- 270 -
Cap. 52
Alfonso dedica al Marchese Tanucci la Storia
dell'Eresie, e dà fuori a prò dei Parrochi il suo Domenicale.
- 270 -
Lo zelo di Dio, che non
ha termine, e che come il fuoco sempre più si distende, e si dilata, anche in
età così avanzata di anni settantasei, e così travagliato nel corpo, altra
opera intraprender fece ad Alfonso in favore della Chiesa, ed in salute delle
Anime.
Volendo metter avanti
gli occhi dei Fedeli i passati travagli della Chiesa, e quel veleno, che in
ogni tempo la miscredenza ha vomitato a danno della medesima, e delle Anime,
compilò in tre tomi la Storia di tutte l'Eresie, che state vi sono dal
nascimento del Cristianesimo fino ai tempi nostri. Rileva specialmente gli
errori dei Novatori di questi ultimi tempi; fa vedere la contraddizione de'
loro dogmi, e la fermezza sempre la stessa nella Chiesa Romana.
Più volte, come dissi,
fatto aveva egli carico il Marchese D. Bernardo Tanucci, primo Ministro della
Maestà del Sovrano, del danno non poco, che risultava alle Anime, ed allo
Stato, per l'intromissione che in questo Regno facevasi dei libri empj; e che
mancato non aveva il savio, e religioso Ministro darvi delle opportune
provvidenze. Replicatamente, con rigorosissime pene, interdetto si vide
l'introduzione di questi libri, e castigati i trasgressori, che osavano
introdurli, e venderli ad ognuno.
Essendo per dar fuori
l'anno 1772. questa Storia dell'Eresie, che intitolò Trionfo della Chiesa, non ad altri stimò presentarla, che al
medesimo Marchese . "Non ho saputo a chi meglio dedicarla, ei dice, che a
V. E., la quale stando sempre a lato del nostro Augustissimo Principe, ha mai
sempre col medesimo zelato per gl'interessi della nostra - 271 -
Santa Religione, contro i miscredenti, e contro
gl'errori da' medesimi in tanti loro libri vomitati".
Questo libro, come
tutte l'altre sue opere, ebbe un sommo applauso. "Ben chiaramente traspare
in quest'Opera, così Giulio Selvaggi, l'ardente impegno del detto Autore in
promuovere gl'interessi della Religione, così tra miscredenti, dimostrando la
falsità delle loro perniciose dottrine, come tra fedeli, nel rappresentare, e
dimostrar loro la santità di quella Religione, che professano".
Similmente il Canonico
D. Giuseppe Simioli, uomo ben noto nell'Italia per la sua profonda letteratura,
sazio non vedevasi di leggere quest'opera, ed averla nelle mani. "In
questo libro, così egli, Animum, ac
mentem Religiosissimi Praesulis, veluti in tabula depictam intuitus sensi:
quandoque fides, quandoque ingenium, semper pietas singulis elucet in
partibus".
Non è che Alfonso si
avvalse in quest'opera della sola confutazione dogmatica: illustra, e rende
pregevole l'opera anche con altri suoi argomenti, e particolari riflessioni.
"Ad calcem cum herectis, così il
medesimo Canonico, sive antiquoribus,
sive recentioribus congredi, confertis tum a veterum Commentariis, tum etiam ex
privata sui ipsius sententia argumentis". Specialmente ha di mira
Alfonso sostenere l'Infallibilità del Papa, e sua Potestà Suprema nella Chiesa;
e mette in veduta, con ispecialtà gli errori di Cornelio Giansenio, e suoi
seguaci, inimici giurati di Gesù - Cristo, e della sua Grazia.
Uopo è dire, che
qualche disparità vi fu di parere, in quest'opera tra Alfonso, ed il Canonico
Simioli, e per quello rilevasi da una sua lettera de' 22. Febbrajo 1772. al
Rivisore Ecclesiastico Lorenzo Selvaggi, esser dovette di certo circa
l'Infallibilità, e Suprema Podestà del Papa.
Essendo il Canonico di
sentimento opposto, attaccato forse circa di questo all'opinione
degl'Oltramontani, restìo vedevasi ad approvar l'opra. Imbarazzato dimostrossi
il povero vecchio, anzi amareggiato, vedendosi contradetto, e non essendo nello
stato di attaccar briga, e portarsi in Napoli per difendersi.
