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Cap. 55
Somma afflizione di Alfonso vedendo Papa Clemente XIV
e la Chiesa in gravi angustie: assiste in ispirito alla di lui morte, sua
lettera intorno all'elezione del nuovo Papa, e nuovo travaglio in cui vede la
Congregazione.
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Troppo scabroso fu il
Pontificato di Clemente XIV. Considerando Alfonso i tanti torbidi, che da per
tutto vi erano, colle conseguenze, che ne prevedeva, agonizzava anch'esso. Non in
altro, tra questo tempo, raggiravansi le sue preghiere presso Dio, che per la
quiete del Pontefice, e della Chiesa. Questo istesso insinuava a noi, e voleva
si facesse dagli altri. Viveva anche afflitto, e sentivala amaramente per la
general tempesta, che in ogni dove soffrivasi dai Gesuiti. Non vedendosi
principio di calma, non ne parlava che con sensi di somma amarezza.
"Tutto è trama, ei
diceva, de' Giansenisti, e di tanti miscredenti. Se questi ottengano veder
distrutta la Compagnia, non hanno più, che pretendere. Rovesciato questo
baloardo, in quale sconvolgimento colla Chiesa non si vedrebbe anche lo Stato?
Rovinati - 282 -
i Gesuiti,
in maggiori travagli si vedrebbe il Papa, e la Chiesa. I Giansenisti non hanno
in mira la sola Compagnia, ma colla Compagnia la Chiesa, e lo Stato".
Alfonso così pensava, e
così temeva; ma imperscruttabili sono i segreti di Dio. Clemente XIV, stimando
far cosa grata a Dio, e di vantaggio alla Chiesa, non che sostenerla, soppresse
la Compagnia. Troppo fatale fu questo colpo per Alfonso. Gelò, e non ebbe più
senso, in che fu noto il fulmine, che a 22 di Luglio 1773, uscito era dal
Vaticano.
Benché non parlasse,
manifestava nel volto la grave amarezza, che provava nel cuore. Ricevendo il
Breve della soppressione, adorò, per un pezzo in silenzio, i giudizj di Dio
nelle disposizioni del Papa; e ripigliando la parola, Volontà del Papa, disse,
volontà di Dio; né più s'intese dalla sua bocca anche parola, che indicato
avesse il suo interno rammarico.
Un giorno, ed io eravi
presente, malignandosi dal Vicario, e da persone di riguardo, un tal passo del
Pontefice, "Povero Papa! disse Monsignore, che far poteva nella dura
circostanza, che ritrovasi, se tutte le corone concordemente hanno voluto
questa soppressione. A noi non spetta, che adorare in silenzio i profondi
giudizj di Dio, e quietarci. Dico bensì, che un solo Gesuita, che resta, questo
solo è capace a poter rimettere la Compagnia".
Profetizzò; e son note
le maggiori angustie tra le quali si vide il Papa dopo soppressa la Compagnia.
Se tali furono pel Pontefice, minori non furono le afflizioni di Alfonso,
vedendo il Papa, e la Chiesa in altri nuovi imbarazzi. "Pregate per il
Papa, scrisse in Frosinone a 27. di Giugno 1774. al P. de Paola: Mi ha detto il
Superiore de' Cinesi, ch'è venuto da Roma, che il Papa sta mesto, ed ha
ragione; mentre non si vede luce per questa benedetta pace". In fine
replica:
"Pregate per il Papa, che sta così afflitto: Dio sa quanto lo compatisco;
e scrivendo in Nocera al P. Villani, "Pregate Iddio per il Papa, disse,
come fo io continuamente. Pregate per il Papa, che come mi è stato scritto
dalla Romagna, sta così afflitto, che si desidera la morte, per più cose
avvenute contrarie al bene della Chiesa".
Così a 12. Giugno al
medesimo. "Le nuove della Chiesa vanno di male in peggio. Son cose da
piangere, per quello che mi ha detto Monsignor Rossetti venuto da Roma. Il Papa
sta afflittissimo, sta sempre chiuso, non dà udienza quasi a niuno, e non
isbriga negozj;" e scrivendo a 23. di Luglio al P. de Paola, dice;
"Il Papa sta afflittissimo per le traversie, che passa colle Corone, e
specialmente con Venezia. Sta ancora col timore della morte, profetizzata dalla
Monaca carcerata in Castel S. Angelo, che doveva morire a 16. di Luglio. Ora son
passati li sedici, e non è morto; e così speriamo, che Iddio ce lo mantenga per
l'anno Santo, e per appresso. Io non so altro che dire: povero Papa, - 283 -
povero Papa, afflitto da
tutte le parti. Prego sempre per lui, che il Signore l'ajuti".
Soggiunse di nuovo in
fine della lettera: "Il Papa sta sempre chiuso, e non vuol sentire niuno.
