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Cap. 44
Tenor di Vita da che Alfonso restò storpio fino a che
risedette nella sua Chiesa.
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Se finora, ne' suoi
travagli, la vita di Monsignore era stata di ammirazione a tutti, ripigliato
nelle forze il suo sistema confondeva, e predicavansi le meraviglie. Dimentico
di esser così storpio, e carico di pene qual'era, non operava, che come sano e
robusto. Se prima non eravi per esso momento di respiro, nel presente stato
tutto era strazio e propria crocefissione. Il sonno al solito non era, che circa
ore cinque.
Benché usasse la lana,
questa non consisteva, che in un misero trapuntino, che, benché avesse il nome
di materasso, non era doppio, che poche dita; e perché non permetteva, che si dibattesse,
divario non riconoscevasi tra quello, ed un legno. Inchiodato su questo letto
di dolore, anziché vederli il volto, non se li vedeva, da chi portavasi da lui,
che il solo cranio. Su questo letto era pronto per ognuno, interessavasi per la
Diocesi, e dava a tutti soddisfazione.
Terminata di mattina la
solita mezz'ora della meditazione, ed essendosi preparato per la santa
comunione, che mai lasciava, assisteva alla messa, che celebravasi dal proprio
Segretario. Fatto il rendimento di grazie, che era ben lungo, anche recitava,
ma con suo gran stento le ore Canoniche.
In seguito, sodisfaceva
nel decorso della giornata, e nelle stabilite ore a tutti gli altri esercizj
del proprio spirito. "Ritornato io, dopo il decennio di mia dimora in
Sicilia, così contesta il Sacerdote D. Gaetano Mancusi, allora nostro
congregato, ed ora Rettore nel Seminario di Potenza, non ritrovai Monsignore
diverso da quello di prima, ma simile a se, e colla medesima divozione. Tre
volte il giorno la meditazione; mezz'ora di riposo, e non più il dopo pranzo;
così la solita lettura cotidiana sopra le vite de' Santi, e prender cibo una
volta il giorno. Ancorché stroppio anche esercitarsi nelle solite opere di
misericordia; e starsene occupato senza perdere un minuzzolo di tempo dalla
mattina alla sera. Tutto questo è noto a me, ed è noto a tutti".
Se, tra il forte de'
travagli, non perdette di mira i bisogni della Chiesa, e delle Anime,
applicarsi in dettare, o perfezionare le varie opere, che aveva per le mani, in
seguito si applicava da sano, e con impegno maggiore. Vedevasi sopra il suo
letticciuolo circondato, - 229 -
ed
affollato da libri; e non impiegavasi, che dalla mattina a mezza notte; e tante
volte un qualche ristoro, o di latte che se li dava, o di semplice acqua, non
prendevalo che coll'oriuolo alla mano.
Egli medesimo scrivendo
in Venezia a 21. di Agosto 1769. al Sig. Giuseppe Remondini "Procuro,
disse, non perder tempo, e sto aspettando la morte da giorno in giorno. Ho
preso quattro volte il Viatico, e due volte l'Estrema Unzione. Non lascerò
pregare per V. S. Illustrissima, così per la buona sanità, come per la
prosperità de' suo' negozj, e specialmente del gran negozio della salute
eterna". Questo suo zelo, e questa sua così costante applicazione, faceva
dello stupore. Noi possiamo uguagliarlo ai primi dotti, e zelanti Vescovi, così
l'Arcidiacono Rainone, tanto era impegnato in questo, stato per lo bene delle
anime, e della Chiesa.
Anch'esso il P. Maestro
Caputo mi scrisse: "Monsignor Liguori era il vero esemplare de' primi
Vescovi del Cristianesimo, i quali non solo, nel tempo istesso, avevano in mira
le anime loro addette, ma interessavansi, coi loro scritti, per tutta la
Chiesa. Questo suo fare stupir faceva ognuno. Che se di S. Girolamo si legge,
non altrimenti spiegavasi un degno Sacerdote Napoletano, che perpetua lectione, ac scriptione superabat i
suoi morbi; e se fa meraviglia quanto scrisse S. Gregorio, anche infirma, et aegra valetudine, maggior
meraviglia far deve Monsignor Liguori, se tanto si affaticava in uno stato, in
cui non fu mai né S. Girolamo, né S. Gregorio.
