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Cap.61
Si rilevano altri varj atti del sommo zelo di Alfonso.
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Altre pruove vi sono
dello zelo di Alfonso. Se nel deserto comandò Gesù Cristo agli Apostoli voler
raccoglier in uno, affinché non perissero, gli avanzati frammenti del pane
moltiplicato: così io stimo volendo conservar viva la memoria, anche raccoglier
in uno i tanti altri atti del suo zelo, che tessendo questa storia, mi sono
avanzati.
Non è che lo zelo di
Monsignore ristretto vedevasi nei particolari atti di già divisati, ma
estendevasi a qualunque bisogno, che interessar poteva la gloria di Dio, ed il
bene delle Anime. Il carattere del vero
zelo, cioè universale, e senza restrizione, mi disse il Parroco D. Tommaso
Aceto, non ravvisavasi che in Monsignor
Liguori. Avendo presente le sollecitudini del buon Pastore, in prevenire i
bisogni del proprio gregge, e lontano tenerne le occasioni di vederlo infetto,
anch'egli vedevasi tutt'occhio per tutto ciò, che poteva nuocere, ed evitarne
l'attacco.
Avendo in odio il
peccato, mezzo non lasciò per togliere ne' suoi figli ogni occasione, benché
rimota, per qualunque inciampo. Essendo venuta in S. Agata una compagnia di
Commedianti, maggiormente si vide perduto, perché pensavasi fissarli, e darli
casa. Avendo implorato il braccio del Duca di Maddaloni, in risposta venne
ordinato che sloggiassero. Ricorsero questi dal Vice - Duca, e da Monsignore
istesso, per la dilazione di pochi giorni. Anche si ristrinsero per una
giornata, volendo rappresentare una sola Commedia, che dicevano onestissima.
Dovettero partire, e non vi fu riparo.
In che giunse in S.
Agata stavasi concertando da quei Gentiluomini pel Carnovale una Commedia, che
dinominavasi la Contessa Sperciasepe. Distribuendo di sua mano la Comunione,
allorché diede loro i santi Esercizj, tra le altre promesse, lor disse, che
fatto avete a Gesù - Cristo, "dovete farmi una grazia, ed è promettere a
Gesù - Cristo non farsi la Commedia a Carnovale". Quanto chiese, tanto
ottenne.
Non avendo potuto
impedire, in seguito, anche in S. Agata un'altra Commedia già concertata da
Gentiluomini, chiese almeno volerla leggere. Soffrirono questi, per ogni
rispetto, varie cassature, che Alfonso vi fece; e così dovettero
rappresentarla, né mancò far capire al medesimo Medico Cervo, che era uno degli
attitanti, il sommo dispiacimento, che ne provava: "Siete vecchio, li
disse, e quest'è l'esempio, che date a' Giovani? Non so in punto di morte come
la sentirete".
In senso suo avrebbe
voluto Monsignore anatematizzato anche il - 322 -
nome di Carnovale. Che non faceva in quei giorni per impedire le maschere,
ed altri passatempi. Introdusse nelle Parrocchie, ed in altre Chiese, i Sermoni
coll'esposizione del Venerabile. Chiamava in quel tempo i suoi Missionarj, e
servivasi di altri Predicatori, o per dare in quel tempo i santi Esercizj, o
che per lo meno vi fosse un triduo di prediche in ogni paese.
Egli stesso, ove
trovavasi, tuonava dal Pulpito contro il peccato. Chiamava, e raccomandava a
Giovanetti Gentiluomini, che desistito avessero dal mascherarsi; ed insisteva
presso li Governatori per impedirsi tali trasporti. Dico di più. Ricorreva
anche a birri, ed ai capi di squadra che frastornato avessero qualche
spettacolo scandaloso, o altra indecente unione.
Introdotto avevano i Gentiluomini in S. Agata
tenere in giro nelle proprie case de' pubblici festini. In sentirlo arse di
zelo Alfonso. L'allegria coi rosolj esente essere non può, ei diceva, da
peccato. Avendo saputo che D. Domenico Cervo, uomo morigerato, anche tenevalo
in propria casa, non mancò chiamarlo, e corriggerlo. Non potendo essere a capo,
essendosi per mezzo il Governatore, e varj Officiali Militari, proibì, e per lo
meno ottenne, che non vi fossero delle Contradanze, il Tairè, ed altri balli
non decenti, permettendo solo qualche Minuè, ma de' più onesti. "Dovrebbe
premere più a Voi, che a me, disse al Cervo, che avete figliuole nubili in
casa: fuoco, e stoppa non vanno bene, ed il Demonio lavora".
