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Cap.69
Disinteresse, e somma liberalità di Alfonso coi suoi
Diocesani.
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Quanto Alfonso era liberale
cogli altri, altrettanto vedevasi ristretto verso se medesimo. Avendo in orrore
il peccato, abbominava ancora in se, e ne' suoi familiari quella cupidigia, o
sia radice di peccato, cotanto esecrata dall'Apostolo.
Nel metter piede in S. Agata sistemò - 370 -
subito le propine nella Curia. Avendo esaminata la tassa degli atti, e non
essendo questa secondo il cuor suo, ordinò, non ammettendo consuetudine in
contrario, che esiger si dovesse in conformità della Beneventana. Voleva egli
assolutamente l'Innocenziana, ma vi si opposero, e fu tolto da scrupolo
dall'Arcidiacono Rainone, e dal Vicario Rubino. Si arrese, essendo egli
suffraganeo di Benevento, e dipendendo Benevento dagli Oracoli del Papa.
Carlini venti tassò a
beneficio del Vicario per lo possesso de' Canonicati, Parrocchie, e Beneficj, e
carlini nove per la Bolla. Nella collazione de' Beneficj semplici esiger
solevasi, riproducendosi gli atti anteriori, un carlino a carta. Monsignore
sbassollo a grana cinque; e come numeravansi le carte tutte fin dalla
fondazione, egli volle che prodotte si fossero dall'ultima provvista in poi.
Ove prima interessavansi i Beneficiati, e non bastavano i docati venti,
facendosi così, non si ridussero che a pochi carlini.
Stabilì, che
graziosamente, e senza interesse fabbricati si fossero gli atti tutti per
l'ordinazione, e solo tassò grana tredici per la Bolla al Cancelliere.
Restrinse a carlini cinque i diritti per il Matrimonio, ed al Cancelliere grana
cinque, e non altro. Essendoseli detto, che con questo pregiudicava la Curia, Ora che son io, rispose, fo come piace a me: chi verrà appresso si
regolerà come meglio stima.
Così anche restrinse ogni altro pagamento. Voleva il Cancelliere, nella
costituzione de' Patrimonj, moltiplicati gli atti. Alfonso vi si oppose, e
troncò il corso a queste, e simili novità.
In senso di tutti li
Diocesani volevasi ascendere la rendita del Vescovado a quattro in cinque mila
ducati, e di fatti lo era, ma in tempo suo non si ridusse che per metà.
Egli medesimo così
spiegossi in una sua a 25. Settembre 1763. col P. Villani. "In quanto alla
rendita di quattro mila ducati, volesse Iddio, ed arrivassero a ducati due
mila, e duecento, perché qui ho risecato più rendite, che si esigevano, ma io
ho avuto scrupolo esigerle, ma scrupolo ragionevole. La Curia poco, o niente
rende, perché io stimo la miglior limosina esser rilasciare i diritti de'
Matrimonj, specialmente quando vi è povertà, o pericolo. Sperava di certo
levarmi i debiti in quest'anno, ma con questa malannata, in cui poco ho esatto,
non so, se potrò quietarmi, e forse bisognerà aspettar l'altra".
Non è questo tutto il
disinteresse di Monsignore. Questa Tassa fu un non so che, per far vedere una
Tabella in Curia; ma in realtà, scrissemi l'Arcidiacono Rainone, spogliossi di
qualunque interesse. Io non esiggo molte
partite di somma notabile, anch'egli Alfonso così spiegossi con un suo
confidente, ed i Ministri miei tremano
far cosa in contrario.
In tutte le mie
Ordinazioni, così attesta il Parroco - 371 -
D. Domenico Ruggiero, ed anche per la Parrocchia, che mi conferì, dandomi
egli medesimo il possesso, altro non esigette, che baci di mano. Così D.
