L'occasione va cercando, chi arretrar si vuole dall'amico. Il Maffei
cogliendo l'occasione, e pungendolo dove dolevasi, cioè sulle pretenzioni del
podere, lo smosse contro de' nostri. Intorbidate le cose, animavansi l'un
l'altro: il Maffei per superare il puntiglio, e vendicarsi, ed il Barone per
riavere un fondo, che pretendeva, e non li spettava
.
Acceso il fuoco,
ribrezzo non ebbe il Maffei caricare i nostri presso del Sovrano di sognate
criminalità. Che, con scandalo del pubblico, degenerati erano i nostri da
quell'opera così encomiata da Re Cattolico; che più non si attendeva alle
Missioni; e che dominati dall'avarizia eransi dati i Missionarj a far acquisto
di averi, spogliando i popoli, ed ingrandendo se stessi; che superbi erano gli
edificj delle case, anche con casini da diporto, e tali che superavano quelli
de' Gesuiti; che né Ciorani erigevasi un tempio, che ingiuria faceva alle prime
Metropoli; e che noi disponendo di tutto, con grave danno del pubblico,
aizzavamo nelle rispettive case anche i naturali contro i proprj Feudatarj.
In somma
affardellandosi contro i nostri quanto in quel tempo addossavasi a PP. Gesuiti,
si rappresentò in più ricorsi al Re, che eravamo di ruina non solo ai paesi, ma
che davamo da temere anche alla Corona. Giocando la carta, e credendosi in mano
la primera, già spacciavansi ruinati i Missionarj, esiliati, e soppressa la
Congregazione.
Avanzata la calunnia al
Real Trono, fuoco di riverbero si vide così nel Tribunale di Foggia, che nelle
Regie Udienze di Lucera, Montefusco, e Salerno.
Tuttogiorno piene di nuovi ricorsi vedevansi le Reali Secreterie; né vi
fu Tribunale in Napoli, ove non si machinasse a nostro danno. Tutto era
affanno, e dolore nella Congregazione. La verità oppressa dalla menzogna, se
giungeva al Real Trono, nol faceva, che tardi, e molto defatigata.
Contemporaneamente il
Barone rappresentò come indebitamente donato a noi dal Padre il sito della casa,
e le fabbriche che vi erano; e dal Fratello più indebitamente la donazione, che
del podere avevaci fatta. Riclama, che essendo erede del Padre, e del Fratello,
già morto ab intestato, spettare a lui il podere, e che per giustizia se li
restituisse e Casa e Vigna, coi frutti malamente percepiti. Si avanza, che non
dandosi freno alla rapacità de' Missionarj, questi, con detrimento del
Pubblico, e della Real Corona, sotto il sotterfugio degli equivoci, fatti
avrebbero immensi acquisti.
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Se potevano o nò
affliggere Alfonso sì fatte peripezie, sel figuri ognuno. In sentirne da me la
nera catastrofe, stringendosi nelle spalle, si umilia innanzi a Dio, e ne adora
i suoi giusti giudizj. Senso li fece soprattutto l'animosità del Maffei.
"Il travaglio, mi disse, è più grande di quello che potete idearvi. Se si
è dichiarato offeso, povera Casa! Ne so io l'indole, e quello vi passò
Monsignor Lucci. Iddio sia quello che ci voglia proteggere".
Riscontrandone il P.
Villani; Fate dire, li scrisse, una Salve Regina alla Madonna dopo
l'orazione della mattina, e della sera, coll'orazione Defende, per la Casa
d'Iliceto, che passa guai.
Avanzandosi li torbidi,
prescrisse, per tutte le Case, Orazioni, e digiuni. Volle, che ogni sera
recitato si fosse in comune il Salmo Qui
habitat; ed ordinò una novena a Maria Santissima, coll'esposizione del
Venerabile. Silenzio, e carità insinuò per li contradittori. Soprattutto, che
cosa attentata non si fosse, ancorché per difesa, contro di quelli; e che di
altre armi non ci avvalessimo per difenderci, che orazione, ed osservanza,
carità, e benevolenza verso i nemici. Così, che ogni sera nell'esame comune
detta si fosse per quelli un'Ave a Maria Santissima, affinché illuminati gli
avesse, e noi restituiti nella pristina quiete
Questo nostro
travaglio, se fe senso in tutti, maggiore lo fece nel Marchese di Marco,
Secretario in quel tempo di Grazia e Giustizia, e delle cose Ecclesiastiche.
