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Cap.63
Costanza di Alfonso negli affronti, e somma sua carità
cogli Offensori.
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Se entrando in Diocesi,
presentato fu ad Alfonso il calice amaro degli obbrobrj, e degli affronti, ed
egli passo passo, come si è veduto, ne tracannò i sorsi, uopo è dire, che non
satollo, gustar ne volle anche la feccia. Esser esente non poteva un tanto suo
zelo da contrapposti scabrosi. La giustizia si vuole, ma non si ama in se
stesso, e quello si ammira negli altri, rendesi odioso in propria casa. Con un
zelo così imparziale attirar dovevasi i cuori di tutti; ma travedendo alcuni, e
credendosi offesi, maltrattarlo non mancavano, e farlo oggetto de' proprj
risentimenti.
Castigato, ma non
emendato, dopo molti anni di prigionia, uscì dal carcere di Nevano, col favore
del Principe della Riccia, e col consenso di Monsignore il consaputo Chierico
Beneficiato. Avendoli ordinato il Principe, che anche andato fosse ad umiliarsi
con Alfonso, domandandogli scusa de' passati trasporti, vi andò, non come uomo,
ma come fiera.
Presentandosi, anziché
umiliarsi, rimproverolli con amari termini i sofferti trapazzi. Voi, disse, mi
dovete rifare tutti i danni, e non ve li perdono. Monsignore prendendo un libro
da se composto della Via della Salute, leggetevi
questo, li rispose, e con questo vi rifaccio tutti i danni.
Avanzandosi il
Chierico, io per voi, disse, mi sono veduto nel cimento di lasciarvi la vita:
voi perdevate un suddito discolo, è vero, ed io perdeva un Superiore santo, ma
ciuccio.
A questo complimento Alfonso
non corrispose, che amorevolmente guardandolo, e compatendo il di lui misero
stato; ma nel licenziarlo, prego Gesù Cristo, gli disse, che vi abbia pietà, ma
il castigo di Dio vi sta vicino. Ritornato al vomito, ed ai soliti trasporti,
molto tempo non passò, che morto si vide con un colpo di fucile.
Con termini sì improprj
fu egli sopraffatto, e con tuono di voce così altiera da un Paglietta
Napoletano, fratello di un Religioso, che con i suoi scandali era stato
sfrattato dalla Diocesi, che dubitando di peggio il nostro P. Fiocchi, disse al
Segretario di mettersi a veduta. Ogni altro, voltandoli le spalle, l'avrebbe
lasciato. Monsignore, come l'offesa non fosse sua, placidamente soggettavali i
proprj motivi; e quegli uscendosene benché con isgarbo, accompagnollo fino alla
grada.
Anche costò caro
l'appartamento di un altro Regolare. Avendolo saputo un fratello Prete,
Officiale in Napoli della Nunziata, tutto fuoco - 335 -
portossi in Arienzo; ed introdottosi da Monsignore,
fa ribrezzo ridire il complimento, che ricevé.
Non mancava Alfonso fargli presente, ma
coi termini i più sommessi, la condotta del fratello, e che in coscienza
attrassar non poteva un tal passo. Non udiva ragioni il Prete, ed altro non
mancò, che mettergli sopra le mani. Vedendo il servidore in cattive circostanze
il povero Vecchio, corre, e chiama il Vicario; ma prima del Vicario eravi
accorso il Sacerdote D. Giovanni Manco, gentiluomo di Airola.
Vedendo, che il Prete non finivala, e che Monsignore, qual'agnello sottomettevasi
alle sferzate, fattosi sopra al Prete, Signore Abate, disse, se Monsignore,
come Alfonso Liguori, si vuole ricevere questi tuoi maltrattamenti, lo concedo;
ma come Vescovo di S. Agata, e mio Superiore, io ti butto da questo balcone.
Fu questo un imbarazzo per Alfonso, e stentar dovette in placar il Manco, ed a
rendere mitigato il buon Prete.
In Arienzo, vedendo
inemendabile un Gentiluomo, che attaccato vivea con una donnaccia, avendoselo
chiamato, non mancava avvertirlo del suo stato. Vedendolo indifferente, caricò
un pochettino la correzione. Sentendosi punto il Gentiluomo, si leva di
termini, e non finiva malmenarlo. Non si smuove Monsignore, e passeggiando,
altro non ripeteva: "Signore voi volete che io sia Vescovo, ed io voglio
fare il Vescovo". Questo fu tutto il suo risentimento.
