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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 3
    • Cap.69 Disinteresse, e somma liberalità di Alfonso coi suoi Diocesani.
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Cap.69

Disinteresse, e somma liberalità di Alfonso coi suoi Diocesani.

 


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Quanto Alfonso era liberale cogli altri, altrettanto vedevasi ristretto verso se medesimo. Avendo in orrore il peccato, abbominava ancora in se, e ne' suoi familiari quella cupidigia, o sia radice di peccato, cotanto esecrata dall'Apostolo.
Nel metter piede in S. Agata sistemò


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subito le propine nella Curia. Avendo esaminata la tassa degli atti, e non essendo questa secondo il cuor suo, ordinò, non ammettendo consuetudine in contrario, che esiger si dovesse in conformità della Beneventana. Voleva egli assolutamente l'Innocenziana, ma vi si opposero, e fu tolto da scrupolo dall'Arcidiacono Rainone, e dal Vicario Rubino. Si arrese, essendo egli suffraganeo di Benevento, e dipendendo Benevento dagli Oracoli del Papa.

 

Carlini venti tassò a beneficio del Vicario per lo possesso de' Canonicati, Parrocchie, e Beneficj, e carlini nove per la Bolla. Nella collazione de' Beneficj semplici esiger solevasi, riproducendosi gli atti anteriori, un carlino a carta. Monsignore sbassollo a grana cinque; e come numeravansi le carte tutte fin dalla fondazione, egli volle che prodotte si fossero dall'ultima provvista in poi. Ove prima interessavansi i Beneficiati, e non bastavano i docati venti, facendosi così, non si ridussero che a pochi carlini.

 

Stabilì, che graziosamente, e senza interesse fabbricati si fossero gli atti tutti per l'ordinazione, e solo tassò grana tredici per la Bolla al Cancelliere. Restrinse a carlini cinque i diritti per il Matrimonio, ed al Cancelliere grana cinque, e non altro. Essendoseli detto, che con questo pregiudicava la Curia, Ora che son io, rispose, fo come piace a me: chi verrà appresso si regolerà come meglio stima.
Così anche restrinse ogni altro pagamento. Voleva il Cancelliere, nella costituzione de' Patrimonj, moltiplicati gli atti. Alfonso vi si oppose, e troncò il corso a queste, e simili novità.

 

In senso di tutti li Diocesani volevasi ascendere la rendita del Vescovado a quattro in cinque mila ducati, e di fatti lo era, ma in tempo suo non si ridusse che per metà.

Egli medesimo così spiegossi in una sua a 25. Settembre 1763. col P. Villani. "In quanto alla rendita di quattro mila ducati, volesse Iddio, ed arrivassero a ducati due mila, e duecento, perché qui ho risecato più rendite, che si esigevano, ma io ho avuto scrupolo esigerle, ma scrupolo ragionevole. La Curia poco, o niente rende, perché io stimo la miglior limosina esser rilasciare i diritti de' Matrimonj, specialmente quando vi è povertà, o pericolo. Sperava di certo levarmi i debiti in quest'anno, ma con questa malannata, in cui poco ho esatto, non so, se potrò quietarmi, e forse bisognerà aspettar l'altra".

 

Non è questo tutto il disinteresse di Monsignore. Questa Tassa fu un non so che, per far vedere una Tabella in Curia; ma in realtà, scrissemi l'Arcidiacono Rainone, spogliossi di qualunque interesse. Io non esiggo molte partite di somma notabile, anch'egli Alfonso così spiegossi con un suo confidente, ed i Ministri miei tremano far cosa in contrario.

In tutte le mie Ordinazioni, così attesta il Parroco


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D. Domenico Ruggiero, ed anche per la Parrocchia, che mi conferì, dandomi egli medesimo il possesso, altro non esigette, che baci di mano. Così D. Michele Izzo: "Quanto spettavali per lo possesso de' beneficj, tutto rilasciavalo graziosamente; né voleva esserne ringraziato. Solo permetteva al Vicario, ed al Cancelliere ciocché strettamente spettava, con qualche picciola regalia a' servidori". Se gratis mi è stato dato, diceva Monsignore, tenendo ordinazione, gratis debbo darla.
Nella vestizione, e professione delle Monache anche non prendevasi un picciolo regalo. Nihil mi spetta, diceva, perchè nihil sta tassato nella tassa Innocenziana.

 

Non altrimenti regolavasi per li Matrimonj. "Ora per un riguardo, ed ora per un altro, così il Canonico Michella, non pretendeva interesse; anzi vi rifondeva del suo. A tanti e tanti, perché poveri, o eravi qualche pericolo, pagava anch'esso i diritti, che spettavano a Roma per le dispense matrimoniali".

Ebbe il piacere il Primicerio D. Pasquale Lesso, dopo che Monsignore rinunciò il Vescovado, diligenziare in Arpaja l'Archivio della Chiesa, e disse, non aver ritrovato matrimonio spedito gratis da Vescovi antecessori, e che solo in tempo di Monsignor Liguori rilevato avevane una quantità, specialmente a' poveri. Risentendosi un giorno il Cancelliere di questi tanti rilasci, Quello che spetta a me, disse Alfonso, io voglio rilasciarlo, e voi prendetevi quello che vi tocca.

