- 266 -
Cap.51
Missioni destinate da Alfonso nell'Abruzzo Ultra, e
nuova casa aperta in Scifelli, e Frosinone Diocesi di Veroli.
- 266 -
Nel susseguente anno
1773. volle Iddio, tra le tante amarezze, render consolato Alfonso con due
nuove Fondazioni nello Stato Romano. Erano più anni che Monsignor Sarni Vescovo
di Aquino sospirato aveva le nostre Missioni, ma non erane stato soddisfatto.
Avendo rinnovato le
premure nel Marzo di quest'anno, e ritrovandosi impiegati i nostri,
specialmente nelle Calabrie, non si compromise Alfonso che pel futuro Novembre.
Otto furono i Soggetti, che vi destinò, e vi stabilì Superiore il P. D.
Francesco de Paola. Troppo soprabbondante fu la messe. Innumerabili peccatori
illaqueati da gran tempo, ed invecchiati ne' vizj si videro pentiti ai piedi
del Crocifisso.
Sparsa la fama di un tanto bene, altre istanze
si fecero ai Missionarj per aversi in altre Diocesi. Monsignor Giacomini li
volle in Veroli, Pofi, e Castro. Monsignor Sarni li ebbe in Sora, in Arpino, ed
all'Isola, concorrendoci colla pietà, e colle sue preghiere anche il Duca D.
Gaetano Buoncompagni, perché suoi feudi. Furono in Vallecorso chiamati da Monsignor
di Fondi. L'Abbate di Montecassino anche fu compiaciuto per varie sue Terre, e
luoghetti. Si faticò da per tutto, essendosi divisi i Padri in due compagnie,
con sommo frutto delle popolazioni, e con compiacimento de' rispettivi Vescovi.
Sentendo il P. D.
Francesco de Paola i prodigj, che la grazia operava in Casamari, essendosi
disimpegnato colla Missione nell'Isoletta di Sora, unito col P. D. Lorenzo
Neri, visitar volle quel rinomato Cistercio. La rispettiva esemplarità avendo
legati i cuori de' nostri coi cuori de' Trappesi, questi entrarono nell'impegno
per avere in mezzo ai tanti Villaggi, che ivi esistono, una nostra Casa in
sollievo de' tanti Contadini.
Erasi ritirato da
qualche tempo nel Contado di Scifelli, poco distante dalla Trappa, un Sacerdote
Avignonese, e col desiderio di giovare - 267 -
a quei tanti Contadini, che senza Chiesa abbandonati ne stavano, eretto vi
aveva Chiesa, ed anche comoda abitazione per se, e per altri, che sperava
acquistare. Essendo uomo di Dio, e zelante operario, Monsignor Giacomini
Vescovo di Veroli avevalo dichiarato suo Vicario. Questo luogo, avendo preso di
mira gli ottimi Trappesi, animarono i Padri voler osservare, e vedere se faceva
per essi.
Visitato il Sacerdote
D. Gio: Luigi Arnaud, così chiamavasi il buon Avignonese, accolse i nostri con
somma umanità. Informandosi dell'Istituto, se egli invogliossi de' nostri, i
nostri s'invogliarono di lui. Ritornati i Padri de' Paola, e Neri in Casamari,
e dichiarandosi soddisfatti del luogo, si compromisero perfezionar l'opera il
P. Priore D. Gioacchino Castiati, ed il P. D. Arsenio Smirt. Mentre che i
nostri affaticavansi nella Diocesi di Aquino, i due Trappesi, portandosi da
Monsignor Giacomini, contezza li diedero dell'Istituto, e di quanto si
meditava. Esultò il santo Vescovo, sentendone il progetto, e volle di accordo
coll'Arnaud, che fatta vi si fosse la Missione.
Giace Scifelli su di
una amena collina, quattro miglia al di sotto della Città di Veroli. Conta questo
Contado circa 400. anime; in poca distanza vi è l'altro detto Caudi, che conta
altre 200; ed un miglio in distanza evvi il Casale detto S. Francesco disperso
in tanti contadi, che numerano da 1700. anime. Tutte queste popolazioni, che
formano sopra 2000 e trecento individui, tutte sono addette a coltivar quelle
campagne; e quello che faceva piangere si è, che dipendendo i Contadi dalla
Cattedrale, stimavasi a miracolo, se tal volta vedevasi un qualche Prete o
Frate.
