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CAPITOLO 3
Studio, ed altre applicazioni cavalleresche di
Alfonso.
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Non venne educato
Alfonso, essendo Giovinetto, come per altro si suole dal ceto cavalleresco, in
qualche nobile Convitto, ma volendo istruire nelle lettere, se li destinarono
in casa ottimi Maestri. Temendo D. Giuseppe, e D. Anna, che l'innocenza di questo Figlio, vivendo
in Collegio, conversando con altri Giovanetti, non venisse macchiata con
qualche neo di colpa, lo vollero, per dir così, sempre a vista, e lontano da
ogni occasione di peccato.
Ebbe per Maestro nella
Grammatica D. Domenico Buonaccio dotto Calabrese, ma uomo sommamente
morigerato, e timorato di Dio. Questi, se istruivalo nelle lettere, non mancava
fargli conoscere cosa importa il vivere da buon Cristiano, e quanto faccia
vergogna il vizio ad un onesto Cavaliere. Il vero si è, che non costava troppo
al maestro la sua educazione. Il bel naturale, ch'egli aveva, le sue
inclinazioni per la virtù, abbreviavano di molto le sollecitudini di questo
virtuoso sacerdote, così nelle lettere, che - 8 -
nello spirito. Si può dire, che la natura, e la grazia
facevano a gara in far ricco de' loro doni il nobile giovanetto.
Sortì Alfonso un intelletto acuto e
penetrante; una memoria quanto facile ad apprendere, altrettanto tenace; ed
un'indole docile, e tutta portata a voler sapere. Queste cose unite insieme,
facevano sì , che Alfonso profittasse da giorno in giorno nelle lettere, con
non poco compiacimento così del Maestro, che de' suoi Genitori.
Se si voleva da D Giuseppe, e da D. Anna, che il loro figlio fosse illuminato
nelle lettere, ed ottimo Cristiano, il volevano adorno ancora delle virtù
Cavalleresche. Anche da ragazzo se li destinarono in casa maestri per lo
disegno così in pittura, che in architettura. Vi riuscì a meraviglia Alfonso; e
vivendo tra noi, ancorchè vecchio, non lasciava abbozzare, secondo veniva
animato dalla propria divozione, delle varie Immagini, specialmente di Gesù o
Bambino, o Crocifisso, e delle tante in onore di Maria SS., che, a benificio
comune, non mancò far incidere in varj rami.
Nella casa di Ciorani,
volendo additare qual gruppo di marciume sia l'uomo in se stesso, delineò a
fumo il cadavere di Alessandro il Grande, tutto difformato ed intorniato da
topi, con iscriverci di sotto: Ecco dove finisce ogni grandezza, col dippiù che
si ha nelle sue Canzoni. Così nel Refettorio della Casa d'Iliceto si vede
un'altro scheletro, ma ben grande attorniato da topi, e da marciume. Anche in
quella Chiesa si ha l'antica Icona di Maria Santissima, passata di pennello da
Alfonso, e posta di nuovo nel nobile suo aspetto. In questa medesima Casa, ed
in quella di Ciorani vedevasi delineata ad oglio da esso medesimo nei palliotti
dell'Altare Maggiore, una bella campagnuola col mistero della Nascita, cioè il
S. Bambino adorato da' Pastori, colla Vergine, e S. Giuseppe.
Non fu meno perito
nell'Architettura. I disegni delle nuove case, anche da lui si delineavano: o
per lo meno gli Architetti, che avevano le commessioni, sottometter dovevano
alla sua censura, quanto da essi era stato ideato.
Essendo D. Giuseppe suo Padre molto appassionato per la Musica, volle che
anche il figlio con perfezione ci fosse riuscito. Tre ore ogni giorno se le
doveva divertire in camera Alfonso con Maestro; ed era tale l'impegno di suo
Padre, che non potendoci talvolta assistere, come soleva, chiudeva al di fuori
l'uscio con chiave, e lasciandolo col maestro, partivane per gli suoi affari.
Non era ancora Alfonso in età di dodici in tredici anni, che toccava il cembalo
da maestro. Avendo fatta rappresentare i Padri Girolimini l'opera di S. Alessio
da varj Cavalerotti, vi recitò anche Alfonso; e dovendo rappresentare la parte
del Demonio in atto di sonar il cembalo, lo toccò con tal maestria, che tutta
l'udienza ne restò stupita. Ne piangeva Alfonso nell'ultima sua vecchiaia
questa sua applicazione: Pazzo che sono
stato, disse un giorno - 9 -
guardando
il cembalo, in averci perduto tanto
tempo; ma doveva ubbidire, perchè cosi voleva mio Padre.
Riuscì così eccellente
nella Musica, e nella Poesia, che anche vecchio metteva in nota, e componeva a
meraviglia. Abbiamo tra le sue canzoni un duetto tra l'Anima, e Gesù
appassionato, che da' Musici fè cantare per intermezzo tra il Catechismo, e la
Predica, allorchè in Napoli diede gli esercizj nella gran Chiesa detta la
Trinità de' Pellegrini. Più avrebbe spiccato il suo talento nella Poesia
Latina, ed Italiana, se egli non avesse avuto di mira più la divozione ne'
popoli, che il pascere l'intelletto, come si vede nelle tante canzoni da esso
composte; e ve ne sono delle eccellenti. Chi le legge ammira, e conosce, non
volendo, la mano maestra, che le ha formate.