Con pubblica scandalosa
pratica vivea in S. Agata un Armigero del Duca di Maddaloni. Non mancò Alfonso,
per mezzo del Parroco, farlo più volte avvertito del suo gran male. Non
conoscendovi profitto, ed avendone dato parte al Conte di Cerreto, Ajo del
Duchino, tolto fu di S. Agata il birro, e sbalzato altrove. Occecato il
miserabile, furioso portasi da Monsignore, entra da se nella stanza, perchè
aperta a tutti, e risentito lo carica di minacce. Alfonso, vedendosi così complimentato,
"Figlio mio, disse, io perseguito il peccato, e non voi: lasciate il
peccato, ed anche io lascerò molestarvi".
Un uomo d'armi, e
Gentiluomo, rincrescendoli vedersi corretto, ed anche minacciato, non ebbe
ribrezzo insultarlo nella propria stanza, minacciarlo, e caricarlo d'ingiurie.
Alfonso, benché così sgarbato, nol ricevé, che con tutta gentilezza, e
trattarlo con i termini i più umani.
"Sembrava, mi
scrisse l'Arcidiacono Rainone, che non fosse egli l'offeso, e che facesse il
mediatore fra Monsignore, ed il soldato". Alfonso, siccome soffrì
pazientemente l'ingiuria, così non desisté, se nol vide emendato.
Pretendendo un
Sacerdote di Frasso cosa, che non conveniva, ancorché dolcemente respinto, si
avanzò con termini non dovuti, e con parole ingiuriose. Monsignore soffrendo,
se ne uscì con un sorriso. Mi dice il Sacerdote D. Giosuè di Donato, che eravi
presente, che siccome - 336 -
fu
insensibile ricevendosi l'affronto: così fu costante in negarli ciocché
pretendeva.
Non solo soffriva Alfonso
con costanza, e con tutta pazienza qualunque affronto, ma beneficava chiunque
l'offendeva. La carità, diceva, s'è paziente, è benefica ancora. Bisogna, se ci
preme guadagnare a Gesù Cristo chi ci fa del male, che anche se li faccia del
bene. Lo diceva, e mettevalo in pratica.
Un Prete, che in
Diocesi era in officio, credendosi offeso in persona del fratello, non ebbe
ribrezzo presentarseli, e caricarlo di villanie. Tra l'altro, non vedi, gli
disse, che sei inetto per l'impiego. Quanto meglio avresti fatto, startene nei
Ciorani a piangere i peccati tuoi, ch'essere in S. Agata, e fare il Vescovo.
Alfonso con un piacevole sorriso non diedeli risposta. L'attentato fe senso a
tutti. Animato dal Vicario a levarlo d'impiego, non vi diede orecchio.
Trattollo sempre con tutta cordialità, compatendo il trasporto, e perché
meritevole, lo fece anche Canonico.
Erasi cooperato, che
tolto si fosse un infame commercio, che un Gentiluomo aveva con una maritata.
Essendosi questi portato in Palazzo, tutto sdegno chiese voler parlare a
Monsignore. Vedendosi furioso, venne impedito da famigliari. Non potendo
oltreggiarlo di persona, fecelo da fuora, caricandolo d'ingiurie. L'attentato
fu tale, che fece del rumore. Avendolo saputo il Governatore, non fu tardo ad
arrestarlo nelle carceri. Preintendendo Monsignore l'arresto, estremamente se
ne afflisse. Chiama, e manda dal Governatore, scusando, ed implorando pietà; né
fu in pace, se nel medesimo giorno non vide il Gentiluomo discarcerato.
Un giovinastro, figlio
di un Vaticale, chiamato, perché guappo, il Micaletto, trattava con scandalo
con una giovane. Mezzo non lasciò Monsignore per farcela sposare, anzi
concorrervi con un tanto di dote. Il giovine voleva la tresca, ma non sposarla.
"Non la volete, gli disse Alfonso, non lo fate; ma lasciate il peccato, se non volete
obbligarmi a dar passo col Governatore".
Temendo questi un
giorno esser carcerato, entrato in furore, si porta in Palazzo. Non essendovi
la servitù, e non sapendo aprire la bussola, violentavala, caricando Monsignore
di villanie, e minacciandolo. Accorsi i familiari, lo mandarono via, ma carico
di meraviglie.
