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Cap.45
Somma, ed esatta vigilanza di Alfonso, ancorchè
storpio, pel buon governo della sua Diocesi.
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Precorsa la voce,
specialmente in Napoli, del gran travaglio sofferto da Monsignore, e lo stato
in cui vedevasi, non più vi volle per compiangersi, specialmente dalle persone
cordate, la Diocesi di S. Agata. Credeva ognuno, e correva voce, non senza
ragione, che in questo stato, abbandonato a se stesso, non curasse, o che
almeno invigilar non potesse, come per l'innanzi, gl'interessi de' suoi
Diocesani; ma non era così. Avendo libero il pensare, sentiva ognuno,
rifletteva a tutto, ed anche, come dissi, nel colmo de' travagli, dava le
opportune disposizioni. Riscontrato di tal diceria dal Sacerdote D. Salvatore
Tramontana, così rescrisse a cinque di Ottobre 1769.
"Circa le cose
della Diocesi, D. Salvatore mio, Io non so più che fare di quello che fo; non
dormo, né tralascio, né pospongo - 235 -
niuna cosa. Quello, che si ha da fare di castighi, o di ammonizioni, procuro
farlo, quanto più presto si può. Del resto è impossibile, che chiuder si possa
la bocca a malcontenti. Ora tengo nove preti esiliati. Fuori delle cose della
Curia, per le quali dipendo da due Vicarj; uno qui in Arienzo, e l'altro a S.
Agata, tutte le cose del Governo passano per mano mia. Con tutto ciò altre
spine si estirpano, ed altre continuano a rinascere. Prego raccomandarmi a Gesù
Cristo, acciocché mi dia luce, e forza per fare la sua Santissima
Volontà".
Correva voce, che
quand'egli era irreprensibile, altrettanto il Vicario era degno di correzione.
Un giorno, sorridendo, disse: "Il Marchese Tanucci ha detto, che io sono
un santo, ed il mio Vicario ingiusto. Ha detto due bugie; né io sono santo, né
il mio Vicario è ingiusto, perché il mio Vicario non fa niente senza di
me".
Mormoravasi in un paese
della Diocesi di certo sconcerto, e credevasi, che da Monsignore non vi si
dasse del riparo. Ritrovandosi in detto luogo, per la predica di Quaresima, D.
Antonio Clemente, Canonico della Collegiata di Montella, venne pregato di
volerneli parlare. Lo fece; e Monsignore rendendoli ragione, di quanto operato
aveva, li fece conoscere, non restarli altro da fare. Notò il Clemente in
questa giustificazione di Monignore sommo zelo per quello, che operato aveva, e
somma umiltà, giustificando se stesso coi termini i più umili, e dimessi.
Ancorché addivenuto non
fosse Monsignor Liguori, che un mucchio di ossa; e che altro non gli
sopravanzasse, come al S. Giobbe, che tra denti il solo moto delle labbra, uopo
è dire, che non in altro impiegava l'avanzo, che aveva di respiro, che in
beneficio de' proprj Diocesani. Volendo essere a portata di tutti, situar si
fece il suo misero letto in una stanza, esposta ad ognuno. Quello formava tutto
il suo appartamento, o per dir meglio tutto restringevasi nel suo letto. Quivi
mangiava, studiava, e dava udienza. Eccetto il tempo della meditazione, non
aveva per se ora determinata. La bussola volevala aperta ad ognuno, ma i poveri
tra tutti erano i privilegiati.
"Sopra del suo
lettino, così il P. Maestro Caputo, vedevasi sereno, e senza rincrescimento;
sempre uguale a se stesso, e pronto sempre nel dare udienza a chiunque. Colla
stessa serenità, ed avvenenza così trattava il Gentiluomo, che qualunque
miserabile: né si vide mai in lui ombra di rincrescimento con chicchessia.
Questo suo fare, ed in mezzo a dolori, sorprendeva me, ed era a tutti di
ammirazione, e confusione insieme".
