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Cap.8
Somma confidenza di Alfonso tra il maggiore
abbattimento de' nostri.
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Se fu un fulmine la
Relazione del Fiscale, che sgomentò tutti, non abbattette l'animo di Alfonso. I
colpi grandi non sono riservati, che a' cuori magnanimi. Ognuno, senza che da
me si ridica, comprende qual senso far poté ne' Congregati un voto così canino.
Tutto per le Case fu lutto e costernazione. Sbigottiti i nostri non sapevano nè
che fare, né che dire; ed in ogni Casa aspettavasi da un'all'altro momento il
colpo fatale. Vedeansi così intrecciate le accuse, che gli stessi amici tra il
Ministero, sgomentati anch'essi, non ci conoscevano difesa.
Accertato Alfonso del
parere del Fiscale, non si smarrisce. "L'Opera di Dio, disse, egli è
padrone di conservarla, o distruggerla, se vuole; e dando luogo alla
confidenza, soggiunse: Così la sente il Fiscale, ma Iddio non la sentirà così.
Son persuaso, e tengo di certo, che Gesù Cristo non mancherà proteggere quest'Opera,
perché di gloria sua, e di tanto bene per le Anime: ed accrescendo la
confidenza. Non diffido, disse, della Maestà del Re; e son sicuro, che non sarà
per ammettere i sentimenti del Fiscale, conoscendo l'opera delle Missioni di
tanto profitto a suoi vassalli".
Animato da questa
confidenza, ricorre subito alla solita ancora; ove tra le tempeste tenevasi
sicuro. Oltre l'essersi raccomandato alle orazioni di molte Anime divote,
specialmente a' varj Monasterj di Sacre Vergini, così in Napoli, che nelle
Provincie; volle che su tutte le Case intermesso non si fosse il Salmo Qui habitat: che proseguita si fosse in
comune la disciplina il Lunedì, ed il digiuno il Sabbato in onore di Maria SS..
Inculcò a' Rettori, che soprattutto s'insistesse per l'osservanza di quelle
medesime Regole prese per iscopo dall'inferno, e contraddette dal Fiscale.
Replicate limosine
mandò alle Monache Cappuccinelle in Napoli, e replicate cere per esporsi, e
pregarne Gesù Sagramentato in varj Eremi a' PP. Camaldolesi. Vedendosi
aggravato ne' suoi acciacchi, "Vi prego, scrisse ai nostri in Frosinone,
che preghiate il Signore per me, acciò mi faccia fare una buona morte. Ora mi
vedo molto vicino, perché giorno per giorno mi va mancando la testa. Sia sempre
benedetto il Signore. Per le cose nostre quì si spera, e si teme. Solo le
orazioni ci possono molto giovare".
Molto non vi volle per
vedersi divulgata, anche per le Provincie, la Relazione del Fiscale. Tronfanti
i Contraddittori, poco mancò e non la ponessero nelle gazzette. Volarono le
lettere a' loro corrispondenti, e dappertutto non parlavasi, che de' nostri
delitti, e della nostra suppressione. - 36 -
Ne godevano i malintenzionati, e ne piangevano le persone cordate.
Pervenuta la notizia a'
Vescovi, i più interessati non mancarono con varj attestati far presente al
Sovrano l'onestà de' nostri Missionarj, la povertà in cui si viveva, il loro
disinteresse, e soprattutto la subordinazione, che si aveva alle sovrane
determinazioni, ed il gran bene, che col loro zelo operavano nelle Provincie.
Si segnalarono tra gli altri Monsignor Volpe, Vescovo di Nocera, e Monsignor
Pacelli, Vescovo di Bovino; i due Arcivescovi di Salerno, e Conza: così
l'Eminentissimo Banditi, Arcivescovo di Benevento. Tutti contestarono il gran
frutto, che da noi si operava; e che mancando la Congregazione nelle proprie
Diocesi, mancava alle Anime l'unico mezzo, che si aveva per vantaggiarle nello
spirito. Altrimenti non si spiegarono tanti e tanti altri Vescovi, ed
Arcivescovi, con confusione nostra, ma maggiore de' nostri Contraddittori.
Come l'inferno
adopravasi per veder dissipata la Congregazione, e distrutta, così Alfonso
adopravasi a danno dell'inferno, e far che questa sussistesse, ed impegnata si
vedesse in guadagnare Anime a Gesù Cristo. Queste Anime redente, ei diceva,
debbono avvocare la nostra causa.
In questo tempo tra la
fine del 1777. per tutto Maggio del 1778. oltre trentacinque fruttuose
Missioni, che con soddisfazione de' Vescovi vennero fatte, e con sommo profitto
de' Popoli, vi si diedero i Santi Esercizj ad otto Cleri, a sette Seminarj, e a
diciannove Monasterj di Monache nelle Diocesi di Caserta, Aversa, Capua,
Benevento, Cerreto, Avellino, Bari, Acerenza, e Matera. Così tanti tridui nel
Carnovale, nelle Quarantore, e nelle Domeniche dell'Avvento, con applauso
comune, e con frutto de' Popoli.