Disgustando questa sua
applicazione i più interessati per esso, credendo si abbreviasse la vita,
fecero capo al P. Villani, che come Direttore volesse moderarcela. Avvertito
Alfonso, dolcemente si giustifica. "Io non mi fido star così a guardare il
Cielo. Così egli in una sua. Potrei impiegarmi a leggere senza dettare, ma la
testa non mi ajuta. Quando ho letto un terzo d'ora, o al più mezz'ora, non
posso più. Del resto io non lascio le mie divozioni. L'orazione la fo mattina,
e sera, oltre la visita al Sacramento. Un'ora in circa dura il ringraziamento,
e per mezz'ora fo la lezione spirituale; ma vi sono più giornate, che se ne
vanno sane sane, per gli affari della Diocesi; ed in tempo della visita della
Diocesi, che ora ho già cominciata, gli scritti stanno a dormire. Ho voluto
scriver tutto distintamente, acciò V. R. mi dia la benedizione".
Anche in seguito
insistendo il P. Villani a volersi risparmiare "non dubitate, li rescrisse
nel mese di Luglio 1774. che per la nuova opera, non mi do fretta. Si scrivono
pochi versi ogni mille anni; esco mattina, e sera, e faccio il solito cammino.
L'ho preso a puro divertimento, come V. R. mi scrive; ma un certo divertimento,
che col tempo può servire, per le molte belle notizie che ho raccolte, e
faranno nove mesi, che ci penso. Per grazia di Dio mi sento bene; ma l'età di
settantotto anni - 230 -
è
una brutta infermità". Vale a dire, che di tutto si fa carico, fuorché del
gran travaglio, che l'assisteva.
Tirava, ma senza
respiro d'intervallo, udienza ed applicazione fino all'ora tarda, e non
interrompevala, che portandoseli da mangiare. Se il cibo per ognuno è un
ristoro, per Alfonso era pena e travaglio. Stando così stortigliato colla
testa, faticar doveva per intromettersi i bocconi, e specialmente, non era
nello stato a poter bere. Essendoseli progettato una cannuccia d'argento,
l'ebbe in orrore. Sulle prime servivasi di una cannuccia di legno, ma col far
uso del caffè, o di altra bevanda calda, se ne spaccò più d'una. Avendone fatta
altra di ferro stagnato un nostro Fratello Laico, questa volentieri empivasi di
ruggine. Dispiaceva al fratello Francescantonio, ma non a Monsignore. Capitato
in Arienzo l'orefice D. Domenico Porpora, fecela d'argento, ma s'ebbe a dire,
esser di metallo forestiere.
Un'ora non passava tra
il cibarsi, e confabolare coi suoi, e non prendevasi, vestito qual'era, che
mezz'ora di riposo. Fatta la solita lezione spirituale, o da se, o per mezzo di
taluno; e fatta la visita al Sacramento, ed a Maria Santissima, soddisfatto il
Vespero, e Compieta, dava udienza, ripigliava lo studio, e tirava fino
all'imbrunir della sera.
Affliggevasi ne' primi
tempi non potendo visitare, come per l'innanzi, i cari infermi, e sollevarli.
Tuttavolta, se non di persona, sopplivalo per mezzo de' Parrochi, e di varj
Ecclesiastici. Informato della povertà di taluni, non lasciava, per mezzo del
Fratello Francescantonio, o del servidore Alessio, provvederli del bisognevole.
Ogni giorno voleva sapere come passavano i più aggravati, e cosa loro
necessitava di vitto, e medicamenti. Essendo accaduta una disgrazia a Suor
Maria Caterina, Monaca di casa, e poveretta, vedevasi confinata sopra una
sedia. Benché potette cucire, e far calzette, Monsignore anche in sussidio
assegnolle carlini cinque ogni mese.
Anche Iddio concorreva
colla sua carità, e tanti infermi sollevati vedevansi per mezzo delle di lui
orazioni.
