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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap.63 Costanza di Alfonso negli affronti, e somma sua carità cogli Offensori.
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Cap.63

Costanza di Alfonso negli affronti, e somma sua carità cogli Offensori.

 


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Se entrando in Diocesi, presentato fu ad Alfonso il calice amaro degli obbrobrj, e degli affronti, ed egli passo passo, come si è veduto, ne tracannò i sorsi, uopo è dire, che non satollo, gustar ne volle anche la feccia. Esser esente non poteva un tanto suo zelo da contrapposti scabrosi. La giustizia si vuole, ma non si ama in se stesso, e quello si ammira negli altri, rendesi odioso in propria casa. Con un zelo così imparziale attirar dovevasi i cuori di tutti; ma travedendo alcuni, e credendosi offesi, maltrattarlo non mancavano, e farlo oggetto de' proprj risentimenti.

Castigato, ma non emendato, dopo molti anni di prigionia, uscì dal carcere di Nevano, col favore del Principe della Riccia, e col consenso di Monsignore il consaputo Chierico Beneficiato. Avendoli ordinato il Principe, che anche andato fosse ad umiliarsi con Alfonso, domandandogli scusa de' passati trasporti, vi andò, non come uomo, ma come fiera.

Presentandosi, anziché umiliarsi, rimproverolli con amari termini i sofferti trapazzi. Voi, disse, mi dovete rifare tutti i danni, e non ve li perdono. Monsignore prendendo un libro da se composto della Via della Salute, leggetevi questo, li rispose, e con questo vi rifaccio tutti i danni.

Avanzandosi il Chierico, io per voi, disse, mi sono veduto nel cimento di lasciarvi la vita: voi perdevate un suddito discolo, è vero, ed io perdeva un Superiore santo, ma ciuccio.

A questo complimento Alfonso non corrispose, che amorevolmente guardandolo, e compatendo il di lui misero stato; ma nel licenziarlo, prego Gesù Cristo, gli disse, che vi abbia pietà, ma il castigo di Dio vi sta vicino. Ritornato al vomito, ed ai soliti trasporti, molto tempo non passò, che morto si vide con un colpo di fucile.

 

Con terminiimproprj fu egli sopraffatto, e con tuono di voce così altiera da un Paglietta Napoletano, fratello di un Religioso, che con i suoi scandali era stato sfrattato dalla Diocesi, che dubitando di peggio il nostro P. Fiocchi, disse al Segretario di mettersi a veduta. Ogni altro, voltandoli le spalle, l'avrebbe lasciato. Monsignore, come l'offesa non fosse sua, placidamente soggettavali i proprj motivi; e quegli uscendosene benché con isgarbo, accompagnollo fino alla grada.

 

Anche costò caro l'appartamento di un altro Regolare. Avendolo saputo un fratello Prete, Officiale in Napoli della Nunziata, tutto fuoco


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portossi in Arienzo; ed introdottosi da Monsignore, fa ribrezzo ridire il complimento, che ricevé.
 Non mancava Alfonso fargli presente, ma coi termini i più sommessi, la condotta del fratello, e che in coscienza attrassar non poteva un tal passo. Non udiva ragioni il Prete, ed altro non mancò, che mettergli sopra le mani. Vedendo il servidore in cattive circostanze il povero Vecchio, corre, e chiama il Vicario; ma prima del Vicario eravi accorso il Sacerdote D. Giovanni Manco, gentiluomo di Airola.
Vedendo, che il Prete non finivala, e che Monsignore, qual'agnello sottomettevasi alle sferzate, fattosi sopra al Prete, Signore Abate, disse, se Monsignore, come Alfonso Liguori, si vuole ricevere questi tuoi maltrattamenti, lo concedo; ma come Vescovo di S. Agata, e mio Superiore, io ti butto da questo balcone.
Fu questo un imbarazzo per Alfonso, e stentar dovette in placar il Manco, ed a rendere mitigato il buon Prete.

 

In Arienzo, vedendo inemendabile un Gentiluomo, che attaccato vivea con una donnaccia, avendoselo chiamato, non mancava avvertirlo del suo stato. Vedendolo indifferente, caricò un pochettino la correzione. Sentendosi punto il Gentiluomo, si leva di termini, e non finiva malmenarlo. Non si smuove Monsignore, e passeggiando, altro non ripeteva: "Signore voi volete che io sia Vescovo, ed io voglio fare il Vescovo". Questo fu tutto il suo risentimento.

