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Cap.39
Alfonso vedendo in travaglio tutta la Congregazione si
porta in Napoli; sua esemplarità, e somma venerazione riscossa da tutti.
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Il fuoco, anzi che
estinguersi, sempre più videsi accresciuto nelle due Case d'Iliceto, e Ciorani.
Troppo sbigottiti vedevansi i nostri per la prepotenza de' contradittori. Tutti
e due erano da temersi, ma quello d'Iliceto, godendo la confidenza del Sovrano,
servendolo nelle caccie, godeva il favore, oltre di tanti altri Signori, anche
quello del primo Ministro il Marchese Tanucci.
Non badando questi a
danaro, teneva mano in tutte le Secreterie, ed in Provincia disponeva a talento
di qualunque Tribunale. Ingrossandosi la burasca, maggiormente istavano i nostri
presso Monsignore, che di persona portato si fosse in Napoli, per sincerar
specialmente il Marchese Tanucci.
Benché ossequioso fosse per Alfonso il
Marchese, tuttavolta perché prevenuto in favore del Gentiluomo Ilicetano, dava
molto da temere. "Tanucci, così egli al P. Villani, è stato parlato da
Monsignor Albertini: se non ha creduto a quello, molto meno crederà a me, che
sono parte. Se vedrò, che la mia opera possa giovare, non lascerò di farlo: E
soggiunge; non credo di amare la Congregazione meno di V. R., e di tutti i
Padri, né V. R. potrà mai dubitare, che abbia a lasciare di far cosa, che
conosco utile per la Congregazione".
Tra questo tempo in
data de' 20. Giugno 1767. scrisse ai nostri la seguente esortazione da Airola.
"Fratelli miei,
uniamoci con Gesù - Cristo, perché ne' tempi presenti vi sono per noi gran
pericoli, e per le persecuzioni, che stiamo soffrendo, ci bisogna la mano del
Signore, per farcene uscire senza danno della Congregazione. Ma se non ci
portiamo bene, Gesù Cristo ci abbandona. Vi raccomando pertanto lo studio del
Crocefisso, e conversare quanto meno si può colle persone, che non sono della
Congregazione, altrimenti perderemo il concetto, e lo spirito.
Vi raccomando ancora
fuggire al sommo le case de' parenti. Avete veduti tanti esempj freschi di
Soggetti, che per andare in casa de' parenti, hanno perduta la vocazione; e Dio
sa dove anderanno a parare. In generale vi raccomando l'amore della santa
povertà, ed umiltà, quali virtù, come sento con mio dolore, sono scemate nella Congregazione.
Stiamo attenti, perché
ne' tempi presenti stiamo in pericolo d'esser mandati alle case nostre; e
questo sarebbe il maggior castigo, che potressimo ricevere da Dio. Benedico, ed
abbraccio tutti nel cuore di Gesù - Cristo".
L'impegno avendo preso
piede ne' contradittori, non vi era più pace - 194 -
per noi. Affardellandosi calunnia a calunnia,
mettevano alle strette, col cuore de' Ministri, quello del Sovrano. Viva era la
guerra, che specialmente facevasi dal Maffei. Avvezzo questi a superar tutto,
profondendo danaro e roba, voleva la gloria, e presala di punto veder i nostri
sloggiati da Iliceto, e soppressa, con quella casa, la Congregazione tutta.
Afflitto il P. Villani,
non mancò portarsi da Monsignore: molto più che la causa era per chiamarsi in
Camera Reale, e l'Avvocato D. Gaetano Celano né avea informato i Ministri, né
compilata la difesa. Sentendo questo Alfonso, spedisce in Caserta il suo
Secretario con due rispettive lettere, una al Marchese Tanucci, e l'altra al
Marchese Demarco, pregandoli, per gli addotti motivi, che si degnassero far
spuntar la causa.
Ancorchè il Marchese
Tanucci non dasse udienza a veruno, sentendo Secretario di Monsignor Liguori, l'ammise,
e ricevuta la lettera, disse: dite a Monsignore, che si farà quello che si
conviene. In punto arrivando da Napoli il Marchese Demarco, e presentandosegli
la lettera, se li disse, che altra simile erasi presentata al Marchese Tanucci.
Questo m'imbarazza, rispose. Ossequioso per Monsignore, sul punto dispacciò,
che la causa differita si fosse; e non ancora il Verzella era giunto in
Arienzo, che sopraggiunto si vide da un'ordinanza spedita a Monsignore,
accertandolo averlo compiaciuto, ed offerendosi il Marchese ad ulteriori
servizj.
Qualunque fosse la
contraddizione non si sgomentava Alfonso.
