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Cap.2
Tenor di vita di Alfonso in Nocera.
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Se ammirabile, e
laboriosa fu la vita di Alfonso in Arienzo, meno ammirabile, e meno faticosa
non fu in Nocera. Credeva egli godere qualche respiro; ma se sgravato si vide
dal peso del Vescovado, aggravato restò da quello della Congregazione. Ove
prima il Governo era diviso tra esso, e 'l P. Villani, e non ricorrevasi da
lui, che per cosa di maggior momento, ritirato in Nocera per esso non vi fu
riposo. Tutti facevano capo dal comun Padre; ed egli ancorché agonizzasse, non
mancava consolar tutti.
"Sperava venire a
sollevarmi in Nocera, così al P. Majone a' 26. Gennaro 1776., ma son venuto a
provare mille spine in questa casa, che non mi lasciano riposare. Sempre sia
benedetto Iddio.
Tengo la testa ruinata,
e bisogna tener sempre vicino un panno bagnato, per evitare qualche vertigine,
o mancamento di testa per tante lettere, che ho da scrivere. Dirà V. R. che
sarebbe meglio che io non scrivessi più lettere, ma che ho da fare? Mi ritrovo
Superiore: se non fossi superiore lascerei fare agli altri; ma trovandomi
Superiore, mi viene lo scrupolo, se lascio di scrivere qualche lume, che Dio mi
da (mentre Dio dà certi lumi a' Superiori, che non li dà agli altri); e questo
pensiere mi fa scrivere tante lettere".
Troppo abbattuta
ritrovò Alfonso, per gli attuali travagli, la sua Congregazione; ed in tanti
mancarvi quella fermezza di spirito, che da prima si aveva. La gragnuola, se
non spianta la vigna, te la malmena; e tante viti mancate di frutto, che
portato l'avrebbero in ciel sereno. Le vicende della persecuzione; e quel
timore di vedersi i Soggetti discacciati dalle case da un giorno all'altro,
dava da pensare ad ognuno. Se non lasciavasi la Congregazione, vi si viveva con
pena; e tanti, e non erano pochi, chi pensava ad una situazione, e chi ad un
altra. Piaga troppo profonda faceva nel cuore di Alfonso questo dissanimamento.
Sin da che vi giunse, altro non fece che rincorar tutti - 8 -
colla protezione di Dio, e col patrocinio di Maria
Santissima.
"Le persecuzioni,
ei diceva, sono per le opere di Dio,
come sono nell'inverno i geli alle piante, che anzi che nuocere, loro giovano
per profondare le radici, e renderle maggiormente fruttuose. Il solo verme è quello
che può nuocere alle piante. I vermi, che noi evitar dobbiamo sono i difetti, e
le volontarie mancanze. Leviamo i difetti, che Iddio non mancherà proteggerci.
Non facciamo castelli in aria. Tutti sono inganni del Demonio, per non farci
prezzare la vocazione. A me fa più senso una inosservanza, che cento
persecuzioni. Baciamo le mura della cella; e quanto più ci vediamo
perseguitati, tanto maggiormente stringiamoci con Gesù Cristo".
Ogni Sabbato, così
stroppio qual era, non lasciava trascinarsi in Cappella per il Capitolo delle
colpe, sermocinare, ed animare i suoi alla maggior perfezione. Con zelo metteva
avanti agli occhi gli obblighi della regola, e le particolari virtù, e ne
rinvangava anche le menome circostanze: "Che ci facciamo in Congregazione,
disse un giorno, se non ci facciamo santi. Questo intento ha avuto Iddio
strappandoci dal Mondo, la nostra santificazione: se non ci voleva santi,
lasciato ci avrebbe in mezzo a' pericoli". Rilevava di continuo, come fine
dell'Istituto, il zelo per le Anime. Soprattutto raccomandava non tradire nel
pulpito il proprio impiego, con frasi non dovute al ministero apostolico.
Un Sabbato, tra gli
altri, si dilatò su questo particolare. "Ho inteso, disse, che fate de'
Panegirici. Vi compatisco, perché siete poveri; ma levate questo nome di
Panegirici. Chiamateli Discorsi, Sermoni, e dite a chi v'invita, noi non
facciamo Panegirici. Che se ne cava, e chi li capisce , se si fanno come corre
la moda. Chiamateli Discorsi; e fate che la plebe s'innamori delle virtù del Santo".
Mi disse il P. Cajone, ch'era presente, che parlò con tal fuoco su questo
particolare, e con tanto zelo, che ognuno si restrinse in se stesso.