Sollecito più che mai
per il bene de' suoi Diocesani, non eravi giorno, che non ricevesse, o che egli
non spedisse più corrieri, or in una, ed ora in altra popolazione, o per
riparare un qualche disordine, - 236 -
o per esser informato dello stato delle cose. Se fu sollecito per
l'addietro, maggiormente lo fu negli ultimi anni. Siccome chi teme di non
giungere alla desiata meta, avanza di passo, per giungerci: così Alfonso,
credendo di non soddisfare al suo incarico, vedevasi vie più sollecito per
adempirne i doveri. Come sentiva un qualche sconcerto, non ci dormiva;
chiamava, esaminava, e risolveva il rimedio. Raro era quel giorno, che non
vedevansi chiamati in Arienzo, o Parrochi, o Vicarj foranei, per esser a giorno
di ogni cosa.
"Voi vedete,
diceva ai Parrochi, in quale stato io mi sia: se voi non invigilate, e non mi avvisate,
di sconcerti, che accadono, tutto è colpa vostra; ed io da ora me ne risento
nel Tribunale di Dio". Sapendo da altri, e non da Parrochi qualche
inconveniente, maggiormente, se per umano rispetto il Parroco taciuto avesse,
perdeva la pace, e mettendo da banda la mansuetudine, facevasi di fuoco con
chiunque.
Se sollecito era per li
Preti, men sollecito non era per i Regolari. Come prezzava i buoni, così in
questo stato perseguitava i discoli. Tanto tempestava coi Provinciali,
essendoci taluni di questi, che esser dovevano fuori Diocesi. Un anno prima,
che rinunziato avesse il Vescovato, mi scrisse il Parroco D. Pasquale
Bartolini, che sloggiar fece da Airola due Religiosi scandalosi, né lasciò
mezzo per venirne a capo.
Agitato vedevasi un
Superiore per lo scandalo, che soffriva da due individui. Alfonso essendone
informato, fe sentire al Provinciale, che non stavan bene in Diocesi.
Temporeggia questi, ed entra in discolpa de' suoi. "Non mi obbligate a
passi forti, li rescrisse, che mi avrete per compatito". Tutti e due
sloggiarono in risposta. Un altro, che poco buon odore dava di se stesso, altro
non vi volle, per vederlo destinato in un altro Convento molto lontano.
Di questi, e simili
casi, come altrove dirò, non ve ne furono pochi, anche nello stato che
Monsignore agonizzava, ed era cadavere, e non Uomo.
Non meno, che per
l'innanzi, anzi di vantaggio vedevasi agitato per li secolari. Essendoci
scandalo, e sperimentandosi infruttuosi i paterni officj, ricorreva al braccio
de' Baroni, e del Re se bisognava. Anche in questi ultimi anni vi sono ricorsi
al Sovrano, o per lo sfratto di donne traviate, o per l'emenda di qualche
Secolare. Essendoci peccato per lo mezzo, non permetteva si differisse la
provvidenza un giorno per l'altro. "Non mangiava, né mettevasi a riposo,
così il Canonico Rubino suo Vicario, se in pace non vedevasi colla coscienza; e
tante volte essendoci uno di questi negozj, il pranzo della mattina addiveniva
cena per la sera".
In questo stato
vedevasi sopratutto impegnato per lo bene del Seminario. Stimava questo, come
la porzione più cara del suo cuore, perché
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speranza, come ei
chiamavalo, di tutta la Diocesi. Più volte, tra la settimana, volevane esser
riscontrato dello stato delle cose. Spesso spesso chiamava in Arienzo il
medesimo Maestro Caputo, che n'era Rettore. Non contento di questo, voleva, di
volta in volta, taluno de' medesimi giovanetti più costumati, spiando da questi
la condotta degli altri. Mancanza non soffriva , che passata fosse in esempio. Ci debbono essere le zoppe, tra le buone
pecore, diceva Monsignore, e bisogna
apprestarci degli empiastri.
Maggiormente stava
oculato per quei che, a motivo d'indisposizione, erano in casa propria.
