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Libro 4
Cap. 1
Alfonso, ritirandosi da Arienzo, in Nola dà la vista
ad un cieco; venerazione con cui fu ricevuto in Nocera: nuovi travagli della
Congregazione; e benevolenza di Pio VI verso di lui.
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Abbiamo di nuovo
Alfonso in Nocera. I desiderj delle Anime sante non manca Iddio secondarli.
Quivi Egli desiderava, e quivi ottenne depositar le sue ossa. Accinto a partire
da Arienzo, sperimentossi in lui un misto di dolore, e di allegrezza: dolore di
vedersi diviso da una Sposa, per tanti anni teneramente amata: allegrezza,
vedendosi sgravato da un tanto peso, ed andar incontro alla sua cella: non
avrebbe voluto partire, e nel tempo istesso contava i momenti per mettersi in
cammino.
Fatto giorno la mattina
de' ventisette di Luglio 1775., avendo dato l'ultima sua benedizione alla
diletta Chiesa di S. Agata, e ad un immenso popolo, che se gli fe' presente; e
dispensata a' tanti poveretti, ivi concorsi, una grossa limosina, ajutato da'
familiari, si pose in carrozza in unione del P. Villani. Esprimere non è della
penna la commozione, che nel popolo vi fu. Piangeva il Clero, e piangevano i
Gentiluomini, ma più amaramente proruppero in pianto i poveri, che con esso
perdevano un Padre, un protettore, ed in qualunque bisogno, il comune rifugio.
Quest'afflizione del
popolo fu per Alfonso la maggior pena. Piangevano questi, e piangeva anch'esso.
Posto in cammino, oltre delle solite preci a' suoi Santi Avvocati, raccomandò
in particolar - 2 -
modo a Gesù - Cristo, ed a Maria SS. una costante
tutela per la Terra di Arienzo, e per tutta la Diocesi di S. Agata; e proseguì
il cammino, recitando col P. Villani il SS. Rosario, ed indi le Ore Canoniche.
Ricco al solito, anzi
pomposo fu il corredo, che susseguivalo. Se povero e nudo entrò in Diocesi,
nudo e povero anche ne uscì. Quello, tra l'altro, che fe piangere gli astanti,
e trasse anche le lagrime ai due Canonici, che deputati furono dal Capitolo di
S. Agata; cioè il Canonico Albanese, ed il Primicerio D. Nicolò de Robertis, fu
il vedersi richiesti dal Venerabile Vecchio, come per limosina, il suo misero
strapuntino su cui dormiva di notte, e la sedia ove di giorno ne gemeva. Tutto
se gli esibì, e quant'altro avesse voluto. Generosa però che fosse
l'esibizione, cosa non vi era, che interessar potesse il Capitolo, e la
Cattedrale.
Vedendo accinti molti
Preti, e Canonici, e varj Gentiluomini, a volerlo seguire, ringraziò tutti,
dichiarandosi tenuto per tanta cordialità. Quattro Canonici bensì de' più
ragguardevoli, non ostante la ripulsa, ostinatamente vollero seguirlo. Così il
P. Maestro Caputo, e quantità di Gentiluomini, tra i quali D. Salvatore Romano,
uomo troppo appassionato per Monsignore. Fatte poche miglia; cioè fino a
Cancello, dovettero questi darsi in dietro, accertandoli Alfonso non essergli
di sollievo, ma accrescergli pena colla loro presenza.Tuttavolta il Tesoriere
Martinelli, ed altri, non dando retta alle sue preghiere, accompagnar lo
vollero fino a Nocera.
Ad ora di pranzo fu in
Nola. Inimico di complimenti non tirò al Vescovado, ma nel Seminario. Il
Canonico D. Francesco Crisci, che vi era Rettore, e che tanto il venerava, non
l'accolse come uomo, ma come Angelo.
Giunto che fu volle dir
messa. Nella mozione degli affetti, che in se provava, non volle dirla in
Arienzo. Agonizzando celebrò, assistendovi tutto il Seminario. Ognuno piangeva
per tenerezza, vedendo la divozione con cui trattava il tremendo Mistero; e che
collo spirito tra i denti anche non mancava alle menome rubriche. Terminata la
messa, e celebrando il P. Villani, egli trattennesi facendo il rendimento di
grazie.
Pregato dal Canonico a
voler dare degli avvertimenti, e compiacere della sua benedizione quei tanti
giovanetti, Alfonso, ancorché agitato di mente e trapazzato, non mancò
compiacerlo. Estese il sermone sopra il quanto gran male sia il peccato, e
quanto ognuno è tenuto ad amare Gesù - Cristo. Inculcò amore, e divozione verso
Maria SS. Parola non vi fu, come attestommi il medesimo Canonico, che non
ferisse, e non isquarciasse i cuori. Rilevò il gran bene, che a noi ridonda
dalla frequente Comunione, e dal visitarsi spesso il Divin Sagramento: così,
essendo tentati, ricorrendosi con fiducia a Maria SS.. In quest'atto vedevasi
il Canonico, uomo venerabile per la sua canizie, anch'esso - 3 -
sedere a' piedi di Alfonso, ed ascoltarlo come uomo venuto
dal Cielo.