Essendo capitati in
Arienzo nel Luglio del 1773. alcuni giuocolieri, o siano saltibanchi, che con
se portavano due figliuole, che, vestite da uomini, danzavano su la corda,
volendo togliere ogni occasione di scandalo, appena il seppe, che tutto zelo
adoprossi col Governatore, e coll'Agente del Duca di Maddaloni D. Francesco
Andrea Mustillo di farli partire. Volendo i giuocolieri dar fede all'oste,
intimato lo sfratto, dissero volersene andare in Napoli; ma da Arienzo
passarono in Airola.
"Credeva, scrisse
subito Alfonso al Principe della Riccia, che fossero partiti dalla mia Diocesi,
ma jeri con mia pena seppi che sono in Airola, e che trattengonsi a fare i
giuochi nel palazzo di V.E. Prego, che mandi ordine in Airola, che non diano
ricetto a tale conversazione. Si dirà, che le figliuole non danno scandalo con
atti immodesti, ma è certo, che non danno edificazione. Io son persuaso, che il
demonio, per mezzo delle due figliuole, che ballano sulla fune ne cava il suo
profitto. Tanto bastò, per intimarseli in risposta lo sloggiarne".
Anche nelle feste de'
Santi, essendovi concorso, ed in luoghi lontani dall'abitato, Alfonso temeva di
disordine. Gran festa si fa in Airola a 9. di Marzo da' Padri Olivetani, nel
giorno dedicato a S. Francesca Romana. Essendoci delle Indulgenze, concorso vi
è anche da Paesi fuori Diocesi. Perché la Chiesa è in campagna, stravizzo vi è,
ed allegria - 323 -
tra
paesani, ed esteri. Monsignore non potendolo impedire, e volendo scemare il
concorso, sotto il pretesto delle Indulgenze, sospender soleva i Confessori dai
casi riserbati. "Così evitiamo, ei diceva, lo scaricarsi le coscienze
senza frutto, e ricaricarsi di nuovo con vilipendio del divin Sacramento".
La notte di Natale in
Arienzo soleva il Popolo, e vi concorrevano i vicini Casali, portarsi, per
assistere ai Divini Officj, fuori della terra nella Chiesa de' Padri
Cappuccini. Divozione non vi era, ma e dentro, e fuora allegria, e stravizzo.
Vedendosi in truppa Giovanetti armati, e Giovanette libertine, non mancavanci
delle gelosie, e risse anche con colpi di ferro tra rivali.
Alfonso, rammentandosi
i passati disordini, voleva di persona portarsi per impedirli; e fatto
l'avrebbe, se opposto non si fossero i Medici, vedendosi carico di acciacchi,
ed egli conosciuto non avesse un evidente pericolo della vita. Altro non
potendo, impedì che non si aprisse la Chiesa prima delle ore undici, lasciando
che i Padri, con libertà a porta chiusa, esercitato avessero le loro funzioni.
Così per i medesimi
motivi non volle che si aprissero le Parrocchie prima della medesima ora. Non
eravi cosa tanto in orrore ad Alfonso, quanto le comitive notturne, ed i
concorsi dai Villaggi distanti.
Evvi in Arienzo, tre
miglia in distanza sopra un monticello, una Chiesa dedicata a S. Marco
Evangelista. Eravi nel giorno della festa perdonanza solenne, e concorso di
Popolo non solo dalla Diocesi, ma ben anche da' vicini Paesi, e solevasi, dopo
i secondi Vesperi, portarsi la statua del Santo in processione d'intorno la
collina. Non mancandovi la crapula, i disordini erano grandi, e talvolta non
mancavano ferite, ed omicidj.
Prevedendo Alfonso
inutile la predica, e volendo dare alla radice, volle, che la processione fatta
si fosse di mattina, e che terminati i Divini Officj si chiudesse, e più non si
aprisse la Chiesa. Così troncò il concorso, e le occasioni di peccati.