Vigilanza somma incaricavane non solo a Parrochi, e suoi Vicarj Foranei ma
raccomandar solevali a cordati Sacerdoti. Essendoci cattivo riscontro, se
avvisati non emendavasi, non eran più del suo gregge. Temevano più i giovanetti
Monsignore storpio, e confinato in letto, che sano, e fuor di letto.
Entrando in sospetto di
finta infermità in taluno, non lasciava mezzo per chiarirsene. Dubitando
anch'esso il P. M. Caputo della reale indisposizione, che in taluni non
credeva, e stavan fuori di Seminario, Alfonso così li rescrisse a 4 di
Settembre 1773.
"In quanto ai
Seminaristi ammalati, io ho fatto diligenza qui, anzi me li ho fatti venire in
casa, ed ho trovato, che alcuni hanno vero bisogno di star fuori, per pigliare
i bagni, o la china; ma di alcuni ne dubito anch'io. Basta; io mando le
cartelle, farò sentire a tutti, anche negli altri paesi, che ritornino in
Seminario, se non vi è precisa necessità di star fuori a sanarsi, altrimenti
saranno licenziati. Andava appurando alcuno, che stasse fuori senza necessità,
per dar l'esempio della licenziata, ma non ancora ho potuto appurarlo. Prego
Vostra Paternità, così soggiunse, quando ha dubbio di alcuno, che vuole uscir
fuori, che tenga mano, ancorché vi sia il parere del Medico, o pure me lo
scriva. Vediamo di fare quello, che si può, perché temo, che molti fingono
quelle infermità, che non hanno".
Anzioso della salute
per li giovanetti, siccome era inimico, ed aveva a male, che si dassero le
ferie fuori di Seminario, così voleva, che in Seminario lor si dassero i
competenti sollievi; e voleva, che in questo non si badasse a sparambio.
"Quando avranno le ferie in Seminario, così nella medesima lettera, li
facci uscire mattina, e sera; ed anche ora, nelle giornate calde, che escano
una volta il giorno, in un'ora competente. Si regoli colla sua prudenza, e mi
raccomandi a Gesù - Cristo". A tanto badava Alfonso, anche nello stato
penoso in cui ritrovavasi.
Il medesimo zelo, che
dimostrato aveva, essendo sano per i requisiti necessarj negli Ordinandi, e ne'
Confessori, dimostrava di vantaggio in questi ultimi tempi. Fu inalterabile il
suo zelo fino alla fine del - 238 -
suo governo, così il Parroco Bartolini, in esaminarli in sua presenza i
Confessori, e gli Ordinandi, volendo in tutti dottrina, e costume.
L'ignoranza, ei diceva, li rende inutili, ed il mal costume
inutili, e dannosi. Maggior rigidezza dimostrò negli ultimi tempi, così il
Canonico Rubino, per la dottrina, e per il costume, e dir soleva: Non voglio lasciar peccato da piangere a
chi sarà per succedermi. Consolavasi per li tanti buoni, che lasciava, e
viveva in pena per qualche scostumato, che si aveva.
Un Diacono nella Terra di Real Valle, che
zoppicar si vide nel costume, corretto, e non emendato, qualunque fosse il
pianto suo, e de' congionti, e qualunque interposizione di altri, tale lo
lasciò, né vi fu pietà per esso.
Non ancora rassodato
nelle forze, ripigliò la predicazione. Non potendo uscire a piede, e non avendo
carrozza, facevala imprestare da quei Gentiluomini. Così storpio qual'era,
portavasi ne' giorni festivi, ora in una, e volta in altra parrocchia;
maggiormente ove eravi festicciuola, o concorso. Era in tale stato, che vi
volevano più uomini a metterlo, e levarlo di carrozza, e persone per situarlo
sulla cattedra. Non è che predicando vedevaseli la testa sulle spalle, ma solo
vedevansi le braccia, che aggivano in fuori. Così agonizzando predicava le ore
intere, e non so, se commoveva più il popolo colla voce, o collo spettacolo di
se medesimo.
Celebrar soleva, come
dissi, la festa della S. Croce, ed eravi musica a spese di un divoto. Essendo
grande la calca del popolo, concorrendoci da altri casali, e considerando non
sufficiente la sua voce, in questo caso invitò il P. Villani.
