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Cap. 57
Condotta di Alfonso coi Religiosi discoli, e sua
fortezza coi medesimi.
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Ebbe Monsignor Liguori
un sommo rispetto per gli Ordini Regolari, e godeva dell'ajuto che da tanti
Religiosi esemplari, e dotti prestavaseli nel suo disimpegno; ma soffrir non
poteva, se tralignar vedeva taluno dal proprio Instituto, ed esser ad altri
anche d'inciampo. "I Religiosi, ei diceva, essendo di edificazione sono il
sollievo de' Vescovi, e de' Parrochi. Se sono imperfetti, e discoli, sono di
peso a' Vescovi, e di tracollo alle Popolazioni".
Zoppicando taluno mezzo
non lasciava per vederlo ravveduto. "Se questi non si addirizzano, diceva,
il lor zoppicare si comunica ad altri". Era anche suo detto, che accader
suole nelle Comunità, come tra le frutta, che il fracido con contatto anche
danneggia le buone, e per non veder queste marcite, bisogna buttar via le
fracide a
Entrando in Diocesi
troppo male, come dissi, la passarono i discoli. Non vi fu Casa Religiosa, ove
o colle buone, o colle brutte non avesse fatto l'espurgo. Qualunque però
fossero state le sue sollecitudini, il terreno non per questo esente si vide da
tali erbacce così nocive.
Non fermavasi egli ai
primi rapporti. Informavasi de' loro portamenti, non solo dai Parrochi, e da'
Preti costumati, ma avendo a cuore il decoro - 294 -
dell'abito, faceva anche capo ai medesimi Religiosi
più esemplari. Quest'opera fu spinosissima per Alfonso, ed il suo zelo volevavi
per venirne a capo.
Oscurava il decoro di
una illustre Religione, giunto egli in S. Agata, un rispettabile Sacerdote, ma
discolo, e sfacciato. Informato Alfonso, sollecito lo chiama, e fraternamente
l'ammonisce. Non vedendoci emenda, l'esorta, che da se si situasse fuori
Diocesi. Venendo protetto il Religioso dal Superior Generale, non mancò questo
impegnarsi, per veder quietato Monsignore. Anche s'interposero personaggi di
sommo riguardo. Costante Alfonso non si spostò, e dovette il Religioso esser
fuori del Monistero, e della Diocesi.
Ritrovandosi in Napoli
Monsignore nel 1767 impegnato venne per il di lui ritorno, ed il Duca di
Maddaloni impegnato anch'esso, di persona portossi a pregarlo. Dato che sia
vero, disse il Duca, quanto si vociferò, di presente sono tanti anni che più
non tratta, ed è avanzato in età. La risposta fu questa: "Per fintanto che
io sarò Vescovo, esso non vedrà mai la mia Diocesi" nè di fatti la vide
per tutti i dodici anni che vi fu Vescovo.
Avendo odorato uno
attacco in persona di un Cellerario con una donna, chiamatosi l'Abbate, fe
sentirli, che il Monaco non stava bene in Diocesi. Prese questi le parti del
Cellerario, e sostenendo non esser colpevole (ma era tale) protestavasi non
poterlo rimuovere. Questa resistenza dispiacque a Monsignore; e postosi in
contegno "Se non lo fate voi, gli disse, ma in tuono altitonante, lo farò
io". Tal petto dimostrò, che l'Abbate, vedendolo risoluto, dovette cedere,
e senza perdita di tempo sloggiato si vide il Religioso.
Pervenutogli
all'orecchio, che un Religioso teneva scandalosa pratica con una donna,
volendosi far carico di ragioni, volle che il suo Vicario segretamente da
persone probe se ne informasse. Comprovato il tutto ne diede parte al
Provinciale. Questi se non difese il suddito, né anche lo destinò altrove, anzi
non diede risposta a Monsignore. Non se ne offende Alfonso; e replicando altra
lettera, fe sentirgli, che se non vedeva dato il conveniente riparo, egli era
per dare de' passi, che graditi non li sarebbono. Questo tuono smosse il
Provinciale; ed in risposta fu destinato il Frate in altro Convento fuori
Diocesi.
Praticando un Religioso
in una casa di riguardo; ed essendovi dell'ammirazione nel Paese, insistette
Alfonso col di lui Superiore, che tolto si fosse da quel Convento. Cantò al
sordo; e non convenendoli altri passi per giusti riflessi, se altro non poté
per allora, tolse in pena al Superiore la facoltà di confessare. Come volete zelare nella mandra altrui, gli
disse, avendolo chiamato, se nella propria
vedete i Lupi, e tacete. Ma non per questo si addormì Monsignore. Trovò
egli modo di vedersi il Religioso sbalzato dalla Diocesi.
