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Cap.77
Sensi di somma umiltà in Alfonso licenziandosi da suoi
Diocesani.
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Accettata la rinuncia
in Roma, ed essendo prossimo Alfonso a dover lasciare la sua cara Diocesi di S.
Agata, ancorché cadente, non mancò girare, e licenziarsi con umiltà, e maggior
amore dai cari suoi figli.
Portandosi per le
Parrocchie, inculca a tutti, per l'ultima volta, la perseveranza nel bene, la
fuga dal peccato, la frequenza de' Sacramenti, e soprattutto, se a cuore si
aveva la salvezza delle Anime, di amare Gesù - Cristo, ed esser divoti di Maria
Santissima. Piangente, e con umiltà senza pari, vedevasi dimandar scusa delle
sue non poche mancanze, com'ei diceva, e forse de' scandali, che coi suoi
portamenti aveva già dati.
Protestavasi aver amati
tutti ardentemente senz'eccezione di persona, e pregava non volersi dimenticar
di lui, raccomandandolo specialmente a Gesù Cristo, ed a Maria Santissima, e
che intesa la sua morte degnati si fossero pregare Iddio per l'Anima sua, e
suffragarlo colle loro orazioni.
Questo ripetette in
tutte le Parrocchie di Arienzo, ed in Chiesa non eravi pianto, ma singulti vi
erano, e fiumi di lagrime.
In questo tempo anche
non mancava chiamarsi, ed ammonire con particolar ricordo qualunque persona,
che sentiva traviata, o recidiva nel male. Oggi
con tutto che ho rinunciato, e non sono più Vescovo, così al P. Villani, pure ho tracannato uno sciroppo.
Troppo avevali dato da
pensare un Chirurgo, che benché ammogliato, scandalosamente viveva con una
donnaccia. Alfonso, come dissi, per vederlo emendato, mancato non aveva di
farlo arrestare, e mantenerlo a proprio interesse nelle carceri di Nevano. Non
vedendolo ravveduto; ed avendoselo fatto chiamare - 414 -
in questi ultimi giorni: Io, disse, ho già rinunciato il Vescovado, prego anche voi voler
rinunciare al peccato.
Piangeva Alfonso, e
piangeva anch'esso il disgraziato. Le preghiere di Monsignore per questo non
andarono a vuoto. Partito che fu da Arienzo, tale infermità sorprese il
Chirurgo, che per più mesi tennelo travagliato. Avendo aperti gli occhi, come
contestavasi da tutti, contrito se ne morì, e molto tenuto, come ei stesso
diceva, a Monsignor Liguori. Queste parti di buon Pastore che Alfonso faceva in
queste circostanze di tempo, tenerezza, e somma ammirazione caggionavano in
ognuno.
Girò ancora per li
Monasteri de' Regolari. Dava tenerezza il vedere come umiliavasi con tutti.
Cercava scusa, se con troppo rigore esatto aveva la loro esemplarità,
protestandosi esser stato tutto effetto di vero amore, e non una qualche
animosità con taluni, che cercato aveva il loro buon nome presso del Popolo, ed
una maggior stima per il proprio Istituto: che se offeso stimavasi taluno, egli
intendeva cercar perdono a tutti. Raccomandò a' Superiori un continuato zelo
per l'osservanza, e non aversi riguardo con chiunque ove interessava vedevasi
la gloria di Gesù - Cristo, ed il bene delle Anime. Soprattutto pregò volerlo
aver presente sull'Altare, e ricordarsi dell'anima sua succeduta la sua morte.
Non trascurò i
Monasteri delle Monache. Troppo sollecito era egli stato per queste Anime
consacrate a Dio. Scusa cercò, se nelle occasioni esatto era stato più, che non
doveva, e che fatto l'aveva per loro profitto, non con animo di contristarlo.