Avendo voto di
promuovere, e predicare ogni Sabbato le Glorie di Maria Santissima, esponendosi
tra di noi alla pubblica venerazione Gesù Sacramentato, egli che ardeva veder
onorati la Madre, ed il Figlio, non mancò il Sabbato susseguente al suo arrivo
calare in Chiesa coadjuvato del Fratello Laico, e dal Servidore che
l'assisteva, ne vi volle poco per situarlo sulla cattedra.
Il Popolo in vederlo, (e vi fu concorso straordinario, in sentirsi che
Monsignore predicava) diede in un misto di pianto, e di allegrezza. Compassione
in vedere non un Uomo, ma un sacco di ossa: Allegrezza vedendosi verificare,
che tra' di loro era per morire: Predicò da sano; ne lasciò inseguito, con suo
non poco strapazzo, calarvi ogni Sabbato, e promuovere divozione, e tenerezza
per la divina Madre, ed amore, ed ossequio per Gesù Sacramentato. Guardingo per
la santa Castità, vedendosi accerchiato - 9 -
dal Popolo, calando in
Chiesa, e non volendosi farsi baciare la mano dalle donne, avvolgersele nel
fazzoletto.
Siccome in Arienzo,
così vedevasi in Nocera un continuato concorso di persone di riguardo, non che
di Preti, e Regolari, per dipendere da' suoi consigli. Non eravi Vescovo, che
portandosi, o ritornando da Napoli, che non fosse a communicarli i bisogni
suoi, e quelli della Diocesi. Monsignor Guttilier Confessore della Regina, e
Monsignor Sanseverino Confessore del Rè, presso spesso vedevansi anch'essi, per
profittare de' suoi detti.
Visitato da Monsignor
Rossi suo successore in S. Agata, non mancò illuminarlo, come evitar il male, e
far del bene in quella Diocesi. Dissi, che raccomandolli tra l'altro il
disinteresse. Non vi è cosa più obbrobriosa nel Vescovo, ei diceva, quanto
l'avarizia.
Dame, e Cavalieri anche
vedevasi in Nocera. Tra le altre erano da lui la Duchessa del Bovino, la Sforza
Cesarini, la Caracciola, la Principessa di Palma, oltre tante altre. Ometto
Ministri e Togati, ma non merita attrasso il Marchese Avena Consiglier del Re,
e Ministro della Real Camera di S. Chiara. Questi, per lo meno, due e tre volte
l'anno era a conferire con esso i suoi spirituali bisogni, e cioché
interessavalo nella carica.
Evvi ne' Pagani, o sia
nella Città di Nocera, nommen florida, che zelante Congregazione di Sacerdoti,
che avendo a cuore l'onore di Dio, e la salvezza delle Anime, impegnati si
veggono nel ministero Apostolico. Chiamati escono in missione; esercitati si
veggono, oltre de' Quaresimali, nello spezzare in ogni tempo il pane della
divina parola, ne mancano giornalmente al confessionale. Divoti questi anzi
ammiratori delle virtù di Alfonso, spesso lo volevano nella loro adunanza per
infervorarsi coi suoi sermoni nell'esercizio delle virtù. Gli compiaceva
Alfonso, e vi ci portava con sua soddisfazione. Anch'io, disse un giorno,
insinuando cautela per la santa Purità, ancorché vecchio, e decrepito, pure nel
venire da S. Michele qui, sono costretto venire con gli occhi bassi per non
avere tentazioni contro la Purità. Taluni vogliono andare cogl'occhi aperti, e
poi si lagnano che sono tentati.
Non potevano le
Claustrali lasciarlo in pace. Richiesto,
non mancava portarsi di tempo in tempo, e renderle consolate con qualche sermone.
Bastava vederlo, per compungersi. Colla sola sua presenza, giunto in Nocera,
ottenne nel Conservatorio, detto il Carminello, quello, che ottener non
potettero più Confessori. Grave scissura vi era tra' due Religiose. Una di
queste al solo vederlo così mal ridotto, e pieno di zelo, si umilia, si
compunge; ed entrata in se, va a buttarsi ai piedi dell'altra; e l'un l'altra
cercandosi scusa del trascorso, si abbracciano, e si uniscono in carità.