"Perché la Chiesa di S. Andrea è troppo grande, scrisse, per la voce mia,
che poco si sente, per lo collo storzellato, perciò voglio V. R. per quelli tre
giorni. Non vi mettete soggezione: Direte qualche cosa della Croce; cioè
dell'amore di Gesù - Cristo, che per
noi ha voluto morir in Croce; ma in sostanza la predica consisterà in parlare
contro il peccato della bestemmia, e dell'odio, e specialmente
dell'impudicizia, occasioni, e male confessioni, che è il fine per cui fo
questa festa. Se mai allora si trovasse ammalato, voglio mi mandate un Padre
de' migliori, perché a questa festa fo invitare i Preti, e i Galantuomini. Vale
a dire che colla musica profittar voleva di ogni ceto.
Ogni anno,
solennizzandosi la Messa nella mattina del Sabbato Santo, facevasi calare in
Chiesa, annunciava al Popolo, sedendo di fianco all'Altare, la santa Pasqua,
sospirando ne' suoi figli, col risorgimento di Gesù Cristo, il risorgimento
spirituale. Con zelo inculcava, per chi adempito non l'aveva, l'adempimento del
precetto Pasquale, e con maggior premura per chi stasse in peccato.
Sollecitudine somma
specialmente dimostrò, anche così travagliato - 239 -
per li doveri de' Parrochi. Inculcava con sentimenti
di fuoco specialmente il catechismo al popolo, e l'istruzione della Dottrina a
figliuoli ne' giorni festivi. I peli di questi erano travi per Alfonso.
Essendo morto, in una
parrocchia di campagna, un Uomo senza assistenza, e stimandosi colpevole il
Parroco, era già per venire a passi forti. Temendo il Parroco i di lui
risentimenti, giustificandosi, lo prevenne con sua lettera. "Ho letto la vostra lettera, così
Alfonso a 10. Marzo 1773, Sissignore è vero, che vi sono le accuse
di quelli, che V. S. mi nomina; ma non dubiti, che così da me, come dalla mia
Curia, dopo che si sarà esaminato il tutto, le sarà fatta tutta la
giustizia". Rasserenossi bensì, rilevando nel Parroco la di lui innocenza.
Così stroppio qual'era,
ed è cosa che stenderassi a credere, non mancò l'anno susseguente alla sua
infermità, cioè il 1769. aprir personalmente la Visita a 2. di Luglio nella Collegiata
di Arienzo, sostenuto da' familiari. Questa sua comparsa attirò le lagrime a
tutti. Sermocinò al popolo, e al Clero, e venne inseguito a quei ripari, che
convenivano. Volendo il Canonico Jermieri suo Cancelliere perpetuare in futuro
la memoria di quest'atto, così memorabile in Monsignor Liguori, non altrimenti
l'individua negli atti. Die secunda
mensis Julii 1769. decurrente Festivitate B. Virginis Mariae Illustrissimus, et
Reverendissimus Episcopus Ordinarius, post Vesperas, habituali sua infirmitate
non obstante, petiit Ecclesiam insignem Collegiatam hujus Terrae... et indutus
Cappa, et Rocheto, osculatus fuit Crucem ab Admodum Reverendo Archipresbytero
porrectam, indeque ingressus eamdem Ecclesiam, habito sermone ad Populum,
recepit omnes ad osculum manus.
Così ogni anno seguitò
a visitare di persona la Collegiata, e le Parrocchie de' Casali adjacenti.
Troppo a cuore eragli la santa Visita. Florido, che veggasi l'innesto, ei
diceva, se il tronco di sotto espurgato non è da' suoi getti selvatichi,
questi, perché figli naturali del tronco, dimagrano l'innesto: così accade nel
morale, diceva Alfonso, se non si visita, e recide il selvatico, cioè il male,
che la natura prodace da sé, il buono innestato anche resta snervato, e
languido. Non potendo di persona ne' luoghi lontani, suppliva per mezzo del
Vicario; ed altro non inculcava, che zelo per le anime, e per la gloria di Dio.