 

Godeva la Diocesi di S. Agata, entrando Alfonso nel Vescovado, da sessantaquattro Cappelle ben ricche; ed eran tenuti prestare al Vescovo gli Amministratori, nella solennità del Titolare, circa ducati quattro. Alfonso, come attesta il Canonico Viparelli, rilasciavali per ordinario in beneficio de' poveri in mano de' medesimi Amministratori. Se sono de' poveri, ei diceva, mi affranco il fastidio di far esito, ed introito.

 

Non pretendeva verun diritto Monsignore, come quasi universalmente costumasi, per qualunque relazione, che far dovevasi al Re a favore di qualche Chierico, che promuover potevasi al Suddiaconato, o per altro incidente, che ostasse. Tutto era carità. Essendovi processato in Curia qualche Prete, e venendo dal Vicario condannato a qualche multa, così il Canonico Testa, ricorrendo da Monsignore, contentavasi degli Esercizj spirituali, o nelle case della Congregazione, o in Napoli in quella della Missione di S. Vincenzo de Paoli.

 

Non volendo vedere i poveri in qualunque maniera aggravati in Curia, e soverchiati, destinò anche per quelli un Canonico per Avvocato, affinché nelle occasioni avessero avuto chi graziosamente li patrocinasse, benché egli fosse per tutti Avvocato, e Procuratore.

 

I regali, per lo passato, facevano un corpo di rendita per il Vescovo di S. Agata; sono niente ritenuti i Santagatesi, e tutti i Diocesani, nell'esser profusi col proprio Pastore. Di queste regalie ne fece


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Alfonso, come dissi, un sacrificio a Dio. Cenci de' poveri entravano in palazzo, non già sportoni di merci, o scatoloni di dolci, e cioccolata. Se interdetto era per qualunque regalo l'accesso nell'Episcopio, molto più lo era a motivo del ministero.

Eletto Decano della Cattedrale il Tesoriere D. Luca Cacciapuoti, (fu questa la prima provvista fatta da Monsignore) mandò regalandoli una quantità di cioccolata. Alfonso avendone preso un pezzetto, rimandolla indietro, dicendo, che non spettavali. Se ne dolse il Cacciapuoti; ed egli: Io vi ho fatto giustizia, disse, e non grazia, e per la giustizia non vi cape verun compenso.

Fatto Parroco della Chiesa di S. Tommaso D. Andrea Jannotti, fe presentarli un grosso regalo di presciutti. In vederlo Alfonso, inorridì, e con disgusto mandollo indietro. Non si arrese il Parroco; e volendo esserli grato, rimandolli un regalo di belle frutta. S'intenerì Monsignore, conoscendo il buon cuore del Parroco. Solo avendone preso uno per segno di suo compiacimento, ringraziandolo, rimandolle indietro.
Questi esempj non finirebbero. Dico bensì, che ognuno facendosi grato con Monsignore, era sicuro farne l'atto, e non soffrirne l'interesse.

 

Siccome egli non ammetteva verun regalo, così voleva, che ogni cosa si comprasse. Mancandoli le frutta verdi nel mese di Marzo, e sapendo, che aveva quantità di melloni il Parroco D. Francesco Ferrara, volle se ne li cercassero quattro, con patto bensì, che si prendesse il costo. Pronto il Parroco ne li mandò dodeci. In vederli Alfonso, dimanda il messo quant'era il costo. Sentendo regalo, rimandolli indietro. Portandosi di persona il Parroco, assicurollo non averli comprati. Amaro fu il conflitto; ma rendendosi il Parroco superiore, Alfonso dovette cedere, per non vederlo contristato. Fu tale il suo rammarico, che non sognossi incomodar più per l'avvenire né il Parroco, né altri. Se eravi in piazza la merce, compravala: in caso contrario astenevasene, qualunque fosse il suo incomodo.

 

Non voglio omettere un altro fatto. Conoscendo un Canonico il bisogno, che egli aveva delle frutta verdi, menando vita sedentanea, non richiesto presentolli altri tre melloni. Costante Alfonso o che si prendesse il prezzo, o che li rimandasse indietro. Volendo il Canonico uscir d'imbarazzo disse, che costavano un tanto, e che dato si fosse per limosina a' poveri. Così restò quieto Monsignore.

 

Maggior disinteresse dimostrò ancora nei fitti, che far dovevansi de' corpi della Mensa. Cercava Alfonso, così il Vicario Rubbino, equità, e non stiratura a danno degli obblatori. Molto meno voleva accensione di candela. Quest'è un proveccio certo per chi n'è padrone, soleva dire, colla certa ruina de pretensori. "Trovandosi ubbriachi in faccia alla candela, non si bada alle conseguenze, e tanti e tanti si veggono rovinati con questi affitti".


