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Cap.60
Tenerezza, e disinteresse di Alfonso colle Meretrici
ravvedute, e sua protezione per le figlie pericolanti.
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Se pentite le cattive
donne del mal fatto, oggetto di amore furono per Gesù Cristo, queste istesse,
per lo stesso motivo, anche attiravansi il cuore di Alfonso. Non così gode un
buon Pastore, vedendo ricuperata la smarrita pecorella, come godeva Monsignore
facendo acquisto di qualche traviata. Piangeva, e rammaricavasi, sentendone la
perdita: godeva, e vedevasi tutto lieto, se a Cristo guadagnavala. Per queste
non vi erano povertà, né miseria. Trattandosi soccorrerle, per liberarle dal
peccato, tutto era pronto.
Volumi ci vorrebbero,
se individuar volessi quanto fece, e disse per queste donne pentite; ne vi è
angolo della Diocesi, che non encomia la sollecitudine di Alfonso, la sua
liberalità, e la sua somma tenerezza.
Mi attestò
l'Arcidiacono Rainone, aver egli assegnato, fin da che pose piede in Diocesi,
anche i quindici, e venti carlini al mese a quantità grande di queste donne,
che, per non aver modo da vivere, eransi date al peccato. Né fecelo solo nella
Città di S. Agata, ma estese le sue provvidenze in qualunque luogo della
Diocesi.
Nella sola Parrocchia
di S. Agnese in Arienzo, mi attestò D. Agnello Sgambato, che n'era Economo, che
ne soccorreva una gran quantità, e che portava loro per mano sua le mensuali
distribuzioni. Mi si contesta da tutti i Parrochi, e dai loro Sostituti, che,
con istupore di ognuno, se ne contavano in Diocesi le centinaja.
Quella prostituta, che
arrivata Alfonso in S. Agata, soffrì la frusta, e che bandita fu dagli Stati del
Duca di Maddaloni, avendovi fatto ritorno a capo di undici anni, sapendolo
Alfonso, così scrisse al - 315 -
Parroco
a 3 Dicembre 1774. "Giacchè è ritornata costì Elisabetta, le faccia
sentire in mio nome, che se starà a dovere, e non mi farà sentire rumori, io le
darò carlini sei al mese, ma voglio prima accertarmi se starà soda".
Avendo saputo, che una
vedova, vedendosi in miseria, ruinava due figlie, corretta questa, ed entrata
in se, oltre delle vesti, letto e quanto altro bisognava, assegnò per
ciascheduna grana cinque il giorno, affinché con queste, e colle loro fatiche
onestamente vivessero. Essendo ritornata nel proprio Paese un altra di queste
traviate, ma ravveduta, Monsignore, fe sentirle, che se non tornava al vomito,
le avrebbe assegnato carlini quindici ogni mese. Per un'altra, Fatele sapere, disse al suo Segretario,
ma lo disse quasi piangendo, che
voglio darle quello che vuole, purché
essa stia lontano dal peccato.
Erasi ruinata
nell'Anima, e nel corpo, con dispiacere dell'afflitta Madre, una disgraziata
figlia. Vedendosi infracidita, ed abbandonata, fe capo in Napoli nella Casa
degl'Incurabili.
Non mancò Alfonso
esserle appresso. Sollecito raccomandolla a varj Sacerdoti. La Grazia,
facendosi strada nel mezzo delle miserie, oprò in modo, che aprendo gli occhi,
e conoscendo il suo stato, risolvette darsi a Dio. Riscontrato Alfonso,
sopraffatto si vide da tal gioja, che ne pianse per tenerezza. Avendosi
chiamata la madre, si compromise per lo mantenimento, e perché nuda anche vestirla.
"Io ho mandato a chiamare la Madre, così scrisse in Napoli al Sacerdote D.
Salvatore Tramontana, che mi pare una buona donna, benché poverissima. Onde
penso mandarla di nuovo in Napoli per pigliarsi la figlia, e tenerla in casa
sua. Io ho promesso soccorrerla, dandole un tanto ogni mese; ma sento che la
figliola sta nuda, onde bisogna vestirla da capo a piede.