Persona che vender
soleva in quel giorno più botti di vino, mancato il concorso, ed il lucro,
offerse ducati quindici ad un Gentiluomo, se, a dispetto del Vescovo, adoprato
si fosse, con una lettera regia, far reintegrare la festa. Il Gentiluomo,
perchè prudente, mandò in benedizione il Tavernajo coi suoi quattrini.
La Processione delle
Rogazioni, o sia la Stazione nel giorno di S. Marco, anche facevasi in questa
medesima Chiesa. Perché distante, anziché con divozione, non riusciva, che con
sommo disordine. Non tanto erasi al Monistero de' Padri Verginiani, che calata
la Croce, deponevano i Preti la cotta; e chi in calesso, e chi sopra somari,
chi avanti, e chi dietro, chi a piè, e chi ingroppato pervenivano nella Chiesa.
Vi è cosa di più.
Essendovi apparecchio di taverna, perché festeggiavasi, stravizzo vi era di
mattina, e di giorno. Volendo Alfonso - 324 -
evitare un tanto trapazzo ai Preti, e troncare il corso ai disordini, e
peccati, pensò stabilire altra Chiesa per le Rogazioni.
Sul dubbio se potea o
no farlo da se, o appartenesse a Roma, così scrisse al P. Villani: "Qui
nella Stazione, che si fa a S. Marco nelle Rogazioni succedono inconvenienti, e
perciò voglio mutar questa Chiesa. Fate vedere a Tommasini, o ad altro Autore,
se sia lecito al Vescovo, volendo evitare gl'inconvenienti, mutare la Chiesa di
S. Marco in altra Chiesa. Ho veduto Gavanti, e Merati, e non ho trovato cosa,
che osta. Fatemi scrivere, se vi è cosa in contrario". Permutolla di fatto
colla Parrocchiale di S. Agnese, sita nel corpo di quella Terra.
Tra il Territorio di
Maddaloni, e quello dell'Acerra, evvi una quantità di lagune, per un fiume che
si spande, e volgarmente dicesi il Fusaro. Quei di Arienzo, e di S. Agata, ed
altri, da più luoghi della Diocesi, vi portano a curare il canape, ed il lino.
Il mescuglio, che vi è di centinaja di uomini e donne, e specialmente di
giovanetti, e zitelle, non va esente da un mondo di peccati. L'onestà si vende
a buon mercato, e trionfa la sceleraggine a dispetto di Dio. Monsignore
riflettendoci, non si dava pace: si affliggeva, e non riposava; e più volte
tenne discorso con persone zelanti, cercando de' mezzi, per poterci rimediare.
Restò bensì nella sua afflizione, essendo il male irreparabile.
Non solo ardeva di zelo
per togliere il peccato, ma tolto avrebbe voluto dal Mondo qualunque luogo,
ch'esser potea d'inciampo, e di comodo a' libertini, per commettere il peccato.
Uscendo un giorno in
Arienzo, vedendosi malsano, per un poco d'aria, vide in vicinanza di quella
Terra, e prossima alle mura una selva cedula del Duca di Maddaloni. Vedendola,
si pose sopra pensiere; e rivolto al Canonico Testa, che stava con esso
"Questa selva disse, non va bene, perché può dar luogo a molti disordini:
voglio scrivere al Duca, che la faccia estirpare".
Se ne rise il Canonico;
ed avendoli detto, che la selva era un corpo di rendita, che molto interessava
il Duca, si vide afflitto e non seppe che dirsi.
Preintendendo, ancorché
proibito l'avesse, che Giovanetti, e Giovanette addottrinavansi dai Preti, e
dai Sostituti de' Parrochi nelle cose necessarie, non già in Chiesa, ma nelle
proprie case, non mancò rilevarne i pericoli ai Parrochi di S. Maria a Vico.
"Con molto mio rincrescimento,
così egli, a 13. di Marzo 1763. e con gran meraviglia ultimamente ho inteso,
che cotesti loro figliani dell'uno, e dell'altro sesso vanno ad esaminarsi, per
li rudimenti della fede, in casa de' Preti, e non già nelle rispettive Chiese.
