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Cap. 58
Somma sollecitudine di Alfonso coi Secolari
scandalosi; e de' gravi cimenti ne' quali si vide.
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Non fu minore la guerra,
che fece Alfonso al ceto secolare, se discolo vedevasi, e scostumato. "Non
sono io, ei diceva, pastore soltanto de' Preti, e Monaci: se così fosse, troppo
ristretta sarebbe la mandra. Il gregge propriamente commesso a' Vescovi sono le
popolazioni. Ogni Anima di queste è a noi affidata da Dio, e noi siamo tenuti
dargliene conto".
Non erano tante le
Anime, che convivevano nelle Parrocchie, mi disse l'Arcidiacono Rainone, quante
erano le spie, che Monsignore vi aveva; e può dirsi, che se scandalo vi era,
prima vedevasi riparato, che esserne inteso. "Noi possiamo dire, così il
Parroco D. Pasquale Bartolini, non esservi stato Vescovo al Mondo, che con tale
ardenza abbia impedita l'offesa di Dio, e promosso il pubblico bene, come
Monsignor Liguori. Aveva in tale abbominio il peccato, che inseguirlo non
mancava anche ne' più cupi nascondigli".
Se per li Preti e
Frati, incombenzati tenevene i respettivi Governatori, maggiormente assistevali
per veder tolti de' scandali tra secolari. "Quasi piangendo, così D.
Nicolò Pisani, ora Vice - Duca in Maddaloni, ed allora Governatore dello Stato,
ci raccomandava la gloria di Dio, ed il bene delle famiglie. Voi, ci diceva,
potete quello che non posso Io: volendo, potete riparare a tutto, Quello che
potete voi, che state sulla faccia del luogo, non si può neppure dal
Sovrano".
E' incredibile, come
venivane favorito. Avendo questi a cuore più il buon nome presso Monsignore,
che qualunque lucro, per così averlo presso de' Baroni, cosa non attrassavano
per compiacerlo. Possiamo dire, così il Canonico Verzella, che fu suo
Segretario, ed il Fratello Francesc'Antonio, che buona parte delle rendite,
consumavale Monsignore, tenendo regalati i Governatori locali, per sapere, se
scandalo vi fosse, o per averli esecutori contro uomini, e donne scostumate.
Specialmente rimetter soleva a questi i caponi, che per ragione di rendita li
pervenivano nella vigilia di Natale, così con cioccolate, ed altri dolci, che
ben spesso aveva da Napoli.
Contestano tutti i
Parrochi, che altro peso essi non portavano, essendoci scandalo nelle proprie
cure, che renderne avvisato Monsignore. Egli pensava a tutto, chiamandosi i
colpevoli; e non profittando, era pronto a dar passo coi Baroni, ed implorava,
bisognando, anche la forza del Sovrano. Era tale li credito, che godeva presso
di questi, che - 299 -
dati
vedevansi in Diocesi, con terrore degli altri, anche castighi non ancora
intesi; sfratto da' paesi, carcerazioni penose, frusta, e bando alle donnacce.
Tutto conseguiva Alfonso col suo credito e zelo.
Suo sistema fu, prima
di venire a passi estremi, usar tutti gli atti, che come a Padre li
convenivano. Chiamava, e richiamava villano, o gentiluomo che fosse anche da
qualunque Paese, correggeva, e minacciava. Non bastando questo, frapponevaci persone
o amiche de' traviati, o che loro potessero imporre.
Tante volte queste sue
correzioni vedevansi anche accompagnate da prognostici, ma troppo funesti. In
Durazzano vedendo il Notaro Nicolò Mazzola, sventato di testa, e mal costumato,
avendolo più volte corretto, e non profittando, Figlio mio, li disse, per
questa vita che menate, voi farete un fine infelice; e mettendoli la mano
sulle spalle, quasi piangendo ripetette:
si, farete un fine troppo disgraziato.
Correndo da male in peggio, ritrovossi ultimamente, benché avanzato in età,
avvolto anch'esso quì in Napoli nella congiura de' Giacobbini. Vedendosi il
miserabile condannato a lasciar la vita sulla forca nel Gennaro del corrente
anno 1800, stando in Cappella, questa morte, disse piangendo ad uno de'
Bianchi, essendo giovine mi fu profetizzata da Monsignor Liguori. Ove prime
vedevasi ostinato, con questo riflesso si compunse, e morì contrito
raccomandandosi a Monsignore.
