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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap.8 Somma confidenza di Alfonso tra il maggiore abbattimento de' nostri.
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Cap.8

Somma confidenza di Alfonso tra il maggiore abbattimento de' nostri.

 


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Se fu un fulmine la Relazione del Fiscale, che sgomentò tutti, non abbattette l'animo di Alfonso. I colpi grandi non sono riservati, che a' cuori magnanimi. Ognuno, senza che da me si ridica, comprende qual senso far poté ne' Congregati un voto così canino. Tutto per le Case fu lutto e costernazione. Sbigottiti i nostri non sapevano che fare, né che dire; ed in ogni Casa aspettavasi da un'all'altro momento il colpo fatale. Vedeansi così intrecciate le accuse, che gli stessi amici tra il Ministero, sgomentati anch'essi, non ci conoscevano difesa.

Accertato Alfonso del parere del Fiscale, non si smarrisce. "L'Opera di Dio, disse, egli è padrone di conservarla, o distruggerla, se vuole; e dando luogo alla confidenza, soggiunse: Così la sente il Fiscale, ma Iddio non la sentirà così. Son persuaso, e tengo di certo, che Gesù Cristo non mancherà proteggere quest'Opera, perché di gloria sua, e di tanto bene per le Anime: ed accrescendo la confidenza. Non diffido, disse, della Maestà del Re; e son sicuro, che non sarà per ammettere i sentimenti del Fiscale, conoscendo l'opera delle Missioni di tanto profitto a suoi vassalli".

 

Animato da questa confidenza, ricorre subito alla solita ancora; ove tra le tempeste tenevasi sicuro. Oltre l'essersi raccomandato alle orazioni di molte Anime divote, specialmente a' varj Monasterj di Sacre Vergini, così in Napoli, che nelle Provincie; volle che su tutte le Case intermesso non si fosse il Salmo Qui habitat: che proseguita si fosse in comune la disciplina il Lunedì, ed il digiuno il Sabbato in onore di Maria SS.. Inculcò a' Rettori, che soprattutto s'insistesse per l'osservanza di quelle medesime Regole prese per iscopo dall'inferno, e contraddette dal Fiscale.

Replicate limosine mandò alle Monache Cappuccinelle in Napoli, e replicate cere per esporsi, e pregarne Gesù Sagramentato in varj Eremi a' PP. Camaldolesi. Vedendosi aggravato ne' suoi acciacchi, "Vi prego, scrisse ai nostri in Frosinone, che preghiate il Signore per me, acciò mi faccia fare una buona morte. Ora mi vedo molto vicino, perché giorno per giorno mi va mancando la testa. Sia sempre benedetto il Signore. Per le cose nostre quì si spera, e si teme. Solo le orazioni ci possono molto giovare".

 

Molto non vi volle per vedersi divulgata, anche per le Provincie, la Relazione del Fiscale. Tronfanti i Contraddittori, poco mancò e non la ponessero nelle gazzette. Volarono le lettere a' loro corrispondenti, e dappertutto non parlavasi, che de' nostri delitti, e della nostra suppressione.


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Ne godevano i malintenzionati, e ne piangevano le persone cordate.

Pervenuta la notizia a' Vescovi, i più interessati non mancarono con varj attestati far presente al Sovrano l'onestà de' nostri Missionarj, la povertà in cui si viveva, il loro disinteresse, e soprattutto la subordinazione, che si aveva alle sovrane determinazioni, ed il gran bene, che col loro zelo operavano nelle Provincie. Si segnalarono tra gli altri Monsignor Volpe, Vescovo di Nocera, e Monsignor Pacelli, Vescovo di Bovino; i due Arcivescovi di Salerno, e Conza: così l'Eminentissimo Banditi, Arcivescovo di Benevento. Tutti contestarono il gran frutto, che da noi si operava; e che mancando la Congregazione nelle proprie Diocesi, mancava alle Anime l'unico mezzo, che si aveva per vantaggiarle nello spirito. Altrimenti non si spiegarono tanti e tanti altri Vescovi, ed Arcivescovi, con confusione nostra, ma maggiore de' nostri Contraddittori.

 

Come l'inferno adopravasi per veder dissipata la Congregazione, e distrutta, così Alfonso adopravasi a danno dell'inferno, e far che questa sussistesse, ed impegnata si vedesse in guadagnare Anime a Gesù Cristo. Queste Anime redente, ei diceva, debbono avvocare la nostra causa.

In questo tempo tra la fine del 1777. per tutto Maggio del 1778. oltre trentacinque fruttuose Missioni, che con soddisfazione de' Vescovi vennero fatte, e con sommo profitto de' Popoli, vi si diedero i Santi Esercizj ad otto Cleri, a sette Seminarj, e a diciannove Monasterj di Monache nelle Diocesi di Caserta, Aversa, Capua, Benevento, Cerreto, Avellino, Bari, Acerenza, e Matera. Così tanti tridui nel Carnovale, nelle Quarantore, e nelle Domeniche dell'Avvento, con applauso comune, e con frutto de' Popoli.