Bisogna per tanto, così conchiude, pregare con modo speciale per il Papa, e per
la Chiesa". Similmente a 25. di Agosto: "Sento da più parti, che il
Papa sta afflitto, sta chiuso, e non negozia. Preghiamo Iddio, che tolga il
Papa da questa gran malinconia". Così a 5 di Settembre al medesimo
"Il Papa sta afflitto e non negozia".
Un giorno, e fu la
mattina de' 21. di Settembre 1774. Alfonso, terminata la Messa, si vide fuori
del solito, su la sua sedia di appoggio, abbattuto, e taciturno. Non si
smuoveva, non parlava, né chiese cosa a veruno. Così stiede tutta la notte
seguente senza aver preso cibo né di mattina, né di sera, e senza cercare chi
lo spogliasse. Stavano sossopra i domestici, non sapendo cosa fosse. Avevasi a
veduta, ma niuno ardiva entrarvi.
La mattina susseguente de' 22. vedendosi
tuttavia taciturno, non sapevasi a che pensare. Il vero si è che stava in una
continua estasi. All'improvviso verso tardi, come se risvegliato si fosse,
toccò il campanello per voler celebrare. Non vi accorse, come soleva il solo
Fratello Francescantonio, ma tutti. Vedendoli Monsignore sbigottiti,
maravigliandosi, Che cosa è, lor
disse; e quelli: che ci vuol essere, sono
due giorni, che non parlate, non mangiate, e non ci date verun segno. Dite bene
voi, rispose Alfonso; ma non sapete,
che sono stato ad assistere al Papa, che già è morto. Eravi presente Agata
Viscardi, serva delle Monache del Redentore. Avendo questa portato tal notizia
in S. Agata, fu presa per sogno, come per sogno si prese in Arienzo. Ma non
tardò molto, e si seppe, che a 22. di Settembre Clemente XIV. ad ore 13. era
passato all'altra vita, cioè in quel momento, che Alfonso si vide ne' sensi.
Ben sapendo l'Eminentissimo
Castelli il gran credito, che presso tutti godeva Alfonso per lo spirito di
Dio, che l'animava, e di qual peso fosse specialmente presso i Cardinali la sua
autorità, volle, essendo per chiudersi nel Conclave, che in una lettera, come
richiesto da persona zelante, ed amica, un dettaglio facesse degli abusi che vi
erano, e che tolti si volevano nell'Ecclesiastica Gerarchia.
Volle così il Cardinale, per far presente questa lettera nel Conclave, affinché
un Papa si fosse eletto, che fosse per darvi del riparo. Restò raccapricciato
Alfonso per questo comando. Tuttavolta, perché imposto da un Eminentissimo, che
Egli tanto stimava, a 23. di Ottobre 1774. raccomandandosi a Dio, spiegò così i
suoi sentimenti.
"Amico mio, e
Signore: Circa il sentimento, che desiderate da me intorno gli affari presenti
della Chiesa, e circa l'elezione del Papa, - 284 -
che sentimento voglio darvi io miserabile. Dico solo, che vi bisognano
orazioni, e grandi orazioni; mentre per sollevare la Chiesa dallo stato di rilasciamento,
e confusione, e in cui universalmente si ritrovano tutti i ceti, non può darvi
rimedio tutta la scienza, e tutta la prudenza umana, ma vi bisogna il braccio
Onnipotente di Dio.
Tra Vescovi pochi sono quelli, che hanno vero zelo della salute delle Anime; le
Comunità Religiose quasi tutte, e senza quasi, sono rilasciate, e nella
presente confusione l'osservanza è mancata, e l'ubbidienza è perduta; nel Clero
Secolare vi è di peggio. Sicché vi è necessità precisa di una riforma generale
per tutti gli Ecclesiastici, per indi darsi riparo alla grande corruzione de'
costumi, che vi è ne' Secolari. Perciò bisogna pregar Gesù - Cristo, che ci dia
un Capo nella chiesa, il quale, più che di dottrina, e di prudenza umana, sia
dotato di spirito, e di zelo per l'onore di Dio, e che distaccato sia
totalmente da ogni partito, e rispetto umano. Se mai, per nostra disgrazia,
succede un Papa, che non ha solamente la gloria di Dio avanti gli occhi, il
Signore poco l'assisterà, e le cose anderanno di male in peggio".
"Le Orazioni possono dar rimedio a
tanto male. Io non solo ho imposto a tutte le Case della mia minima
Congregazione, che preghino Dio, con attenzione maggiore dell'ordinaria, per
l'elezione del nuovo Pontefice; ma nella mia Diocesi ho ordinato a tutti i
Sacerdoti Secolari, e Regolari, che nella Messa facciano la Colletta pro eligendo Summo Pontifice. Questo è
il sentimento che posso darvi io miserabile; e per quest'elezione non lascio
pregare più volte il giorno. Ma che possono le mie fredde preghiere. Con tutto
ciò confido nei meriti di Gesù Cristo, e di Maria Santissima, che, prima che mi
arrivi la morte, quale mi è molto vicina per l'età cadente, e per l'infermità,
in cui mi trovo, il Signore abbia a consolarmi, con farmi vedere sollevata la
Chiesa".
