- 189 -
Cap.38
Applauso con cui fu ricevuta dal Pubblico l'Opera
della Verità della Fede; compiacimento di Papa Clemente XIII., altri libri dati
alle stampe; e nuovi avvisi a suoi Congregati.
- 189 -
In quest'anno Alfonso,
cioè nel 1767., e tra lo sconvolgimento, in cui vedevasi la Congregazione,
pubblicò la Verità della Fede, o sia
la sua grand'opera in difesa della Chiesa Cattolica. Fa vedere come questa è
l'unica, e rivelata da Dio, e che fuori di questa Chiesa, non vi è salute.
E' divisa quest'opera
in tre parti. La prima è contro li Materialisti, che negano l'esistenza di Dio;
la seconda attacca li Deisti, che negano la Religione rivelata; e la terza è
contro i Settarj, che negano la Chiesa Cattolica Romana esser l'unica, e vera.
Con questi attacca i Giansenisti, anche nemici della Chiesa, e del sangue di
Gesù Cristo. Raccomandando la stampa di quest'opera al Fratello Francesco Tartaglione,
Questi scritti, li disse, mi costano sudori di sangue.
Stando l'Opera sotto
del torchio, vi fece due appendici. La prima - 190 -
è contro Elvezio, o sia contro il libro intitolato L'Esprit, di cui Elvezio n'è l'autore.
Due punti sopra tutto
imprende a combattere. Primo la sensibilità Fisica, che Elvezio chiama causa
produttrice de' nostri pensieri. Alfonso fa vedere, che posto un tale assioma,
differenza non passa tra l'anima degli uomini, e quella de' bruti; e che
distrutta vi resta con tal principio la morale, e la Religione. Confuta, per
secondo, l'altro principio di Elvezio; cioè che la Morale dell'uomo la formano
il piacere, e l'interesse: vale a dire, che tutto ciò, che fomenta il piacere è
onesto, e tutto quello è giusto, che fomenta l'interesse.
Alfonso fa vedere che
la sola verità del vero bene, e del vero male è, e deve essere nell'uomo
l'unico motore di sua morale. Così combatte altre empietà contro la Religione,
la Libertà, e la Morale Cristiana
.
Si raggira la seconda
appendice, confutando quell'altro libro francese intitolato: De la Predication etc. In questo,
attaccandosi di fronte la predicazione Evangelica, e distinguendo l'Autore la
conversione dello spirito da quella del cuore, fa vedere, che può ottenersi
colla predicazione quella dello spirito, e non quella del cuore. Quanto sia
empio in se stesso un tale assunto, Alfonso lo rileva, facendo vedere, che
tolta la predicazione, privo resterebbe l'uomo di un mezzo così interessate,
preordinato da Dio per la sua conversione.
Comune fu l'applauso
con cui fu ricevuta quest'Opera, e maggiormente fu encomiato lo zelo di
Alfonso, che vi si era adoperato.
Giambattista Gori,
Canonico della Metropolitana di Napoli, rapportandone il pregio a S. E. il
Cardinal Sersale, non finisce di ammirare lo zelo di Alfonso, ancorchè oppresso
dall'età, e dalla mole del Vescovado:
"Cum nihil injurium,
impervium nihil Viro Apostolico sit in animarum salute procuranda; hinc
multiplici licet sollicitudinum mole Ecclesiae suae gravatus, devexa licet
aetate, eadem tamen animi fortitudine ad certandum bonum fidei certamen
progreditur; e che Alfonso altro non ha in mira tra Fedeli, che l'integrità
della Fede, e del buon costume: Omnia in
eo tendere visa sunt, ut integra Fides, et ingenui mores ab impiorum calumniis,
et pravarum opinionum caligine vindicentur, Materialistarum, et Deistarum,
aliorumque perditorum hominum deliramenta penitus convelluntur".
"Il piissimo
Autore, così alla Maestà del Re, il Canonico Simioli, ha senz'avvedersene,
dipinto l'ardor di sua fede, e di sua carità; ed in certi particolari suoi
sentimenti, ha espresso, come in viva imagine, la sua pietà, e religione".
Tra tutti si compiacque
estremamente di quest'Opera Papa Clemente XIII. Avendocela Alfonso, dedicata,
così si spiega con un suo Breve de' 4. Agosto 1767.
"Con sommo mio piacere ho ricevuto il libro contro i moderni errori. Con
piacere l'ho ricevuto, ei dice, perché vostro, avendo rilevato da altre vostre
opere il talento, la dottrina - 191 -
e lo zelo che nutrite per la gloria di Dio.
Dice averlo cominciato a leggere; e siccome restava soddisfatto di quello che
letto aveva, così era certo, che sarebbe per soddisfarlo il di più, che li
restava da leggere". Librum tuum
adversus errores, qui nunc temporis omnem propemodum infecerunt Europam,
libentissime accepimus, tum quod tuus est, cujus probe novimus ex pluribus
aliis scriptis tuis, et ingenium, et doctrinam, et Dei zelum magnopere
flagrantem: tum quod confidimus utilissimum futurum, maximeque frugiferum.
Illum evolvere caepimus, nec dubitamus quin ut ea, quae hactenus legimus nobis
placuere, sic reliquia placitura.