 

Non poteva la Provvidenza, in vista di tanti sudori sparsi per le Anime, non fare anch'essa i suoi sforzi, per sostenerci in faccia agli sforzi dell'Avvocato Fiscale, potevano andare a vuoto le lagrime di tanti, restarne defraudata la confidenza di Alfonso. Presentata al Re la Relazione nella prima Segreteria, Alfonso volendo evitar la Giunta degli Abusi, e fissata la causa nella Real Camera, non mancò supplicare, e con lettera raccomandarsi al nuovo primo Ministro il Marchese della Sambuca.

Interpose presso di questo anche l'Eminentissimo Branciforte, Vescovo di Girgenti, che ritrovavasi in Napoli, e Monsignor Filomarini, Vescovo di Caserta. "Vostra Eminenza ben potrebbe ottenerci questa grazia dal Signor Marchese, così a 21. di Febbrajo 1777. all'Eminentissimo Cardinale, la quale pare, che sia più giustizia, che grazia. Spero senza meno questo favore dalla pietà di Vostra Eminenza, prima che alla Relazione si dia camino diverso, che causar potrebbe la totale rovina della nostra povera Congregazione".

 

Si duole similmente col Cardinale della censura fatta alla sua


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Morale. "Per quanto ho potuto intendere, così egli, la Relazione è tutta a noi contraria. Tra l'altro si dice, che l'Opera della mia Teologia Morale è secondo la dottrina de' Gesuiti, e che tengo opinioni contro il bene dello Stato, e contro il Vangelo. La mia Morale, oltre essere stata approvata in Napoli dall'una e dall'altra Potestà, è stata ristampata sei volte; ed è stata ricevuta con applauso in Roma, nella Spagna, nella Germania, ed anche in Francia. Siccome ho io subodorato, si dimanda al Re nostro Signore, che essendo infetta di errori, debba vietarsi a tutt'i miei Congregati da me diretti, e che più non predichino, e non confessino, fintantocché la mia Morale non sia esaminata. In questo modo, ecco che resterebbero inutili così i miei Fratelli, che stanno qui in Napoli, come quelli che stanno in Girgenti".

 

Esaminandosi le Carte nella Real Segreteria, cadde da se la Relazione. Troppo patente si conobbe l'astiosità del Fiscale, e troppo venduto per li nostri nemici. Volendo il Re far giustizia ad Alfonso, dispacciò a 7. di Marzo 1777., che di nuovo i Processi rimessi si fossero in Camera Reale, ed ivi esaminata la Relazione. Credette con questo il Marchese della Sambuca farsi un merito con Alfonso, ed incontrandosi con il Marchese Filomarini, "Ho piacere, gli disse, aver servito Monsignor Liguori".

Respirò Alfonso in veduta di questa provvidenza, e consolato così scrisse in Frosinone al P. D. Francesco de Paola: "Io non fo altro che ringraziare Gesù, e Maria per tante grazie, che mi fanno in questi ultimi giorni. Sono stato quattro giorni con febbre per un catarro di petto, ma ora sto meglio, e senza febbre. Da Napoli abbiamo buone nuove per la causa con Sarnelli, perché è stata di nuovo rimessa alla Camera Reale, secondo la supplica da noi data; onde le cose hanno mutato faccia. Sempre sia benedetto Gesù, e Maria".

 

Questo rovescio, se rincorò i nostri, sgomentò i contrarj. Ove prima spacciavano dismessa la Congregazione, ed anche uscito il Dispaccio, smentiti si videro, ed abbattuti. "Il Dispaccio per la nostra dismissione, così Alfonso a' 21. Marzo a' nostri in Frosinone, è vera falsità sparsa dalla parte de' nostri contrarj, e voi anche spargete dappertutto, che la notizia avuta è vera bugia. Le cose sono andate ottime, essendo stata mandata in Camera Reale la Relazione del Fiscale a noi contraria".

Così si spiega scrivendo a' nostri in Sicilia: "Le cose di Napoli vanno bene: Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto: Benedictus Deus, qui facit mirabilia magna solus". Ed in quella a Frosinone soggiugne. "La maggior opposizione è contro la mia Morale; ma io ho fatto un lungo Scritto, ove rispondo chiaramente a tutte le false dottrine, che m'imputano".


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Oltre la difesa per la dottrina, in cui Alfonso si fa vedere Teologo, e Canonista; assumendo lo spirito di Causidico, senza lasciar quello di Gesù Cristo, formò un grosso scritto legale, e discarica tutte le accuse. "Io ancora, così a' 27. dello stesso mese al P. D. Francesco de Paola, ho dovuto fare uno scritto per la causa di più fogli, ed è miracolo come non mi è venuta una goccia". Fe senso in tutti quell'allegazione in età così decrepita, ed oltra del talento ammirossi la moderazione.