Sperimentandosi inutile
la correzione, veniva subito a passi forti. Due fratelli in Airola tenevansi in
casa alcune donne di Arpaja, e non solo abbusavansi essi, ma introducendo altri
giovani con altre simili donnacce, facevano un continuato postribolo. Alfonso
sperimentando inutile ogni paterna sollecitudine, fe capo dal Principe della
Riccia: "Io non ho altro rimedio per togliersi lo scandalo, se non
ricorrere alla bontà di V. E. " Di fatti per ordine del Principe, i due
fratelli ristretti furono per lungo tempo nelle carceri, e le donne dopo il
carcere anche esiliate dai loro Paesi, e da tutto lo Stato del Principe.
A sua richiesta il
medesimo Principe castigato aveva un uomo di Forchia, ed una donna di Arpaja:
tutt'e due conjugati. Disprezzando questi ogni superiorità, ritornati erano al
vomito con scandalo dell'uno, e dell'altro Casale. Non potendo Alfonso
ripararci, per esser ammogliati, di nuovo pregò il Principe volersi adoprare,
per togliere l'offesa di Dio, e lo scandalo di tante anime. La donna ebbe la
frusta, e l'uomo per mesi e mesi penò nelle carceri.
Avendolo avvisato il Parroco D. Felice Nuzzo,
che nella sua Parrocchia nel Casale delle Cave, ogni notte un Caprajo, ma
temuto, perchè manesco, s'intrometteva in una casa, in dove una zitella,
guidata da sua madre, andava a compiacerlo. Monsignore avendosi chiamato il Caporale
del Duca di Maddaloni, regalandoci carlini dodeci, ordinò - 300 -
carcerarlo. Non mancò uno de' Soldati della squadra
farnelo avvisato.
Essendo andato il
Caporale la notte seguente per arrestarlo, ritrovollo fuggito; ma avendo
ritrovato nel medesimo cortile un uomo ammogliato, che stava peccando in casa
di un'altra donna; persuaso far cosa grata a Monsignore, carcerò questo insieme
colla druda. Ne godette Alfonso: se non
mi è riuscita, disse, una caccia, ne
ho fatta un'altra.
Il Caprajo non si vide
più. L'uomo arrestato promettendo emenda, e pregando la moglie, fu scarcerato:
ma l'amasia ci cantò per circa due mesi. Contentossi Alfonso darle da vivere
ogni giorno, né mancò per mezzo de' Parrochi vederla ravveduta. Si ravvide, si
mantenne casta, e pentita poco dopo se ne morì.
Non avendo profittato
in S. Agata delle sollecitudini di Monsignore un villano chiamato Ambrosio
Cialone, venne ucciso da' suoi rivali nella casa della druda. Questa, con altre
sue compagne, prima di giorno fecero ritrovare il cadavere avanti il Monistero
de' PP. Conventuali. Monsignore ne pianse, avendolo saputo; ma volendo incutere
spavento, ordinò, perché anche interdetto, che con torce di pece portato si
fosse il cadavere a buttare dentro un fosso. Voleva, che ad esempio girato si
fosse per la Città, ma non li fu permesso da quel Governatore. Centinaja vi
sarebbero di Villani o rimessi per suo mezzo, o castigati, ma per brevità li
tralascio.
Se sopra de' Villani,
maggiormente vedevasi oculato sopra de' Gentiluomini. Aveva Monsignore il
peccato di questi per doppio peccato, come quello, che coll'esempio influiva
nella plebe, e facevasi strada negli altri.
Un Gentiluomo in Airola
invischiato ritrovavasi con una donnaccia. Ivi ritrovandosi Monsignore, e fattone
inteso, mezzo non lasciò per guadagnarlo a Cristo; ma se non ebbe l'intento col
Gentiluomo, li riuscì guadagnar la donna. Occecato il giovane, se ne introdusse
un'altra in casa. Monsignore essendo avvisato di questo travaglio, in atto che
una sera terminato aveva la predica, se li videro le lagrime agli occhi.