Essendosi saputo in
Nola il suo arrivo in Seminario, varj Gentiluomini con D. Gio: Battista
Santoro, anziosi di baciargli la mano, furono ad inchinarlo. Anche in Nola volle
Iddio autenticare la santità di Alfonso. Erano mesi e mesi, che, per una
flussione negli occhi, era divenuto cieco, e conducevasi a mano D. Michele
Menichino - Brancia. Varie cure in Napoli, ed in Nola eranglisi tentate, anzi
peggiorò in maniera, che restò cieco. Sentendo Alfonso in Seminario, animato
dalla di lui Santità, unito cogli anzidetti Gentiluomini, si fe guidare ai suoi
piedi. Giunse in tempo che era per incarrozzarsi; e piangendo lo prega volerlo
degnare di una Croce sù gli occhi. Si commosse Alfonso; e tanto fu il segnarlo,
quanto dargli la vista.
Non contento il
Sacerdote D. Bartolomeo de Luca, allora Lettore, ed indi Canonico, e Rettore
del Seminario, della benedizione ricevuta con tutti i Seminaristi, avendo avuto
di soppiatto il bastone di Alfonso; ed essendosi con quello segnato in varie
parti del corpo, ora, disse, non temo di alcun male, e son sicuro, che
Monsignor Liguori mi ha da proteggere.
Appena ebbesi
rifocillato, e preso un breve riposo, benché applettato a voler partire l'indomani,
non fu possibile. Come fu in carrozza, ripigliò subito col P. Villani la recita
del S. Rosario; e tutto il tempo fino a Nocera non fu impiegato, che in recitar
parte dell'officio, ed altre orazioni vocali in onore di Gesù - Cristo, e di
Maria SS.
Giunto in Nocera,
Monsignor Sanfelice, che altamente lo stimava, volle, che da tutte le Chiese
ricevuto si fosse col festoso suono delle campane. Grande fu l'allegrezza de'
Paganesi, vedendolo di nuovo tra di loro. Piangevasi per tenerezza, vedendolo
così storpio, e così male in arnese; ma molto più eccitò il pianto, vedendosi
verificata la promessa, che tredici anni addietro, partendo per S. Agata, aveva
lor fatta di voler venire a morire tra di loro.
Una moltitudine di
popolo, calando di carrozza, circondollo avanti la nostra Casa. Soprattutto se
gli presentarono i Parrochi, e i capi delle Chiese, Preti, e Regolari, e
quantità di Gentiluomini, anziosi tutti di baciarli la mano, e di godere di sua
benedizione.
Salendo le scale, quasi
snello si vide sormontarle. Gloria Patri,
disse rivolto al P. D. Diodato Criscuoli: questa
Croce, che porto in petto, salendo le grada in Arienzo, mi pesava al non più:
ora qui si è fatta leggiera; e di nuovo replicò: Gloria Patri. Entrando nel Coro, che ivi corrisponde al primo piano
della scala, buttandosi di faccia a terra, ma vi cadde come sacco di ossa,
esclamò: Dio mio vi ringrazio, perché mi
avete tolto da sopra un si gran peso. Gesù Cristo mio, non ne poteva più. Tra
questo mentre i nostri intonarono il Te Deum, ringraziando anch'essi Iddio, per
esserli riacquistato il comun Padre.
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Conflitto vi fu per la
stanza. Vedendosi portato dal P. Mazzini in una più commoda, solita destinarsi
a' forestieri, egli nel vederla, che nel piede eravi un fregio, o sia fascia di
nero, e nella soffitta l'incartata, ammirandosi: come qui, disse, debbo star
io in mezzo a' fregi? voglio la mia solita stanza.
Essendoglisi detto, che stava occupata dal P. Villani (Questo bensì fu un pretesto)
non si arrese Alfonso; ma fattoglisi presente l'angustia del luogo, e le
visite, ch'egli era per ricevere, situossi in due stanzoline nel quarto
superiore: una pel letto, e l'altra per ricevimento. Vedendosi situato alla
povera tutto allegro disse a quei Gentiluomini, che l'accompagnavano: oh quanto mi vedo più contento di questa
cella, che nel Palazzo di Arienzo; e guardando, e prendendo in mano la sua
crocetta, questa croce, ripetette, e
non finiva di dirlo, qui è divenuta
leggiera, ed ivi non ne poteva il peso.