Restò soprattutto
ammirato il Papa, che non contento di giovare alla propria Diocesi, che che
avanzavale di tempo, impiegavalo in beneficio di tutta la Chiesa: Caeterum, Venerabilis Frater, te summopere
amamus, quod minime contentus uni Ecclesiae tuae prodesse: quidquid temporis
tibi superest ex Episcopali tua procuratione, id perire non pateris, sed omne
consumis in ejusmodi laboribus, quorum utilitas non circumscribitur finibus
tuae Diocesis, sed ad Ecclesiam porrigitur universam.
Anzioso il Papa di sua
salute, prego Iddio, ei dice, che vi dia sanità, e vita, e che vi dia forze per
perfezionare il di più, che forse avrete intrapreso: Deum rogamus firmam ut tibi tribuat valetudinem, et vitam addat et vires, quo alia complura,
quae forte inchoasti, feliciter possis absolvere. Conchiude: Et fraternitati
tuae, benevolentiae nostrae pignus, Apostolicam Benedictionem peramanter
impertimur. Tale, e di vantaggio era la stima, che avea il S. Padre della
dottrina, e dello zelo di Alfonso.
Avendo in mira
l'ignoranza, che vi era in Diocesi, e volendo giovare al suo Popolo, diede
fuori in questo tempo un'altra opera, ma troppo utile, cioè l'Istruzione al Popolo sopra li Precetti del
Decalogo per ben osservarli, e sopra i Sacramenti per ben riceverli. Non è
di gran mole questo libro, ma perchè sommamente utile fu applaudito,
specialmente dai Parrochi. "O si considera, disse il Cattedratico
Giordano, regio Revisore, il fondo delle sentenze, o il modo di spiegarle,
parrà sempre agl'intendenti, che porti scritto nella fronte il nome dell'autor
suo". In buon senso di uomo dotto, e zelante dell'onor di Dio, e della
salvezza delle Anime.
Anche con quest'Opera va
egli incontro Monsignore a quei spiriti rigidi, che affettando purità di
dottrina, e Cristianesimo antico, caricano le Anime di quel giogo oltremodo
pesante, che aggravarle non s'intende da Gesù - Cristo.
"Non è questa, ei diceva, la dottrina della Chiesa, che gloriasi esser
madre, e non matrigna. Giansenio, e i suoi hanno suscitato questo rigore.
Vorrei sapere quali sono più le Anime, che questi, con coscienza erronea,
mandano nell'Inferno, o quelle che - 192 -
drizzano al Paradiso.
Di certo i loro
sentimenti adottati non furono dai Santi Vescovi, che adoriamo sull'Altare, e
da quei santi Operaj, che, per salvare un'Anima, hanno sacrificato e vita, e
sangue. "Non ancora abbiamo noi veduto, diceva Alfonso, un Giansenista,
che abbia perduto un'ora di sonno per metter in salvo un'Anima".
Non perdendo di mira
cogl'interessi della Chiesa, e Diocesi anche quelli della sua Congregazione, a'
20. di Giugno di questo medesimo anno, inculca al P. Villani suo Vicario alcuni
avvertimenti, da darsi ai nostri in suo nome.
"Avvertite, ei
dice, i nuovi Rettori di non far nuove fabbriche senza l'approvazione de'
Consultori della Casa, essendo fabbriche di poco momento; ma essendo cosa
notabile, che non s'intraprenda senza il mio permesso. Che non si spenda a far compra
di libri di notabile valore: buono è che pensino a meglio trattare i soggetti
nel vitto, acciò non si lamentino, e facciano l'osservanza.
Di più, che usino dolcezza con tutti, e che i soggetti si corriggano
amichevolmente in secreto. Essendo pubblici i difetti, che anche facciano prima
la correzione in secreto. Dolcezza, ed anche fortezza con tutti. Quello che
senza causa speciale si accorda ad uno, con difficoltà potrà negarsi ad un
altro, e così va a terra l'osservanza. Questo da parte mia lo comunichi ai
Rettori, o a voce, o in iscritto".
Considerando la Casa di Nocera
come più soggetta alle distrazioni, e perché frequentata da Cittadini, e perché
soggetta al passaggio di amici, che o vanno, o vengono da Napoli, a 25 di
questo medesimo mese, così scrisse da Airola a quel Rettore:
"Prego far sentire a cotesta Comunità di S. Michele i seguenti miei
ordini. Che in cucina non vi vadino né Padri, né Fratelli, né Convittori, fuori
di quelli che vi devono assistere. Che tutti intervengano agli atti comuni,
eccetto gli attuali infermi, o quelli, che hanno nostra licenza espressa. Che
non si vada a confessare né Monasteri delle Monache, se non una sol volta il
mese, e che niuno accetti nuove penitenti. Fuori del Giovedì, secondo la
Regola, non si esca dal Collegio a spasso, e specialmente nelle Feste solenni.
Finalmente i nostri Padri, e Fratelli non discorrano a lungo nella porteria, o
in giardino, e tanto meno nelle stanze co' preti, o secolari, senz'espressa
licenza di V. R., e con giusta causa. L'abbraccio, e benedico".
|