Ritrovandosi con
esso un Gentiluomo Sacerdote, pregollo,
piangendo, che in suo nome portato si fosse da quel traviato, e rappresentato
li avesse lo scandalo che dava, l'offesa di Dio, e la somma pena, in cui lo
teneva. Confuso di tanta paterna sollecitudine, sul medesimo piede discacciò
l'amasia; ed essendosi portato da Monsignore, non finiva ringraziarlo di tanta
amorevolezza.
Un medico in S. Agata,
assistendo all'Ospedale, manteneva scandalosa pratica colla spedaliera. Non
profittandoci Alfonso colle ammonizioni, ne diè parte a D. Giuseppe Romano,
Presidente del Consiglio, e Sopraintendente della casa del defonto Duca. Questi
li tolse subito la piazza, sentendo lo scandalo. Non mancò il Medico, vedendosi
così castigato, portarsi da Monsignore, e caricarlo di mille ingiurie.
"Figlio mio, - 301 -
li
disse Alfonso, questo male ve l'avete fatto voi. Sapete quante volte
amorevolmente vi ho corretto, e non mi avete inteso: se sono ricorso, non l'ho
fatto per astio, ma per lo scrupolo, che mi assisteva".
Se cogli uomini sciolti
non trovava pace Alfonso, vedendoli in peccato, maggiormente era in pena per le
persone ammogliate. Se eragli di pena l'angustia della povera moglie, molto più
affliggevasi per lo disprezzo del Sacramento.
In un Paese della
Diocesi non ci fu modo, per vedersi rotto il commercio, che con scandalo del
pubblico, e con rammarico della famiglia, vedevasi tra un gentiluomo, ed una
donna infame. Alfonso non sapendo più che farvi, ne diede parte al Re. Chiamato
nel Tribunale di Montefusco il Gentiluomo, obbligar si dovette, con suo scorno,
sotto pena della Reale indignazione di più non trattarla. Alfonso volendo
levare alla donna ogni pretesto per peccare, assegnolle per vivere un tanto al
giorno. Si ravvide, e fu costante nel suo ravvedimento.
Corretto, e non
emendato in Arienzo un Chirurgo ammogliato, per l'attacco che aveva con una
zitella, che anzi sfacciatamente facevasela venire in casa, anche a vista della
moglie, e de' figli. Non potendone più Monsignore, avendone data parte al Re,
fecelo arrestare nel Tribunale di Campagna. Dimostrandone emenda, dopo lungo
tempo ne uscì, obbligandosi non più conversare con quella sciagurata.
Ricaduto, di nuovo, avendone Monsignore fatto inteso il Tribunale, per la
seconda volta, si vide nelle carceri. Avendo inteso, stando nelle carceri, che
trattava Monsignore metter la zitella in un Conservatorio di Nola, fe a quella
sentire, che, sotto pretesto di salute, avesse resistito; ed incarica l'amico
ad invigilarvi, se eragli fedele, e costante.
Ne pianse Monsignore in
saperlo; e non mancò farvi venire un Subalterno da Montefusco, per finirlo di
processare; ma no li riuscì aver la lettera nelle mani. Penò molto tempo in
quelle carceri, e non si vide fuori, se non compunto ed umiliato; né stimavasi
scontento Alfonso per il denaro, che avevaci speso.
Viveva illaqueato da più tempo in Airola un
Gentiluomo primario, e titolato. Avendo accantonata la propria moglie, godevasi
in casa, con grave scandalo della Città, e de' proprj figli, una donnaccia,
chiamata per sopra nome la Guttisana. Alfonso, nel giungere in Diocesi non
mancò ammonirlo, ma tutto fu perduto. Ostinato, perché prepotente, se ne beffò.
Alfonso non potendone
più, facendoli compassione l'afflitta
moglie, e dolendoli uno scandalo così grave, ricorrette al Principe della
Riccia, perchè suo vassallo. Anche questi non lasciò mezzo, per vederlo
rimesso. Essendosi arrestata la donna, per togliergli l'occasione prima fu da
birri ben bene bastonata in casa; indi frustata per Airola, e bandita da' suoi
stati.
Anziché rimettersi il
Gentiluomo, - 302 -
vieppiù
malmenò la moglie. Assistito il Principe da Monsignore, rilevando altri suoi
eccessi, lo ristrinse in Napoli nella gran Vicaria.