"Per le cose nostre così al P. Villani a 7. di Luglio, non mi pare, che ci
cape tanto timore. Finalmente non siamo colpevoli di chiare controvenzioni. Poi
v'è Dio, onde ci vogliono orazioni". Avanzandosi la tempesta, crebbero i
riclamori de' nostri. Essendosi portato, unito con altri il P. Villani in S.
Agata, piangendo rappresentarono la prepotenza degli Avversarj, ed il certo
pericolo in cui si era; pregandolo, che se voleva in salvo la Congregazione,
era necessario la sua presenza in Napoli.
Sicuro Alfonso
dell'innocenza, e non dubitando della protezione di Dio, "La mia presenza,
lor disse, a che può giovare? quello che non so colle lettere, nemmeno l'ottengo,
se mi porto in Napoli".
Commosso però,
vedendoli così afflitti, benché malsano, risolvette partire. Tutto
l'equipaggio, che allestì per questo viaggio, e tutta la difesa, che si
prefisse non furono che Messe, ed Orazioni. La confidenza in Dio, e la protezione
Divina eran quelle, che facevan il suo coraggio. "Verso li dodeci
dell'entrante, scrisse tra gli altri al P. Cajone, Rettore in Caposele, sarò in
Napoli per le cose nostre. Fate una novena per questo, e fate fare Orazione; ed
il mio trattenimento sarà lungo". Non avendo carozza, l'ebbe ad imprestito
da D. Marcello Mazzoni; e fu in Napoli a' 16. di Luglio 1767.
Subito che vi giunse,
portossi da sua Eminenza. Ritrovandosi - 195 -
questi a tavola, sentendo arrivato Monsignor Liguori, si alza, e colla
salvietta avanti al petto, e gli occhi inacquati per l'inaspettata
consolazione, se li fa incontro, l'abbraccia, e bacia. Richiedendolo perché in
Napoli, e così all'improvviso: Eminenza, le
disse, la mia Congregazione passa guai: i
nemici la vogliono distrutta; ma io spero, che Iddio fa à uso di sua possanza.
Avanzata l'ora,
calarono insieme col Cardinale. Volevalo questi con esso; ma Alfonso, avendo
avuta la carrozza del Fratello, si disbrigò, con dire volersi portare alla
novena di S. Vincenzo di Paoli, che celebravasi coll'esposizione del Venerabile
nella Parrocchia de' Vergini, né ci mancò veruna sera. Licenziandosi, si spiegò
il Cardinale: Voi siete, li disse, Arcivescovo di Napoli; avvaletevi di tutto,
e disponetene come volete.
Fe senso in Città
l'arrivo di Monsignor Liguori. Subito, che vi giunse, accerchiato si vide da
Canonici, da Capi d'Ordine, Cavalieri, Avvocati, e Ministri. Anche il Popolo
basso vi concorreva a folla, ansioso di ossequiarlo. Quasi tutti i Prelati, che
ritrovavansi in Napoli, furono a complimentarlo. Egli però, ritrovandosi in
Napoli per affari, e così urgenti, pregò tutti, se mancava a suoi doveri,
averlo per scusato.
Umiltà, e povertà
facevano il suo corteggio. Abitò in casa del Fratello, ma non volle tratto
cavalleresco. Cedette al Secretario stanza, e letto nobile, che dal Fratello
eraglisi preparato, e per se prescelse un camerino non curato, e tale, che
serviva per riposto di vecchie suppellettili. Tutto l'addobbo in questo non fu,
che un lettino alla peggio, e poche sedie di paglia.
Non essendo di funzione
in qualche Chiesa, vestiva in casa, e fuori la semplice tonaca di sua
Congregazione: quell'istessa, ancorché logora, che giornalmente vestiva in S.
Agata. Le scarpe erano quelle, che si fece, andando a Roma, ed il cappello
anche di quel tempo, non più di costo che di carlini tre, ma smunto, e mal
tenuto. Dispiacendo più di tutto questo cappello al suo Fratello D. Ercole, di
soppiatto cel tolse, e comprolli uno di costo. Se n'afflisse Monsignore, non
potendo fare il contrario; ma prima di ritirarsi da Napoli, avendolo fatto
esitare, del ritratto, quattro ne fe comprare, uno retinendo per se, e tre
diede a' nostri. Non avendo cappa, servivasi del mantellone. Essendoseli detto,
che non conveniva, mandò alla giudea per una cappa di scottino usata, e si
spendettero carlini quindeci.
Non volendo far pomba
di se, industriavasi comparire nella maniera la più dimessa. Quand'era per
funzione in Chiesa, che evitar non potette, o per predicarvi, o per celebrarvi,
come in seguito dirò, vestiva di pavonazzo: fuori di questo godeva della tonaca
di sua Congregazione.
Scherzando un giorno
l'Eminentissimo Sersale, "Monsignore, il disse, ora mi sembrate Vescovo
greco, ora latino, sapessimo cosa - 196 -
siete. Io non so, disse volgendosi a Monsignor Sanseverino, come costui, se
appena ne porta il segno, possa goderne il foro, ed aversi per Vescovo".