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Altro disinteresse ammirossi in Monsignor Liguori. Qualunque fosse il convenuto coi fittuarj della Mensa, bastava che questi, così attestano tutti, e contestati dal Canonico Viperelli, esponessero la loro povertà, ed affacciato avessero un qualche infortunio di ricolta, per rilasciarsi loro buona parte del convenuto: maggiormente se cordate persone questi fossero, e timorati di Dio. Tanti e tanti, soggiunge il medesimo, che in attrasso lo erano di grosse somme, per lo medesimo motivo di povertà, anche ebbero rilasciato molto, e non poco; come rilevasi da libri de' conti, e da memoriali da esso firmati.

Conteggiando uno di questi, ed esponendo, che troppo male era andato nell'affitto de terreni, per lo scarso ricolto, Monsignore, così il nostro P. Buonopane, che eravi presente, facendosi compassione, non ebbe ritegno rilasciarli, benchè non doveva, da cento, e più ducati.

Tollo Jadevaja, Uomo onestissimo, e colono ordinario della Mensa, avendoli esposto nel 1768. la sterilità dell'annata, attesta il Parroco D. Francesco Jadevaja suo figlio, che rilasciolli ducati cento e tre, ed un tarì. Sono tali e tanti questi scomputi, disse il Vicario Rubbino, che non vi fittuario, che ogni anno pagato avesse in ragione del convenuto affitto.

 

Aveva egli fatto licenziare, stimandola discola, una donna, ma non era tale, dalla taverna, e casa della Mensa. Questa poveretta, avendo cominciato una novena a S. Giuseppe, portossi in Arienzo. Essendo ammessa da Monsignore, dimandolle di qual Santo era ella divota. Di S. Giuseppe, rispose la donna; e S. Giuseppe, le disse Monsignore, (erasi già egli disingannato,) vi ha fatta la grazia, e mi ha detto, che non vi cacciasse. Aggraziata, cominciò a dire, che l'affitto era caro. Vedendola egli povera, e volendola rimandar in tutto consolata, via, le disse, quanto volete pagare? Correndo l'affitto per docati ventisette, la donna n'offerì ventuno. Non ripugnò Monsignore; e tanto seguitò a pagare per tutto il tempo, che vi Vescovo; ma in seguito pagar dovette ducati trentasei, e non ventuno.

 

Abbiamo cosa di vantaggio. Attestano il Fratello Francescantonio, ed il Servitore Alessio, che licenziandosi un Economo, e ritrovandosi in attrasso circa quattrocento ducati, Alfonso, vedendolo piangere, confessando la propria impuntualità, stringendosi nelle spalle, graziosamente ne lo mandò in pace. Strepitavano taluni, volendo si astringesse in giudizio. Che corte, e giudizio, ripigliò mezzo alterato Monsignore. Questo ha soddisfatto, e non è poco, confessando la propria turpitudine. Sarebbe un bel vedere, un Vescovo, per proprio interesse, comparir in giudizio, e voler ruinare un poveretto.

 

Altre volte nel tempo istesso prevalevano in Monsignore la Carità, e la Giustizia. Come dissi, avendo situato suo Segretario


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D. Virgilio Cimino, il Vicario, perché diocesano, disse potersi risparmiare sopra l'onorario, ed in vece di ducati sei, potevanseli dare in ogni mese ducati quattro. Perché questo? ripigliò Monsignore. D. Virgilio anche è povero, e perché defraudarlo: se le dia quello che si è dato agli altri. Sopravenendo la festa di Natale, e dubitando Alfonso, che dal Vicario data non se li fosse la solita strena, chiamando il fratello Francescantonio, ordino se li dessero i soliti venti carlini.

 

Così maggiormente vedevasi scrupoloso in sodisfare qualunque operario. Avendoli cucito un abitino della Vergine, e rappezzati i calzoni Mastro Antonio Bisciardi, ordinò subito si fosse soddisfatto. Se ne rise il Sarto, perché cosa di poco momento; ed insistendo Monsignore, che pagato si fosse, non sono io padrone, disse il Bisciardi, potervelo regalare? Datemi la benedizione, e sono soddisfatto. Restò quieto, ma mortificato.

 

"Sono Uomo di circa novant'anni, dissemi il P. Raffaele da Ruvo, Definitore Alcantarino, e dir posso non aver conosciuto altro Prelato così caritativo né in S. Agata, né altrove, né così disinteressato come Monsignor Liguori. La sua borsa come era aperta nel dare, così era ristretta nel ricevere. Tutto era gratis agli altri, e tutto era da lui doppiamente soddisfatto. Abbiamo in compruova, se non altro, che la Mensa rendeva a tempo suo la metà di quello renduto aveva in tempo dell'antecessore".
La rendita del Vescovado, così il Primicerio Fusaro, non vedevasi ridotta, che per metà, vivendo Monsignor Liguori. Facile egli era accordare dilazioni ai debitori, e più facile a fare dei defalchi. Indulgente ancora nel rimettere ogni diritto della Curia, specialmente a poveri; cosicché poco o niente ricavavane di emolumento.
Era tanto a cuore il disinteresse a Monsignore, che visitato da Monsignor Rossi, dopo aver rinunciato il Vescovado, Monsignore, li disse, se volete far del bene, e profittare in S. Agata; disponete della vostra borsa, e non di quella degli altri.




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