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Querelandosi con un
Provinciale della scandalosa condotta di un tal altro. Questi, anziché compiacere
Alfonso, entra in difesa del Suddito, e taccia per discolo il Superiore del
luogo. "Essendo così, mi meraviglio, gli rescrisse ironicamente
Monsignore, che sapendolo tale l'avete fatto capo del Monistero". Il vero
si è che egli il Superiore ricorso era da Monsignore rappresentandoli lo
scandalo. Alfonso conservando il secreto, pace non si dié, se il Suddito non fu
fuori Diocesi.
Un altro Religioso
tenevalo in amarezza, così per la propria scostumatezza, che per lo scandalo
degl'altri. Corretto, e non emendato ne diè parte al Provinciale. Fu questi
così ossequioso a Monsignore, che non solo lo tolse di Diocesi, ma volendo
troncare ogni commercio colla donna, destinollo in un altro Convento, niente
meno che tre giorni in distanza.
Troppo inquieto vedevasi
per un altro Regolare. Lo scandalo era pubblico, e non vedevasi principio di
emenda. "Questo benedetto Convento, così scrisse al Provinciale, sin dal
mio primo arrivo in questa Diocesi, mi ha inquietato anima e corpo. Io non ho
accettato il Vescovado per dannarmi, e per veder gli altri perduti. Se V. P.
non ci dà riparo, io, con vostro disgusto ricorrerò al Re, e dal Re mi sarà
fatta quella giustizia, che da voi mi si nega". Restò sbalordito per quel
biglietto il Provinciale; e più di questo non vi volle per vedersi il Religioso
sotto altro Cielo.
Queste, e simili erano
le intraprese di Monsignore, per veder epurgati i Monasteri, e la Diocesi da
quei Religiosi, che colla lor condotta danneggiavano se stessi, e gl'altri. Ma
non sono questi gl'effetti tutti del suo zelo. Incontrò alle volte intoppi
tali, e tale resistenza nei Provinciali, che obbligato vedevasi a passi forti.
Non volendo urtare, con discapito della Religione, faceva capo in Roma ai
respettivi Generali. Troppo premevali per le Comunità religiose quel decoro,
che si conviene, e molto più la scambievole armonia. Così otteneva da'
Generali, senza far chiasso, quello, che in Regno se gli negava dai
Provinciali.
Scandaloso commercio
aveva un Religioso con una maritata. Non potendo ottenere dal Provinciale, che
sloggiasse di Monistero, fe capo al P. Generale. Questi non solo lo tolse
subito di quel luogo, ma ordinò, che situato si fosse nell'ultimo Convento
della Provincia. Protetto il Religioso da un altro Religioso di autorità,
situato si vide in Napoli, ed ivi la donna andava a complimentarlo.
Vedendo Alfonso favorito il peccato, mandò persona a dolersene col protettore,
minacciando di dar passo in Napoli a' Superiori supremi. "Monsignor
Liguori, disse colui, montando in bestia, ne vuole di soverchio. Questi non è
più suo suddito". Così egli pensava, ma non pensavala così Alfonso.
"Se il Religioso - 296 -
non
è mio suddito, li fe sentire, la donna è pecorella a me affidata".
Rescrisse con tal tuono, che levato si vide da Napoli il Religioso, e tolta
l'occasione, che nasceva dalla vicinanza del Paese.
Scandalizzava un
Superiore con tutta la Comunità un intero Paese. Vedendo inutile ogni rimedio
col Provinciale, ne diede parte al Generale. Furono così efficaci i suoi
motivi, che con poco suo gusto il Superiore deposto venne dall'ufficio, e
situato di stanza in un Convento lontanissimo, cambiata la famiglia, e tolto lo
scandalo dal Paese.
Anche talvolta contro
suo genio venir dovette a passi presso del Re, ritrovando non curanza nei medesimi
Generali. Scandalosamente viveva un Religioso. Monsignore avendone data parte
prima al Provinciale, e poi al Generale, e non avendo ottenuta provvidenza né
dall'uno, né dall'altro, fe presente al Re, per mezzo di D. Pasquale dell'Acqua
Governatore in quel luogo, il male, che vi era. Con dispaccio il Religioso fu
mandato fuori Provincia, e colla medesima real carta anche alla donna fu dato
lo sfratto da quel luogo.
Toppo noto era lo
scandalo di un altro Religioso. Non avendo Alfonso udienza dal Provinciale,
ricorse al suo Generale. Questi, quasi piangendo gli rescrisse. "Già
sapete, che noi nel Regno non contiamo più, e che di noi non si fa conto dai
medesimi Religiosi. Prego, essendoci un tale scandalo, volervela sentire in
Napoli con chi si deve". Pianse anch'esso Monsignore, considerando le
circostanze de' tempi. Avendo fatto capo dal Re, ottenne quanto voleva. Lo
scandalo fu tolto, e sfrattato il Religioso.