Avendovi penato lungo
tempo, credeva Alfonso, facendogli compassione il suo stato, che rimesso si
fosse, e pregato dall'afflitta moglie, avanzò lettera di mediazione presso il
Principe. Questi, che sapevane di più a 12. Agosto 1766. gli rescrisse: "Il
naturale di costui è troppo instabile. Da queste istesse carceri scrive egli
alla sua antica innamorata Maria Schettini. Si vede che il castigo non
l'abbatte, ma lo rinforza vieppiù nelle iniquità. No, no, né a Dio, né
agl'uomini voglio esser risponsabile. V. S. Illustrissima faccia che le pare a
suo vantaggio, non ostante, che i primi passi, che ho dati contro di lui sieno
stati eccitati dal pastorale suo zelo".
Inorridì Alfonso in
sentirne la pertinacia. Così ostinato qual'era nella sua iniquità, dopo molti
anni, vi lasciò in quelle carceri la vita.
Altro Gentiluomo vi fu
in un'altra terra del medesimo Principe; che avendo cacciato di casa la propria
moglie, tenevasi sfacciatamente una donna maritata, consentendovi il marito.
Ammonito a discacciar la druda, ed unirsi colla moglie, non ci diede orecchio.
Monsignore avendo avanzata supplica al Re, temendo il tuono lo sfrontato
Gentiluomo, finse licenziar la druda. Credeva con questo evitare il travaglio.
Monsignore vedendolo
ritornato nello scandalo, fece, col braccio del Principe carcerare la donna, e
per molti mesi la mantenne a sue spese. Allettato il marito dal Gentiluomo, si
avanzò a chiedere la moglie. Fattosi scrupolo Monsignore la fece scarcerare; ma
non tanto uscì dalle carceri, che sul medesimo piede fu a ritrovar l'amasio.
Credendo non star sicuri in Diocesi, uniti si portarono in Napoli. Saputosi ciò
da Monsignore, tutti e due, col braccio del Principe furono carcerati il
Gentiluomo nella Vicaria, e la donna nella penitenza. Anche questi furono vessati
in modo, che sciolto l'attacco, presero orrore al delitto per mezzo della pena.
Il suo zelo era tale,
che non era parziale neppure con se medesimo. Voglio dire, che non curava la
vita, se perder dovevala, per togliere il peccato.
Vedendosi un Gentiluomo
primario, e sommamente scandaloso attraversati i suoi passi, si portò da
Monsignore tutto fuoco, risentendosi, che non lasciavalo in pace. Alfonso
minacciandolo di vantaggio, dissegli, che se non finivala, informato n'avrebbe
il Re.
In sentir ciò il Gentiluomo,
alzossi come tigre da sedere, e caricandolo d'improperj, fe segno di metter
mano all'armi. Lo strepito fu tale, che vi accorsero i familiari, e trovarono
Monsignore, che tutto placido, stavali dicendo: "O mi maltrattate, o mi
dite male parole, io debbo fare l'officio mio: non mi son fatto Vescovo per
dannarmi: Piacesse a Dio, ed avessi la sorte di morir martire. Pecorella mia - 303 -
io ti piango, ravvediti,
ma sappi, che non ti farò star mai in pace col peccato".
Un Gentiluomo rendendolo
avvisato di certo grave disordine, che eravi nel paese, non facevalo,
riflettendo alle conseguenze, che con tema, e ribrezzo. Non temo io, disse Monsignore, che
debbo fare il ricorso al Re, e temete voi, che in secreto me lo dite.
Ripigliando quello, esser egli necessario alla casa sua. Dobbiamo temere il giudizio di Dio, disse Monsignore, che solo è necessario. Solo Dio è
necessario nel mondo. Tu tremi, ed io vorrei morir martire.
Essendo la Diocesi di
S. Agata nelle vicinanze di Caserta, ed essendoci de' reali disimpegni ne'
respettivi luoghi, varj Ufficiali vedevansi addetti. Anche con questi Alfonso
fe mostra del suo zelo.
Un'Ufficiale
Oltramontano dimorando in S. Agata, aveva commercio con una donna maritata, e ricevuto
ne aveva un figlio. Non lasciò Monsignore chiamarlo, e farlo avvertito.