Ciò dispiacque ad
Alfonso; maggiormente avendo inteso, che il Governatore era per carcerarlo.
Manda, ed impedisce l'arresto. Dubitando, che il Vicario si adoprasse in
contrario, di soppiatto rimandò un Sacerdote, chiedendo, che molestato non si
fosse.
Saputosi l'attentato da
D. Alfonso Puoti, portandosi da Monsignore, sforzavasi persuaderlo, che ad
esempio carcerar si dovea. Non si quietò Alfonso, se non ebbe parola, che
lasciavasi in pace. Tanto però adoprossi, che il Giovane - 337 -
s'indusse a sposare la zitella; e perché povera,
anche dotolla, e provvidela di tutto il bisognevole.
Uscendo Monsignore in
carozza, un Contadino scostumato, corretto, e non emendato, credendosi offeso,
in mezzo alla strada caricollo d'ingiurie, e villanie. Tutto soffrì con un
placido silenzio. Ritirato in casa, voleva il Vicario che quel temerario
mortificato si fosse per esempio degl'altri. Inorridì Monsignore in sentirne la
proposta, proibendoli ogni tentativo. Il Vicario però riscontrandone il
Governatore, la medesima sera quel temerario si vide nelle carceri.
La mattina susseguente, avendolo saputo Monsignore, altamente s'inquietò,
volendo che sul punto si fosse discarcerato. Temporeggiò il Governatore.
Essendosi la sera informato che non erasi scarcerato, chiama il Vicario,
risentendosi tutto acceso, non essere stato ubbidito. Rappresentandoseli, che
tanto esigeva il decoro del carattere, Che
carattere! ripigliò, se ci sta per
amor mio.
Non si quietò, né si dié pace, se non l'intese discarcerato.
Essendosi tolte le
decime, e volendo un Parroco strappare dal Re cosa di più per la congrua, cercava
attestato dal Vescovo, che la Parrocchia mancava di sostentamento. Negandoseli
l'attestato, e non potendo in coscienza, avendo egli la congrua, non fu la
negativa ricevuta, che montando in furia altamente risentissene, ma con termini
troppo villani. Tra l'altro, a Natale ci vedremo, li disse, non volete i
capponi? (era questo un dritto della mensa).
Tutto soffrì Alfonso
con placidezza, ma circa i capponi, allora, li disse, lo vedremo; ed il Parroco
con maggior temerità: vi sta Papa Nicola in Napoli: volendo dire il Marchese
Fraggianni Delegato della Giurisdizione; volgendosi al Vicario, soggiunse:
Quando li tuoi Diavoli facevano le concordanze, i miei facevano tutte regole.
Non diedesi per inteso
Alfonso; ed il Parroco non licenziossi, che borbottando, e con sgarbo
voltandogli le spalle. Offeso, voleva fare, e dire il Vicario; ma tutto impedì
Monsignore. Non passò molto tempo che si ammalò il Parroco né mancò Monsignore
visitarlo più volte, e moribondo, assisterlo in quel passaggio.
Non avrebbesi mai
sognato Monsignor Liguori, che un atto di carità costar dovevasi una lavata di
testa.
Dovendo il Canonico d'Ambrosio dare i conti di una
Cappella, un Canonico, ma povero, profittar volendo di quei pochi carlini,
raccomandossi a Monsignore per la revista. Volentieri ce l'accordò. Avendo ciò
saputo il Vicario Foraneo, presentossi, non da uomo, ma da furia, imputandolo
di parzialità, ed ingiustizia, e sostenendo esser stati sempre di sua
imcombenza i conti delle Cappelle.
Alfonso, ricevendosi il rimprovero, e volendo
raddolcirlo, scusossi colle maniere le più umili. Avendo incontrato il Canonico
d'Ambrosio, dissegli, rammaricandosi, il malcontento del Vicario. In sentirlo,
alterossi il Canonico, caricando il Vicario come villano, - 338 -
e sgarbato.
"Io non voglio dir questo, ripigliò Monsignore,
troncandoli la parola, lo feci considerando il bisogno di quel poveretto; ma
un'altra volta ricordatemi, che i conti si faranno prendere da lui, e non
da altri".
Questa fu tutta la vendetta per lo ricevuto complimento.
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