Ritrovandosi in Arienzo
il P. D. Giuseppe Morgillo Pio Operario, e calando un giorno da sopra un monte,
ove, per onesta ricreazione da parenti, era stato condotto, sdrucciolando, si
ruppe una gamba. Riposto l'osso nel suo luogo, e non essendo bene accomodata,
erano dieci giorni, che spasimava, e non trovava riposo. Alfonso avendo mandato
a visitarlo, in sentirne lo stato, rimandò il servidore con una figurina di
Maria Santissima: Che vi abbia fede, disse, che riceverà la grazia. Non tanto il
Padre applicossi la figurina, dicendo: Madonna mia, per li meriti di Monsignor
Liguori, liberatemi da questo travaglio, che sano ritrovossi. Conservò sempre,
finché visse, tal figurina il P. Morgillo come reliquia di Monsignore.
Avendo venduta, come
dissi, la carrozza in tempo della carestia,
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non ci aveva
più pensato, né voglia aveva di rimetterla. Vedendosi dai Medici così storpio,
ed applicato, gli ordinarono, per mantenerli qualche residuo di vita, uscire
ogni giorno, e respirare in carrozza un poco di aria. Quantunque
ubbidientissimo in ogni loro cenno, in questo, perché di suo sollievo, vedevasi
indifferente. Premurato da Medici, e da familiari "A che questa uscita,
rispose: mi contento così, che non ci patisco. Quello, che debbo spendere per
la carrozza, e mantenimento de' cavalli, debbo levarlo ai poveri".
Conoscendo preciso il
bisogno il Fratello Francesco Antonio, ed altri, risolvettero comprarne una
alla peggio. Tutta la spesa tra la carrozza, finimenti, e cavalli, fu ducati
cento, e tredici. Da principio se li disse avercela regalata il Fratello D.
Ercole; ma saputone il netto, se ne lagnò in Napoli, come di un prezzo troppo
alterato, col fratello Tartaglione. "Potevasi risparmiare, gli scrisse,
prendendosi di altra qualità e cavalli, e carrozza. I cavalli bensì voleva si
trattassero secondo la propria condizione, più colla paglia che colla biada.
Uscendo eravi in
Arienzo del gran divertimento tra quei Gentiluomini: Monsignor vecchio,
dicevasi, vecchio il cocchiere, vecchia la carrozza, e vecchi i cavalli.
Queste uscite, che per
Monsignore si volevano di sollievo, per lo più riuscivano di gran pena per
esso, ed al popolo di un continuato spettacolo. Se la carrozza scuotevasi, per
qualche pietra, o fosso, che incontrato avesse, era per Alfonso un martirio.
Ogni pietra, che s'incontra, disse ei medesimo, io mi sento tal pena, come se
la testa si scastrasse dal collo.
Una sera, portandosi
per la strada, che dicono i Crisci,
si spalmò talmente una ruota, che non restovvi un raggio; e cadendo di lato la
carrozza, se non si ruinò, fu miracolo. Portandosi a braccio, ma con gran
stento dal servidore, e dal fratello Francescantonio, non potendo, dovette più
volte sedersi a terra, e nel prendersi l'abitato, le donnicciuole, facendoli
compassione, li prestarono da sedere.
Altre volte, essendosi
rotto ora un cignone, ed ora altro guarnimento, vedevasi Monsignore restare a
mezza strada. Uno de' cavalli aveva tal male, che storcendo la testa, buttavasi
di botto a terra, e per un pezzo, volendolo rialzare, stirar se li dovevano le
orecchie. Tante volte, o fermar dovevasi sulla strada, o strascinarsi a piedi,
sostenuto da altri. Favorivalo di vantaggio, perché inesperto, anche il
cocchiere. O non vedendo il mal passo, o non sapendolo evitare, erano più li
butti di corda, che soffriva, che non erano i passi che dava. Tutto era pena
per gli altri, non già per Monsignore; né si persuase a voler cambiare o
cavalli, o carrozza, o cocchiere.