Soprattutto raccomandava i poveri, le vedove, e quelle anime innocenti, che,
per la povertà, potevan stare in pericolo di perder Iddio, e se stesse.
Restando informato de'
respettivi bisogni, davaci delle opportune provvidenze. Avendo rilevato nella
Parrocchiale di S. Pietro, e Paolo in Talanico, non aver eseguito il Parroco D.
Domenico Nuzzo alcuni anteriori decreti, specialmente circa alcune
suppellettili, che come lacere, volevale rinnovate, sequestrolli, per finché
rifatte si fossero, i docati dodeci del Beneficio, che alla Parrocchia avevaci
annessi; e volle, - 240 -
che
dal Canonico D. Marc'Antonio d'Ambrosio si fossero supplite. L'infermità
sofferta, e lo starne lontano da Santagata, allascato avevano nella Cattedrale
il rigore da esso esatto, colle precedenti notificazioni, nella disciplina del
Coro, e nelle moderazione e decenza degli abiti.
Esiste ancora un suo
Editto del 1770., con cui rinnova tutti gli Ordini antecedenti, specialmente
circa il vestire in Città, ed in campagna, assistenza, e buon ordine da tenersi
in Coro. Solo nel 1774. cioè un anno prima della sua rinuncia, lasciò far la
visita di persona, non essendo nello stato a poterlo fare.
Non potendo, mancandoli
le forze, distendersi, come per l'innanzi, in dare a Preti, e Regolari gli otto
giorni di Esercizj, radunandoli nell'Episcopio, per tre giorni almeno ricordava
loro i doveri del proprio stato. Corresse, ammonì, e castigò ancora i meno
costumati, ma pertinaci nella scostumatezza; dava riparo a tutto, e non
ispirava che zelo in tutte le sue azioni.
Vi è cosa di più. Coi
tempj animati, anche in questo stato, erano a cuore ad Alfonso i Tempj materiali.
Decoro, e proprietà ei ricercava per la casa di Dio. Avendo veduto malconcia,
ed incapace per il popolo la Chiesa Parrocchiale di Bucciano, più volte
insinuato aveva a quel Parroco dilatarla. Rincrescendo un tale impiccio, e
spesa, non vedevasi l'ora di eseguirlo. Vedendo l'indolenza, e considerando non
potersi dir Messa, senza irriverenza, e tumulto, nella visita del 1773. ordinò,
che fra un mese effettuato si fosse la compra di un territorio adjacente, e si
dilatasse la Parrocchia. Così, colle altre, anche vide questa Chiesa dilatate,
e rimessa nella forma, che si vede.
"La memoria dello zelo in Monsignor Liguori,
attesta il Parroco D. Pasquale Bartolini, sarà sempre viva nella Diocesi di S.
Agata, ed in questa Città di Airola.
Lo zelo della gloria di Dio, che formava il suo
proprio carattere, fu sommo, e costante fino a che, per nostra disgrazia egli
partì da questa Diocesi.
Ancorché storpio, fu sempre vigilante in allontanare
dal suo gregge i lupi, ed a procurare per tutti i modi il suo bene spirituale.
Per qualunque male, in ogni ceto, non ci dormiva, né trovava riposo, se non
apprestavaci il rimedio. Non lasciò mai rifocillare il popolo coi santi
consigli, e colla divina parola; ed ove egli non poteva, ci spediva zelanti
predicatori. Anche due anni prima di rinunziare il Vescovado, destinò in
compagnia dei PP. del Redentore, i nostri Missionarj Diocesani a predicare in
varj luoghi della Diocesi, e ci fui anch'io".
Quest'istesso zelo in Alfonso, ancorché storpio,
contestano il Vicario Rubino, l'Arcidiacono Rainone, il Maestro Caputo, e
tutti. "Cento Vescovi uniti insieme, mi scrisse l'Arcidiacono Rainone, non
potevano fare, quanto operò solo Monsignor Liguori, e nello stato
compassionevole in cui lo era".
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