Raccomandò, se volevano dar gusto a Dio, e morir contente, l'osservanza esatta
delle proprie Regole: che evitato avessero le grate, ed il commercio coi
secolari. Amate il Coro, lor disse, e la solitudine, frequentate la santa
Comunione, ed abbiate maggior tenerezza per Gesù - Cristo, e per Maria
Santissima, se goder volete in terra un anticipato paradiso. Protestavasi, che
non lasciavale per mancanza di affetto, ma perchè il Papa così voleva,
stimandolo inabile al proprio disimpegno, e per darli tempo a poter piangere i
suoi peccati, e di apparecchiarsi alla morte.
Pregò anche queste che
avendone la notizia, trascurato non avessero raccomandare a Dio la sua Anima, e
pregarlo di volerli dare un felice passaggio. Ovunque vi fu pianto, ed amarezza
di cuore.
Prima di licenziarsi
dagli altri scrisse lettera, ma troppo amorevole, e con espressioni di umiltà
somma in S. Agata al Capitolo della Cattedrale. Questa licenziata non potette
leggersi senza lagrime. Essendosi dispersa, manca di presente con comune
rammarico. Avendoli scritto in particolare il Primicerio Petti ritrovandosi
incomodato a letto, ed esprimendo il suo dolore, Alfonso a' 25. di Giugno così
li rescrisse:
"Io parto, perché
vedo che Dio mi ha fatto sentire, che io non servo più, rendendomi affatto
inabile. Al presente sono ridotto ad uno stato - 415 -
di sanità così miserabile, che mi annuncia molto
vicina la morte". Essendosi adoprato il Primicerio per alcuni di lui
interessi, conchiude: resto ringraziandola di vivo cuore dei favori, che V.S.
Reverendissima mi ha compartiti ne' miei bisogni. Prego Gesù Cristo, che ce lo
renda, e resto pieno di stima rassegnandomi. Non considerandosi più Superiore,
si soscrive: Divotissimo, ed obbligatissimo servo vero: Alfonso Maria Vescovo
di Liguori.
Anziose le Monache
dell'Annunciata, avendoli cercato un ricordo di sua persona, mandò loro il
quadretto della Madonna del buon Consiglio, che egli aveva sul tavolino, e che
tanto eragli caro. Vi lascio, disse, il mio cuore, e volle che ogni Sabbato
in comune detta se le fosse da tutte le Religiose una Salve Regina, e che per
tre giorni, sortita la sua morte, recitate avessero le Litanie, come poi fu
fatto.
La Madre Suor Maria
Raffaele, Fondatrice delle Monache del Redentore li scrisse, non potendolo
avere di persona in S. Agata, una affettuosissima lettera. Tra l'altro, che
almeno quando Iddio sel chiamava, ricordato si fosse delle sue figlie, e
lasciate avesse a quelle il proprio cuore
in testamento.
Monsignore si
compiacque in sentir la lettera, ma quanto intese il cuore in testamento:
"io, disse, ho tenuto sempre la Madre Raffaele per donna savia, ma mo ci
ho perduto il concetto. Del mio cuore che ne vogliono fare soffritto! L'anima è
quella che importa, che poi per il corpo, se mi vonno bene, lo diano a mangiare
ai cani".
Il maggior regalo, che
lor potette fare, fu una gran Croce di semplice legno coi segni della passione
nell'estremità, che tener soleva nella stanza, ove mangiava, e che uscendo, ed
entrando nella propria, era solito di baciare.
Avendoli i Canonici
cercato cosa di sua memoria. Miglior mobile non potette lor dare, che lasciar
un'altra gran Croce, anche di rozzo legno, e coi segni della passione, che per
sua divozione affissa teneva nel primo piano della casa, e che con tenerezza
pure baciava uscendo, ed entrando in casa.
Ai Padri Cappuccini,
non avendo che dare, lasciò, per sua memoria, poche teste di tuperose, che egli
aveva, per ornare l'altare del Venerabile; affinché anch'essi conservate le
avessero, per Gesù Sacramentato.
Essendosi portato in
Arienzo il Seminario, licenziossi ancora da' suoi cari alunni. Raccomandò loro
amore a Gesù - Cristo, tenerezza per Maria Santissima, e frequenza de'
Sacramenti. Così amore allo studio, ed impegno di profittare per utile proprio,
e per vantaggio delle proprie Chiese. Soprattutto che come peste si evitasse la
lettura de' libri scostumati, ed empj, che si evitasse la conversazione di
qualche discolo, se mai vedevasi - 416 -
in Seminario. I pochi libri, che aveva, e che non erano della
Congregazione, con tutte le opere sue lasciò per memoria a quella libreria.