"Dico la verità, così egli a
Selvaggi, io non intendo dove possono cadere queste difficoltà. Mi dica il
Signor Canonico come si ha da mettere, e quello si ha da levare, che in tutto
sarà ubbidito. Gli spropositi del Padre Beruyer mi hanno trattenuto molto tempo
per confutarli: ora sento sorgere difficoltà, ove meno me lo pensava. Tempus loquendi, et tempus
obbediendi".
Rimettendosi, e fidando
nell'integrità del Selvaggi, conchiude: "Se sia cosa di non molto momento
quello, che si ha d'accomodare, lo faccia V. S. Illustrissima: intendo però,
che non sia qualche punto delicato. Vi sono riflessioni, circa le quali niente
m'importa, che si muti; ma vi sono certe risposte alle opposizioni, le quali
pesano, se non piacciono, V. S. Illustrissima me lo - 272 -
avvisi, perché all'ultimo leveremo l'opposizione, e
la risposta. Parlandosi della Podestà
Suprema del Papa, io son pronto dar la vita per difenderla, perché tolta
questa, io dico, che è perduta l'autorità della Chiesa".
In altro imbarazzo, e
più grave ritrovossi per un altra sua opera. Tra questo tempo, e tra questi
suoi anfratti anche pubblicò Alfonso, per comodo dei Parrochi, ed in istile
Apostolico, il suo Domenicale. Applaudita venne quest'Opera dal ceto
Ecclesiastico. Non avendo riguardo alla di lui modestia Monsignor Cervone, in
quel tempo Regio Revisore, magnificando questo libro, così enfaticamente
spiegossi colla Maestà del Sovrano:
"Magni nominis, famaeque Antistes, qui ante Episcopale munus Divini Verbi
semina late fudit per felicissimi Regni tui Provincias, nunc Ecclesiae
inhaerens suae, ut praedicatione Divini Verbi Italis omnibus prodesse valeat,
conciones suas typis consignat, Episcopus pietate, doctrinaque plane insignis.
Come dissi ebbe Alfonso
per quest'opera non indifferente amarezza. Persona inimica di Dio, riferì nella
Real Segreteria esservi cosa nelle Prediche, che dispiacer poteva al Sovrano.
Quasi per un anno fu impedito, che l'opera non si pubblicasse. Affliggevasi
Alfonso nello stato, in cui vedevasi di non potersi portare in Napoli.
Lo tolse d'impaccio bensì il medesimo Monsignor Cervone. Io fui chiamato, così
egli a me in una sua, dal Marchese di Marco; e dimandandomi se in tale opera
cosa ritrovato avessi, che non reggesse, avendoli aperto i miei sentimenti
coerenti alla verità, ed al merito dello Scrittore, mi comandò, che avessi
posto in carta, quanto a voce gli rappresentai.
Così si rese vana la
cabala. L'Opera uscì fuori con compiacimento del Marchese, e con gloria di
Alfonso, e produsse per ogni dove quel bene, che da esso si desiderava.
Sussieguono come
appendici, in quest'Opera varie Lettere. La prima è indirizzata ad un
Religioso, ove tratta del modo di predicare con semplicità apostolica,
evitandosi, ed esecrandosi lo stile alto, e fiorito. E' diretta la seconda ad
un Vescovo novello. In questa lo fa carico del grand'utile spirituale, che
recano al popolo le sante Missioni; ed indirizza la terza ad un Giovane
studioso, che sta per deliberare sopra l'elezione del proprio stato, mettendosi
in veduta il gran profitto, che si ricava cogl'Esercizj spirituali fatti in
solitudine, e con volontà di approfittarsene.
Abbiamo ancora tra questo tempo un aureo Opuscolo
intitolato: La vera felicità dell'Uomo, o
sia la sua Uniformità alla volontà di Dio. Quest'Opuscolo dir si può
piuttosto inspirato, che meditato. Un'anima divota, vedendo il gran profitto
sperimantato in se, ristampollo a proprie spese, e divulgollo da per tutto
graziosamente.
|