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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap.2 Tenor di vita di Alfonso in Nocera.
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Cap.2

Tenor di vita di Alfonso in Nocera.

 


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Se ammirabile, e laboriosa fu la vita di Alfonso in Arienzo, meno ammirabile, e meno faticosa non fu in Nocera. Credeva egli godere qualche respiro; ma se sgravato si vide dal peso del Vescovado, aggravato restò da quello della Congregazione. Ove prima il Governo era diviso tra esso, e 'l P. Villani, e non ricorrevasi da lui, che per cosa di maggior momento, ritirato in Nocera per esso non vi fu riposo. Tutti facevano capo dal comun Padre; ed egli ancorché agonizzasse, non mancava consolar tutti.

"Sperava venire a sollevarmi in Nocera, così al P. Majone a' 26. Gennaro 1776., ma son venuto a provare mille spine in questa casa, che non mi lasciano riposare. Sempre sia benedetto Iddio.

Tengo la testa ruinata, e bisogna tener sempre vicino un panno bagnato, per evitare qualche vertigine, o mancamento di testa per tante lettere, che ho da scrivere. Dirà V. R. che sarebbe meglio che io non scrivessi più lettere, ma che ho da fare? Mi ritrovo Superiore: se non fossi superiore lascerei fare agli altri; ma trovandomi Superiore, mi viene lo scrupolo, se lascio di scrivere qualche lume, che Dio mi da (mentre Dio certi lumi a' Superiori, che non li agli altri); e questo pensiere mi fa scrivere tante lettere".

 

Troppo abbattuta ritrovò Alfonso, per gli attuali travagli, la sua Congregazione; ed in tanti mancarvi quella fermezza di spirito, che da prima si aveva. La gragnuola, se non spianta la vigna, te la malmena; e tante viti mancate di frutto, che portato l'avrebbero in ciel sereno. Le vicende della persecuzione; e quel timore di vedersi i Soggetti discacciati dalle case da un giorno all'altro, dava da pensare ad ognuno. Se non lasciavasi la Congregazione, vi si viveva con pena; e tanti, e non erano pochi, chi pensava ad una situazione, e chi ad un altra. Piaga troppo profonda faceva nel cuore di Alfonso questo dissanimamento. Sin da che vi giunse, altro non fece che rincorar tutti


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colla protezione di Dio, e col patrocinio di Maria Santissima.

"Le persecuzioni, ei diceva,  sono per le opere di Dio, come sono nell'inverno i geli alle piante, che anzi che nuocere, loro giovano per profondare le radici, e renderle maggiormente fruttuose. Il solo verme è quello che può nuocere alle piante. I vermi, che noi evitar dobbiamo sono i difetti, e le volontarie mancanze. Leviamo i difetti, che Iddio non mancherà proteggerci. Non facciamo castelli in aria. Tutti sono inganni del Demonio, per non farci prezzare la vocazione. A me fa più senso una inosservanza, che cento persecuzioni. Baciamo le mura della cella; e quanto più ci vediamo perseguitati, tanto maggiormente stringiamoci con Gesù Cristo".

 

Ogni Sabbato, così stroppio qual era, non lasciava trascinarsi in Cappella per il Capitolo delle colpe, sermocinare, ed animare i suoi alla maggior perfezione. Con zelo metteva avanti agli occhi gli obblighi della regola, e le particolari virtù, e ne rinvangava anche le menome circostanze: "Che ci facciamo in Congregazione, disse un giorno, se non ci facciamo santi. Questo intento ha avuto Iddio strappandoci dal Mondo, la nostra santificazione: se non ci voleva santi, lasciato ci avrebbe in mezzo a' pericoli". Rilevava di continuo, come fine dell'Istituto, il zelo per le Anime. Soprattutto raccomandava non tradire nel pulpito il proprio impiego, con frasi non dovute al ministero apostolico.

Un Sabbato, tra gli altri, si dilatò su questo particolare. "Ho inteso, disse, che fate de' Panegirici. Vi compatisco, perché siete poveri; ma levate questo nome di Panegirici. Chiamateli Discorsi, Sermoni, e dite a chi v'invita, noi non facciamo Panegirici. Che se ne cava, e chi li capisce , se si fanno come corre la moda. Chiamateli Discorsi; e fate che la plebe s'innamori delle virtù del Santo". Mi disse il P. Cajone, ch'era presente, che parlò con tal fuoco su questo particolare, e con tanto zelo, che ognuno si restrinse in se stesso.