Questi furono i ricchi
donativi, che Monsignor Liguori lasciò alle persone più care, partendo dalla
Diocesi. Tempo addietro, stando egli sul suo povero lettino, e tenendoli
conversazione, dopo tavola, i suoi familiari, non so come si uscì in discorso de'
ricchi spogli de' Vescovi predecessori, e chi magnificavane uno, e chi un
altro. Alfonso sentiva, e taceva. Additando poi una sportellina, che aveva
sotto del letto, lepidamente disse: Questa
sportella sarà tutto il mio spoglio. Lo disse, e l'attese.
Se non fu la
sportellina, ove aveva le poche sue camicie, di certo non fu più ricco lo
spoglio di quello, che lasciar poteva qualche povero Religioso. Il suo lettino,
pochi altri letti, ma miserabili, che aveva per uso de' familiari, e
forestieri, e pochi utensili di cucina fu tutto lo spoglio, che partendo
d'Arienzo lasciò Monsignor Liguori al Capitolo di S. Agata.
Non avendo ai poveri,
che lasciare, non lasciò, che il proprio cuore. Se aveva amarezza, lasciando la
Diocesi, l'abbandono de' poveri trafiggevali l'anima. Questo era per esso un
coltello a due tagli. Anche dormendo sognavasi i poveri, e par che questi li
dicessero, perchè ci lasci? Come
vedevasi un pezzente alla porta, tutto intenerivasi. Accrebbe maggiormente la
limosina da che fu assicurato di partire.
L'ultimo giorno che
stiede in Arienzo, e fu il 27. di Luglio non videsi il Palazzo, che
estremamente affollato, nè vi fu povero, che abbondantemente non fosse
provveduto, e che non partisse consolato.
In quest'ultimo giorno
licenziandosi con lettere dalla Madre Raffaele, dando ad essa, ed alle sue
figlie gli ultimi ricordi, e sua benedizione, così si espresse: "Prego
Dio, che dia salute a V. R. per lo bene di cotesto Monastero, e spero, che il
Signore non sarà per chiamarla a se, se non quando la Comunità sarà assodata, e
che possa reggersi da se. Predichi sempre, che tengasi lontani gli abusi, e le
novità, perché le cose nuove possono a poco a poco rovinar l'osservanza,
cominciando ad allargarsi a poco a poco. Basta che sia cosa nuova, non secondo
l'antico solito, si deve tremare; intendo quando è cosa di larghezza".
Prosiegue, e dice:
"Benedico V. R. e tutte le figliuole una per una, acciocché Gesù - Cristo
le riempia tutte del suo amore. Dove vi é amore di Dio, non v'è paura di male.
Perciò ricordate sempre, che dirigano ogni cosa che fanno, per dar gusto a Dio;
almeno che facci spesso ognuna atti di amore a Gesù - Cristo, e replichi: Gesù mio - 417 -
dammi l'amor
tuo, Gesù mio dammi l'amor tuo; ed alla S. Vergine: Mamma mia fammi amare Gesù - Cristo, Mamma mia fammi amare Gesù -
Cristo". Non altrimenti licenziossi Monsignor Liguori dalle sue
figlie, e da' suoi amati Diocesani, che con Gesù, e Maria nel cuore, e sulle
labbra.
Essendosi accinto a partire,
un estro di venerazione, anzi sommo si vide in ogni ceto di persone.
Deploravasi la perdita come quella di un santo, ed alla sua stanza, può dirsi,
che diedesi il sacco, per averne ognuno, come reliquia, cosa di suo uso. Chi
afferravane una, e chi un'altra; chi cercavala a familiari, e chi prendevala di
soppiatto. Tutte strappate vi si viddero anche le picciole immagini di carta,
che egli aveva a capo del letto. Un Crocefissetto di legno sel prese con
violenza D. Fabrizio Martinisi Gentiluomo di quella terra. Un'altro diede di
piglio al picciolo secchio di rame, che servivasi per l'acqua benedetta.
