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Cap. 5
Altra opera che Alfonso da alle stampe tra questi
tanti dissapori, in beneficio della Chiesa, e delle anime.
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Ancorché così oppresso
Alfonso nel corpo e nello spirito, sempre però presente a se stesso, come
avanzavali spezzone di tempo, impiegarlo non lasciava in salute delle Anime, ed
in vantaggio della Religione. Così sereno di mente era egli, anche in questi e
così gravi travagli, che sembrava non esser egli contraddetto e la
Congregazione, e che altri, e non esso ne fosse interessato. Dati i ripari
opportuni, che la prudenza dettava; e fissato avendo in Dio l'ancora della
confidenza, comunque ingrossava la tempesta, egli tranquillo nel seno di Dio
riposava, e davasi pace.
Terminata l'opera della
Vittoria de' Martiri, altra ne
intraprese non meno interessante. Non mancando taluni miscredenti, volendo fare
gli Spiriti forti, spacciar per favole tante cose della Vita Eterna, come la
Risurrezione de' Morti, il Giudizio, l'Inferno, ed altro, contro di questi nel
1776. si armò Alfonso con nove
Dissertazioni Teologico - Morali.
Egli rileva, colle
Scritture, co' PP., e co' Teologi alla mano, le particolari circostanze di ogni
Dogma. Tratta del Giudizio particolare , del Purgatorio, dell'Anticristo,
specifica i segni della fine del Mondo, individua le circostanze della
Risurrezione, e del Giudizio universale. Così tratta dello stato del Mondo dopo
il Giudizio, quello de' dannati, e lo stato de' Beati. Ma in quello del
Giudizio universale parla de' Bambini morti senza battesimo; essendoci stata
persona, che volevoli salvi per la fede de' Parenti. Restringe il tutto in un
tometto in lingua Italiana, affinché andato fosse tra le mani di tutti, ed
anche capito da' mediocri talenti.
Non finisce ammirare in
quest'Opera il Canonico D. Salvatore Ruggiero la pietà e lo zelo di Alfonso
sempre più impegnato, in voler istruire, e dirozzare il popolo co' suoi
scritti: Summa nunquam satis laudati
Episcopi pietas, ac praesertim ferventissimum Christianae plebis constituendae
studium, notiora sunt, quam ne monitore indigeant. Non potendo impiegarsi,
ei dice, colla voce, perché vecchio, e così mal concio, per l'altrui salute, si
sforza farlo comunque può colla penna: Cum
per aetatis, adversaeque valetudinis incommoda, voce, ac praesentia proximorum
saluti incumbere non possit, scriptis utrumque prospicere contendat.
Per quest'Opera
sostenne Alfonso in Napoli qualche contraddizione dal Revisore Ecclesiastico.
Parlando egli della Carità verso Dio, nella Dissertazione IX., sosteneva non
esservi differenza tra l'amore de' Beati, e quello delle Anime viatrici. Godeva
egli di questa sentenza di S. Tommaso, - 23 -
ed aveva a cuore promuoverla tra fedeli per un maggior conforto alle Anime
buone. Essendosi opposto in questo, sentendola altrimenti il Revisore, Alfonso
non mancò difendersi.
"Quando la proposizione
dell'Autore, così egli al medesimo, può spiegarsi in buon senso, perché si ha
da ributtare? Ella dice non essere lo stesso l'amore dell'Anima viatrice, che
quella dell'Anima beata. Io niuno ho trovato che tratta questo punto più
distintamente del P. Suarez. Questi asserisce essere sentenza comune de'
Teologi col Maestro delle Sentenze, e con S. Tommaso, che la Carità della via è
la stessa, che quella della patria; poiché l'oggetto formale dell'amore, che è
la Divina Bontà cognita supernaturalmente, è lo stesso per le Anime che sono
viatrici, e che sono beate. Mi si oppone, che la Carità si perfeziona in cielo.
Rispondo, che si perfeziona nel cielo la Carità accidentale, ma la Carità
sostanziale è la stessa, perché l'oggetto formale dell'amore ch'è Dio, è lo
stesso".
Avendo maggiormente
assodata la sua opinione con varie autorità di S. Tommaso, soggiunse: "La
perfezione sostanziale dell'amore non consiste che nella adesione dell'Anima a
Dio: la perfezione poi accidentale sta nell'intenzione, e nella depurazione de'
difetti. "Facendo uso però di sua umiltà, per togliere tutti gli equivoci,
cambiò quel passo, ed è come già si legge nella medesima Opera. Soggiunge, e
dice: Mi pare che posto così, non vi sono più equivoci. Del resto se volessimo
indicare tutti gli equivoci, che possono prendersi in mala parte, anche negli
Autori più cordati, vi si troverebbero mille proposizioni, che non potrebbero
passare".
