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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap.41 Censurato Alfonso intorno al Governo, non si discolpa, criticato per l'applicazione letteraria, e per la spesa delle stampe, si giustifica.
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Cap.41

Censurato Alfonso intorno al Governo, non si discolpa, criticato per l'applicazione letteraria, e per la spesa delle stampe, si giustifica.

 


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Quantunque indifferente non fosse, anzi eccessiva la vigilanza, che Alfonso usava pel buon governo della Diocesi, ancorché ammirata da personaggi di eccezione maggiori, ed encomiata specialmente dal Papa, tuttavolta non è, che esente sia stato dalla censura. Accadde a Monsignore ciò, che succede nelle opere de' più celebri Professori, che non curando il grosso, esaminando si vanno i più piccioli delineamenti, non per ammirarli, ma per censurarli, e denigrarne l'autore.
Capo d'opera era il suo Governo. Chi esaminavalo con occhio critico, non trovando cosa nel grosso, che dispiacer li potesse, fermavasi a censurare quelle macchie, che sembran corpi, e non sono che ombre. Avendosi per uomo santo, e tutto zelo, tutti stavano coll'occhio al suo governo. Persuasi, che non governasse un uomo, ma un Angelo, volevasi per lo meno, che tolto avesse il peccato dal mondo; e come sentivasi in Diocesi un qualche disordine, subito armavansi le lingue, denigrandolo, e censurandolo.

 

Male sentivali in Napoli un rispettabile Religioso e criticavalo, non per quello che vide, ma per quello che sentiva. Interessato per Alfonso era in Napoli il Sacerdote D. Salvatore Tramontana. Sentendolo criticato, non mancò farnelo inteso, pregandolo volersi giustificare col medesimo. "Ho letto, le rescrisse Alfonso, il mal concetto, che ha di me il Padre N. Non serve scrivergli. S. Francesco di Sales, il P. Torres, e tanti altri non si sono difesi".
Diceva tra l'altro il Religioso, che tre, e non Monsignore, governavano la Diocesi. "I tre che governano, scrisse Alfonso, sono il Vicario, il quale mi serve qui nella Curia, l'Arcidiacono Rainone, che anche sbriga la Curia in S. Agata, ed il Secretario, il quale non governa, né sa cosa". Volendo dire con questo, che egli faceva tutto. Non altrimenti spiegasi in un'altra lettera. "Io fo passare, così egli, tutte le cose per mano mia, eccetto solamente i decreti delle cose ordinarie in Curia, spettanti a materia


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d'interessi, che sbriga il Vicario qui, ed il luogotenente, che ho in S. Agata".

Proseguendo la lettera al Tramontana, dice: "Dimmi, D. Salvatore mio, in quale Diocesi non vi sono guai. Io per me fo quanto posso, ma ogni terra produce le sue spine: una si taglia, e ne nasce l'altra. Come vedo, è impossibile rimediare a questi lamenti contro di me; basta che non se ne lamenti Iddio. Tuttavolta mi giovano nello spirituale, per umiliarmi, vedendomi da taluni così disprezzato, e discreditato; ma prego Dio, che li faccia più santi di quello, che sono. Al P. N. avrei caro li dicessi, che mi venghi a trovare, perché così si chiarirebbe della verità cosa per cosa". Ci andiede il buon Padre, e ne ritornò non solo disingannato, ma panegirista per Alfonso.

 

Corretto, non avevalo a male. Avendo inteso il P. Villani non so che cosa, ed avendolo ammonito, egli rescrivendogli così si spiega: "In quanto alle cose della Diocesi, io vi ringrazio, perchè le ammonizioni sempre sono buone, e non possono fare mai danno; ma prego, quando occorrerà vederci, ricordarmi questa materia, acciocché ne parliamo in particolare. Gradiva saper tutto, anche in suo svantaggio, ed emendavasi, se conosceva aver errato. Avendoli scritto il medesimo Padre, che stasse sulla sua, e non si fidasse di veruno, "Sappia, li rescrisse, che sono arrivato a non fidarmi neppure di me stesso. Del resto, non è possibile chiuder la bocca a tutti, ed impedire il sofisticare, ed anche il mormorare". Il P. Villani, che teneramente l'amava, non mancava tenerlo riscontrato di qualunque lagnanza, per metterlo in guardia.

