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Cap. 74
Ultime sollecitudini di Alfonso per li suoi Diocesani;
e nuove dimostrazioni di zelo per veder amato Gesù Cristo, e convertiti i
peccatori.
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Se colla penna
soscrisse Alfonso la rinunzia del Vescovado, non è che soscrissela col cuore.
La medesima vigilanza, e zelo per li bisogni della Diocesi, anzi maggiore che
prima, videsi in lui tra questo tempo.
Oculato e sommamente
oculato specialmente vedevasi per l'onestà de' Sacerdoti. "Giacché cotesto
malo Sacerdote, così egli a' 19. Luglio 1775. al Primicerio D. Liborio Carfora,
ha afferrato quest'altra mala pratica, VS. ne prenda informazione dal
vicinato". Avendoli suggerito il Primicerio, voler far dare lo sfratto
all'amasia. "Lo sfratto, dice, a queste male donne non si può dare, se non
si prova, che vivono disonestamente. Intanto fate ordine al Prete, che venga
quì". Così altri, che tralascio.
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Sollecito vedevasi
ancora, se cosa vi fosse di poca edificazione tra Secolari: maggiormente per
taluno, che emenda aveva promessa, e dubitavasi di ricaduta. Non altrimenti
informavasi, e vedevasi zelare l'onestà per le donne. Così sollecito era ancora
per veder espurgati i Conventi da qualche Regolare, che non gradiva.
A' 12. Aprile del
medesimo anno, così il Segretario Cintino all'istesso Primicerio: "Dice
Monsignore, che state sulla scorta di osservare il Laico N., che sta in cotesto
Convento, e se seguita a frequentare la casa di N. con scandalo del vicinato.
Dice che ce l'avvisate subito. Poi soggiunge: vuole che stamattina senza meno
vi portiate qui, dovendovi parlare a viva voce per l'affare di cotesto
Monaco".
Operava in modo, come se fosse per non uscire, ma per entrare al governo della
sua Chiesa.
Vedevasi specialmente
animare i Sacerdoti da esso ordinati a voler faticare per le anime, ed esser di
esempio a' Popoli.
Avendo passato a
Canonico D. Cesare Michella, Parroco in S. Agata della Chiesa del Carmine,
quanto restò consolato, tenendosi il concorso, per esser sortito Parroco D.
Vincenzo Testa di Real Valle, educato da esso in Seminario, altrettanto
vedevasi afflitto, sentendolo gravemente infermo. Sopra di questo egli fondato
aveva le sua speranze per averne un ottimo Parroco.
"Il povero
giovane, così a' 30. Gennaro 1775. al medesimo Michella, è stato non solo
infermo, ma molto travagliato per un forte catarro di petto, e con pericolo
della vita. Io li ho ordinato, che senza mia licenza, non parta dalla Valle,
per non metter a pericolo questo buon soggetto; e frattanto prego VS. a
seguitare l'officio di Parroco, per cui le do tutti i casi, e tutti le mie
facoltà".
Vedevasi anche
tutt'occhi per il Seminario. Avendo presente tutt'i giovanetti, voleva esser
informato di continuo dal Maestro Caputo, e del progresso delle lettere, e
della condotta di ciascheduno. Ammiravasi in esso amore, e rigore. Siccome
abbracciavasi, ed animava buoni a voler profittare, ed esser di edificazione,
così voleva si mortificassero quei tali, che svogliati vedevansi, e di poca
edificazione. Tanti, come incorreggibili, non usando pietà, li volle fuori.
Inesorabile si vide in metter le mani sopra chiunque, che benché di talento,
non fosse esemplare. Non voglio, diceva, lasciar censi passivi a chi farà per
succedermi.
Rinunciava la Chiesa
non stimandosi valevole a portarne il peso, ed operava, come se in forze lo
fosse, e mai dovesse lasciarla. Quasi animato da nuovo zelo, cosa non lasciava,
che giovar potesse a tutta la Diocesi. Sin dal Settembre dell'anno antecedente
videsi in moto, per di nuovo far passar di zappa da valenti Operarj tutta la
sua vigna. - 399 -
Troppo
eragli a cuore l'opera delle Missioni.
Colla predicazione
entrò nella sua Chiesa, e colla predicazione ne volle uscire. Non poche lettere
fece in Napoli a quelle Congregazioni, per aver soggetti sufficienti a poter
per intiero girar tutta la Diocesi. Fece capo anche in Roma al Generale de' PP.