Informato Alfonso da
Monsignor di Veroli dell'abbandono totale di tante Anime, e richiesto essendo
per la fondazione, non esitò in darvi il consenso. Pianse per tenerezza,
sentendo lo stato di tanti Contadini, e stimò un tratto di provvidenza, se
pensavasi come soccorrerli. Avendo esposto Monsignor Giacomini un tale bisogno
al S. Padre Clemente XIV., ottenne quanto voleva; e riscontrato Alfonso del
compiacimento del Papa, fermata restò questa fondazione.
"Mi sono
consolato, scrisse al P. D. Francesco de Paola a 28. Maggio 1773. in sentire
già conchiusa questa fondazione. Ho scritto di ringraziamento al Sig. Abbate
Arnaud, cui veramente abbiamo tutta l'obbligazione. Tutto però si deve, come ho
detto, allo zelo dei PP. Trappesi D. Gioacchino Castiati, e D. Arsenio Smirt.
Essendo a cuore ad
Alfonso l'armonia col Sacerdote Arnaud, che, coi nostri conviver doveva, questo
più che mai raccomandò al P. de Paola, destinato Rettore. "Li abbiamo
tutta l'obbligazione; e V. R. che ha fatto tanto, usi nel trattarlo la
possibile prudenza, e circospezione: lo stesso raccomando agli altri. Procuri
non disgustarlo - 268 -
nelle
cose, che non sono positivamente contrarie al buon governo della Casa. Bisogna
cedere in qualche cosa e per la quiete, e per convenienza: ci ha fatto del
bene, e ce ne può fare; fateli conoscere, che ne fate stima, e sentite i suoi
sentimenti, per quanto si può".
Se aveva in mira
l'armonia coll'Arnaud, molto più premevali osservata la Regola. "Vi
raccomando, scrisse, l'osservanza nel principio di questa fondazione, per
riguardo di Dio, e del Mondo. Così in un'altra: Vi raccomando di nuovo, quanto
vi scrissi nell'altra mia. Mi fido della vostra prudenza, per non disgustarci
il Sig. Arnaud, e per l'esatta osservanza da tutti i Padri, e Fratelli".
Povertà, e miseria fu
anche la dote di questa nuova Casa. Alfonso non mancava soccorrerla; non già
coi proventi del Vescovado, ma con quello percepiva in Napoli dal Collegio de'
Dottori. Volle, che per altro non si spendesse che per il vitto, e vestito.
Avendo inteso, che eransi comprati alcuni libri, "E' tempo questo di
libri, scrisse al Rettore, quando non vi è che mangiare? Son cose da stordire!
Se questi libri si potessero tornare addietro, anche con qualche perdita,
vedete che potete fare".
Avendo a cuore la
salute de' Soggetti, e vedendo, che anche avanzati i caldi, il de Paola troppo
impiegavasi nelle Missioni, scrisse: "Il fatigare coi caldi in Missione,
porta pericolo di far perdere la testa a più di un Soggetto, e perduta la testa
più non servirà a niente. Sicché, per avvenire, vi dico di finir sempre le
Missioni a Giugno, o poco appresso i principj di Luglio".
Terminato il corso di
queste prime Missioni tra li confini dello Stato, e questi di Regno, se si
consolò Alfonso per le tante conversioni, e tutte strepitose, si afflisse bensì
per qualche lamento tra quelle fatiche in taluni de' Soggetti. Essendo nuova la
fondazione, ed in luoghi non conosciuti, non mancandoci i patimenti, spirito
doppio ci voleva, e non tutti accollavano, come si desiderava. "Dite a
tutti da parte mia, così al P. de Paola, che codesta fondazione è nuova, ed è
in altro Regno. In tutte le nuove fondazioni si ha da patire, e patire assai
per la povertà, ed anche perchè si hà da trattare con gente non conosciuta. Che
leggano, se vogliono dar gusto a Gesù Cristo, quello che i Santi hanno patito
nelle prime Fondazioni, e così si son fatti Santi".
Tra questo tempo
industriavansi i nostri volersi stabilire in Roma. Il vento era propizio, e
volentieri potevasi conseguire, avendo il Papa somma stima di Alfonso, e maggiore
dell'Opera. Questi maneggi dispiacquero ad Alfonso. Essendoseli fatte presenti
le disposizioni, ed i motivi, che assistevano, rescrisse: "Ho letto la
vostra lunga lettera, ma non approvo le vostre ragioni. A che serve perderci il
tempo, quando Dio non lo vuole?"