Altro intoppo si
rinvenne nella Dissertazione VI. Entra egli nell'indagine, parlando de' bambini
morti senza battesimo, se oltre l'essere esclusi dal Cielo, anche patiranno nel
finale Giudizio la pena del senso, e quella del danno.
Accenna Alfonso
l'opinione di S. Tommaso, cioè che esenti saranno questi dall'una, e
dall'altra; l'accenna, e non la convalida, sostenendo l'opposto con S.
Agostino. Parlando di S. Tommaso scrive:
è di parere; e parlando di S. Agostino scrive: fortemente sostiene.
Il Revisore altro che fortemente,
voleva che fondatamente si fosse scritto. Questo fu tutto l'incaglio. "Io
avea scritto, così egli al Revisore, S. Agostino sostiene fortemente l'opposto,
VS. Illustrissima ha mutato, fondatamente lo dimostra. Io non ho voluto
difendere la sentenza di S. Tommaso, che perciò semplicemente l'ho buttata
senza ragioni, e senza neppure accennare le tante altre autorità de' SS. PP.
che la difendono, e tutte le difficoltà opposte per la sentenza di S. Agostino.
Il volermi far dire,
che S. Agostino dimostra l'opposto, è lo stesso che volermi far impugnare S.
Tommaso, e dire, che la sentenza di S. Tommaso evidentemente è falsa; e, per
conseguenza, farmi dire - 24 -
una
tonda bugia, con dire un sentimento contrario a quello che sento, ma io son
pronto prima a perdere la testa, che a dire una bugia".
Troppo rispetto aveva
Alfonso per la dottrina di S. Tommaso. Soggiunge, e dice: "Ho pregato
perciò D. Benedetto Cervone volermi ottenere la moderazione di quella
proposizione, fondatamente dimostra;
altrimenti si potrà dire, che S. Agostino tiene
per certo, e sostiene per
ineluttabile la sua opinione. Prego a non volermi obbligare a dire una
bugia. Come posso dire, che S. Agostino la dimostra, quando io non posso
arrivare a persuadermi, che S. Tommaso tenga una sentenza falsa? Prego, è
supplico a non tenermi più angustiato. Si accostano due mesi, che patisco
quest'angustia".
Non si arrese il
Revisore; e non potendo egli portarsi in Napoli, e vedersela di persona, come
ne' suoi primi anni altre volte aveva fatto; né volendo darla per vinta,
chiedendo la mediazione del Canonico Simeoli, si rimise al parere di Monsignor
Arcivescovo.
"Tre volte gli ho
scritto, (vuol dire al Revisore) così egli al Simeoli, per la Dottrina di S.
Tommaso, che mi contrasta. Torno a dire, che io non voglio aggiustarmi, e
dipendere da lui: voglio dipendere dall'Arcivescovo, e farò quello, che
l'Arcivescovo mi comanderà. Questa dottrina di S. Tommaso si legge
pubblicamente in Napoli nel medesimo Collegio di S. Tommaso, ma il Signor N.
dice che non può passare. Basta; io farò quello, che mi comanderà
l'Arcivescovo. Impugnar S. Tommaso! Cosa che ha fatto stordire i Domenicani.
Bello spirito! "La sentenza di S. Tommaso non può passare! Chi lo dice? La
S. Chiesa? La S. Chiesa no, perché la Chiesa venera le dottrine di S. Tommaso.
Io voglio dipendere solo dall'Arcivescovo. Se vuole darmi altro Revisore, e se
vuol passare la dottrina di S. Tommaso, o non la vuol passare, io farò quello
che mi dice, ed avrò pazienza".
Con questa delicatezza esaminava
Alfonso le autorità de' Dottori: né mai per dir cosa, che non sentivala in
coscienza. Finì la briga, prevalendo tra i dotti il suo parere in favor di S.
Tommaso.
Un fascio vi sarebbe di
queste letterarie discettazioni, che grosso volume farebbe di materie
Teologiche, e troppo interessanti per queste controversie. Non curolle Alfonso;
ed oggetto sono per noi, e per li dotti di pianto, e di afflizione. Dando fuori
quest'opera, anch'esso Alfonso stede per vedersi all'infuori della vita.
"Io mi sento malamente, così al P. Cajone, nell'entrata del 1777., che non
posso né scrivere, né leggere. Un dolor di capo continuo mi travaglia, ed ho
lasciato ogni sorta di applicazione".
Congratulandosi con D. Benedetto Cervone, eletto
Vescovo dell'Aquila, V. S. Illustrissima
è passata, li scrisse, a stato di non
poter esser più Revisore delle mie Opere, giusto quando io son passato
all'inabilità di poter più stampare.
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