Domenicani, per aver dalla Sanità di Napoli un distaccamento di Missionarj.
Cercando al Principe della Riccia il Palazzo in Airola in tempo della Missione,
a' 19. Settembre li scrisse: Questa sarà verisimilmente l'ultima Missione
generale, che farò fare nella mia Diocesi, mentre in questo mese entro nell'età
di settantanove anni, e sto aspettando da giorno in giorno la morte, così per
l'età decrepita, come per l'infermità, che mi annunzia vicino il sepolcro.
Entrato il mese di
Novembre ebbe da Napoli il P. Maestro Gessari, con altri nove celebri
Domenicani. Questi avendo terminato, con sommo frutto, e con somma sua
consolazione, la Missione nella Città di S. Agata, porzione, suddivisa la
compagnia, passò nella Parrocchia di S. Tommaso, e 'l dippiù, sopraggiungendo
altri soggetti da Napoli, fe capo nella Terra di Frasso. Riunendosi, furono
nella Città di Airola, ed in seguito nel popolato Casale di Mojano.
Affaticavansi, nel tempo istesso in altri luoghi, i Padri di S. Pietro a
Cesarano: così scorrevano da per tutto i nostri Congregati, e con questi godeva
Alfonso veder uniti anche i Missionarj da esso addestrati in Airola, Arienzo, e
Durazzano.
In una parola, non vi fu in Diocesi, terra, villaggio, o casale, che coltivata
non restasse. Anche la taverna di Cancello, quattro miglia distante da Arienzo
ebbe la sua Missione.
In questo stato, e così
agitato di spirito qual'era, anche regolava le circostanze delle Missioni.
Erasi determinato il P. M. Massana, Prefetto delle Missioni della Sanità, esser
in S. Agata la sera dei dodeci Novembre.
"Con allegrezza
ricevo la carità, così al P. M. Gessari; ma ho scritto al P. Prefetto, che se
la Missione s'incominciasse il giorno dodeci, che è Lunedì, sarebbero perduti
tutti quei giorni fino alla Domenica, perché quando si comincia la Missione in
giorno di lavoro, in quelli che restano fino alla Domenica, poca gente accosta
alla Chiesa. Io ci sono incappato: ma poi feci voto, non incominciar le
Missioni in giorno di lavoro". Egli pregò per trovar le case ai
Missionarj, e farle trovare apparecchiati i letti, e quant'altro bisognava.
"Tenga
apparecchiati due letti, così in Bucciano a' 24 Gennaro al Parroco Diodato, con
qualche utensile di cucina, e per la casa, prego parlarne da mia parte a quel
buon uomo, che a Pastorano tiene casa vicino alla Chiesa". Anche come
dissi, incomodò il Principe della Riccia. "Ho bisogno preciso delle grazie
di V. E. La prima per la Missione della Città di Airola, ove la supplico
imprestarmi il palazzo, - 400 -
o
parte di quello, dovendo venire a far la Missione i Padri di S. Domenico
Maggiore, che per farli venire ho stentato due anni. La seconda grazia è ancora
per la casa di Arpaja, ove vi manderò i Padri della mia Congregazione.
Così pensò per ogni
altro casale, e villaggio. Consolavasi vedendo sorpreso il peccato, non che
nelle piazze, ma ne piccioli fortini, che vi erano in Diocesi.
Se generale fu la
sollecitudine di Alfonso, per veder coltivata tutta la Diocesi, anche il
raccolto fu generale, e copioso. Trovandosi disposto il terreno, non vi fu
grazia dal Cielo, che a vuoto ne andasse. Confessavasi da tutti i Missionarj,
non esser di ritorno, che carichi di manipoli. Piccioli disordini non vi
mancavano, ma tutto fu riparato in questa general Missione. Si svelse il
cattivo, ed il buono maggiormente si vide stabilito.
Riscontrato Alfonso, non finiva consolarsene, e vi concorreva anch'esso, colla
solita liberalità in sollievo de' poveri, o di donne pericolanti, o pericolate.
I Missionarj, che non avevan legati, girar feceli a suo interesse. Vale a dire,
che licenziandosi dalla sua Chiesa, espurgata lasciavala, e santificata.
Avendo a cuore sempre
più la gloria di Dio, ed il bene delle Anime; né sapendo come vivamente
imprimere ne' cuori di tutti la passione di Gesù - Cristo, esprimer fece in una
gran tela la sua immagine nella naturale estenzione, ma così lacero nelle
membra, che commoveva anche le pietre. Quest'immagine volle, che per l'ultima
sera della vita divota in ogni Missione, portata si fosse in giro per la
Chiesa, per così imprimerla nel cuore di tutti, ed animare ognuno ad amarlo.