 

Avendo voto di promuovere, e predicare ogni Sabbato le Glorie di Maria Santissima, esponendosi tra di noi alla pubblica venerazione Gesù Sacramentato, egli che ardeva veder onorati la Madre, ed il Figlio, non mancò il Sabbato susseguente al suo arrivo calare in Chiesa coadjuvato del Fratello Laico, e dal Servidore che l'assisteva, ne vi volle poco per situarlo sulla cattedra.
Il Popolo in vederlo, (e vi fu concorso straordinario, in sentirsi che Monsignore predicava) diede in un misto di pianto, e di allegrezza. Compassione in vedere non un Uomo, ma un sacco di ossa: Allegrezza vedendosi verificare, che tra' di loro era per morire: Predicò da sano; ne lasciò inseguito, con suo non poco strapazzo, calarvi ogni Sabbato, e promuovere divozione, e tenerezza per la divina Madre, ed amore, ed ossequio per Gesù Sacramentato. Guardingo per la santa Castità, vedendosi accerchiato 


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dal Popolo, calando in Chiesa, e non volendosi farsi baciare la mano dalle donne, avvolgersele nel fazzoletto.

 

Siccome in Arienzo, così vedevasi in Nocera un continuato concorso di persone di riguardo, non che di Preti, e Regolari, per dipendere da' suoi consigli. Non eravi Vescovo, che portandosi, o ritornando da Napoli, che non fosse a communicarli i bisogni suoi, e quelli della Diocesi. Monsignor Guttilier Confessore della Regina, e Monsignor Sanseverino Confessore del , presso spesso vedevansi anch'essi, per profittare de' suoi detti.

Visitato da Monsignor Rossi suo successore in S. Agata, non mancò illuminarlo, come evitar il male, e far del bene in quella Diocesi. Dissi, che raccomandolli tra l'altro il disinteresse. Non vi è cosa più obbrobriosa nel Vescovo, ei diceva, quanto l'avarizia.

Dame, e Cavalieri anche vedevasi in Nocera. Tra le altre erano da lui la Duchessa del Bovino, la Sforza Cesarini, la Caracciola, la Principessa di Palma, oltre tante altre. Ometto Ministri e Togati, ma non merita attrasso il Marchese Avena Consiglier del Re, e Ministro della Real Camera di S. Chiara. Questi, per lo meno, due e tre volte l'anno era a conferire con esso i suoi spirituali bisogni, e cioché interessavalo nella carica.

 

Evvi ne' Pagani, o sia nella Città di Nocera, nommen florida, che zelante Congregazione di Sacerdoti, che avendo a cuore l'onore di Dio, e la salvezza delle Anime, impegnati si veggono nel ministero Apostolico. Chiamati escono in missione; esercitati si veggono, oltre de' Quaresimali, nello spezzare in ogni tempo il pane della divina parola, ne mancano giornalmente al confessionale. Divoti questi anzi ammiratori delle virtù di Alfonso, spesso lo volevano nella loro adunanza per infervorarsi coi suoi sermoni nell'esercizio delle virtù. Gli compiaceva Alfonso, e vi ci portava con sua soddisfazione. Anch'io, disse un giorno, insinuando cautela per la santa Purità, ancorché vecchio, e decrepito, pure nel venire da S. Michele qui, sono costretto venire con gli occhi bassi per non avere tentazioni contro la Purità. Taluni vogliono andare cogl'occhi aperti, e poi si lagnano che sono tentati.

 

Non potevano le Claustrali lasciarlo in  pace. Richiesto, non mancava portarsi di tempo in tempo, e renderle consolate con qualche sermone. Bastava vederlo, per compungersi. Colla sola sua presenza, giunto in Nocera, ottenne nel Conservatorio, detto il Carminello, quello, che ottener non potettero più Confessori. Grave scissura vi era tra' due Religiose. Una di queste al solo vederlo così mal ridotto, e pieno di zelo, si umilia, si compunge; ed entrata in se, va a buttarsi ai piedi dell'altra; e l'un l'altra cercandosi scusa del trascorso, si abbracciano, e si uniscono in carità.