 

Varie lettere scrisse in questo frattempo a' Ministri della Real Camera. Rileva co' tutti l'ossequio suo, e de' suoi verso il Sovrano; pose in veduta la calunnia, e l'innocenza; ma se difese i suoi, non offese i Contraddittori. Questo è quello, che si ammirava nelle sue lettere, e questo istesso confondeva i Contraddittori, e disanimava gli Avvocati contrarj. Non potendosi negare la sua moderazione, scaggionava Alfonso, e caricavano i nostri. Avanzandosi il fuoco, ed essendo per chiamarsi la causa, scrisse, e cercò la mediazione anche di varj Signori della Corte.

Impegnò tra gli altri il Principe della Riccia, spiegandosi, che ne' termini di giustizia raccomandato ci avesse al Duca di Toritto. "V. E., scrisse, dovrebbe farci subito questa carità, e per tutto dimani, ch'è Lunedì, fargli capitare un biglietto, mentre Martedì si tratterà la causa. So la bontà di V. E. per la nostra povera perseguitata Congregazione; e dopo Dio, solo V. E. ci può ajutare".

Avendolo ringraziato per la commendatizia già fatta, gli rescrisse. "Prego V. E. che incontrandosi col medesimo, non lasci dirgli a voce di aver carità coi miei poveri Compagni, che fatigano, e fanno del bene per tutto il Regno, e sono poveri pezzenti, che non hanno pane, che basti. Fuori di V. E. noi non abbiamo chi ci possa difendere. Ajutando noi, ajutate migliaja di Anime della povera gente di campagna, per le quali noi fatighiamo".

 

Conoscendosi da' PP. che assistevano in Napoli quanto più di persona, che colle lettere, Alfonso avrebbe potuto giovare, non mancarono importunarlo per averlo nella Capitale. Queste premure affliggevano, e mettevano alle strette il povero vecchio.

"Chi mi vede nello stato miserabile, in cui presentemente mi ritrovo, così al P. Majone a' 2. Settembre, non credo, che avrebbe animo di dirmi, che venga in Napoli per visitare il Presidente, il Cardinale, Sambuca, e Paoletti. La mia venuta servirebbe solo per tirarmi una folla di ragazzetti, curiosi di sapere, se quello, che va in carrozza è morto, o vivo. Non occorre pensarci, perché non mi fido; né la mia venuta farebbe guadagnare la causa.

Col Presidente è meglio, che io non ci parli, perché dalla prima parola si mette a contraddirmi; Sambuca non farebbe altro,


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che guardare la mia stroppiatura di collo, e di tutta la persona; né potrebbe capirmi, perché poco posso accoppiar i sentimenti per la testa, che tengo rovinata, e malamente posso pronunziar le parole; dal Cardinale cosa mai di gran vantaggio potrei ricavarne?

Tutti belli pensieri: sono belli, ma sono pensieri: e soggiunge: Io sarei pronto a perdere la vita per la Congregazione, ma non per certe diligenze inutili, come io le stimo. Mettiamoci in mano di Dio, il quale saprà meglio di noi difendere questa causa, la quale è più sua che nostra".

 

Ancorché le cose si prevedessero prospere, non volle Alfonso, che per lo disbrigo si assistette in Camera. Il tempo, soleva dire, è galantuomo, e fa fare delle cose buone a chi è perseguitato. I contrarj per l'opposto volevano, e non volevano. Scabroso conoscendosi l'attentato, lor rincresceva l'azzardo.

Tuttavolta considerando di danno certo la dilazione, fremevano, che la causa chiamata si fosse, e disbrigata. Non è da credersi, essendosi prefisso il giorno, qual fuoco si accese, ed in quali smanie diedero il Barone, ed il Maffei. Non men di sette Avvocati si videro impegnati per assistere in Rota, e proclamare a nostro danno. Scala del Ministero non vi fu, che da questi frequentata non fosse. Il medesimo Fiscale, geloso dell'onor suo, anch'esso girava, e chiosar non mancava la sua così famosa Relazione.

 

Anche Alfonso non lasciò premonirsi per questa lugubre giornata; ma non moltiplicò Avvocati, e Procuratori. Altro espediente non prese, che rinforzare per le Case orazione, e penitenze. "Io cogli altri Padri in questi giorni, così a 29. di Giugno ai nostri in Caposele, a questo fine applichiamo la Messa: Voi altri almeno fate orazione". Si differì la parlata, e si differì per un pezzo, ma non si attrassarono preghiere, mortificazioni corporali, e sagrificii in tutte le Case della Congregazione.




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