Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

IntraText CT - Lettura del testo

  • Libro 3
    • Cap.48 Enciclica di Alfonso ai nostri: si rilevano altri suoi  sentimenti, e sua lettera circa lo stile Apostolico.
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

- 248 -


Cap.48

Enciclica di Alfonso ai nostri: si rilevano altri suoi  sentimenti, e sua lettera circa lo stile Apostolico.

 


- 249 -


Abbiamo altra circolare ai nostri in data de' 26. Febbrajo 1771. Se grandi erano le sollecitudini di Alfonso per i suoi Diocesani, e Nipoti, maggiori erano quelle, che aveva per la santificazione dei Nostri. Quest'opera della Congregazione eragli sommamente a cuore. Siccome godeva sentirne i progressi, e gli atti virtuosi di tanti: così vedevasi amareggiato, se invogliato non sentiva taluno alla maggior perfezione. Ombra facevali qualunque mancanza, benché leggiera: volendola evitata, prevenivane i Soggetti; lasciava mezzo per veder tra i suoi rifiorite le virtù, e la perfezione evangelica.

 

"Fratelli miei carissimi, così egli, già sapete, che fra poco tempo Iddio si ha chiamati all'eternità più d'uno de' nostri compagni. Sapete ancora quanto è perseguitata la Congregazione. Tutto ciò niente mi spaventa. Solo mi spaventerebbe il vedere molti compagni nostri di poco spirito, e con molti difetti. S. Filippo Neri diceva, che dieci operarj santi basterebbero a convertire tutto il Mondo".

Detesta Alfonso lo spirito della superbia, ed anima i suoi di corrispondere alla loro vocazione.

"Vi scrivo questa volta, ei dice, colle lagrime agl'occhi, perché sento, che taluno di voi mal corrispondendo al fine, per cui Dio l'ha chiamato alla nostra minima adunanza, si facci dominare dallo spirito della superbia. Nei cuori, in cui non regna l'umiltà cristiana, la carità fraterna, e la pace, non regna Dio. Mi fanno più temere le nostre incorrispondenze a Dio, che le più fiere persecuzioni degl'Uomini, e de' Demonj. Da queste ci protegge Dio, quando noi viviamo secondo il suo cuore. Allora potremmo dire, si Deus pro nobis, quis contra nos? Ma portandoci malamente con Dio, Iddio ci castigherà, anziché proteggerci. Mi dispiace assai quando sento, che qualche giovane non viva secondo la perfezione Evangelica, propria negli Operarj del Vangelo; ma la sento più sensibile, e viva nel mio cuore l'amarezza, quando qualcheduno dei Padri, e Fratelli più anziani, e più antichi, che dovrebbero essere ai più giovani, e recenti specchio di edificazione, che poco stimi l'ubbidienza dovuta al Superiore".

Prosiegue; ed incarica lo stesso.

"Ho sempre raccomandato a tutti e colla voce, e colla penna la santa Ubbidienza,


- 250 -


e la sommissione ai Superiori, che fanno in terra le veci di Dio. Da questo dipende il buon ordine, la gloria di Dio, il profitto delle missioni, e la pace dello spirito proprio. Puntualmente ubbidendosi, ognuno è sicuro in tutto di fare la volontà di Dio, in cui solo si trova la vera pace. Ciò non ostante il Demonio ha tentato e tenta taluni a fare poco conto dell'Ubbidienza, che perciò vivono essi inquieti, ed inquietano i compagni, ed i superiori, sotto mendicati pretesti, che loro rappresenta il nemico della salute, come effetti e ragioni di zelo, di riforma degli abusi, e di amore per la giustizia.

Gran cosa! Si parla di riforma, e di zelo, ma non si pensa a riformare se stessi, e la loro vita più difettosa degl'altri. Chi vuole restare fra di noi, bisogna che si risolva ubbidire, e non inquietare la Casa, ove si trova, o dove sarà assegnato. Son  risoluto non sopportare più questi tali, che colla loro vita mal'edificante discreditano le opere delle Missioni, e non fanno del bene né per se, né per gli altri. Fratelli, e Figli miei in Gesù Cristo, intendetela bene. Dio vuole la vostra ubbidienza, e rispettosa sommissione a' Superiori, più che cento sacrificj, e mille altre strepitose opere di gloria sua".

Entra ancora nello spirito della Povertà.

"Dio ci vuole, ei dice, poveri, e contenti della povertà, che professiamo; e dobbiamo ringraziarnelo, quando vi è, per sua misericordia, un tozzo di pane in tavola, e non ci fa mancare il puro necessario. Chi non si contenta menare fra noi poveri, una vita povera nel mangiare, e nel vestire, può licenziarsi dalla nostra adunanza senza inquietarci, ed andarsene a vivere come li piace in casa sua, perché io son pronto ad accordargli la licenza, non volendo Iddio nella sua Casa servi malcontenti, che a forza lo servono, e con continuo disturbo".