Così, per invogliare le anime a compatire i dolori della Vergine, volle, che la
statua di Maria Addolorata anche si esponesse, e si portasse in giro.
"Non vi
scordate". Così in una sua circolare de' 16. Aprile 1775. di fare la
processione della Madonna in una delle sere, secondo il modo, che io ho
praticato. In questa specifica tutto l'occorrente, per far che fortifica con
compunzione del Popolo, tanto la funzione della tela di Gesù Crocefisso, quanto
questa della statua di Maria Santissima Addolorata. "Quest'è una funzione,
ei dice, che muove a tenerezza anche le mura, quand'è fatta, secondo ciò che ho
descritto".
Armandosi di zelo nella
medesima lettera contro i peccatori ostinati nel male, vuole che non si lascino
in pace, e che anche si atterriscano.
"In qualche paese corrotto, ei
dice, ove regna qualche vizio particolare, come la bestemmia, la dissonestà, o
altro, fa molto profitto la maledizione dei peccatori abituati.
Il Predicatore, avendosi posta la cotta colla stola negra, dopo l'atto di
dolore, prenda una torcia di pece, e dica: io non maledico le persone dabbene,
ne i peccatori penitenti, ma coloro soltanto, che non sono risoluti di lasciare
il vizio. - 401 -
Indi
comincia a nominare i vizj particolari; cioè i bestemmiatori, quelli, che
portano odio: i padri, e madri, che permettono parlare a loro voglia le figlie
cogli innamorati, e peggio se li fanno entrare in casa.
Tutti gli ostinati in
questo vizio, Iddio li maledice, ed io da parte di Dio anche li maledico.
Mentre così dice, alzerà la voce a terzo tuono, e con l'altra mano, suonerà il
campanello, e procuri il più grande che può avere.
Taluno de' nostri ha
detto, che questa funzione dà troppo terrore. Dio mio! e perché si fa? Si fa
appunto per imprimer terrore a que' vizj. Prima però di cominciarsi questa funzione,
convien dire al popolo. Sentite: Davide nella scrittura maledice i peccatori
ostinati: maledicti, qui declinant a
mandatis tuis : così li maledico ancor io. Così dicendo, faccia suonare a
morto colla campana grande.
Questa funzione specialmente giova molto nei paesi grandi. Si astengano i Patri
far sapere al Clero che farsi debba questa funzione; acciocché non si mettano a
contraddirla, ed a fare i dottori, che non conviene, perché dà troppo terrore.
Il terrore si dà solo agli ostinati, o a quelli, che, dopo intese le prediche,
non sono ancora risoluti di darsi a Dio. Questa funzione io l'ho fatta fare dai
Padri quasi in tutti i paesi della Diocesi, ed ha fatto profitto, e non ha
cagionato quel male, che dicono alcuni.
Prosiegue, e dice:
Raccomando specialmente a' Predicatori certe cose particolari, che debbono
replicarsi più volte, e sono: inculcare quanto sia grave peccato, il lasciare i
peccati per vergogna: replicare più volte nelle prediche il fuggirsi quanto più
si possono le occasioni di peccare. Il raccomandarsi a Dio, specialmente quando
si affaccia la tentazione, particolarmente in quelle di carne. Replicare in
ogni predica l'amore, che dobbiamo a Gesù Crocifisso, e la divozione alla
Madonna.
Così, quando in un
paese vi è qualche vizio usuale, o di vendicarsi, o di impudicizia, o di
rubare, bisogna insistere più volte sopra quel vizio. Similmente nell'atto di
dolore si faccia tacere il Popolo; ed i motivi del dolore al più siano due, o
tre, ma differenti tra loro in ogni predica, che si fa; ed ogni sera, dopo
l'atto di dolore, si faccia dimandare una grazia particolare alla Madonna. Se
taluno dimanda qualche Ave Maria dal Popolo, si faccia dire prima, e non dopo
la predica, acciò il popolo non si raffreddi, e se ne vada piangendo a casa.
Questi, e simili mezzi, pensava Alfonso
per lo bene delle anime, e per vantaggiare da per tutto la gloria di Gesù -
Cristo, e di Maria SS., benché decrepito, e così soffogato tra guai, ed
amarezze.
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