Prego V. S., se volesse
farmi questa carità, farla vestire a spese mie, ma con quanta meno spesa si
può. Vi bisognano a principio due camice, e farcele nuove, una tovaglia per la
testa, ed un fazzoletto per il collo. Vi
bisogna una gonnelluccia di fajetta della costa, un corpetto di stamino, un
mantesino di tarantola, un pajo di calzette bianche, ed un pajo di scarpe. Ma
non vorrei che fossero tutte cose nuove, perché è troppo spesa. Si potrebbe
vedere alla Giudeca per trovare questi panni, ma novigni, perché se si pigliano
robe sfatte, dimani dovrò farceli di nuovo.
Io non vorrei caricare V. S. di tutti questi incomodi, ma so la sua carità.
Almeno se l'intenda con Fratello Francesco, e poi mi avvisi quanto danaro ho da
mandare, perchè, dopo che sarà vestita, manderò la madre a pigliarla.
Vi raccomando questo
affare di carità, e resto".
Così eccessiva era la
sua carità con queste ravvedute, che le buone ne avevano invidia.
Una sera, in tempo
della carestia, avendo terminata - 316 -
in chiesa la visita al Sagramento, alzandosi per andare, una Donna, con
petulanza, se li fe incontro dicendo: Monsignore, solo le male femmine vuoi
soccorrere, non ci fossi mai venuto: chi è buona, non spera niente da V. S.
Illustrissima.
Il Segretario, avendolo
a male, sgridandola, la dava indietro: Zitto
mo, li disse Monsignore, perché
cercano il loro? e rivolto alla Donna,
Figlia mia, le disse, io vorrei soccorrere
voi ed anche quelle, per levarle dal peccato, ma non posso arrivare a tutti.
Questo sovvenimento, se
volevasi da Monsignore, non si approvava da ognuno. Anche taluni de' Parrochi
li fecero sentire, e tante di queste lo gabbavano: Non mi curo dell'inganno, disse Alfonso, ma tra tanti inganni, può essere che anch'io inganno il Demonio. Non
è picciolo il guadagno, se evito il peccato per un quarto d'ora; e può essere,
che taluna si astenga in tutto dall'offendere Iddio.
Anch'esso l'Arcidiacono
Rainone li disse un giorno, che avesse sottratta la mesata ad alcune, perché
forse proseguivano le loro dissolutezze:
Non è certo, che sia così, rispose Monsignore; anzi vedendosi abbandonate, si possono dare in disperazione; e per
secondo, se evito un solo peccato mortale, quale vantaggio non risulta a Dio,
ed alla sua gloria.
Era bensì Alfonso misurato in questi dati
assegnamenti. Per ordinario erano grana cinque il giorno, volendo, che la
fatiga fosse coadjuvata dalla limosina, ma non che la limosina rendesse le
donne poltrone, e viziose.
Uno de' principali
intenti che Alfonso aveva, chiamando in Diocesi le Missioni era il ravvedimento
di queste Peccatrici. Queste tali, soleva
dire, sono la sorgente di mille mali: una
che se ne converte, si evitano migliaja di peccati. Raccomandandosi per
questo ai Missionarj, faceva trovar loro in persona de' suoi Economi, un banco
aperto per il bisognevole; cioè per letti, vestimenta, e vitto. Tutto era
pronto, purché da vero si dassero a Dio.
D. Teodosio Telesca, un
tempo nostro, ed ora degnissimo Operario in Avigliano sua Patria, così mi
attesta: "Chiamato da Monsignore colla Missione in Arienzo, mi edificai
estremamente, scorgendo nel suo cuore un zelo eccessivo per la salute delle
Anime. Con modo speciale mi raccomandò con fervore di spirito, non una, ma più
volte, la conversione di alcune male donne, offrendosi a darle ogni
mantenimento. Una sera avendoli detto, che due erano ben disposte a lasciare il
peccato, mi disse: Ho paura, che non
volessero allattare a due poppe. Del resto sono per darci il sangue, e la vita
per queste; nè lascierò, se fanno da vero, somministrar loro quanto bisogna,
anche, occorrendo, con togliermelo di bocca.
Tante e tante cercò
situarle in matrimoni, ed anco dotarle; maggiormente se non erano tanto
pubbliche, e non erano all'intutto ruinate. Come sentiva qualche Zitella
caduta, non lasciava mezzo per situarla.