 

Doppiamente in un altro giorno rese consolate le Religiose, e quella


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Madre Priora. Essendoseli questa presentata, se li fe a dire, volerla aver presente nelle sue orazioni, ritrovandosi travagliata da un tumore scirroso nella mammella sinistra; e tale, che i Medici ne disperavano. Monsignore animandola al patire, ancorché infracidi, le disse, non ti dar pena: mettiti in mano a Dio, e stringiti col Crocefisso, mentre così darai gusto a Gesù - Cristo, e soffrirai minor pena.
Ritirato in casa, e non soffrendoli il cuore vederla patire, inviandole una boccia di semplice acqua, le mandò dicendo, che con quella si fosse bagnata. Non tanto se ne bagnò la Priora, che sparito si vide il tumore, con consolazione sua, e di tutte le Religiose.

 

 Non fu meno ammirabile la sua povertà in Nocera, di quella lo fu nel Vescovado. Povero visse da Vescovo, e più povero da Congregato. Nelle sue due stanzine altro non rilevavasi, che povertà, e miseria, ma tra queste vi signoreggiava amore, e tenerezza per Gesù appassionato, e per Maria Santissima.

In una che destinò per oratorio vedevasi su l'Altare il gran Crocefisso, che ricevuto avea in dono dal P. D. Francesco Longobardi; ed a' piedi di quello una bellissima immagine di Maria Santissima, con a fianco la Divina Pastora, ed un altra di Maria Santissima collo Spirito Santo in petto. Avanti a questo gran Crocefisso vedevasi Alfonso dalla mattina, fino a notte inchiodato sopra una sedia. Qui faceva le sue divozioni, ed ivi occupavasi come sano nella tessitura delle sue opere.

Anche adornata era la stanza d'Immagini di Germania, che in grande rappresentavano i varj misterj della Passione, come Gesù all'orto, ligato e flaggellato, coronato di spine e deriso, Crocefisso e deposto dalla Croce; vale a dire che ovunque volgevasi oggetti ritrovava che in lui eccitar potevano amore, e tenerezza verso Gesù appassionato.

 

Nuda vedevasi la stanza, e povera di ogni corredo. Tre, o quattro sedie di paglia erano per comodo altrui; un misero tavolino avea d'innazi, ma basso, e rustico; e quella sedia di appoggio che data gli fu per carità da' Canonici di Santagata. Questa sedia, essendo vestita di vecchio dommasco, in Arienzo dovette soffrirla, perché dal Vicario, e da altri così si volle. In Nocera questo dommasco, benché lacero, era per Alfonso, credendo offendere la povertà, una gran spina; e non una, ma più volte spiegossi col P. Villani non poterlo soffrire. Per quietarlo spogliare si dovette la sedia, e vestirsi di sommacco.

 

Anche la stanza di letto era intorniata di queste, e simili Immagini. Di fronte al letto eravi un Immagine di Maria Addolorata, ed una rozza gran Croce. Altre immagini vedevansi all'intorno di quella, tutte indicando i misteri della Passione, come Gesù ligato alla colonna, colla Croce sulle spalle, e simili. A capo del letto oltre l'immagini della


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Madonna della Potenza, aveva quelle di S. Michele, di S. Margherita da Cortona, e del Serafico S. Bonaventura da Potenza.

 

La Carrozza che usava, e fu quella riportata da Arienzo, era così malridotta, ch pericolo vi era lasciarlo in istrada. Essendosi portate in Nocera, come dirò, la Duchessa Caracciolo, e quella di Bovino con D. Teresina sua nipote, facendo loro vedere il Servidore Alessio la somma improprietà del legno, pregolle, che non mancando al nipote D. Giuseppe qualche Carrozza vecchia, ce la facessero mandare. Così Alfonso si vide in miglior arnese.

Non meno della carrozza erano sforgiati i cavalli, perché canuti, spossati, e mal governati, passo non davano che a stento. Un giorno essendo caduto uno di questi (lo che non sortiva di raro) occorrendo il Servidore per rialzarlo, rizzandosi il cavallo, lo strinse in faccia al muro. Infidato il Servidore, Monsignore, li disse, voi avete fatto un decreto, ed io ne un altro: Se volete che vi servo o levate la Carrozza, o vendetevi i cavalli.