Altro distintivo non aveva, che la Crocetta al petto, ma così meschina, che
neppur compariva.
Avendolo taluni
trattato di eccellenza, "Che eccellenza, ed eccellenza, ripigliò Alfonso,
troncando mezzo infadato la parola, levate quest'eccellenza". Curioso fu
un attacco, che ebbe per questo con un servente di Monastero. Ripetendoli
questi l'eccellenza, "Via mo, li disse, levate quest'eccellenza. Come nò,
ripigliò il servente, se siete cavaliere, e vi spetta. Finiscila, soggiunse
Monsignore, levate quest'eccellenza. Lo disse con tal tuono, che non ancora
quel poveretto vede la porta per uscirne.
Eccedendo in atti di
suo abbassamento, anche con persone ordinarie, non mancò dirli l'Avvocato D.
Carlo Melchionna, che eccedeva, ed egli: L'umiltà, disse non ha fatto mai
danno. Una delle sere alcuni musici, essendo venuti a raccomandarsi per qualche
novena in Diocesi, licenziandosi, li accompagnò fino alla sala. Varj Signori
presenti ammirar non finirono tanta degnazione.
Se coll'umiltà facevasi
strada da per tutto, la gloria, e la venerazione lo susseguiva. Non vi fu ceto
di persone, che dimostrato non avesse per lui una somma venerazione. Essendosi
portato nel Palazzo Reale, per implorare la protezione del Principe della
Riccia, Montiere maggiore della Maestà del Re, non fu ricevuto come uomo, ma
come Angiolo. Sentendolo in anticamera, esce sollecito, e con rispetto li bacia
la mano. Fatto inteso del tutto, prese a petto suo la causa, esibendosi per
qualunque suo interesse. Licenziandosi, l'accompagnò tutt'ossequio fino alla
grada, e ritirandosi "Benedetto Iddio, esclamò, vi ringrazio, d'avermi
fatto vedere un'altra volta questo sant'uomo".
Il Marchese Demarco,
ancorchè occupato con un'altro Vescovo, giungendo Alfonso, licenzia quello, ed
uscendoli incontro, ossequioso vuole baciarli la mano. Calandosene, non
contento averlo accompagnato fino alla porta dell'anticamera, passava innanzi.
Si ferma Monsignore, ricusando ogni altra finezza; ma passando avanti il
Marchese, agli altri, disse, fin qui, a Voi fin lì. Volle
accompagnarlo fino alla porta della sala, e volle di nuovo ribaciarli la mano.
Con non minor
venerazione fu egli ricevuto dal Marchese Cavalcanti, Luogotenente della
Camera. Ricevendo questi l'imbasciata in fretta, andò a comporsi, e
licenziandosi, anche accompagnollo fino al secondo ordine della grada.
In eccesso di somma
stima diede per esso il Principe di S. Nicandro. Era questi uno de' Reggenti,
ed Ajo allora del nostro Sovrano. Oltre de' replicati segni di somma
venerazione, che dimostrò in riceverlo, licenziandosi calò la scala, e volle
accompagnarlo fino al piano del cortile; nè vedevasi sazio di ribaciarli la
mano, e raccomandarsi alle sue Orazioni.
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Non voglio omettere i
segni di venerazione, con cui fu ricevuto dal Marchese Cito suo amico, e
Presidente del Consiglio. Giungendo, se li fa incontro, ed avendoli baciato la mano,
rispettoso l'intromette nella sua stanza, serra la bussola, e lo sente con
piacere.
Fu così lunga
l'udienza, che disgustati i tanti Avvocati, e Signori, che vi erano in
anticamera, borbottando ne calarono. "Il Sig. Presidente, dissero, quando
in quest'ora vuol dar udienza a Monsignor Liguori, che metta i cartelli per
Napoli, e non tenga Camera Reale".
Calandosene, non
contento il Marchese averlo accompagnato fin sopra la grada, scendendo a basso,
lo accompagnò fino alla carrozza, ribaciandoli con ossequio la mano.
Questa comparsa di
Alfonso in Napoli avvilì i contradittori. Anche i loro Avvocati, come cominciò
a girare pel Ministero, dicevano aver mutato aspetto la causa. Ove prima si
volevano perduti i Missionarj, e soppressa la Congregazione, mutato linguaggio,
vedevansi questi protetti, e la Congregazione applaudita. I medesimi avversarj
anch'essi non potevano far giustizia al di lui merito. Agivano, e non agivano;
anzi cercavano per grazia quello, che pretender non potevano per giustizia.