La medesima sera fu
subito a complimentarlo Monsignor Vicario per parte di Monsignor Sanfelice.
Discorrendo con questo, disse, che vedevasi contento, vedendosi sgravato dal
peso della Chiesa. Mi ho levato,
disse, la montagna di Taburno da sopra la
nuca del collo.
"Ben lo
credo, rispose il Vicario, che ne stia contenta; ma credo ancora, che
scontentissima, per la sua partenza, ne sia rimasta la Diocesi.
E perché? ripigliò Alfonso.
Perché, soggiunse il
Vicario, ha perduto un pastore, che tanto bene le faceva. In sentir questo
Alfonso, videsi perduto. Gesù e Maria,
esclamò, divenuto tutto fuoco! che dite
Signor Vicario? Io niente ho fatto di bene, e non finiva ripetere, niente, niente, niente. Se vi è cosa di
buono, l'ha fatta D. Carlo de Marco, e non io. Dico meglio, ripigliò subito
con maggior enfasi: è stato Iddio Signor
Vicario: Iddio, e non io ha fatto tutto, tutto ha fatto Iddio.
La mattina susseguente
dì per tempo fu a complimentarlo Monsignor Sanfelice. Così parimenti vi furono
tutt'i Capi di Ordini, Gentiluomini, e titolati o della Diocesi, o de' luoghi
vicini. Monsignor Sanfelice in una parola lo investì, e nella maggior
estensione, di tutta l'autorità sua in tutta la Diocesi. Così a vicenda vi
furono a complimentarlo Vescovi, e Vicarj circonvicini. Fu tale il concorso,
che per molti giorni non gli diedero riposo. Scrivendo ad uno de' nostri in
questo medesimo giorno, io, disse, per grazia di Dio già sto a Nocera, scappato
da sotto il carro, ed ora mi vedi in Paradiso.
Così Alfonso
consolavasi; ma non fu permanente la sua consolazione. La vita de' giusti non è
che una vicenda di consolazione, e travagli. Assistendo al Real Trono i nostri
Contraddittori, le replicate accuse, e con tanto fuoco, non potevano non far
senso al Marchese Tanucci.
Vedendo l'ingarbuglio,
ed in chiaro volendo mettere le cose, a 3. Ottobre del medesimo anno, fuori ei
diede tre Dispacci. Il primo a Ferdinando di Leon, Fiscale della Giunta degli
Abusi, il secondo al - 5 -
Commissario
di Campagna D. Biagio Sanseverino, ed il terzo al Duca Turitto, Avvocato
Fiscale della Real Camera: tutti è tre col medesimo incarico. Comanda, che
fatta l'unione di tutt'i Processi, ed accuse, che nella Camera di S. Chiara, in
quella della Sommaria, e che nella Real Delegazione contro de' nostri
esistevano, il Fiscale di Leon, unito con altri due, esaminato il tutto,
informato avesse col suo parere la Maestà del Sovrano, con rimettersi le carte
nella prima Segreteria.
Questa Sovrana
determinazione fe senso in tutti; e se incoraggì i contrarj, fu un fulmine che
abbattette i nostri. Troppo male si presagiva l'evento. Disgusti in quel tempo,
e troppo gravi non mancavano tra la nostra Corte, e quella di Roma; e tutto era
confusione, e nel Regno, ed in Roma. Successe contemporaneamente ancora
l'espulsione de' Gesuiti.
Questo istesso presagir
faceva anche vicina la nostra soppressione. Guadagnato erasi il Fiscale; e già
vantavasi i contrarj superato il tutto, soppressa la Congregazione, ed abolito
il nome de' Missionarj. Per distrutti ci avevano gli avversarj, e per rovinati
stimavansi i nostri. Chiusa, e preoccupata ogn'altra strada, altro appoggio non
si aveva, che la pietà del Principe, e la protezione di Dio.
Barcollava Alfonso tra la speranza, ed il timore; ma prevalendo la speranza, io sto allegramente, scrisse a' nostri
in Napoli, perché mi pare che la Madonna
voglia certamente farci uscir salvi da questa tempesta.
Tra queste angustie
disperandosi degli uomini, con maggior fervore Alfonso ricorse alla protezione
di Dio. Oltre l'essersi raccomandato a varj Monasterj di sagre Vergini, abbiamo
ai nostri una sua de' quattro Novembre, ed è questa:
"Fratelli miei
carissimi infervorate le orazioni, perché i contrarj fanno più forza per
attaccarci. Io fido alle orazioni, che sono onnipotenti presso Dio: non
lasciate di pregare, che se si lascia l'orazione, siamo ruinati. Se preghiamo,
e ci portiamo bene con Dio, Dio ci mantiene, se nò certamente saremo
distrutti".