Non poteva la
Provvidenza, in vista di tanti sudori sparsi per le Anime, non fare anch'essa i
suoi sforzi, per sostenerci in faccia agli sforzi dell'Avvocato Fiscale, nè
potevano andare a vuoto le lagrime di tanti, nè restarne defraudata la
confidenza di Alfonso. Presentata al Re la Relazione nella prima Segreteria,
Alfonso volendo evitar la Giunta degli Abusi, e fissata la causa nella Real
Camera, non mancò supplicare, e con lettera raccomandarsi al nuovo primo
Ministro il Marchese della Sambuca.
Interpose presso di
questo anche l'Eminentissimo Branciforte, Vescovo di Girgenti, che ritrovavasi
in Napoli, e Monsignor Filomarini, Vescovo di Caserta. "Vostra Eminenza
ben potrebbe ottenerci questa grazia dal Signor Marchese, così a 21. di
Febbrajo 1777. all'Eminentissimo Cardinale, la quale pare, che sia più
giustizia, che grazia. Spero senza meno questo favore dalla pietà di Vostra
Eminenza, prima che alla Relazione si dia camino diverso, che causar potrebbe
la totale rovina della nostra povera Congregazione".
Si duole similmente col
Cardinale della censura fatta alla sua - 37 -
Morale. "Per quanto ho potuto intendere, così egli, la Relazione è
tutta a noi contraria. Tra l'altro si dice, che l'Opera della mia Teologia
Morale è secondo la dottrina de' Gesuiti, e che tengo opinioni contro il bene
dello Stato, e contro il Vangelo. La mia Morale, oltre essere stata approvata
in Napoli dall'una e dall'altra Potestà, è stata ristampata sei volte; ed è
stata ricevuta con applauso in Roma, nella Spagna, nella Germania, ed anche in
Francia. Siccome ho io subodorato, si dimanda al Re nostro Signore, che essendo
infetta di errori, debba vietarsi a tutt'i miei Congregati da me diretti, e che
più non predichino, e non confessino, fintantocché la mia Morale non sia
esaminata. In questo modo, ecco che resterebbero inutili così i miei Fratelli,
che stanno qui in Napoli, come quelli che stanno in Girgenti".
Esaminandosi le Carte
nella Real Segreteria, cadde da se la Relazione. Troppo patente si conobbe
l'astiosità del Fiscale, e troppo venduto per li nostri nemici. Volendo il Re
far giustizia ad Alfonso, dispacciò a 7. di Marzo 1777., che di nuovo i
Processi rimessi si fossero in Camera Reale, ed ivi esaminata la Relazione.
Credette con questo il Marchese della Sambuca farsi un merito con Alfonso, ed
incontrandosi con il Marchese Filomarini, "Ho piacere, gli disse, aver
servito Monsignor Liguori".
Respirò Alfonso in
veduta di questa provvidenza, e consolato così scrisse in Frosinone al P. D.
Francesco de Paola: "Io non fo altro che ringraziare Gesù, e Maria per
tante grazie, che mi fanno in questi ultimi giorni. Sono stato quattro giorni
con febbre per un catarro di petto, ma ora sto meglio, e senza febbre. Da Napoli
abbiamo buone nuove per la causa con Sarnelli, perché è stata di nuovo rimessa
alla Camera Reale, secondo la supplica da noi data; onde le cose hanno mutato
faccia. Sempre sia benedetto Gesù, e Maria".
Questo rovescio, se rincorò
i nostri, sgomentò i contrarj. Ove prima spacciavano dismessa la Congregazione,
ed anche uscito il Dispaccio, smentiti si videro, ed abbattuti. "Il
Dispaccio per la nostra dismissione, così Alfonso a' 21. Marzo a' nostri in
Frosinone, è vera falsità sparsa dalla parte de' nostri contrarj, e voi anche
spargete dappertutto, che la notizia avuta è vera bugia. Le cose sono andate
ottime, essendo stata mandata in Camera Reale la Relazione del Fiscale a noi
contraria".
Così si spiega
scrivendo a' nostri in Sicilia: "Le cose di Napoli vanno bene: Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto:
Benedictus Deus, qui facit mirabilia magna solus". Ed in quella a
Frosinone soggiugne. "La maggior opposizione è contro la mia Morale; ma io
ho fatto un lungo Scritto, ove rispondo chiaramente a tutte le false dottrine,
che m'imputano".
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Oltre la difesa per la
dottrina, in cui Alfonso si fa vedere Teologo, e Canonista; assumendo lo
spirito di Causidico, senza lasciar quello di Gesù Cristo, formò un grosso scritto
legale, e discarica tutte le accuse. "Io ancora, così a' 27. dello stesso
mese al P. D. Francesco de Paola, ho dovuto fare uno scritto per la causa di
più fogli, ed è miracolo come non mi è venuta una goccia". Fe senso in
tutti quell'allegazione in età così decrepita, ed oltra del talento ammirossi
la moderazione.