Disbrigato Alfonso
dallo studio delle belle lettere avendo anche appreso il Greco, e la Lingua
Francese, in seguito si applicò allo studio delle materie filosofiche, e
matematiche : Se vi profittò, o no ; rilevasi a sufficienza dalle varie Opere
Teologico-Metafisiche, che diede poi alla luce contro i moderni increduli, in
beneficio della Chiesa, e delle Anime. Similmente profitto molto nella
Geografia, e Cosmografia; e possedeva in modo queste scienze, che leggevale ai
nostri Chierici sul principio della Congregazione. Esiste ancora nella Casa
d'Iliceto un grosso planisferico armillare, architettato, e portato a
perfezione dalle sue mani.
Avendo di mira D. Giuseppe suo Padre la toga in questo Figlio, che non potevagli
mancare, atteso i talenti, che aveva; terminata la Filosofia, e gli studi di
erudizione, fe applicarlo a quelli della legge Civile, e Canonica. Ebbe Alfonso
per Lettori due valentuomini in quel tempo di sommo grido in Napoli; ed anche
in questi studi riuscì con eguale vantaggio, che negli altri. Il suo talento
faceva meraviglia a tutti; e presaggiva ognuno nel giovanetto Liguori i più
altri voli di una prospera fortuna nè Tribunali, e nel Supremo Senato della
Città di Napoli.
Se fanciullo fu alieno
Alfonso dai passatempi de' suoi eguali, giovanetto non mutò inclinazioni.
Menava egli una vita non già agiata, e dedita a que' piaceri anche leciti, che
i suoi natali potevano somministrargli; ma una vita laboriosa, come ogn'altro
studente d'inferior condizione. Tutto era applicazione per esso; e se egli era
portato per lo studio, e per le facoltà scientifiche, D. Giuseppe suo Padre gli dava del contrapeso, assistendolo, ed
impiegandolo colle continuate insinuazioni.
Altro sollievo non
aveva Alfonso, tra le tante sue applicazioni, nè altra conversazione venivagli
permessa da suo Padre, che divertirsela di sera al giuoco delle carte; ma per
un'ora, e non più, in casa di D. Carlo Cito con altri Giovanetti, Cavalieri
tutti morigerati, che frequentavano quella casa. Specialmente divertivasi col
di lui figlio D. Baldassarre, decoro - 10 -
dappoi di tutta Napoli, per essersi veduto Presidente del S. R. Consiglio,
anche fino all'età di cento anni; e finalmente morto Consigliere di Stato in
età di anni cento e tre nella Corte del nostro Augusto Ferdinando IV. Questi
giuochi però altri non erano, che quelli del terziglio, l'ombra, ed altri
simili, che, essendo allora in moda, facevano il divertimento tra Giovanetti
Cavalieri; e sollevando lo spirito ed aguzzando l'intelletto, niente corrompeva
il costume.
Questo divertimento non
era per Alfonso, che ristretto, e limitato. Voleva D. Giuseppe, che un tal sollievo fosse di ajuto, e non di remora,
per così ripigliare, con maggior lena, e mente chiara, lo studio interrotto; e
mal soffriva, se oltrepassava il convenuto. Accadde qualchevolta, così portando
la conversazione, che Alfonso non fu pronto in casa nell'ora determinata. Una
sera tra le altre non vedendolo D. Giuseppe comparire; volendolo mortificare, toglie dal tavolino
tutt'i libri, e ricopersero tutto di tanti mazzetti di carte da giuoco. Resta
sorpreso Alfonso da tal novità; ed il Padre, che passeggiando ed impaziente lo
stava attendendo, vedendolo attonito, gli disse: Questo è il tuo studio; e questi sono gli Autori, che ti fo ritrovare. Fu
troppo sensibile questa mortificazione ad Alfonso; e più di questo non vi volle
per farlo arrossire, e metterlo ne'limiti di quanto voleva suo Padre.
Essendo vecchio,
raccontò ei medesimo, che aveva anche della passione pel divertimento della
caccia, ma in quei giorni soltanto, in cui veniva dispensato dallo studio.
Qualunque però fosse stata la sua industria, eragli così avversa la fortuna,
che potevasi dire benedetto quell'uccello, che prendeva di mira e colpiva. Ma
rivolgendo la parola, come pentito di aver tal cosa detta, passò dalla caccia
degli uccelli a quella delle Anime; rilevando quanto questa sia cara a Dio, e
dilettevole agli uomini Apostolici. Quindi deplorò quel tempo, che giovanetto
inutilmente avevaci barattato.
Tali furono le
applicazioni di Alfonso nell'età sua giovanile; cioè tutte utili, ed
interessanti. Abbiamo motivo da credere, che non gli permisero Genitori così
savi due altre applicazioni le più ordinarie, se non vogliamo dire
indispensabili nelle persone Cavalleresche; cioè il ballo e la scherma: il
primo, come pericoloso all'Anima, ed il secondo all'Anima, ed al Corpo.
Credo così, perchè avendo in varj rincontri narrato
Alfonso, stando tra di noi, i varj pericoli del secolo, da' quali Iddio, per
sua Misericordia, avevalo liberato, non fece mai menzione di questo.
Maggiormente mi persuado; perchè anche D. Ercole, che visse nel Mondo, neppur
sapeva di siffatte cose.
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