Michele Izzo: "Quanto spettavali per lo possesso de' beneficj, tutto
rilasciavalo graziosamente; né voleva esserne ringraziato. Solo permetteva al
Vicario, ed al Cancelliere ciocché strettamente spettava, con qualche picciola
regalia a' servidori". Se gratis mi
è stato dato, diceva Monsignore, tenendo ordinazione, gratis debbo darla.
Nella vestizione, e professione delle Monache anche non prendevasi un picciolo
regalo. Nihil mi spetta, diceva, perchè nihil sta tassato nella tassa
Innocenziana.
Non altrimenti
regolavasi per li Matrimonj. "Ora per un riguardo, ed ora per un altro,
così il Canonico Michella, non pretendeva interesse; anzi vi rifondeva del suo.
A tanti e tanti, perché poveri, o eravi qualche pericolo, pagava anch'esso i
diritti, che spettavano a Roma per le dispense matrimoniali".
Ebbe il piacere il
Primicerio D. Pasquale Lesso, dopo che Monsignore rinunciò il Vescovado,
diligenziare in Arpaja l'Archivio della Chiesa, e disse, non aver ritrovato
matrimonio spedito gratis da Vescovi antecessori, e che solo in tempo di
Monsignor Liguori rilevato avevane una quantità, specialmente a' poveri.
Risentendosi un giorno il Cancelliere di questi tanti rilasci, Quello che spetta a me, disse Alfonso, io voglio rilasciarlo, e voi prendetevi
quello che vi tocca.
Godeva la Diocesi di S.
Agata, entrando Alfonso nel Vescovado, da sessantaquattro Cappelle ben ricche;
ed eran tenuti prestare al Vescovo gli Amministratori, nella solennità del
Titolare, circa ducati quattro. Alfonso, come attesta il Canonico Viparelli,
rilasciavali per ordinario in beneficio de' poveri in mano de' medesimi
Amministratori. Se sono de' poveri, ei
diceva, mi affranco il fastidio di far
esito, ed introito.
Non pretendeva verun
diritto Monsignore, come quasi universalmente costumasi, per qualunque
relazione, che far dovevasi al Re a favore di qualche Chierico, che promuover
potevasi al Suddiaconato, o per altro incidente, che ostasse. Tutto era carità.
Essendovi processato in Curia qualche Prete, e venendo dal Vicario condannato a
qualche multa, così il Canonico Testa, ricorrendo da Monsignore, contentavasi
degli Esercizj spirituali, o nelle case della Congregazione, o in Napoli in
quella della Missione di S. Vincenzo de Paoli.
Non volendo vedere i
poveri in qualunque maniera aggravati in Curia, e soverchiati, destinò anche
per quelli un Canonico per Avvocato, affinché nelle occasioni avessero avuto
chi graziosamente li patrocinasse, benché egli fosse per tutti Avvocato, e
Procuratore.
I regali, per lo
passato, facevano un corpo di rendita per il Vescovo di S. Agata; nè sono
niente ritenuti i Santagatesi, e tutti i Diocesani, nell'esser profusi col
proprio Pastore. Di queste regalie ne fece - 372 -
Alfonso, come dissi, un sacrificio a Dio. Cenci de' poveri entravano in
palazzo, non già sportoni di merci, o scatoloni di dolci, e cioccolata. Se
interdetto era per qualunque regalo l'accesso nell'Episcopio, molto più lo era
a motivo del ministero.
Eletto Decano della
Cattedrale il Tesoriere D. Luca Cacciapuoti, (fu questa la prima provvista
fatta da Monsignore) mandò regalandoli una quantità di cioccolata. Alfonso avendone
preso un pezzetto, rimandolla indietro, dicendo, che non spettavali. Se ne
dolse il Cacciapuoti; ed egli: Io vi ho
fatto giustizia, disse, e non grazia,
e per la giustizia non vi cape verun compenso.