Un giorno, scorrendosi
dai nostri la Diocesi colle sante Missioni, - 317 -
fu da lui il nostro Padre D. Cristino Carbone, per spedirsi
nella sola terra di Arpaja sei stati matrimoniali. In sentirlo festeggiò
Alfonso, né finiva di consolarsi. Così godette sentendo situate tante e tante
altre di queste disgraziate in altri luoghi. Per ordinario non solo rilasciava
loro tutti i diritti; ma essendo povere, provvedevale di letto, di veli, e
quant'altro bisognava. Mi dissero i nostri, che a tante, per sussidio di dote,
anche non esitò contribuire i trenta, e quaranta ducati.
Erasi compromesso un
uomo voler sposare una di queste donne. Lo farò, disse al Sostituto D. Agnello
Sgambato, purché Monsignore mi dia qualche ajuto. In sentir questo Alfonso fece
Pasqua. Allegro diedegli ducati dieci. La donna fu fedele al marito, e con sua
consolazione vide tolta l'offesa di Dio. Tanto s'industriò, che ritrovò persona
di prendersi in moglie quella figlia ricuperata negl'Incurabili. Provvidela di
quanto mai poteva bisognarle, e dotolla con sommo suo compiacimento. Portandosi
bene, seguitò anche a soccorrerla per tutto il tempo, che visse nel Vescovado.
Era così profuso con
queste ravvedute, che anche taluno de' Parrochi rendettelo avvertito, esser
forte più il male, che il bene, perché le buone, colla certezza del soccorso,
anch'esse si sarebbero ruinate. Ciò fe senso in Alfonso; e per qualche tempo si
diede indietro; ma meglio riflettendo, non volle tradire il suo istinto; e come
accadeva un simil caso, e trovava a situar la traviata, così soccorrevala, e
provvedevala del bisognevole.
Una Giovanetta, ma
ricca di doti naturali, e nel fiore degli anni, attirava tanti al peccato.
Avendolo saputo Alfonso, mezzo non lasciò per convertirla. Un giorno, tra gli
altri, avendosela fatta portare dal Parroco, con tutta carità cominciò ad
ammonirla, se la fe sedere vicina, chiamandola anche per nome. Furono tali le
sue parti, che la giovane entrò in se stessa. Animata da Monsignore, risolvette
maritarsi, ed egli avendola dotata, le somministrò tutto il bisognevole. Spesso
spesso, anche soccorrevala con i quindici, e venti carlini. Fu fedele a Dio, e
perché tale, Iddio anche la provvide di beni temporali.
Maggiormente
industriavasi per veder situata coi medesimi Giovani qualche Zitella ingannata.
Ripugnanza in questi tali non vi mancava. Alfonso superava tutto o colle dolci maniere,
o colle minaccie, o col braccio della Corte.
E' vero, diceva, che certi matrimonj
sforzati non mi sono graditi; ma di due mali, eleggiamone il meno.
Troppo a cuore eragli
quest'opera; e non furono pochi questi tali matrimonj, ma tanti di questi si
viddero con suo compiacimento benedetti da Dio.
Amoreggiava in S. Agata
un Birro del Duca di Maddaloni con una povera figlia, ma idea non avea di
sposarla. Lo scandalo era patente. Fattone inteso Monsignore, e non potendo
essere a capo - 318 -
coll'armigero,
ne diede parte al Duca. In risposta il furbo perdé la piazza, ed ebbe lo
sfratto dalla Città.
Un mezzo gentiluomo in
Arpaja, vivendo attaccato con una zitella, era lo scandalo del paese. Non mancò
Monsignore chiamarlo, e renderlo avvertito, ma il Giovine, non avendo lo
spirito di resisterli e molto meno di lasciar la Giovane, risolvette sposarla.
Ci fu bisbiglio tra' Parenti, e si ricorse al Re, per impedire un tal passo.
Monsignore, vedendo la costanza del Giovane, e che non era per togliersi lo
scandalo, si spiegò col medesimo, che non volendo lasciarla, e volendo
sposarla, pensava esso per lo di più. Fu costante il Giovine: Monsignre superò
tutto col Re; e a dispetto dell'Inferno, la Giovane si vidde sposata, lo
scandalo tolto, ed impedita l'offesa di Dio.