 

Con pubblica scandalosa pratica vivea in S. Agata un Armigero del Duca di Maddaloni. Non mancò Alfonso, per mezzo del Parroco, farlo più volte avvertito del suo gran male. Non conoscendovi profitto, ed avendone dato parte al Conte di Cerreto, Ajo del Duchino, tolto fu di S. Agata il birro, e sbalzato altrove. Occecato il miserabile, furioso portasi da Monsignore, entra da se nella stanza, perchè aperta a tutti, e risentito lo carica di minacce. Alfonso, vedendosi così complimentato, "Figlio mio, disse, io perseguito il peccato, e non voi: lasciate il peccato, ed anche io lascerò molestarvi".

 

Un uomo d'armi, e Gentiluomo, rincrescendoli vedersi corretto, ed anche minacciato, non ebbe ribrezzo insultarlo nella propria stanza, minacciarlo, e caricarlo d'ingiurie. Alfonso, benché così sgarbato, nol ricevé, che con tutta gentilezza, e trattarlo con i termini i più umani.

"Sembrava, mi scrisse l'Arcidiacono Rainone, che non fosse egli l'offeso, e che facesse il mediatore fra Monsignore, ed il soldato". Alfonso, siccome soffrì pazientemente l'ingiuria, così non desisté, se nol vide emendato.

 

Pretendendo un Sacerdote di Frasso cosa, che non conveniva, ancorché dolcemente respinto, si avanzò con termini non dovuti, e con parole ingiuriose. Monsignore soffrendo, se ne uscì con un sorriso. Mi dice il Sacerdote D. Giosuè di Donato, che eravi presente, che siccome


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fu insensibile ricevendosi l'affronto: così fu costante in negarli ciocché pretendeva.

 

Non solo soffriva Alfonso con costanza, e con tutta pazienza qualunque affronto, ma beneficava chiunque l'offendeva. La carità, diceva, s'è paziente, è benefica ancora. Bisogna, se ci preme guadagnare a Gesù Cristo chi ci fa del male, che anche se li faccia del bene. Lo diceva, e mettevalo in pratica.

Un Prete, che in Diocesi era in officio, credendosi offeso in persona del fratello, non ebbe ribrezzo presentarseli, e caricarlo di villanie. Tra l'altro, non vedi, gli disse, che sei inetto per l'impiego. Quanto meglio avresti fatto, startene nei Ciorani a piangere i peccati tuoi, ch'essere in S. Agata, e fare il Vescovo. Alfonso con un piacevole sorriso non diedeli risposta. L'attentato fe senso a tutti. Animato dal Vicario a levarlo d'impiego, non vi diede orecchio. Trattollo sempre con tutta cordialità, compatendo il trasporto, e perché meritevole, lo fece anche Canonico.

 

Erasi cooperato, che tolto si fosse un infame commercio, che un Gentiluomo aveva con una maritata. Essendosi questi portato in Palazzo, tutto sdegno chiese voler parlare a Monsignore. Vedendosi furioso, venne impedito da famigliari. Non potendo oltreggiarlo di persona, fecelo da fuora, caricandolo d'ingiurie. L'attentato fu tale, che fece del rumore. Avendolo saputo il Governatore, non fu tardo ad arrestarlo nelle carceri. Preintendendo Monsignore l'arresto, estremamente se ne afflisse. Chiama, e manda dal Governatore, scusando, ed implorando pietà; né fu in pace, se nel medesimo giorno non vide il Gentiluomo discarcerato.

 

Un giovinastro, figlio di un Vaticale, chiamato, perché guappo, il Micaletto, trattava con scandalo con una giovane. Mezzo non lasciò Monsignore per farcela sposare, anzi concorrervi con un tanto di dote. Il giovine voleva la tresca, ma non sposarla. "Non la volete, gli disse Alfonso, non lo fate;  ma lasciate il peccato, se non volete obbligarmi a dar passo col Governatore".

Temendo questi un giorno esser carcerato, entrato in furore, si porta in Palazzo. Non essendovi la servitù, e non sapendo aprire la bussola, violentavala, caricando Monsignore di villanie, e minacciandolo. Accorsi i familiari, lo mandarono via, ma carico di meraviglie.