Se grande era l'idea,
che in Napoli avevasi della virtù di Alfonso, ma in quest'occasione si vide
maggiormente accresciuta. Giustificando i Missionarj, non malignò i
contradittori; e se difese l'innocenza, non offese la calunnia. Attribuiva
l'impegno dell'uno, come nato dall'interesse, e la stizza dell'altro
all'indole, che avea. Non si vide in esso nè astio, nè livore. Cercava la
quiete de' suoi, e l'opera protetta dal Principe; ma discolpando i nostri,
commiserava i contradittori.
Con tale condotta
attirossi la venerazione anche de' maggiori aderenti de' medesimi avversarj.
Ognuno restando ammirato di tanta moderazione, non poteva non condannare la di
loro animosità.
Gli Avvocati, ove per
l'addietro, vedendosi colla vittoria nelle mani, sollecitavano essi la causa,
mutate le circostanze, temporeggiavano, stimando non azzardarla.
Questa freddezza
dispiaceva ad Alfonso. Egli medesimo, facendo premura in Secreteria, ottenne
dal Re, che presto si fosse disbrigata; e per gli undeci di Settembre si fece
l'appuntamento, nella Real Camera di S. Chiara, per la causa del Sarnelli; cioè
della pretenzione, che questo avea sul podere, che, per fondo della Casa, erasi
assegnato dal di lui fratello.
Non mancò il demonio,
prevedendo le sue sconfitte, voler ruinare Alfonso, e togliere con esso l'unico
sostegno alla combattuta Congregazione.
Girando egli in
carrozza coll'Avvocato D. Gaetano Celano, di poi Consigliere della Maestà del
Principe, ritornando una sera, in mezzo ad un gran temporale, dal Consiglier
Vargas, il cocchiere, per evitarlo - 198 -
tirò di tutta fuga nel cortile del Consiglier Pirelli.
Ritrovandosi in quello
rifugiate altre carrozze, viddesi respinto, e passando nel tempo istesso anche
di fuga un'altra carroza di dietro, battendo di fianco quella di Monsignore, la
rovescia, cadendo egli di sotto, ed i Celano di sopra.
I cristalli si fecero in pezzi, ruinò il cocchiere, e di dietro anche i
servidori. Monsignore non si fe male, e solo l'Avvocato Celano restò offeso in
una mano. A stento tutti e due si tirarono dalla carrozza, e situati tutti e
due, più morti che vivi, in una adjacente speziaria.
Sentendo l'accaduto la
Duchessa moglie del Pirelli, fe salirli in Palazzo. Salassati, e ristorati, la
Duchessa rimandolli a casa colle proprie carrozze. In quest'occasione Alfonso
altro non pianse che il famoso cappello, perduto nell'imbarazzo, ed una mazza,
che formava il suo ricco bastone.
Si chiamò la causa; ed
Alfonso vinse senza combattere. Prevedendosi strepitoso il conflitto, un Mondo
di curiosi si vide in Camera. Chi compatendo i nostri, e chi per compiacersi,
se sconfitti. Vi fu l'Avvocato Celano; ma gli Avvocati contrari non ebbero lo
spirito comparirvi. Uno vi fu, ma spiegossi non aver il coraggio di parlare, ed
esporsi contro un Vescovo, che tutta Napoli acclama per santo. Parlò l'Avvocato
Celano, ma mancando gl'attori, si alzò mano.
Questa innazione
rincrebbe ad Alfonso. Avendo mandato il suo Secretario dal Presidente Cito,
affiggendosi dell'attrasso. "Non li rincresca, disse, calare il ponte
all'inimico che fugge: che stasse di buon animo; e che con sua pace si
ritirasse in Diocesi".
Tale fu il successo di
questa gita di Alfonso in Napoli. Essendosi licenziato da tutti, dopo due mesi,
e giorni tre che si trattenne, a' 19. di Settembre si ritirò in Arienzo.
Scrivendo al P. Cajone Rettore in Caposele,
disse: "Già saprà, che sono stato più mesi in Napoli, dove, per grazia di
Dio, ho lasciate ben disposte le cose; ma la tempesta è stata grande, e non è
ancora finita. Prego far seguitar la disciplina nel Lunedì, e 'l digiuno nel
Sabbato, che si è promesso per sempre alla Madonna, in ringraziamento del suo
ajuto nelle presenti persecuzioni".
Ed in un'altra
de' tre di Ottobre al P. Rettore Gajano ne' Ciorani, soggiunse; "Prego
raccomandare a tutti l'osservanza, l'umiltà e la carità coi Fratelli: non
lagnarsi della povertà, soffrirsi le umiliazioni, e non pretendere di esser
anteposti; ma molto più non contrastare co' Superiori, e non resistere
all'ubbidienza. Le inosservanze sono quelle che più mi fanno tremare, che tutte
le persecuzioni. Portiamoci bene con Dio, che Gesù - Cristo, e la Madonna non
mancheranno ajutarci".
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