 

Uscì voce, e fu un inventato di maldicenti per denigrarlo, che in Diocesi un Prete, che poco buon nome godeva, battezzato aveva una capra. Chiasso fu questo, che fece rumore da pertutto; e non malignavasi il Prete, ma Monsignore, come inetto pel governo. Riscontrato di questo, dal medesimo Sacerdote Tramontana, e di altre asserite negligenze, che dicevansi in Napoli, rescrisse: "Circa le altre cose, che mi avete scritto, io ve ne ringrazio, perché mi giovano per farmi stare più umiliato, e più attento. Vi dico bensì, che sono tutte bugie. Il fatto della capra si è detto anche qui, ma non si è potuto appurar cosa. Il Prete però, che si nomina, è già stato esiliato da me, non per questo, ma per altre cause".

 

 Altra cosa vi fu che afflisse i nostri, ma non Alfonso. Fuvvi persona, tra questo tempo, che spacciò per Napoli, ma fu dicerìa di sfaccendato, che troppo male sentivasi in Roma del suo governo, per li tanti ricorsi, che vi erano contro di lui così al Papa, che nelle sacre


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Congregazioni. Aggiungendo di vantaggio, che il Papa, anziché compiacersi, pentivasi della di lui elezione in Vescovo di S. Agata.

Riscontrandolo di questo il P. Villani, Alfonso brevemente se ne sbrigò. "L'accusa in Roma può essere, ei disse. Non ancora l'ho intesa nominare. Del resto, non in quanto al governo, qual maggior attenzione potrei usarci, di quella che vi uso. Io mi noto continuamente sopra la carta ciò, che si ha da fare in quel giorno, o nel giorno appresso; e per gli affari della Diocesi metto sempre da parte tutte le altre cose, perché quelli sono li primi, e sono di obbligo, non così le seconde; e questo patentemente lo veggono tutti quelli della Diocesi. Faccia Dio il di più. Ma questa è la strada, per agevolarmi la rinuncia.

 

Altri vi furono, per l'opposto, vedendo i tratti del suo zelo, che condannato lo volevano di troppo rigore. Alfonso non davasi indietro, né perché debole stimavasi, né perché avevasi per troppo forte. Saldo il suo operare, non curava le dicerìe. Il rispetto umano, dicevami il P. Rafaele da Ruo, non fece mai gioco in Monsignor Liguori. Stando a tavola una mattina con varj Gentiluomini, ed eravi tra gli altri il Canonico Clemente di Montella, dicevano questi, che borbottavasi per un Prete, come ingiustamente esiliato. Carico era il Prete di varie mancanze, note ad Alfonso, ma non a tutti, ed attacco aveva, che doveva troncarsi. Sentendosi Alfonso censurato, se ne uscì con un sorriso, senza dir cosa in sua giustificazione. Il Canonico Clemente, che stavane inteso, notò in lui somma moderazione, non giustificando se stesso, e somma carità, non pubblicando i difetti del Prete. Così è, chi governa non può contentar tutti, e gloriar si deve aver Iddio per giudice della propria condotta.

 

Per lo più questi peli, e queste tante novellette non spacciavansi, che nelle conversazioni de' Vescovi meno zelanti, e più trascurati. Essendo per questi la vita di Alfonso una tacita, ma continuata censura, volendo giustificare la propria, anch'essi parlavano di zelo; e se nella Diocesi di S. Agata vedevansi de' piccioli insetti, cioè piccioli inconvenienti, non facendosi carichi delle provvidenze apprestate, sparlavano, ed alteravano i fatti. Altri, se oscurar non potevano la di lui condotta, ostentavano la propria, se non migliore, uniforme almeno a quella di Alfonso. Non voglio omettere un caso a me medesimo accaduto.

Essendomi portato, dopo la morte di Monsignore, in casa di uno di questi, per appurare un prodigio sortito tra i suoi, uscendosi in discorso della moderazione, che Alfonso praticava circa la servitù, e i domestici, questi, spezzandomi la parola, disinvolto mi disse: La famiglia era la stessa che la mia. Diede nel segno; perché egli faceva da Vescovo, e da cocchiere. Giornalmente vedevasi in baroccio, guidando i cavalli


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da se, ma bravi, e meglio guerniti. Tutto cipro vedevasi con merletti, con chioma inanellata, e con abiti da Città, e da campagna. Questi erano quelli che censuravano Alfonso, o che simili per lo meno si ostentavano. Il fatto fu che, disprezzando il prodigio, non mel fece appurare.

 

Senso faceva ancora, e facevalo anche nei nostri, che ne stavano lontani la folla delle stampe; e mussitavasi da più d'uno, che non omettesse, per attendere a stampar libri, volendo sull'incerto giovare ad altri, quello che di certo interessava il governo.