Ciò dispiacque ad Alfonso; maggiormente avendo inteso, che il Governatore era per carcerarlo. Manda, ed impedisce l'arresto. Dubitando, che il Vicario si adoprasse in contrario, di soppiatto rimandò un Sacerdote, chiedendo, che molestato non si fosse.

Saputosi l'attentato da D. Alfonso Puoti, portandosi da Monsignore, sforzavasi persuaderlo, che ad esempio carcerar si dovea. Non si quietò Alfonso, se non ebbe parola, che lasciavasi in pace. Tanto però adoprossi, che il Giovane


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s'indusse a sposare la zitella; e perché povera, anche dotolla, e provvidela di tutto il bisognevole.

 

Uscendo Monsignore in carozza, un Contadino scostumato, corretto, e non emendato, credendosi offeso, in mezzo alla strada caricollo d'ingiurie, e villanie. Tutto soffrì con un placido silenzio. Ritirato in casa, voleva il Vicario che quel temerario mortificato si fosse per esempio degl'altri. Inorridì Monsignore in sentirne la proposta, proibendoli ogni tentativo. Il Vicario però riscontrandone il Governatore, la medesima sera quel temerario si vide nelle carceri.
La mattina susseguente, avendolo saputo Monsignore, altamente s'inquietò, volendo che sul punto si fosse discarcerato. Temporeggiò il Governatore. Essendosi la sera informato che non erasi scarcerato, chiama il Vicario, risentendosi tutto acceso, non essere stato ubbidito. Rappresentandoseli, che tanto esigeva il decoro del carattere, Che carattere! ripigliò, se ci sta per amor mio.
Non si quietò, né si dié pace, se non l'intese discarcerato.

 

Essendosi tolte le decime, e volendo un Parroco strappare dal Re cosa di più per la congrua, cercava attestato dal Vescovo, che la Parrocchia mancava di sostentamento. Negandoseli l'attestato, e non potendo in coscienza, avendo egli la congrua, non fu la negativa ricevuta, che montando in furia altamente risentissene, ma con termini troppo villani. Tra l'altro, a Natale ci vedremo, li disse, non volete i capponi? (era questo un dritto della mensa).

Tutto soffrì Alfonso con placidezza, ma circa i capponi, allora, li disse, lo vedremo; ed il Parroco con maggior temerità: vi sta Papa Nicola in Napoli: volendo dire il Marchese Fraggianni Delegato della Giurisdizione; volgendosi al Vicario, soggiunse: Quando li tuoi Diavoli facevano le concordanze, i miei facevano tutte regole.

Non diedesi per inteso Alfonso; ed il Parroco non licenziossi, che borbottando, e con sgarbo voltandogli le spalle. Offeso, voleva fare, e dire il Vicario; ma tutto impedì Monsignore. Non passò molto tempo che si ammalò il Parrocomancò Monsignore visitarlo più volte, e moribondo, assisterlo in quel passaggio.

 

Non avrebbesi mai sognato Monsignor Liguori, che un atto di carità costar dovevasi una lavata di testa.

Dovendo il Canonico d'Ambrosio dare i conti di una Cappella, un Canonico, ma povero, profittar volendo di quei pochi carlini, raccomandossi a Monsignore per la revista. Volentieri ce l'accordò. Avendo ciò saputo il Vicario Foraneo, presentossi, non da uomo, ma da furia, imputandolo di parzialità, ed ingiustizia, e sostenendo esser stati sempre di sua imcombenza i conti delle Cappelle.

Alfonso, ricevendosi il rimprovero, e volendo raddolcirlo, scusossi colle maniere le più umili. Avendo incontrato il Canonico d'Ambrosio, dissegli, rammaricandosi, il malcontento del Vicario. In sentirlo, alterossi il Canonico, caricando il Vicario come villano,


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e sgarbato.

"Io non voglio dir questo, ripigliò Monsignore, troncandoli la parola, lo feci considerando il bisogno di quel poveretto; ma un'altra volta ricordatemi, che i conti si faranno prendere da lui, e non da  altri".
Questa fu tutta la vendetta per lo ricevuto complimento.




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