Varie lettere scrisse
in questo frattempo a' Ministri della Real Camera. Rileva co' tutti l'ossequio
suo, e de' suoi verso il Sovrano; pose in veduta la calunnia, e l'innocenza; ma
se difese i suoi, non offese i Contraddittori. Questo è quello, che si ammirava
nelle sue lettere, e questo istesso confondeva i Contraddittori, e disanimava
gli Avvocati contrarj. Non potendosi negare la sua moderazione, scaggionava
Alfonso, e caricavano i nostri. Avanzandosi il fuoco, ed essendo per chiamarsi
la causa, scrisse, e cercò la mediazione anche di varj Signori della Corte.
Impegnò tra gli altri
il Principe della Riccia, spiegandosi, che ne' termini di giustizia
raccomandato ci avesse al Duca di Toritto. "V. E., scrisse, dovrebbe farci
subito questa carità, e per tutto dimani, ch'è Lunedì, fargli capitare un
biglietto, mentre Martedì si tratterà la causa. So la bontà di V. E. per la
nostra povera perseguitata Congregazione; e dopo Dio, solo V. E. ci può ajutare".
Avendolo ringraziato
per la commendatizia già fatta, gli rescrisse. "Prego V. E. che
incontrandosi col medesimo, non lasci dirgli a voce di aver carità coi miei
poveri Compagni, che fatigano, e fanno del bene per tutto il Regno, e sono
poveri pezzenti, che non hanno pane, che basti. Fuori di V. E. noi non abbiamo
chi ci possa difendere. Ajutando noi, ajutate migliaja di Anime della povera
gente di campagna, per le quali noi fatighiamo".
Conoscendosi da' PP.
che assistevano in Napoli quanto più di persona, che colle lettere, Alfonso
avrebbe potuto giovare, non mancarono importunarlo per averlo nella Capitale.
Queste premure affliggevano, e mettevano alle strette il povero vecchio.
"Chi mi vede nello
stato miserabile, in cui presentemente mi ritrovo, così al P. Majone a' 2.
Settembre, non credo, che avrebbe animo di dirmi, che venga in Napoli per
visitare il Presidente, il Cardinale, Sambuca, e Paoletti. La mia venuta
servirebbe solo per tirarmi una folla di ragazzetti, curiosi di sapere, se quello,
che va in carrozza è morto, o vivo. Non occorre pensarci, perché non mi fido;
né la mia venuta farebbe guadagnare la causa.
Col Presidente è
meglio, che io non ci parli, perché dalla prima parola si mette a contraddirmi;
Sambuca non farebbe altro, - 39 -
che guardare la mia stroppiatura di collo, e di tutta la persona; né
potrebbe capirmi, perché poco posso accoppiar i sentimenti per la testa, che
tengo rovinata, e malamente posso pronunziar le parole; dal Cardinale cosa mai
di gran vantaggio potrei ricavarne?
Tutti belli pensieri:
sono belli, ma sono pensieri: e soggiunge: Io sarei pronto a perdere la vita
per la Congregazione, ma non per certe diligenze inutili, come io le stimo.
Mettiamoci in mano di Dio, il quale saprà meglio di noi difendere questa causa,
la quale è più sua che nostra".
Ancorché le cose si
prevedessero prospere, non volle Alfonso, che per lo disbrigo si assistette in
Camera. Il tempo, soleva dire, è galantuomo, e fa fare delle cose buone a chi è
perseguitato. I contrarj per l'opposto volevano, e non volevano. Scabroso
conoscendosi l'attentato, lor rincresceva l'azzardo.
Tuttavolta
considerando di danno certo la dilazione, fremevano, che la causa chiamata si
fosse, e disbrigata. Non è da credersi, essendosi prefisso il giorno, qual
fuoco si accese, ed in quali smanie diedero il Barone, ed il Maffei. Non men di
sette Avvocati si videro impegnati per assistere in Rota, e proclamare a nostro
danno. Scala del Ministero non vi fu, che da questi frequentata non fosse. Il
medesimo Fiscale, geloso dell'onor suo, anch'esso girava, e chiosar non mancava
la sua così famosa Relazione.
Anche Alfonso non lasciò premonirsi per
questa lugubre giornata; ma non moltiplicò Avvocati, e Procuratori. Altro
espediente non prese, che rinforzare per le Case orazione, e penitenze.
"Io cogli altri Padri in questi giorni, così a 29. di Giugno ai nostri in
Caposele, a questo fine applichiamo la Messa: Voi altri almeno fate
orazione". Si differì la parlata, e si differì per un pezzo, ma non si attrassarono
preghiere, mortificazioni corporali, e sagrificii in tutte le Case della
Congregazione.
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