Doppiamente in un altro
giorno rese consolate le Religiose, e quella - 10 -
Madre Priora. Essendoseli questa presentata, se li fe
a dire, volerla aver presente nelle sue orazioni, ritrovandosi travagliata da
un tumore scirroso nella mammella sinistra; e tale, che i Medici ne
disperavano. Monsignore animandola al patire, ancorché infracidi, le disse,
non ti dar pena: mettiti in mano a Dio, e stringiti col Crocefisso, mentre così
darai gusto a Gesù - Cristo, e soffrirai minor pena.
Ritirato in casa, e non soffrendoli il cuore vederla patire, inviandole una
boccia di semplice acqua, le mandò dicendo, che con quella si fosse bagnata.
Non tanto se ne bagnò la Priora, che sparito si vide il tumore, con
consolazione sua, e di tutte le Religiose.
Non fu meno ammirabile la sua povertà in
Nocera, di quella lo fu nel Vescovado. Povero visse da Vescovo, e più povero da
Congregato. Nelle sue due stanzine altro non rilevavasi, che povertà, e
miseria, ma tra queste vi signoreggiava amore, e tenerezza per Gesù
appassionato, e per Maria Santissima.
In una che destinò per oratorio
vedevasi su l'Altare il gran Crocefisso, che ricevuto avea in dono dal P. D.
Francesco Longobardi; ed a' piedi di quello una bellissima immagine di Maria
Santissima, con a fianco la Divina Pastora, ed un altra di Maria Santissima
collo Spirito Santo in petto. Avanti a questo gran Crocefisso vedevasi Alfonso
dalla mattina, fino a notte inchiodato sopra una sedia. Qui faceva le sue
divozioni, ed ivi occupavasi come sano nella tessitura delle sue opere.
Anche adornata era la
stanza d'Immagini di Germania, che in grande rappresentavano i varj misterj
della Passione, come Gesù all'orto, ligato e flaggellato, coronato di spine e
deriso, Crocefisso e deposto dalla Croce; vale a dire che ovunque volgevasi
oggetti ritrovava che in lui eccitar potevano amore, e tenerezza verso Gesù
appassionato.
Nuda vedevasi la
stanza, e povera di ogni corredo. Tre, o quattro sedie di paglia erano per
comodo altrui; un misero tavolino avea d'innazi, ma basso, e rustico; e quella
sedia di appoggio che data gli fu per carità da' Canonici di Santagata. Questa
sedia, essendo vestita di vecchio dommasco, in Arienzo dovette soffrirla,
perché dal Vicario, e da altri così si volle. In Nocera questo dommasco, benché
lacero, era per Alfonso, credendo offendere la povertà, una gran spina; e non
una, ma più volte spiegossi col P. Villani non poterlo soffrire. Per quietarlo
spogliare si dovette la sedia, e vestirsi di sommacco.
Anche la stanza di
letto era intorniata di queste, e simili Immagini. Di fronte al letto eravi un
Immagine di Maria Addolorata, ed una rozza gran Croce. Altre immagini vedevansi
all'intorno di quella, tutte indicando i misteri della Passione, come Gesù
ligato alla colonna, colla Croce sulle spalle, e simili. A capo del letto oltre
l'immagini della - 11 -
Madonna
della Potenza, aveva quelle di S. Michele, di S. Margherita da Cortona, e del
Serafico S. Bonaventura da Potenza.
La Carrozza che usava,
e fu quella riportata da Arienzo, era così malridotta, ch pericolo vi era
lasciarlo in istrada. Essendosi portate in Nocera, come dirò, la Duchessa
Caracciolo, e quella di Bovino con D. Teresina sua nipote, facendo loro vedere
il Servidore Alessio la somma improprietà del legno, pregolle, che non mancando
al nipote D. Giuseppe qualche Carrozza vecchia, ce la facessero mandare. Così
Alfonso si vide in miglior arnese.
Non meno della carrozza
erano sforgiati i cavalli, perché canuti, spossati, e mal governati, passo non
davano che a stento. Un giorno essendo caduto uno di questi (lo che non sortiva
di raro) occorrendo il Servidore per rialzarlo, rizzandosi il cavallo, lo
strinse in faccia al muro. Infidato il Servidore, Monsignore, li disse, voi
avete fatto un decreto, ed io ne fò un altro: Se volete che vi servo o levate
la Carrozza, o vendetevi i cavalli.