Va anche incontro a quella grave tentazione, che ognuno ha per la propria salute.
 "Mi hanno fatto ridere alcuni dicendo: ma io nella Congregazione sto di mala salute. Come se chi entra nella Congregazione fosse per acquistare l'immortalità, e l'esenzione da ogni infermità. Si ha da morire, e prima di morire si hanno da patire i morbi. Quale ha da essere il fine principale di chi entra in Congregazione, se non di dare gusto a Dio, e di fare una buona morte: grazia già ottenuta da tanti nostri buoni Fratelli, che ora già stanno nell'eternità, e di presente, come tengo di certo, tutti stanno ringraziando Dio di avergli fatti morire nella Congregazione. Fratelli miei, quando viene l'infermità, abbracciamola dalle mani di Dio, e non diamo udienza al Demonio".

 

Abbominando ne' suoi ogni ostentazione nel predicare, fa carico ognuno dello stile Apostolico.

"Ognuno, così egli, si levi di testa quel fumo mondano di voler comparire, fin nel predicare la parola di Dio, come gli altri, e meglio degli altri. Affatto non voglio il predicare


- 251 -


pulito con periodi, e parole scelte, che sono la peste della predica. Di questa maniera si perderebbe a poco a poco lo stile semplice, e familiare, col quale le nostre missioni han fatto, e fanno, per divina Misericordia, prodigj di conversioni.

Anche nei discorsi di qualche Santo bisogna servirci, in lodare le virtù del Santo, dello stile familiare, e semplice, e cavarne a proposito delle riflessioni morali, utili al profitto degl'Uditori. Sicché bisogna comporre, e recitare il sermone con semplicità di stile, senza tuono, e senza parole gonfie, e ricercate.
Predicar dobbiamo Cristo Crocefisso, non già noi stessi; la sua gloria, e non la nostra vanità. Io prego Dio, che a questi, che predicano con vanità, mandi loro dei castighi, affinché s'imparino di predicare, e spero di esser esaudito".

 

"Fratelli miei, io amo ognuno di voi più che un fratello carnale; e quando alcuno si licenzia dalla nostra adunanza, ne sento una pena indicibile; ma quando vedo, che il male si è fatto cancrena, e ci vuol fuoco, bisogna che l'adopri, quantunque mi costi ogni pena. Il Signor Iddio a questo fine mi mantiene la vita in questa età così avanzata, per rimediare agli sconcerti, che nascono a danno dell'Opera delle missioni, ed io son risoluto rimediarvi in ogni conto. Dio non ha bisogno di molta gente: basta che restino pochi, e buoni. Questi pochi faranno più bene, che tutti gli altri imperfetti, superbi, e disubbidienti".

 

"Io Fratelli miei prego sempre per voi, e voi ancora pregate Iddio per me; e ubbidienza a ciascuno in particolare, che in particolare mi raccomandi a Gesù Cristo, e che mi doni una buona morte, quale mi sta vicina, così per l'infermità, che per gli anni. Sono già di settantacinque anni, e mi accosto alli settantasei: spero salvarmi, e spero nell'altra vita negoziare con Dio per la Congregazione. Dico però a ciascuno, che forse disprezzerà questi sentimenti, che ho scritto, che nel giorno del giudizio, ed innanzi al tribunale di Gesù Cristo mi avrà per lo primo accusatore; mentre non ho mai lasciato avvertire a miei Fratelli queste medesime cose; e con tutto ciò ho veduto molti, che hanno voltato le spalle a Dio, lasciando la Congregazione. Tutti questi tali io l'aspetto nel giorno del giudizio".

 

"Di nuovo fo sentire a tutti, che, in quanto ai giovani non ancora Sacerdoti, voglio stare inteso, quando hanno da prender qualche Ordine Sacro, e non cel farò prendere, se non esaminati esattamente i loro portamenti, e se abbiano alcuna dell'eccezioni opposte da S. M. nei suoi dispacci. Spero non far mai menoma cosa, che possa dispiacere a Dio, ed al Re; che perciò prego tutti, e ciascuno scrivermi con sincerità i difetti notati in qualche nostro Ordinando, quantunque da me non richiesto".

"In ogni conto voglio, che i giovani non escano in Missione


- 252 -


prima dei trent'anni; e quando in questo, per qualche necessità, si avesse a dispensare, ne voglio star inteso".