Usciva sulle prime,
perché obbligato da Medici, mattina e sera. "Io sto meglio, scrisse a 9.
di Dicembre 1769. al suo Fratello D. Ercole: stasera ho predicato (era giorno
di Sabbato): ogni mattina cammino un poco colla carrozza, e mi giova assai; e
credendo averli regalata la - 232 -
carrozza, vi ringrazio,
soggiunse, della carità, che mi avete fatta". In seguito non facevalo, che
di sera, verso le ventitré; ma per la campagna, e non mai per l'abitato.
Non volendo perdere
quell'ora di tempo, recitava sulle prime, mettendolo in carrozza, un'Ave alla
Vergine, tre Gloria Patri ai Santi Protettori, e per le Anime purganti un
Deprofundis. Portando seco o il Segretario, o altra persona, facevasi leggere
per strada qualche vita di Santo, o altre materie ecclesiastiche, che aveva per
le mani; ma perché sordastro, dovevasi fare a voce alta.
Tirava per ordinario in
S. Maria a Vico, ivi visitava il Sacramento, ed infervorava il Popolo coi suoi
santi sentimenti. Così storpio visitava ancora di persona, come altrove dirò, i
suoi cari infermi, e carcerati. Aprivasi il libro uscendosi di casa, e non
chiudevasi, che rientrandosi nel cortile. Questo, e non altro era il solito
divertimento di Monsignor Liguori.
Così quasi per anni due
seguitò ad uscire. In seguito, benché vedesse, che li giovasse, facendosi
scrupolo la spesa, che si portava per cavalli, e cocchiere, risolvette, e cercò
con premura, che si vendessero i cavalli, e dispensarsene il prezzo a poveri.
Fatto l'avrebbe, se il Vicario Generale, Medici, e familiari rappresentato non
gli avessero la precisa necessità, che aveva di uscire; e molto più se anche il
P. Villani proibito non ce l'avesse.
Sonate le ventiquattro,
e sodisfatta con i suoi un'altra mezz'ora di meditazione, recitava Matutino
colle Laudi, accompagnato col Secretario e ripigliava lo studio. Posso dire,
che forse era più occupato Monsignore, essendo storpio, che sano. La sera per
lo più il suo ristoro non era, che o un caffè, o poche oncie di latte, o una
bevanda di acqua. Essendo le tre, radunando la famiglia, recitava il Rosario, e
fattosi l'esame colle Litanie della Vergine, ed altre preci, il Vicario cogli
altri andava a cena, e Monsignore, specialmente di està; coll'orologio a vista
tirava a studiare in faccia alla mezza notte.
"Ammirai in
Monsignore questo stato, così il nostro Padre Buonopane, una somma modestia
veramente cristiana. Avendo bisogno di scaricare l'urina, non facevasi
apprestar il vaso, ma strascinavasi nel camerino, che aveva di fianco alla
stanza di letto, tenendosi al muro, ed alle sedie. Poteva, ma nol fece mai,
vicino a letto; coricandosi la sera, levavasi da se i calzoni, con somma
cautela per di sotto alla sottana, e postosi con gran stento a letto, facevasi
tirare le calzette da sotto la coperta, senza che se li vedesse nuda parte alcuna del corpo".
Solo la Messa faceva
mancanza nella vita di Monsignor Liguori. Dio
vuole, che io non dica Messa, ed io non voglio dir Messa, disse un giorno
al Sacerdote D. Salvatore Tramontana. Ma se a tutt'altro soddisfaceva come
sano, ancorché con grave penalità, anche in questo volle - 233 -
Iddio consolarlo. Eran già due anni, che ogni
mattina, non potendo celebrare, assisteva alla Messa, e comunicavasi.
Essendo stato da lui,
il Sabbato precedente all'ultima Domenica di Agosto del 1770., il P. Maestro
Marcorio, già Priore del Convento di S. Agostino, invitollo a predicare nella
propria Chiesa, per la Domenica susseguente, perché festa della Cintura. Si compromise
Alfonso; e discorrendo li espresse la pena, che soffriva, perché inabile a
poter celebrare. Vedendolo afflitto il Padre Maestro disse, che per le Rubriche
meno essenziali scusavalo la necessità, e che adattar potevasi sopra una sedia,
per sumersi il Calice. Sentendo ciò, diede Alfonso in un estro di gioja.