Bastantemente erangli note il amari anfratti, che in Bovino dal medesimo
Ilicetano sofferto aveva il Ven. Vescovo Fra Antonio Lucci. Informato delle
nostre angustie dal Canonico Malizia, non
è contento, disse, aver travagliato
quel servo di Dio, vuole affliggere anche questi. Ne fu così commosso, che
non mancò in seguito favorirci.
Avanzato il fuoco,
abbiamo una circolare di Alfonso a tutte le Case.
"Ecco, miei cari Fratelli, ei disse, che il Signore ci sta visitando con
molta tribolazione e timore, per mezzo de' nostri oppositori, che tendono a
veder distrutta la Congregazione, e non sappiamo ove andremo a finire.
L'osservanza è decaduta, e Dio ci castiga.
Speriamo alla Divina
Bontà, e sua Misericordia, che non voglia permettere veder distrutta la
Congregazione; ma procuriamo placarla colle preghiere, e con evitare i
volontarj difetti, specialmente nell'ubbidienza, mentre per questo ci avressimo
meritato ogni castigo. Tra le altre cose ho riflettuto, che la Congregazione
sta tribolata, da che si è tolto il digiuno del Sabbato.
Procuriamo pertanto
guadagnare il Patrocinio di Maria nella tempesta presente, con ripigliarsi il
digiuno comune del Sabbato in tutte le Case. Così la Divina Madre penserà
salvarci da questa rovina universale, che ci viene minacciata dai nostri
malevoli".
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Volendo il Maffei, che
giuridicamente ci si negasse, con sentenza di supremo Tribunale, quella
cittadinanza, che col fatto avevaci spogliata, comparve nella Regia Camera
della Sommaria. Anche in questa rimesso aveva il Re i capi per gli asseriti
acquisti. Cinque Avvocati comparvero per lui, minacciandoci tutti strage, e
ruina; e per noi non ne prese la protezione, afflitto dall'innocenza, e dalla
giustizia, che il solo Gaetano Celano, famoso Avvocato di quel tempo, ed indi
Consigliere del Sovrano.
Cinque bugni di Api fu
tutto l'asserito acquisto, in disprezzo degli Ordini Reali, uno schioppo, un
tino, e poche centinaja di viti, non donati da un Campagnuolo, ma lasciati per
vendersi, soddisfarsi i funerali al Clero, e celebrarsene dell'avanzo tante
Messe.
Stomacò la Ruota un tal
carico. Conosciuta astiosa anche la negata cittadinanza, quei savi Senatori nel
primo di Gennaro 1767 decretarono, con sentimento uniforme, che Iidem Sacerdotes tractentur, uti ceteri
cives in juribus civicis "Non ancora, dissero, abbiamo noi trattata
causa in Camera come questa, con nostro piacere, e di comune
soddisfazione".
L'impegno non appagato,
e lo scorno per gli acquisti non provati, non confusero, ma inviperirono i
contradittori. Facendo uso della cabala, strada che si fece il Maffei nella
Real Giurisdizione. Sorpreso il Delegato, ci spogliò dell'amministrazione de'
beni. Calato in Puglia l'Archivista di quel Supremo Tribunale, anche con grossa
squadra di Birri (si barattò denaro, per far pomposo lo spoglio), affidò i
pochi averi che si avevano ad un Economo indipendente dai nostri, e designato
dal Maffei.
Amaro fu per noi questo colpo. Non vedevasi che a
stento un qualche carlino; l'esito superava anche l'introito; ed altro impegno
non avevasi, che veder tutto distrutto, e mancato. Riscontrato Alfonso di
queste novità, si figuri in quali afflizioni dovette vedersi, considerando i
suoi bersagliati, e senza alimenti. Non
lasciate l'Orazione, ci scrisse, perché
a Dio sta tutta la mia confidenza; ed al P. Villani: portiamoci bene, che Gesù - Cristo ci proteggerà. Questo avvertite
sempre, ma se facciamo difetti, ci abbandonerà.
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