Due sorelle unitamente
si diedero a mal fare con ruina di molte Anime. Monsignore, avendolo saputo, e
non avendovi profittato, col braccio del Principe della Riccia, tutte e due le
restrinse in carcere. Ci cantarono per molto tempo. Vedendole ravvedute, tanto
seppe dire a due Giovani, che ci ebbero special commercio, che s'indussero a
sposarle. Oltre un competente sussidio di dote, fece loro i letti, e con
soprabbondanza le provvide di tutt'altro bisognevole, affinché i Giovani con
maggior voglia avessero dato un tal passo.
Tante volte era in
circostanze, che non potendo disporre di un carlino, ricorreva per limosina ai
Luoghi Pii, ed ai benestanti.
Un uomo di Forchia di
Cervino ingravidato aveva una Giovanetta. Il Giovane fu carcerato; ed essendosi
obbligato a sposarla, si ritrovarono consanguinei. Non potendo nè esso, nè la
Giovane per la dispensa, si raccomandarono a Monsignore. Anch'esso ritrovavasi
alle strette. "Veramente non posso soccorrerli, scrisse al Parroco D.
Giacomo Nuzzo; "ma essendomi adoprato con alcuni Luoghi Pii, mi è riuscito
avere ducati sette. Rescrivendoli il Parroco aver anch'esso proccurato altri
carlini trenta, se ne consolò estremamente Alfonso, ed animollo per lo
disbrigo. "Volendoci altra cosa li rescrisse, ce la metterò Io. Lo facci
con premura, acciocchè si eviti maggior offesa di Dio". Vale a dire, che
non potendo industriavasi con altri, per soccorrere queste tali, e toglierle
dal peccato.
La consolazione di
Alfonso però, e si può dire la massima, era quando risolvevasi taluna di queste
a volersi rinchiudere in qualche sagro Ritiro. In questo caso non badava né a
fatiga, né ad interesse.
Avendo fatto carcerare in Arpaja una cattiva
Donna, che era amo per ogni pesce, cioè quella che dissi vassalla del Principe
della Riccia, mezzo non lasciò per guadagnarla a Gesù - Cristo. Vedendola
risoluta, ma dopo più mesi di carcere, volersi chiudere in un Conservatorio,
non badando né ad incomodi, né ad interesse, tanto come dissi, adoprossi,
ritrovandosi - 319 -
in
Napoli nel 1767. che situolla nel Conservatorio di S. Rafaele.
Ravveduta, dopo più
mesi di carcere, un'altra Donnaccia, anche in Arpaja, e vedendola Monsignore
veramente contrita, non mancò situarla anche in Napoli, e con suo grave
interesse nel Conservatorio detto Santantoniello, vicino la Vicaria. Oltre il
quotidiano alimento, la vestì da capo a piede, fecele il letto, provvidela di
biancherie, e somministrolle con abbondanza quanto mai bisognavale. Per
un'altra, non potendo aver luogo in Napoli, situolla in Nola, favorendolo
Monsignor Caracciolo. Così provvide questa anche di tutto, e soffrivane il
medesimo interesse.
Affliggevasi, e non
davasi pace, se vedendo compunta taluna, e risoluta di chiudersi in
Conservatorio, non aveva luogo ove situarla. Tante volte, facendo ricorso in
Napoli, n'ebbe, con sua maggior pena, la negativa.
Avendo per le mani nel
1773. una di queste, così scrisse a 22. Agosto al Canonico Lignola; "Mi è
venuto a notizia, che in cotesta santa Casa dell'Ospedale degl'Incurabili rattrovasi
Maria N. Questa è di quella Terra di Arienzo, è un'orfana di anni venti, ed è
di bellissimo aspetto. Vedendosi senza guida di parenti, e portandosi in
Napoli, per qualche tempo ha menata mala vita. Volendo ora situarsi in qualche
ritiro, mi sono afflitto grandemente, non essendovi luogo, ove poterla
collocare. Fidato nella bontà, e carità di V. S. Illustrissima, la supplico,
come Prefetto di cotesto Ritiro di S. Raffaele, che voglia compiacersi, per
l'onore di Dio, farvela situare".
Scottato il Canonico
per la negativa datagli per quell'altra di Arpaja, vassalla del Principe della
Riccia, si compiacque, ma a patto di corredarla, e provvederla di tutto.
Abbiamo un caso, da cui
rilevasi il contento del Pastore Evangelico, ricuperando la sua Pecorella.