Ristuccato l'Ufficiale per le continuate correzioni, freneticando ripeteva: Che
ne vuole da me questo caposecco? Venne anche alle minacce, e tali, che temevasi
della vita di Monsignore.
Fatto inteso dal
Canonico Testa, e da altri dell'indole del militare, e delle minacce, Alfonso
investito di petto Apostolico, a me non
ha che fare, disse, Mi vuol tirare
una palla in fronte, eccomi qua, son pronto a morire, ma egli deve lasciare il
peccato, e l'offesa di Dio.
Continuando lo
scandalo, e non potendo più soffrirlo, fattone inteso il Cavalier Negroni, la
donna in risposta fu bandita da S. Agata, e l'Uffiziale protestar dovette la
sua emenda, ma umiliato, e confuso, ai piedi del Cavaliere, e di Monsignore.
Un Capitano di
Cavalleria, e primario Gentiluomo in S. Agata, presiedeva al Reale formale di
Caserta. Essendo capitati alcuni Comedianti in S. Agata, ritenuto si aveva una
di quelle donne chiamata la Curfiotta,
perché di Corfù. Lo scandalo era grande, ed era d'incentivo alla gioventù
moriggerata.
Anche con questo
ritrovossi Alfonso in gravi cimenti. Profittato non avendo colle paterne
ammonizioni, ne diè parte alla Reggenza dell'Infante D. Ferdinando. L'Ufficiale
fu mortificato, e la donna sfrattata da S. Agata; ma tra poco tempo se ne morì
la sventurata mangiata da vermi in una stalla. Anche a capo di poco tempo morì
in Napoli il Capitano. In quello stato conoscendo, e piangendo il suo
trascorso, spirò ringraziando Iddio, e Monsignore della tanta carità, che usato
li aveva.
Non fu meno
l'imbarazzo, in cui più volte ritrovossi coi Fucilieri, così detti. Residendo questi in Montesarchio, spesso
portavansi nella Terra di Mojano, e vi erano de' gravi disordini. Vi fu
specialmente un tal Francesco Giordano, che non lasciava zitella da tentare, e
che di giorno, e di notte vedevasi, insidiando l'onore, per le case più
onorate. - 304 -
Avendo
ritrovata salda una povera figlia, strapazzandola, anche la ferì con un colpo
di stilo sulla testa. Questi tanti disordini sperimentar facevano al Alfonso
una continua agonia. Subito fe capo dal Principe della Riccia, essendo Mojano
suo Feudo. Lettera di fuoco scrisse ancora al Comandante D. Emanuele Solajoles.
Tali furono le sue premure, che niuno de' Micaletti vide più quella terra.
Un altro Fociliere,
perché Gentiluomo del medesimo Casale di Mojano, col pretesto di portarsi in
casa sua, fugò dalla medesima terra una giovanetta, facendone abuso. Lagrimando
la povera Madre ricorrette da Monsignore. Pianse anch'egli in sentirne
l'eccesso, e sul punto, coi sentimenti i più dolorosi, ne diede parte in
Montesarchio al Comandante. Ricevette questi la lettera nell'atto, che stava a
tavola. Chiama nell'istante all'ubbidienza il Fociliere, lo disarma, e per
lungo tempo lo tenne in arresto. Dà la libertà alla zitella; e rescrivendo a
Monsignore, il Fociliere disse, non sarà più per vedere casa sua. Infatti più
non la vide.
Anche la sbirraglia non
fu lasciata in pace da Monsignore. Essendovi in Diocesi due Dogane, una in
Ducento, e l'altra in Arpaja, varj birri debbono assistervi; ma dir si può che
non ebbero questi sede permanente. Come taluno zoppicava, così lo sloggiamento
era in risposta. Essendosi attaccato con una donnaccia, in quella di Ducento uno
di essi, e non potendovi esser di sopra il Parroco, reso informato Alfonso, e
vedendolo pertinace, fe capo dal Marchese Anna, Sopraintendente delle Dogane.
Fu così viva la sua rappresentanza, che al birro fu tolta la piazza, e
sfrattato da Ducento. Così per mezzo del medesimo si vide tolto da Arpaja, e
privato d'impiego un altro birro, che coi suoi portamenti anche infettava i
vicini Casali.