Fatto Parroco della
Chiesa di S. Tommaso D. Andrea Jannotti, fe presentarli un grosso regalo di
presciutti. In vederlo Alfonso, inorridì, e con disgusto mandollo indietro. Non
si arrese il Parroco; e volendo esserli grato, rimandolli un regalo di belle
frutta. S'intenerì Monsignore, conoscendo il buon cuore del Parroco. Solo
avendone preso uno per segno di suo compiacimento, ringraziandolo, rimandolle
indietro.
Questi esempj non finirebbero. Dico bensì, che ognuno facendosi grato con
Monsignore, era sicuro farne l'atto, e non soffrirne l'interesse.
Siccome egli non
ammetteva verun regalo, così voleva, che ogni cosa si comprasse. Mancandoli le
frutta verdi nel mese di Marzo, e sapendo, che aveva quantità di melloni il
Parroco D. Francesco Ferrara, volle se ne li cercassero quattro, con patto
bensì, che si prendesse il costo. Pronto il Parroco ne li mandò dodeci. In
vederli Alfonso, dimanda il messo quant'era il costo. Sentendo regalo,
rimandolli indietro. Portandosi di persona il Parroco, assicurollo non averli
comprati. Amaro fu il conflitto; ma rendendosi il Parroco superiore, Alfonso
dovette cedere, per non vederlo contristato. Fu tale il suo rammarico, che non
sognossi incomodar più per l'avvenire né il Parroco, né altri. Se eravi in
piazza la merce, compravala: in caso contrario astenevasene, qualunque fosse il
suo incomodo.
Non voglio omettere un
altro fatto. Conoscendo un Canonico il bisogno, che egli aveva delle frutta
verdi, menando vita sedentanea, non richiesto presentolli altri tre melloni.
Costante fù Alfonso o che si prendesse il prezzo, o che li rimandasse indietro.
Volendo il Canonico uscir d'imbarazzo disse, che costavano un tanto, e che dato
si fosse per limosina a' poveri. Così restò quieto Monsignore.
Maggior disinteresse
dimostrò ancora nei fitti, che far dovevansi de' corpi della Mensa. Cercava
Alfonso, così il Vicario Rubbino, equità, e non stiratura a danno degli
obblatori. Molto meno voleva accensione di candela. Quest'è un proveccio certo per chi n'è padrone, soleva dire, colla certa ruina de pretensori. "Trovandosi
ubbriachi in faccia alla candela, non si bada alle conseguenze, e tanti e tanti
si veggono rovinati con questi affitti".
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Altro disinteresse
ammirossi in Monsignor Liguori. Qualunque fosse il convenuto coi fittuarj della
Mensa, bastava che questi, così attestano tutti, e contestati dal Canonico
Viperelli, esponessero la loro povertà, ed affacciato avessero un qualche
infortunio di ricolta, per rilasciarsi loro buona parte del convenuto:
maggiormente se cordate persone questi fossero, e timorati di Dio. Tanti e
tanti, soggiunge il medesimo, che in attrasso lo erano di grosse somme, per lo
medesimo motivo di povertà, anche ebbero rilasciato molto, e non poco; come
rilevasi da libri de' conti, e da memoriali da esso firmati.
Conteggiando uno di
questi, ed esponendo, che troppo male era andato nell'affitto de terreni, per
lo scarso ricolto, Monsignore, così il nostro P. Buonopane, che eravi presente,
facendosi compassione, non ebbe ritegno rilasciarli, benchè non doveva, da
cento, e più ducati.
Tollo Jadevaja, Uomo
onestissimo, e colono ordinario della Mensa, avendoli esposto nel 1768. la
sterilità dell'annata, attesta il Parroco D. Francesco Jadevaja suo figlio, che
rilasciolli ducati cento e tre, ed un tarì. Sono tali e tanti questi scomputi,
disse il Vicario Rubbino, che non vi fù fittuario, che ogni anno pagato avesse
in ragione del convenuto affitto.