Avendoli scritto il P. Villani, che malamente sentivasi da più d'uno dei nostri una tale applicazione, Monsignore così rescrisse: "Per la mormorazione contro le stampe, dico, che anche i Vescovi zelanti, governando la Diocesi, hanno predicato, ed hanno stampato. Così S. Gio: Crisostomo, S. Agostino, S. Ambrogio, S. Francesco di Sales, Monsignor Sarnelli, ed altri. Io nell'inverno sto sempre chiuso, e non tengo conversazione, oltre di che tutti fuggono la mia conversazione, perché non vi è spasso. Tre volte il giorno io fo l'orazione, un'ora di ringraziamento dopo la Messa, e la lezione spirituale: intendo, quando sto libero da' negozj. Nell'altro tempo, per non stare inutile, fo qualche cosa, che mi pare utile". Non altrimenti si discolpa Monsignore, dando conto al suo Direttore, per le cose letterarie, individua la sollecitudine per lo governo, e l'applicazione, che aveva per lo profitto di se medesimo. "

 

Eravi un'altra mormorazione, anche senza fondamento; ed era la spesa, che soffrir dovevasi per le tante stampe. Monsignore se non guadagnava in queste, non soccombeva. Poche copie faceva tirare in Napoli, per aver esatta, sotto i proprj occhi, la correzione; ma poi cedeva l'opera o al Remondini in Venezia, o ad altro librajo in Napoli. Anzi in Napoli permetteva, che per la privativa, qualche librajo spedito si avesse anche il privilegio. Perdita non vi era, e qualche vantaggio, che ritraevasi non era, che de' poveri.

 

  "Per li libri, che ho stampati, così al medesimo P. Villani, ne ho ricavato il ritratto. Oltrediché sono libri utili per li miei Diocesani, e fuori di quello contro Patuzzi, tutti gli altri li ho fatti apposta per gli Ecclesiastici, e per li Confessori della Diocesi; cioè la via della salute, ed il Confessore di campagna, che qui molto ha giovato". In atto anche stava componendo l'istruzione per li Confessori, e soggiunge: "Questa istruzione anche la fo per la Diocesi, assicurandovi, che verrà la migliore di quante ne ho vedute, che sono piene di fanfaluche, eccetto taluna, che è troppo lunga". Così giustificasi Alfonso; e quello che più, anche non era opposto ai suoi sentimenti Papa Clemente XIII., che anzi animavalo a faticare, conoscendo


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giovevoli le di lui opere, come spiegavasi, non solo alla Diocesi, ma a tutta la Chiesa.

 

Qualunque fossero queste dicerie, Alfonso anzicché disanimarsi, avendo avanti gli occhi la gloria di Dio, e l'interesse della Chiesa, vie più non dava riposo alla penna, e meditava altre opere.

In una sua de' 3 di  Marzo 1768. al Remondini in Venezia, così si spiega: "Scrissi già a V. S. Illustrissima, che io volevo dare qui alle stampe un libretto contro l'Anonimo Francese, che fa un libro intitolato: Riflessione intorno la S. Fede. Ma finalmente, dopo molti dibattimenti, ho stimato, che per più motivi, non mi conveniva dar fuori, qui in Napoli, il detto libretto, con tutto che già avevo fatta la fatica di compirlo.

Non potendo dunque qui in Napoli, dar fuori detto libretto, ho pensato farne un altro dell'istessa materia contro Giustino Febronio, il quale peraltro tocca gli stessi punti dell'Autor Francese. Bisogna però, che io la faccia in latino, e in altra forma, diversa dal libretto già fatto; e bisogna, che lo cavi fuori sotto nome finto. Penso tra giorni cominciare a lavorarlo, perché il libro della Prattica di amar Gesù - Cristo già ho compito quasi tutto di componerlo, e già si è cominciato a stampare.
Il libretto contra Febronio verrà picciolo, e al più sarà di nove, o dieci fogli, e forse più breve...

Se vuole V. S. Illustrissima, che la spesa della stampa vada a conto mio, tanto me ne contenterò, poiché stimo, che questo libretto sia di gran gloria di Dio, e di bene della Chiesa, che oggidì, può dirsi, da tutte le parti conculcata".

 

Tra questo tempo, stampò la Via della Salute, opera utilissima per ogni ceto di persone. E questa divise in tre parti.

Nella prima vi sono le meditazioni per ogni tempo dell'anno; nella seconda, per diversi tempi particolari; e nella terza vi è il regolamento di vita per un Cristiano,

colla pratica delle virtù, e colle considerazioni sopra l'amore di Gesù - Cristo, chiamate da esso Saette di Fuoco.




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