Senza che esprima gl'inconvenienti, che possono accadere, ben possono le
Signorie vostre comprenderlo. Mi è dispiaciuto la loro indolenza a non
parteciparmelo. Io affatto non - 325 -
voglio che le donne vadino in casa di qualsivoglia Ecclesiastico, per esser
esaminate, e lo facciano sentire a tutti, acciò non avessero a seguitare sì
detestabile abuso; e vi prego in avvenire di non esser così pigri in farmi
sapere gli sconcerti, che possono accadere, e stare più avvertiti sopra il profitto
della loro cura".
Aveva per massima, che
i Vescovi sono, e debbono essere i pacieri
de' popoli, e che i litigj sono la sorgente di molti mali, e tante volte
anche la ruina di molte case. Come sentiva qualche discordia, specialmente fra
Gentiluomini, mezzo non lasciava per riconciliare gli animi, e stringerli in
carità. Non vi è lite, diceva, senza rancore, e senza offesa di Dio.
Eranvi da più anni
delle grosse animosità in Airola tra D. Francesco Demarco Agente del Principe
della Riccia, e 'l Sacerdote D. Giuseppe Ferace di Mojano, e questi, in forza
di più Dispacci, anche processato nelle Curie di S. Agata, e Benevento. Qualche
soddisfazione avevala avuta il Demarco, ma protestavasi non voler lasciare il
Ferace, finché nol vedesse ruinato. Non mancò Alfonso usare ogni tentativo per
vederli rappacificati. Non sapendo più che fare, ricorse prima di lasciar la
Diocesi, al Principe della Riccia.
"Quando uno si
vede ridotto alla disperazione, così agli 11. di Giugno 1774, è capace di dare in
ogni eccesso; e temo, che se la cosa non finisce, può avvenire la ruina di due case, perché tutti e due sono di natura
risentita. Io ho scritto una lunga lettera a D. Francesco; ma le parole mie
poco serviranno, se V. E. non vi metta la sua mano. Prego per tanto far sentire
a D. Francesco esser volontà assoluta di V. E., che finisca più molestare il
Ferace, e si tolga dalla mente l'empio proposito di volerlo precipitare;
altrimenti la cosa finirà in pianto. Spero, che la pietà di V. E. voglia
consolarmi, con farmi vedere quietate queste brighe, ed evitato il danno
spirituale e temporale, che può avvenire a queste due Case".
Così finì la briga con estremo compiacimento di Monsignore.
Un Giovine Calzolajo
avendo ricevuto da un soldato di Reggimento un colpo di bajonetta nella coscia
ed essendo morto, fu carcerato il soldato. Mentre stava ristretto in Arienzo,
vi furono due Officiali da Napoli, che desideravano la remissione. Monsignore
mandò chiamando la madre, e 'l fratello. Questi essendo duri, noi lo perdoniamo,
dissero, ma lo mettiamo in mano alla giustizia. In sentir giustizia Monsignore,
esclamò: "Questo è peccato mortale: Tanto è dire in mano alla giustizia,
quanto non volerli perdonare". Tanto disse, che ottenne la remissione.
Molto più era il rammarico, se briga vi nasceva fra
Ecclesiastici.
Grave disturbo, a causa de' funerali, era insorto tra
i - 326 -
PP. Domenicani, ed
i Parrochi di Arienzo, e di S. Maria a Vico. Monsignore, essendovisi
framezzato, mentre credeva composte le cose, non mancarono taluni de' Parrochi
in Arienzo sopraseminarvi la zizzania.
"Mi dispiacerebbe, scrisse al
Parroco D. Matteo Migliore, se di nuovo dovesse dar di mano a questa
controversia, nella quale non vi guadagna cosa Iddio, e molto ci guadagna,
come ha guadagnato, l'Inferno".
L'unico, che opponevasi era l'Arciprete di Arienzo, che cercava tirare anche
gli altri. Non mancò Alfonso scrivergli in termini forti. "Io non ho
impegno, disse, per i PP. Domenicani, ma ho impegno, che si tolga la causa di
tanti peccati, e con disturbo di tante famiglie, per cosa, che poca importa
alla Gloria di Dio".
Tanto fece, che si uniformarono tutti
al suo sentimento.
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