Prosiegue poi, e dice.
"Anch'io desidererei, come V. S. Illustrissima, veder riformati tanti
sconcerti presenti, e su questa materia mi girano mille pensieri, che bramerei
farli noti a tutti, ma rimirando la mia meschinità, non ho animo farli comparire,
per non dar a vedere, che voglio riformare il mondo. Bramerei, che il Papa
venturo (giacché ora mancano molti Cardinali) scegliesse fra quelli, che li
verranno proposti, i più dotti, e zelanti; e che insinuasse preventivamente ai
Principi, dando parte della sua esaltazione, che domandando il Cardinalato per
qualche loro favorito, non li proponessero, se non Soggetti di provata pietà, e
dottrina".
"Bramerei che
usasse fortezza nel negare i Beneficj a coloro, che bastantemente stanno già
provveduti, secondo quello conviene al loro - 285 -
stato. Di più, che s'impedisse il lusso in tutt'i
Prelati, e si determinasse il numero della gente di servizio: tanti Camerieri,
e non più; tanti Servidori, e non più; tanti cavalli, e non più, per non dare a
parlare agli eretici; e che si usasse maggior diligenza in conferire i Beneficj
solamente a coloro, che han servito la Chiesa, non già a persone, che non lo
meritano".
"Che si usasse
tutta la diligenza nell'eleggere i Vescovi, con prendersi da più parti
gl'informi della loro buona vita, e necessaria dottrina, per governar le
Diocesi. Da questi principalmente dipende il culto divino, e la salute delle
Anime. Che si esigesse da' Metropolitani secretamente, e da altri la notizia di
quei Vescovi, che poco attendono al bene delle proprie pecorelle.
Bramerei ancora di
farsi intendere, che i Vescovi trascurati, e che difettano o nella residenza, o
nel lusso della gente, o nelle soverchie spese di arredi, conviti, e simili,
che saranno puniti colla sospensione, o con mandarvi Vicarj Apostolici; e darne
l'esempio da quando in quando secondo bisogna. Ogni esempio di questo farebbe
stare attenti tutti gli altri Prelati trascurati".
"Bramerei, che il
Papa futuro fosse riserbato nel concedere certe grazie, che guastano la buona
disciplina, come concedere alla Monache l'uscir di Clausura, per curiosità di
vedere le cose del secolo. Così di non concedere facilmente ai Religiosi la
licenza di secolarizzarsi, per mille inconvenienti, che ne vengono.
Soprattutto, che il Papa riducesse universalmente tutti i Religiosi
all'osservanza del primo Istituto, almeno nelle cose più principali".
"Non voglio più
tediarla. Altro noi non possiamo fare, che pregare il Signore, che ci dia un
Pastore pieno del suo spirito; e con ciò le fo umilissima riverenza, e con
tutto l'ossequio mi protesto".
Se interessato vedevasi
Alfonso per il bene della Chiesa, l'inferno non dormiva a suo danno. Attaccate
eransi finora dai nostri contraddittori le sole membra, non già il capo. Perché
venerabile il nome di Alfonso, anziché attaccarlo, ne canzavano l'incontro.
Nuocere non potendo le membra, perché rispettabile il capo, risolvono assalire
il capo, per nuocerlo nelle membra. Non sapendo come incolparlo, ne inficiano
la dottrina.
Spacciano intanto da
per tutto come lassa, e divulgano, per erronea la sua Teologia Morale; e
questa, (ed è quello che più facevali gioco), anche infetta di Gesuitismo.
Denigrato Alfonso con quella macchia, specialmente presso di Ministero, e nelle
Reali Segreterie, anche nella dottrina si attaccano i suoi, come nocivi alla
Chiesa, ed allo Stato. Divulgata in Napoli sì nera diceria, tanti e tanti,
senza saper neppure se tal Teologia vi fosse al mondo, vedevansi condannarla,
come erronea e lassa. Iddio però che mortifica, e vivifica, nell'atto che i
contrarj aspettavansi - 286 -
vederla
condannata dal Re, approvata si vide con gloria di Alfonso.
Essendo capitate in
Dogana alcune copie da Venezia di questa Teologia, il Cavalier Vargas, Delegato
in quel tempo della Real Giurisdizione, volle, perché prevenuto in contrario,
che crivellata si fosse a tutto rigore dal P. Maestro Majone, uomo dottissimo
tra Minori Conventuali. Riferendoli questo, esser la dottrina tutta sana, e che
proposizione non eravi, che meritasse censura, Vedete, disse il Vargas, ove
era giunta l'iniquità! quante cose si son dette! Godo, e ne godo assai, perché
rincrescevami amareggiare quel santo Vecchio.
Così
operava l'inferno, e così Iddio opponevasi a suoi disegni.
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