Portandosi nel 1765.
colla Missione nella Diocesi di Bojano, i Padri Missionarj, detti in Napoli di
S. Maria della Purità, vedendosi compunta, nella Terra di Ferrazzano, una
disgraziata Donna forestiera, manifestò ai Missionarj, non esser suo marito, ma
drudo il negoziante con cui viveva: che era maritata, ed aveva vivente il
marito; e che il figlio che seco aveva, era del vero marito, e non del drudo.
Richiesta della Padria, disse essere di Frasso, luogo soggetto a Monsignor
Liguori.
Esultarono i Missionarj, sentendola figliana di Monsignore. Con un'espresso
avendolo informato di tutto, non è da credersi in qual'estro diede il buon
vecchio. Sollecito rescrisse a D. Domenico Jaconangelo, che n'era Superiore,
che, posta in sicuro la Donna, ed il figlio, avesse pensato farceli capitare.
Tutto fu effettuato da
i zelanti Missionarj. Monsignore vedendo la Donna contrita, ed anziosa di far
penitenza, tanto adoprossi, che situolla in Napoli con suo grave interesse nel
Pallonetto di S. Chiara. Provvidela - 320 -
di quanto mai le bisognasse; ed oltre altri straordinarj soccorsi,
assegnolle per vivere annui ducati trentasei.
Sollecito raccomandolla al Sacerdote D. Gaetano de Marco, che avevala
convertita, volerla assistere colla confessione, e tenevalo spesso ricordato.
Il Figliuolo fecelo educare in S. Agata; e fatto grandicello, anche con suo
interesse, situollo in Napoli, per addestrarlo in qualche arte. Questa pentita
faceva la consolazione di Alfonso. Nel 1767. che , come dissi, fu in Napoli,
non mancò più volte visitarla.
Per anni cinque fu
mantenuta nel Ritiro; ma essendo morto il vero marito, e trovandosi a maritare
con persona onesta, non mancò dotarla, e provvederla d'ogn'altro bisognevole.
Se tanto eragli a cuore
il ricupero delle pecore traviate, maggiormente interessato vedevasi, che
addentate non fossero dai lupi le agnelle, che custodiva. Tutto è poco, quanto
mai può dirsi su questo particolare. Centinaja di figlie, perché spinte dalla
miseria, non ruinassero nel peccato, mantenevale coi suoi sussidj caritativi. A
chi dava carlini nove ogni mese, a chi dieci, ed a chi dodeci: chi provvedeva
di saccone, e lenzuola, chi di gonna, e corpetto, e chi di tutto il
bisognevole. Tante, e tante, come mi contestano lo stesso Parroco di S. Agnese,
ed il medesimo Sgambato suo Sostituto, avendole situate in onesti matrimonj, e
volendo, che sposassero senza invidiar le loro pari, provvidele anche di
collana, e di altri donneschi abbellimenti.
Una Donna non avendo
figli, si procurò in Napoli una figliuola dell'Annunziata. Veniva questa
onestamente educata; ma essendo morta la donna, e sopravvivendo il marito, uomo
tutto dedito al vino, Monsignore prevedendo il pericolo della figliuola,
sollecito, con suo interesse rimandolla di nuovo nell'Annunziata. Avendo una
figlia quella cattiva Donna, chiamata Elisabetta Conte, Monsignore vedendola
avanzarsi in età, persuaso, che la madre non avrebbe mancato ruinarla,
togliendocela di fianco, situò anche questa in Napoli, a tutto suo interesse,
nel Ritiro della Monaca di Legno.
Un'altra figlia aveva
in Arienzo la celebre Ruffiana, soprannomata Gonnella. Alfonso, prima che la
madre l'avesse corrotta, presela sotto la sua tutela. Oltre delle vesti, e giornaliere
mantenimento, somministravale quant'altro a delizia le bisognava. Avrebbela
situata in Napoli in qualche Conservatorio, ma la Figliuola fu renitente. Visse
con somma esemplarità, vivendo Alfonso nel Vescovado; ma sortita la rinunzia,
spinta dalla madre, ruinossi. Poco dopo la miserabile perdette Anima, e corpo.
Essendole stato tirato, per motivo di gelosia, un colpo di pistola, sul punto
vi lasciò la vita.
Varie altre ve ne sono di queste onestamente situate,
che da me si tralasciono. Dico solo, che per mettere in salvo taluna di queste
anche v'impegnò il Marchese di Marco.
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