 

Così i Medici, che il P. Villani, vollero, per mantenerli la vita, che fatta avesse uso della carrozza, e che almeno uscito fosse di casa qualche ora del giorno. Questo sollievo,  questa spesa per la carrozza rincresceva estremamente ad Alfonso. Credendolo soverchio, e non necessario, motivo non lasciava per capacitare i Medici, e disfarsene. Se volete farlo, fatelo, li disse un giorno mezzo alterato il Medico D. Donato Antonio Pignataro: Io in coscienza non mi fido dispensarvene; quando così volete, consigliatevi con altri Medici. Questo tuono vi volle per capacitarlo.

 

Povero viveva Alfonso, ma se tale per se, ricco lo era per i Poveri. Anche questi, non meno che in Arienzo, e Santagata, erano per esso la porzione più cara. Volle, ed incaricavalo spesso al Fratello Francesco Antonio, che niun povero se ne andasse scontento.

Toltone dalla pensione, e da quello percepiva dal Collegio de' Dottori, il salario al Servidore, Cocchiero, e mantenimento per i Cavalli, ed un tanto per il misero suo vitto, tutto il dippiù era patrimonio de' Poveri. Oltre quello che davasi alla porta, in atto che usciva, vi erano ancora l'elemosine secrete.

Mi attestò il fratello Michele Ilardo, che ritrovandosi in grave bisogno in Napoli una Gentildonna, ed esposto avendoli la propria necessità, in una sola volta n'ebbe ducati cinquanta.

Vedendo impotente il Servidore a poter situare una sua figlia per Conversa nel Monistero di S. Agata, e quella desiderosa di monacarsi, somministrolli ducati cinquantasette. Bisognoso il medesimo di sussidio, situando un altra figlia in matrimonio, anche li diede altri ducati quaranta. Attesta il medesimo Servidore, che o maturando la pensione, o capitando da Napoli la rata del Collegio, toltone per esso, come ho detto


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il puro necessario, tutto il di più non era impiegato che per i poveri. Esso medesimo n'ebbe in più volte sopra ducati duecento.

 

Commovevalo il povero, ma oltremodo intenerivalo, se afflitto e penante; ma quanto sensibile per questi, altrettanto crudele egli era con se stesso. L'ardenza che aveva per crocefiggersi stupir facea chiunque. Non considerandosi un sacco di ossa, e così stroppio qual era, piangeva, ed istava di continuo col P. Villani, che non faceva penitenza. Avrebbe voluto anch'esso disciplinarsi ne giorni tra di noi stabiliti. L'avrebbe fatto. Ma come? Se le vette ci volevano per alzarlo, e reggerlo in piede.

 

La lezione de' libri santi, la meditazione, e la Preghiera, in Nocera più, che in Arienzo, erangli così a cuore, che dir potevasi il suo vivere un continuo conversar con Dio. Con istupore di ognuno intraprendente si vide non che gli atti tutti della comunità; ma duplicavali di vantaggio.

La meditazione di per tempo la mattina colle Ore Canoniche; Messa, e ringraziamento, precedente apparecchio, con l'esame di coscienza prima di pranzo. Rifocillato che si era, avendo preso un breve riposo, o sia rinvigorendo per poco la testa, susseguiva la lettura su la vita di qualche Santo; e per lo più erano i Disinganni Teresiani, e la solita Meditazione sulla Passione di Gesù Cristo.

La visita al Venerabile, non contento della stanza, facendosi calare a braccia dal Fratello assistente, e dal Servidore, facevala in Chiesa. Abitava esso nel terzo piano, e non erano poche le grade, che far doveva nello scendere, e salire. Passeggiera non era questa visita, ma trattenevasi le ore avanti il Venerabile. Sonate le ventiquattro, ripigliava la Meditazione, e recitava coadiuvato da uno de' nostri, il Mattutino.

Anche la Via Crucis, che in ispirito facevala in Arienzo, in Nocera facevala, ma con comune ammirazione, passando a stento le stazioni, ed era ben lungo il corridojo. Prima di porsi a letto di nuovo chiamava ad esame la propria coscienza; e facendo gli Atti Cristiani, recitar soleva col fratello Francesco Antonio le Litanie della Vergine, con altre preci in onore de' Santi suoi Avvocati.

 

Questa fu la vita che Alfonso intraprese, e che continuò in Nocera. Il dippiù della giornata, costante nel non perdere tempo, applicavalo, ma senza respiro, o in leggere nuovi libri, che da Napoli il capitavano in difesa della Chiesa contro i miscredenti, o in dare alle stampe altre Opere, che ne' Popoli eccitar potevano pietà, e divozione.




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