Costantino Silvio, che
da barbiere serviva la famiglia, non avendo altro che prendere, chiese ad
Alfonso medesimo una gruccia, che abbandonata ne stava, e che Alfonso servito
si era in tempo del suo reumatismo.
Prendetevela,
disse Monsignore, che un giorno vi potrà
servire. Servì di fatto; e fu, che penando per tre giorni, a capo di anni,
e non potendo sgravarsi la moglie di suo figlio, questi nell'atto che stavasi
in lutto, e la donna avevasi per morta, vedendo la gruccia in un angolo della
casa, e sovvenendoli Monsignore già defonto, questa gruccia, disse alla nuora, fu di Monsignor nostro, che fa tanti miracoli: abbici fede, e poggiati,
che avrai la grazia. Non tanto la donna vi si poggiò, che si sgravò di un
maschio.
Tredici anni, e giorni
quindeci fu Alfonso Vescovo in S. Agata, e costante fu sempre nella sua
residenza.
Tre volte, che fu
assente, nol fu che per cause di sommo peso, ed in tutte e tre insieme non
arrivò mai ai tre mesi conciliari. La prima fu andando in Nocera, per assistere
al nostro Capitolo Generale, per assodare le antiche costumanze, e che
innovazione non vi fosse nella Regola di già confirmata da Papa Benedetto XIV.
La seconda, quando per comando de' Medici portossi anche in Nocera per
ristabilirsi dopo la grave infermità, già sofferta nel 1765. Vi mancò la terza
volta, quando nel 1767. portar dovettesi in Napoli per li gravi bisogni della
Congregazione, ma come dissi, in Napoli fece da Apostolo, né perdette di veduta
anche i bisogni della propria Diocesi.
Non solo facevasi
scrupolo star fuori Diocesi, ma aveva a male, se anche senza causa vedevasi
lontano dalla Cattedrale. Avendo terminata un anno la Visita in Airola, il
Vicario, che non gradiva la stanza - 418 -
di S. Agata, non finiva disbrigarsi.
Dimandando Monsignore
al Sacerdote D. Pietro Pollastrelli, ed al Parroco D. Giuseppe Truppi, se il
Vicario era pronto a partire, in sentire che poca intenzione ne aveva, fattosi di
fuoco, Preme a me, disse, l'andare in S. Agata, perchè la Chiesa è
mia sposa, e se a lui non piace la stanza, che risolva come vuole.
Sorpreso in Arienzo dal
suo gran travaglio, ancorchè storpio, ritirar volevasi in S. Agata. In S. Agata, diceva, Iddio mi ha destinato, ed ivi debbo andare a morire.
Non gradendo quella
stanza, come dissi, il Vicario, ed i familiari, rappresentosseli esser così
leso il quarto ove si abitava, che minacciava ruina, Monsignore avendo premura
di ritirarsi, sollecito vi chiamò da Maddaloni l'Architetto Aulicino.
Rincrescendo a familiari l'accomodo, se le fe dire dall'Architetto non esser
cosa da farsi così presto, e che la spesa non era indifferente. Alfonso
vedendosi impotente, e circondato da poveri, se diedesi indietro, e nol fece,
che con sua grave amarezza.
Così amò Monsignor
Liguori la propria sposa, e tanto rincrescevale vedersene lontano.
Fine del Tomo Secondo.
AVVERTIMENTI.
- Le correzioni - aggiunte che si trovano
a pag. 419 del libro sono inseriti nei capitoli, ai luoghi di riferimento.
- Vecchio, e malsano qual
sono, in età di anni 74, senza verun ajuto de' nostri, e con spasimi abituali
di testa, come è noto, chieggo un benigno compatimento, se la stampa non è
corretta. Spero che Dio mi dia vita per dar fuori, come mi sono compromesso, il
terzo Tomo, cioè i libri quarto, e quinto di queste memorie del nostro
Venerabile.
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