 

"Raccomando ad ognuno l'esatta osservanza delle pratiche lodevoli, che tra di noi si costumano intorno la pietà, e la santità della vita. Raccomando l'ubbidienza a Superiori, l'amore a Gesù Cristo, e l'affetto alla sua santa Passione. Così l'orazione, gli esercizj spirituali, ed il solito ritiro. Chi ama Gesù - Cristo ubbidisce, si contenta d'ogni cosa, e sta sempre quieto".

"Finisco colle medesime lagrime, pregando tutti a portarsi bene, e non darmi amarezza in questi altri pochi giorni di vita, che mi restano, come mi fa sperare quell'amore, e quell'ossequio, che sempre mi avete portato, e dimostrato; e resto con benedire tutti.

 

Non altrimenti Alfonso animava i suoi ad una maggior perfezione, e sollecito vedevasi, che tra di essi fosse sempre in vigore la regolare osservanza e l'esercizio delle virtù. Menomo che fosse il trascorso in chiunque, non lasciavalo impunito. Le mancanze non corrette, soleva dire, addivengono morbo epidemico.

Sentendo svogliatuzzi in S. Angelo a Cupolo alcuni Chierici nella pratica delle virtù, e zoppicare nell'osservanza, non solo impedì loro l'Ordinazione in Sacris, ma volle, che di nuovo ritornati fossero nel Noviziato, per apprendere quello spirito, che lor mancava; né aggraziolli, se non accertato del loro profitto. Gelosissimo, come dissi egli era, che non si andasse da Soggetti, se non per pura necessità, in casa de' Parenti.

Avendo saputo in questo una qualche indulgenza, non esitò correggerne il P. Villani, che in suo luogo governava da Vicario. Si giustificò questi; ed Alfonso rescrivendoli a 26. Settembre 1772. "Non intesi, disse, incolpar V. R., ma i Rettori delle Case, e perciò la pregai avvertirlo ai medesimi. Del resto; già intendo, che in certe circostanze si ha da permettere, ed io sto sicuro della prudenza di V. R. Sicché operi in ciò liberamente, ed in ogni altro come meglio le pare".

 

I presenti travagli esterni producevano anche degli interni. Scoraggiamento vedevasi nei buoni, ed altri, non curando l'osservanza, non temevano di Alfonso, e dei respettivi Rettori. Egli per non unir fuoco a fuoco, ed avere taluno di questi anche unito coi malevoli di fuori, temporeggiava, e non era così franco in licenziarli come per l'addietro.

Essendoci due Soggetti fastidiosi, e poco addetti all'osservanza uno in S. Angelo a Cupolo, e l'altro ne' Ciorani, se li chiamò in Arienzo: parlò, ma senza profitto. Invasati, dicevano, che a dispetto di Monsignore volevano stare in Congregazione, e che provato si fosse a licenziarli, che sapevano che farsi. Afflitto Alfonso mi disse, che le circostanze del tempo non facevali espellere di Congregazione; e che quello che esso non faceva, fatto l'avrebbe Iddio. Uno da se chiese la dispensa in questo


- 253 -


medesimo anno, e poco dopo anche l'altro.

"So che ora con taluni Soggetti, così a 13. Ottobre al Rettore di Frosinone, ci vuole pazienza di Santo, e neppure si arriva. Che si ha da fare? Ajutiamo la barca quanto si può; del resto quando ci vuole la correzione, specialmente in certi difetti, che portano scandalo, si faccia, e quello che viene, ne venga. Peggio per essi: se non li puniremo noi, li punirà Iddio. Voleva bensì il mele in bocca, ed il ferro tra le mani. Prego V. R. a governare con tutta dolcezza, così in una sua al P. Rettore Cajone. Dolcezza unita però colla fortezza nel non soffrire i difetti, perché questi ci fanno più danno di tutte le persecuzioni; ma nel correggere, corregga prima da solo a solo con tutta la carità, e trattate tutti con affabilità, e cortesia.

 

Siccome non penava, ma godeva vedendo qualche discolo fuori di Congregazione: così affliggevasi se taluno, a solo motivo d'infermità, vedevasi spostato, e non curar la vocazione. Richiestagli la dispensa de' voti a 3. del passato Ottobre da un soggetto infermiccio.

"Con pena condiscendo, gli scrisse, ma non posso tralasciare di dirgli, che nella Congregazione vi sono diverse Case, che se ad un Soggetto un aria non giova, si manda ad un'altra. Nella Congregazione vi è tutta la carità cogl'infermi, i quali non si costringono all'osservanza a cui sono obbligati i sani. Quando poi con tutte le diligenze, rimedj, e carità, Dio volesse chiamarci all'altra vita, perciò abbiamo lasciato il mondo, e siamo venuti alla Congregazione, per morire non già nel mondo, ed in mezzo a Parenti, ma nella casa di Dio. Li mando la dispensa; ma li sia da avviso, che lasciando la Congregazione, benché ricuperi totalmente la salute, non troverà più pace, e farà una morte inquieta, pensando aver abbandonata la vocazione. Prego, che Gesù Cristo lo benedica, perché non mi fido benedire chi volta le spalle a Gesù - Cristo".