Se così severo, ed
implacabile era Alfonso coi discoli, non è che amorevole non fosse coi buoni.
Consolavasi averli in Diocesi, ed avendo per questi una stima particolare,
mezzo non lasciava per non vederli allontanati. Questi con suo compiacimento
impiegava in varj disimpegni. Tanti li volle non solo Confessori, ma
Esaminatori Sinodali. A questi affidava i monisteri delle Monache. Tanti nella
Quaresima, ed in altri tempi, girar faceva per le prediche. Spesso volevali a
consiglio, e ne magnificava il talento. I Cappuccini specialmente, dai quali
non ebbe amarezza, erano come la porzione del proprio cuore; e tra questi i due
Fratelli Cipriano, e Samuele da Napoli, che, come è noto avevali sommamente a
cuore, e per ordinario servivasene in varj disimpegni.
Se in tutti aveva
Alfonso in orrore il vizio dell'impurità, ne' Confessori n'esecrava l'ombra.
L'uomo che è incostante in se stesso, non si sa di mattina, se è quello di
sera. Tanti che stimò aggraziarli per la Confessione, conoscendoli moriggerati,
anche di questi ebbe motivo di pentirsene con suo maggior dolore.
Un Benedettino, essendosi presentato per la Confessione, graziosamente restò
approvato. - 297 -
Monsignore
ne godeva perché esemplare, e faceva del bene. A capo di tempo, restando
informato di qualche leggerezza, se ne dolse col proprio Abbate. La cosa era
tale, che non meritava indulgenza; e l'Abbate per togliere se stesso, e
Monsignore da qualunque impaccio, fe subito cambiar Cielo al Religioso.
Gradiva Alfonso la
conversazione di un altro, sì perché esemplare, che per dichiararsi parente di
Monsignor Mastrilli Arcivescovo di Taranto. Aggraziollo ancora per la
Confessione.
In seguito essendo
stato informato, che frequentava certa casa, che non conveniva, lo sospese
dalla Confessione, e tanto si adoprò, che fe rimuoverlo da quel Convento. Tolta di mezzo la graticcia, ei diceva, altra libertà si prende, ed il male, se non
è succeduto, succede di certo.
Non è che solo aveva di
mira Alfonso l'impurità nei Regolari. Qualunque vizio, che offuscar poteva il
decoro dell'abito eragli in orrore. Stimava a delitto vedersi un Religioso nei cellaj,
o divertirsi a giuochi non leciti, maggiormente se in piazza. Anche di questi
non è piccolo il numero, che processò, e bandì dalla sua Diocesi.
Ho accennato questi
pochi. Se qui individuar volessi quali, e quanti Religiosi mutarono Cielo,
persistendo Alfonso nel Vescovado, troppo lungo sarebbe il numero. I soli che
sloggiarono dall'anno 1768. che egli urtò in quel suo gran travaglio, mi
attestava il P. M. Caputo, che non furono meno di cinquantadue.
"Era così sollecito
per l'esemplarità de' Regolari, così il Vicario Rubino, che non prendeva
riposo, ove taluno di questi degenerar vedèvasi dal ben vivere. Per esso non vi
era tolleranza, o umano rispetto. Qualunque fosse la condizione o del
Religioso, o della Religione, dopo aver dato luogo alla prudenza, non aveva
riguardo per veruno. I Capi d'Ordine avendo sperimentato il suo fare, tanti di
questi, prima che egli si risentisse, da se amovevano taluno, che essergli non
poteva di gradimento. Posso francamente dire, che in tempo di Monsignore i
Monasteri nella Diocesi non erano che tanti giardinetti di tutta esemplarità,
che se erbaccia vi spuntava, era subito diradicata".
Abbiamo cosa di più dello zelo di Alfonso. Anche i
Romiti furono oggetto di sua special sollecitudine. Non ammetteva nelle Chiese
se non persone costumatissime. Se portavansi con edificazione, proteggevali, e
dava loro maniera anche da vivere;
ma
mal per essi, se peccavano nel costume, e non frequentassero i Sagramenti.
Ben
persuaso egli era, che questi esser dovevano gente disutile; ma voleva per lo
meno, che edificato avessero con un composto esteriore. Tanti di questi mandò
alla zappa, e tanti altri col braccio dei Governatori, sloggiar fece da' Paesi,
e dalla Diocesi. Processò, tra gl'altri, due Romiti Calabresi. che convivevano
con poco decoro in una Chiesa Parrocchiale de' Casali di S. Agata. Prima furono
spogliati, ed indi esiliati.
Posizione Originale Nota -
Libro III, cap. LVII, pag. 293
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