Residendo in Arienzo
una squadra di soldati di campagna, per disimpegno de' vicini Casali, taluni
non mancavano andar prostituendo delle figlie. Monsignore in sentirlo, ne
scrisse subito al Commissario. Non tanto scrisse, che la squadra fu spostata da
Arienzo, e situata altrove, ma con ordini pressanti al Caporale di non accostar
taluno in Arienzo, e di stare attento per simili delitti.
Persona, che aveva
affittata la casa, perché povera, querelossi con Monsignore del lucro perduto.
Facendoli compassione, si fe chiamare uno degli Eletti, pregandolo voler
rinfrancare l'interesse, ridondando la cosa in beneficio di tante figlie.
Disbrigossi questi, che non poteva da se. Il fatto fu, che ripugnando anche gli
altri, Monsignore dovette soccombere all'interesse.
Non dormiva Alfonso
sentendo sbirraglia in Diocesi. Non capitava squadra in S. Agata, o in Arienzo,
che facendosi chiamare il Caporale, non li raccomandasse la quiete nel paese, e
l'onestà delle famiglie. Uno tra gli altri disgustato per le replicate
chiamate, "Monsignore, li disse, i miei soldati non sono Novizj della
vostra Congregazione, - 305 -
né
Padri Cappuccini. Hanno la loro libertà, e se ne servono, chi ce la può
impedire". Quello che non poteva ottenere Alfonso col caposquadra,
facevalo, ma non troppo spesso, col Commissario di Campagna, o col tribunale in
Montefusco.
Tali furono in parte
gli effetti dello zelo di Alfonso. Odiava il peccato, e non soffrivalo in
chiunque.
"Può dirsi,
scrissemi l'Arcidiacono Rainone, che il peccato, fin'al tempo che pervenne in
S. Agata Monsignor Liguori, festoso vedevasi passeggiare, non che per li vichi,
e campagne, ma per le piazze tutte della Città, e della Diocesi; ma pervenuto
il sant'uomo al governo di questa Chiesa, rintanato si vide ne' più cupi
nascondigli: che se talvolta ne usciva, non facevalo che con timore, e con
spavento".
Così anche in succinto,
ritrovandosi in Napoli un Gentiluomo Santagatese: "Si può dire, ei disse,
che da che entrò Monsignor Liguori in S. Agata, conosciuto si vide Iddio, e
banditi dalla Diocesi gli scandali, ed il peccato: che se vi fu, non comparì in
pubblico, che con vergogna, e con rossore". Tale fu lo zelo di Alfonso. I
primi lampi bastantemente osservati li abbiamo nel metter che fece piede nel
Vescovado, e se ne videro i secondi, collo scoppio de' tuoni, fino a che vi
persistette, e non fece ritorno in Congregazione.
Vi è cosa che non stimo
ometterla. Vigilava Alfonso, come ho detto, e mezzo non lasciava da per tutto,
per impedir il peccato. Ma bisogna dire, che concorrendo Iddio col suo zelo,
anche assistevalo con modo particolare, se non si vuol dire, che degli
sconcerti ne avesse rivelazione.
"Facevasi stupire,
così il Parroco D. Tommaso Aceto. Quello che non sapevasi da noi, benché
oculati, sapevasi da Monsignore. Tante volte l'iniquità erasi commessa la
notte, anche in casali o terre lontane, e prima di giorno ci vedevamo chiamati,
notificandoci piangendo l'accaduto. Se saputo non l'avesse per rivelazione, per
altra strada di certo nol poteva sapere".
Anche colle sue
orazioni teneva lontano Alfonso dal suo Palazzo questo sporco vizio della
disonestà. Intromesso avevansi una notte in Arienzo il Cocchiere, col servente
di cucina, una donna nella stalla. Essendo per venire all'atto del peccato,
sorpresi furono tutti e tre da tale spavento, che atterrita la donna anch'ella
fuggì. Questo fu nel più cupo della notte; né prima, né dopo si seppe da anima
vivente; ma fatto giorno, essendo stati chiamati tutti e due da Monsignore,
rimprovera loro il male, che erano per fare, esortandoli alla Confessione.
Questo, non si sarebbe saputo, se da se il servente,
morto Alfonso, e sentendosi i suoi prodigj, detto non l'avesse a me in Napoli,
ed il Cocchiere confidato non l'avesse in S. Agata al Parroco D. Francesco
Jadevaja.
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