Aveva egli fatto
licenziare, stimandola discola, una donna, ma non era tale, dalla taverna, e
casa della Mensa. Questa poveretta, avendo cominciato una novena a S. Giuseppe,
portossi in Arienzo. Essendo ammessa da Monsignore, dimandolle di qual Santo
era ella divota. Di S. Giuseppe, rispose la donna; e S. Giuseppe, le disse
Monsignore, (erasi già egli disingannato,) vi ha fatta la grazia, e mi ha
detto, che non vi cacciasse. Aggraziata, cominciò a dire, che l'affitto era
caro. Vedendola egli povera, e volendola rimandar in tutto consolata, Sù via, le disse, quanto volete pagare? Correndo l'affitto per docati ventisette, la
donna n'offerì ventuno. Non ripugnò Monsignore; e tanto seguitò a pagare per
tutto il tempo, che vi fù Vescovo; ma in seguito pagar dovette ducati
trentasei, e non ventuno.
Abbiamo cosa di
vantaggio. Attestano il Fratello Francescantonio, ed il Servitore Alessio, che
licenziandosi un Economo, e ritrovandosi in attrasso circa quattrocento ducati,
Alfonso, vedendolo piangere, confessando la propria impuntualità, stringendosi
nelle spalle, graziosamente ne lo mandò in pace. Strepitavano taluni, volendo
si astringesse in giudizio. Che corte, e
giudizio, ripigliò mezzo alterato Monsignore. Questo ha soddisfatto, e non è poco, confessando la propria
turpitudine. Sarebbe un bel vedere, un Vescovo, per proprio interesse, comparir
in giudizio, e voler ruinare un poveretto.
Altre volte nel tempo
istesso prevalevano in Monsignore la Carità, e la Giustizia. Come dissi, avendo
situato suo Segretario - 374 -
D.
Virgilio Cimino, il Vicario, perché diocesano, disse potersi risparmiare sopra
l'onorario, ed in vece di ducati sei, potevanseli dare in ogni mese ducati
quattro. Perché questo? ripigliò
Monsignore. D. Virgilio anche è povero, e
perché defraudarlo: se le dia quello che si è dato agli altri. Sopravenendo
la festa di Natale, e dubitando Alfonso, che dal Vicario data non se li fosse
la solita strena, chiamando il fratello Francescantonio, ordino se li dessero i
soliti venti carlini.
Così maggiormente
vedevasi scrupoloso in sodisfare qualunque operario. Avendoli cucito un abitino
della Vergine, e rappezzati i calzoni Mastro Antonio Bisciardi, ordinò subito
si fosse soddisfatto. Se ne rise il Sarto, perché cosa di poco momento; ed
insistendo Monsignore, che pagato si fosse, non sono io padrone, disse il
Bisciardi, potervelo regalare? Datemi la benedizione, e sono soddisfatto. Restò
quieto, ma mortificato.
"Sono Uomo di circa novant'anni, dissemi il P.
Raffaele da Ruvo, Definitore Alcantarino, e dir posso non aver conosciuto altro
Prelato così caritativo né in S. Agata, né altrove, né così disinteressato come
Monsignor Liguori. La sua borsa come era aperta nel dare, così era ristretta
nel ricevere. Tutto era gratis agli altri, e tutto era da lui doppiamente
soddisfatto. Abbiamo in compruova, se non altro, che la Mensa rendeva a tempo
suo la metà di quello renduto aveva in tempo dell'antecessore".
La rendita del Vescovado, così il Primicerio Fusaro, non vedevasi ridotta, che
per metà, vivendo Monsignor Liguori. Facile egli era accordare dilazioni ai
debitori, e più facile a fare dei defalchi. Indulgente ancora nel rimettere
ogni diritto della Curia, specialmente a poveri; cosicché poco o niente
ricavavane di emolumento.
Era tanto a cuore il disinteresse a Monsignore, che visitato da Monsignor
Rossi, dopo aver rinunciato il Vescovado, Monsignore,
li disse, se volete far del bene, e
profittare in S. Agata; disponete della vostra borsa, e non di quella degli
altri.
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