Mette in veduta in
questa lettera, volendo animare i suoi alla Preghiera, il divario che passa tra
la Preghiera, e la Meditazione; e quanto sia grande presso Dio il merito della
Preghiera.
"L'orazione
mentale si fa, ei dice, per considerare le massime eterne, e per pregare Dio,
che ci ajuti. A secolari l'Orazione serve più per considerare le massime
eterne, che per pregare. Ma a voi che state intesi delle massime eterne, e più
necessario il pregare. Gesù Cristo dice: Si
quid petieritis Patrem in nomine meo dabit vobis. Ed in altro luogo: Si quid petieritis Patrem in nomine meo etc. Onde cercate sempre grazie a Dio in
nome di Gesù - Cristo; ed Gesù - Cristo in nome suo. Specialmente cercate
sempre l'Amore Divino, e la grazia di esser tutti suoi; e replicate più volte:
Dio mio in nome di Gesù - Cristo, fateci tutto - 6 -
suo. E poi aggiungete sempre la preghiera alla
Madonna: Mamma mia fateci tutti di Gesù
Cristo".
Avendo a cuore veder
impresso sempre più ne' popoli un maggior amore verso Gesù - Cristo, con aversi
presente la sua Passione, inculca a tutti un atto così fervoroso. "Ora che
cominciano le Missioni, non vi scordate sempre nelle Istruzioni, Esercizj,
Rosario, Sermoni, ecc. raccomandar sempre, intendo più volte il giorno, l'amore
a Gesù - Cristo, e specialmente a Gesù appassionato, e la preghiera di
raccomandarci sempre a Gesù, e Maria in ogni tentazione".
"Raccomando
similmente in Missione la purità d'intenzione, l'ubbidienza, ed abbracciarsi
ognuno que' impieghi, ne' quali l'amor proprio non ci trova del suo. State
attenti ad offerire a Dio, non solo quelle fatiche, che piacciono, Prediche,
Esercizj, ec. ma anche quelle che dispiacciono, e che non vi sia ha del genio,
come Dottrina, Rosarj, sentimenti, confessare uomini, infermi, vecchi, ecc. qui
sta il merito. Perciò raccomando a tutti una rigorosa ubbidienza, e l'obbligo a
tutti i Superiori delle Missioni a darmi notizia di tutti que' Soggetti, che
lor facessero qualche disubbidienza notabile. Voglio che il Superiore delle
Missioni, sia ubbidito, come sarei ubbidito io, fossi presente".
"Questo che
impongo per le Missioni, l'impongo ancora per tutti gli esercizj, che si
faranno nelle Case, così per li Forestieri che per la Comunità".
"Fratelli miei,
soggiunse, se ci portiamo bene, Dio ci mantiene, se no, certamente ci
distruggerà. A me non tanto dispiace quando alcun Soggetto sta infermo, o pure
lascia la Congregazione: dico buon viaggio; ma quando li Fratelli miei fanno
difetti, e specialmente di disubbidienza o contro la povertà allora mi sento
squarciare il cuore".
Finalmente conchiude.
"Benedico tutti uno per uno. Pregate per la persecuzione che passiamo, la
quale ora sta in maggior fuoco; ma spero a Gesù Cristo, ed a Mamma Maria, che
non ci abbandonino. Preghi ognuno ogni giorno per me, per la morte che mi sta
vicina, mentre io non fo altro, che pregare sempre per voi, che vi stimo assai
più di tutti i miei Parenti. Siate benedetti, e siano benedette le vostre
fatiche, che farete nelle Case, e nelle Missioni".
Ritirato in Congregazione troppo
benevolo Alfonso sperimentò in se il Santo Padre Pio VI. Spedendosegli le Bolle
della Pensione, memore il Papa de' di lui meriti colla Chiesa, volle che
graziosamente se gli mandassero. La grande stima che ha la Santità di nostro
Signore di V. S. Illustrissima, e Reverendissima, così l'Eminentissimo
Castelli, lo ha mosso a condonarle l'intera spesa dovuta alla componenda, per
la spedizione delle Bolle.
Tutto
è poco, disse il Papa, per Monsignor Liguori. - 7 -
Vi erano oltre ciò scudi
cento e cinque, che somministrar egli dovea a Monsignor Rossi suo successore; e
che questi ritener dovevaseli nella scadenza del primo termine della Pensione.
Anche in questo favorirlo il Papa. Per grazia specialissima di Nostro Signore
(così nel primo di Settembre il suo Agente D. Melchiorre Terragnoli) tale somma
li è stata condonata.
Era così preso per Alfonso il S. Padre
Pio VI, che, per dir così, andava in cerca delle occasioni, per contestargli,
co' segni di sua beneficenza, l'alta stima, che di lui ne aveva.
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