Non si riebbe il Soggetto, e morendo sperimentò negli estremi quanto Alfonso avevagli predetto.

 

Abbiamo cosa in particolare rispetto al predicare. La gioventù, che non va esente dalla novità, e dal prurito di comparire, anche tra di noi tralignar faceva taluni dall'Apostolica semplicità, avvalendosi di qualche polizia di parole, non già in Missione, ma ne' sermoni de' Santi. Rilevando Monsignore un tal prurito, non diedesi pace. Accertato, che uno di questi, benché non giovanetto, fosse il P. D. Luigi Capuano, usando prudenza gli avanzò lettera in data de' 7. Settembre 1773.

"D. Luigi mio caro, così egli, ho letto la vostra, e non vi è dubbio , che mi ha ferito il cuore in che fra di noi si è introdotto lo stile pulito nelle prediche, e fra gl'altri (se non erro) mi è stata nominata V. R. Mi dispiace, che l'esempio tira a far lo stesso anche gli altri.


- 254 -


Io mi persuado, che nelle Missioni V. R. predica familiare, ma temo, che, dagli Sermoni dei Santi, passi lo stile polito anche alle prediche di Missione, com'è succeduto in qualche Congregazione di Napoli".

"Legga V. R. quel, che io ho scritto nella lettera del predicare, inserita nel mio Domenicale, e legga quel, che dice il Muratori, ed io anche parlando dei Panegirici. Perché nei Panegirici non si può parlare familiare narrando le virtù del Santo? Legga il sermone mio trentuno della Comunione nel Domenicale, ed anche i sermoni di S. Giuseppe, dell'Annunziata, e de' Dolori di Maria Santissima in fine del medesimo Domenicale".

"Quando V. R. scrive il Sermone, si guardi da ogni parola ambollosa, e gonfia, o che non sia familiare, ed intelligibile anche ai Villani. Che serve a dire magione, per casa; compiuto per compito; dovizia, per ricchezza; trarre, per tirare; dorso, per le spalle; condonare, per perdonare; pudore, per vergogna; impudenza, per audacia; a pro, per  a favore; rimembrare, per ricordare; aggevolare, per facilitare; aggradevole, e malagevole per gradito, e difficile; consorte per marito, e simili.
Così si guardi ancora dalle parole gonfie, o polite senza necessità, come adesso, lui, lei, quando si può dire, ora, quello, quella. Similmente si guardi dalle sillabe abbreviate, amar, venir, procurar, religion, genitor, e simili. Tutte queste cose servono solo per far il sermone pulito, e gonfio. Bisogna sceglier le parole non goffe, ma le più intelligibili a tutta l'udienza. Segneri è stato un gran predicatore, ma in questo anche ha difettato. Benché noi le sue prediche le leggiamo scritte; e nello scrivere sempre si scrive un poco più polito; onde penso, che Segneri predicando, non predicava, come scriveva".

"V. R. ha talento. Quando fa qualche sermone, faccia riflessione per levare tutte le parole più polite, e dica le parole più usuali, e triviali; ma torno a dire non goffe. Così le cesserà ogni scrupolo, e farà maggior frutto. Dove ci entra un poco di vanità, ed il parere eloquente con parole scelte, Iddio non vi concorre. Lascio di scriver qui quello, che ho scritto nell'ultima lettera".

"Si guardi ancora dal tuono unisono. Una volta io feci un sermone con tuono avanti a Monsignor Falcoja, volendo imitare il P. Cutica, e ne buscai una bella ingiuriata, e d'allora mi levai il vizio. Anche parlando forte, perché si ha da parlare con tuono? Si ha da predicare, come si parlasse con più persone in Camera, persuadendo loro qualche virtù, o narrandole qualche fatto. Così si parla familiare senza tuono, e si fa frutto. Attendete a farvi Santo, e pregate per me, che sto vicino alla fossa".

 

Con questa lettera rilevasi ad evidenza, quanto Alfonso avesse a


- 255 -


cuore nei suoi il predicar semplice, ed Apostolico, ed in quale, e quanto abbominio li fosse lo stile fiorito, e terso. Ancorché in età di anni 77, ed immerso come si sa in travagli, e così gravi in corpo, e di spirito, pure non lasciava mettere in veduta anche i nei più piccoli, che predicandosi adombrar potevano, non che offendere, e render se non vano, meno fruttuoso il proprio ministero.




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

IntraText® (V89) Copyright 1996-2007 EuloTech SRL