- 269 -
Soppressi i Gesuiti,
anche il Papa non richiesto, pensava da se stabilirci, e darci un Collegio.
Riscontrato da Frosinone dal Padre D. Francesco de Paola, ed anche da Nocera
dal P. Villani di questa volontà del Papa, e che Monsignor Macedonio ne vivea
impegnato, credeva il P. de' Paola meritarsi la mancia.
"Godo delle
notizie di Monsignor Macedonio rescrisse a tutti e due a 25. Agosto 1774, per
la buona intenzione che conserva il Papa verso di noi. Del resto ringraziamo
Iddio, e li Signori Palatini che la cosa è svanita. Se il Papa fosse stato
fermo in un tal pensiere, fortemente li avrei scritto, ancorché contraddetto mi
avesse tutta la Congregazione, che avesse mutata risoluzione. Che ci faressimo
noi a Roma? Sarebbe perduta la Congregazione, perché distratti dalle nostre
Missioni, perduto il fine dell'Istituto, sarebbe finita la Congregazione.
Resterebbe un ircocervo, e a che servirebbe più? In Roma vi sono mille, che
possono fare quello, che faressimo noi, e tra di tanto a che si ridurrebbe
l'opera nostra.
La nostra Congregazione è fatta per le Montagne, e per li Villani. Posti in
mezzo a Prelati, Cavalieri, Dame, e Cortiggiani, addio Missioni, addio
Campagne; e noi ancora diverressimo Cortigiani. Prego Gesù - Cristo che ce ne
liberi. Frattanto ringraziamo Iddio della buona idea, che ha il Papa di
noi". Quanto era portato Alfonso per stabilir delle Case in mezzo dei
Villaggi, perché abbandonati, altrettanto era restìo per le Città principali.
"Pagliaja, e procuoj, soleva dire, sono la nostra messe: quivi Iddio ci
chiama, e per questo dobbiamo sagrificarci". Tali furono sempre i sensi
intimi di Alfonso per la sua Congregazione, e costantemente li ebbe tali fino
alla morte.
Avendogli scritto, ma
con sentimento di amarezza il Padre de Paola, non poter con libertà nel futuro
inverno appuntar delle Missioni in altre Diocesi, volendo con se i Padri
Monsignor di Veroli, visitando la Diocesi, dispiacque ad Alfonso sì fatta
doglianza. "In quanto alle Missioni, rescrisse, che poche possono farsi in
questo anno, bisogna ubbidire al Vescovo, ed al Papa, che lo comanda. Girando
col Vescovo, anche può farsi del bene, trattenendovi almeno un triduo per
parte, e facendo qualche Missioncina, dove non ancora si è fatta. Regolatevi
col Vescovo, cui secondo la Regola siamo obbligati ad ubbidire".
Così Alfonso, e con
sentimenti di tale subordinazione regolava i suoi.
Benedisse Iddio le
fatiche dei nostri nella Diocesi di Veroli. Essendosi fatta la Missione l'anno
susseguente in Frosinone, restarono così sodisfatti il Clero, e quei
Gentiluomini, che invogliati si viddero anch'essi per averci in Città. Sin da
quattro anni addietro erasi rinunziata dai Padri Scalzi Agostiniani Chiesa, ed
Ospizio, che ivi si aveva sotto il titolo di S. Maria delle Grazie. Questa
Casa, e Chiesa si esibì ai Padri. Riscontrato Alfonso anche vi consentì.
Oltre de' tanti luoghi
- 270 -
destituiti
di Operarj, che si avevano in quelle vicinanze, due cose ebbe in mira: la
prima, e credevalo un tratto di Provvidenza, che essendo quelle Case esenti da
contraddizioni, con altra libertà osservar poteasi la Regola: la seconda, che
essendo vicine l'una all'altra, potevansi le Case scambievolmente soccorrersi.
Ma non furon in possesso i Nostri di questa Casa che a 20 di Giugno del 1776.
Non altrimenti dispose Iddio, che tra queste Missioni
aperte si vedessero, con soddisfazione del S. Padre Clemente XIV. altre due
Case nello Stato pontificio:
"Io non fo altro, così Alfonso al medesimo P. de Paola,
che ringraziare Gesù, e Maria di tante grazie, che mi fanno in questi miei
ultimi giorni. Sono stato con quattro giorni di febbre per un catarro di petto;
ora sto meglio, e senza febbre. Sempre sia benedetto Gesù, e Maria".
|