Avendo, per la seconda, e terza volta, fattane l'esperienza, la Domenica
celebrò con sua sensibile consolazione. Il dopo Vespero, essendo andato a
predicare in S. Agostino, non finiva ringraziare il P. Maestro, per un lume
così segnalato.
Tutto lieto, nel
medesimo giorno, ne diede parte ai suoi. "Oggi ventisette del corrente,
così al P. Villani, ho cominciato a dir Messa, e spero seguitare a dirla. Tutta
la difficoltà era la funzione del sangue, ma si è pensato un certo modo, e già
stammattina l'ho posto in esecuzione. Gloria
Patri; ed oggi vado a fare una predica ad una Chiesa di gran
concorso": volle dire la Chiesa de' PP. Agostiniani. Scrivendo, a nove di
Dicembre, al P. Nicolò Sapio in Palermo. "Dico Messa ogni mattina, li
scrisse, e cammino in carrozza, quand'è buon tempo; né lascio le mie
applicazioni dopo il tempo, che mi resta dalle cure del Vescovado". Giorno
non vi fu da questo tempo in poi, che non avesse celebrato. Ottenne bensì da
Roma poter dire giornalmente la Messa della Madonna.
Esatto Monsignore nelle
Rubriche, non è che dispensato si fosse dalle meno essenziali. Le più penose
per lui erano le genuflessioni, ed in questo era il più attento. Calava col
ginocchio fino al piano della predella; ma calando, e non reggendoli le forze,
gravitava, come un tocco di piombo, e non raddrizzavasi, che ajutato, e con
somma pena.
Rescrivendo al P.
Villani nel primo di Settembre. "Per grazia di Dio, disse, io seguito a
dir Messa, ma con grande stento, e dopo la Messa mi ritrovo sfinito, e tutto
sudato".
Attesta il Primicerio
D. Giacomo Morgillo, che assistendo alla sua Messa, non vedeva un Uomo, ma un
Angiolo sull'altare, e che adattandosi per sumere il Calice, vedevasi
Monsignore cambiato di volto, accendersi estremamente, e quasi uscito fuori di
se. Seduto ascoltava al solito, per rendimento di grazie, la Messa del
Cappellano, o di altri. Essendoci il Credo; ed essendosi prossimo
all'Incarnatus est, Monsignore agonizzando buttavasi a terra, restando per un
pezzo profondamente inchinato. Non altrimenti alla - 234 -
Consegrazione; ma volevansi delle vette ogni volta,
per rialzarlo, e rimetterlo a sedere.
Non è che, fra questi
due anni, che non disse Messa, e stiede così travagliato, Monsignore
dimenticato si fosse per il suo popolo. Non potendo celebrare per quello,
supplir faceva tutte le Messe dal nostro p. D. Carmine Fiocchi, Rettore nella
Casa de' Ciorani; così per altre, che non potette celebrare, mandò la limosina
ai nostri Padri in S. Angelo a Cupolo.
Tale è la vita di
Monsignore, in uno stato così penoso, e tale fu in tutto il tempo, che
persistette Vescovo nella Diocesi. Tutto signoreggiava in esso.
"Ammiravasi in lui, così il Canonico Rubbino suo Vicario, somma uniformità
e pazienza; zelo, e vigilanza per la Diocesi, e per la gloria di Dio;
indifferenza per li suoi travagli, ed amore alla Croce. Quello che maggiormente
sorprendeva, era l'invariabile costanza nel sodisfare nelle ore, che determinate
si aveva i suoi divoti esercizj, e le sue letterarie applicazioni".
"Ritrovandosi con
Monsignore in Arienzo il nostro P. D. Fabio Buonopane, nel Giugno, e Luglio del
1773. dandomi contezza delle di lui giornaliere applicazioni, e costanza
nell'eseguirle, mi scrisse: "Tal genere di vita, e così esatto, tuttocché
io non sono che di anni trentatré, mi stanca, ma Monsignore vedesi fresco, e
tirarlo avanti, senza suo menomo rincrescimento".
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