Così i Medici, che il
P. Villani, vollero, per mantenerli la vita, che fatta avesse uso della
carrozza, e che almeno uscito fosse di casa qualche ora del giorno. Questo
sollievo, questa spesa per la carrozza
rincresceva estremamente ad Alfonso. Credendolo soverchio, e non necessario,
motivo non lasciava per capacitare i Medici, e disfarsene. Se volete farlo,
fatelo, li disse un giorno mezzo alterato il Medico D. Donato Antonio
Pignataro: Io in coscienza non mi fido dispensarvene; quando così volete, consigliatevi
con altri Medici. Questo tuono vi volle per capacitarlo.
Povero viveva Alfonso,
ma se tale per se, ricco lo era per i Poveri. Anche questi, non meno che in
Arienzo, e Santagata, erano per esso la porzione più cara. Volle, ed
incaricavalo spesso al Fratello Francesco Antonio, che niun povero se ne
andasse scontento.
Toltone dalla pensione,
e da quello percepiva dal Collegio de' Dottori, il salario al Servidore,
Cocchiero, e mantenimento per i Cavalli, ed un tanto per il misero suo vitto,
tutto il dippiù era patrimonio de' Poveri. Oltre quello che davasi alla porta,
in atto che usciva, vi erano ancora l'elemosine secrete.
Mi attestò il fratello
Michele Ilardo, che ritrovandosi in grave bisogno in Napoli una Gentildonna, ed
esposto avendoli la propria necessità, in una sola volta n'ebbe ducati
cinquanta.
Vedendo impotente il
Servidore a poter situare una sua figlia per Conversa nel Monistero di S.
Agata, e quella desiderosa di monacarsi, somministrolli ducati cinquantasette.
Bisognoso il medesimo di sussidio, situando un altra figlia in matrimonio,
anche li diede altri ducati quaranta. Attesta il medesimo Servidore, che o
maturando la pensione, o capitando da Napoli la rata del Collegio, toltone per
esso, come ho detto - 12 -
il
puro necessario, tutto il di più non era impiegato che per i poveri. Esso
medesimo n'ebbe in più volte sopra ducati duecento.
Commovevalo il povero,
ma oltremodo intenerivalo, se afflitto e penante; ma quanto sensibile per
questi, altrettanto crudele egli era con se stesso. L'ardenza che aveva per
crocefiggersi stupir facea chiunque. Non considerandosi un sacco di ossa, e
così stroppio qual era, piangeva, ed istava di continuo col P. Villani, che non
faceva penitenza. Avrebbe voluto anch'esso disciplinarsi ne giorni tra di noi
stabiliti. L'avrebbe fatto. Ma come? Se le vette ci volevano per alzarlo, e
reggerlo in piede.
La lezione de' libri
santi, la meditazione, e la Preghiera, in Nocera più, che in Arienzo, erangli
così a cuore, che dir potevasi il suo vivere un continuo conversar con Dio. Con
istupore di ognuno intraprendente si vide non che gli atti tutti della
comunità; ma duplicavali di vantaggio.
La meditazione di per
tempo la mattina colle Ore Canoniche; Messa, e ringraziamento, precedente
apparecchio, con l'esame di coscienza prima di pranzo. Rifocillato che si era,
avendo preso un breve riposo, o sia rinvigorendo per poco la testa, susseguiva
la lettura su la vita di qualche Santo; e per lo più erano i Disinganni
Teresiani, e la solita Meditazione sulla Passione di Gesù Cristo.
La visita al
Venerabile, non contento della stanza, facendosi calare a braccia dal Fratello
assistente, e dal Servidore, facevala in Chiesa. Abitava esso nel terzo piano,
e non erano poche le grade, che far doveva nello scendere, e salire.
Passeggiera non era questa visita, ma trattenevasi le ore avanti il Venerabile.
Sonate le ventiquattro, ripigliava la Meditazione, e recitava coadiuvato da uno
de' nostri, il Mattutino.
Anche la Via Crucis,
che in ispirito facevala in Arienzo, in Nocera facevala, ma con comune
ammirazione, passando a stento le stazioni, ed era ben lungo il corridojo.
Prima di porsi a letto di nuovo chiamava ad esame la propria coscienza; e
facendo gli Atti Cristiani, recitar soleva col fratello Francesco Antonio le Litanie
della Vergine, con altre preci in onore de' Santi suoi Avvocati.
Questa fu la vita che Alfonso
intraprese, e che continuò in Nocera. Il dippiù della giornata, costante nel
non perdere tempo, applicavalo, ma senza respiro, o in leggere nuovi libri, che
da Napoli il capitavano in difesa della Chiesa contro i miscredenti, o in dare
alle stampe altre Opere, che ne' Popoli eccitar potevano pietà, e divozione.
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