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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap. 9 Sollecitudine di Alfonso, e suoi ultimi ricordi, e stabilimenti per le Case di Scifelli, e di Frosinone.
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Cap. 9

Sollecitudine di Alfonso, e suoi ultimi ricordi, e stabilimenti per le Case di Scifelli, e di Frosinone.

 


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Troppo a cuore erano ad Alfonso le Case dello Stato. Vedendo il pericolo, in cui erano, tra le presenti controversie, queste di Regno, mezzo non lasciava per vedere consolidate le due di Scifelli, e di Frosinone. Queste Case, ei diceva, in caso di tempesta, sono il nostro refugio. Come vedevansi prender piede, così godeva, e pregavane Iddio per farcele vedere assodate.

"La Casa di Frosinone,


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così al P. De Paola in una sua de' 7. Luglio, Io l'amo più di quella di Girgenti; perché codesta Casa è della Congregazione. I travagli di Napoli non sono finiti, ed io ho tutta la premura mantener codesta Casa avuta dal Papa. In un'altra dei 19. Settembre: Io sono stato male con un catarro di petto. Uno di questi catarri mi ha da mandare all'altro Mondo. Ora per grazia di Dio sto meglio.

Se il Signore si compiacesse, vorrei vivere fino a tanto, che potessi colla pensione giungere a compire la causa del padronato della Chiesa, e compito il presente appartamento incominciato. Spero, che Iddio mi darà questa consolazione. Avvisatemi in quale stato stanno le camerette vicino alla Chiesa. Per ora non tengo, che carlini dieci incirca, ma spero fra breve aver danaro da S. Agata. Non dubitate, che quello che posso, ve lo manderò".  Somma premura egli aveva per queste camerette.

Quando un soggetto, ei diceva, non ha una stanza, è l'uomo il più infelice, non avendo libertà per i suoi bisogni e corporali, e spirituali.

 

"Vedo, ei dice in una altra sua, che V. R. avrebbe bisogno di danaro. Io farei tutta la diligenza, ma non so a chi ricorrere. Appena posso mandarvi questi pochi ducati, che vi mando. Nell'istesso tempo mi scrive il P. Landi, che in Scifelli piangono miserie. Sono stato costretto spartire per metà la poca somma, che ho procurato, con farmi improntare ducati sei da Fratello Leonardo. Spero vers'Ottobre mandarvi qualche altro soccorso, ma non potrà essere pingue, perché tengo più debiti. Vivo continuamente angustiato, per non poter soccorrere, come vorrei, specialmente Frosinone, e Scifelli, ma mi quieto con la volontà di Dio. Poi soggiunge. Sono andato pezzendo, ed ho procurato altri ducati tredici, che uniti colli ducati ventisette fanno ducati quaranta".

 

Egli aveva premura di vedere la Casa in istato di abitazione, ma i Soggetti l'avevano di vantaggio. Erano tali le angustie, vedendosi i due, e tre per istanza, che talvolta venivasi a risentimenti. Aveva egli permesso qualche debito per la fabbrica, ma non tanto, che superasse le sue forze.

"Il P. Costanzo, così egli al P. De Paola, mi ha fatto due rimproveri forti, perché ho mandato solo ducati duecento, quando di debiti ve n'erano scudi quattrocentocinquanta. Sissignore, io dissi, che si pigliasse qualche danaro ad imprestito. Intendeva una cosa mediocre. Ora vedo, che sono scudi quattrocentocinquanta, e che esso non può restar svergognato. Se non ritraggo dalla pensione qualche danaro, donde l'ho da cacciare? Se mi vendo la sottana, neppure arrivo a pagare carlini venti. Come meglio posso procurerò rimediarvi. Anche a Scifelli vogliono soccorso, ma per ora sto arso, e non posso mandar niente".

In queste siffatte angustie vedevasi Alfonso


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per queste due Case dello Stato Pontificio, avendo in mira, che in queste veder potevasi osservata la Regola senza delitto, e senza opposizione de' contrarj.

 

Tra anfratti, e così gravi di corpo, e di spirito, tal era la sollecitudine, che con specialità egli aveva per queste due Fondazioni, che caso non vi fu rimettersi ad altri, minimi che fossero i loro interessi. Tutto voleva sapere, come se fosse presente, anzi facevasi di fuoco, se giornalmente non vedevasi riscontrato, e da lui non si dipendesse. Essendoci stata non so che novità in Frosinone per il Padronato di una Cappella, ed essendosi regolato da se il P. de Paola, che n'era Rettore, Alfonso l'ebbe a male.

"Le cose di Frosinone, così al medesimo, mi si avvisano scorza scorza, senza farmi saper niente. Stasera sento che l'accomodo si faccia per mezzo di Monsignor di Veroli, ma all'uso antico senza spiegarmi ciò che si fa, e ciò che ha pensato Monsignore. Sicché sono all'oscuro come prima".

Avendogli rescritto il medesimo Padre, che contentato si fosse rimettersi a lui, fu questa un eresia in senso di Alfonso. "V. R. mi scrive lasciate far a me. Io non vi ho mai impedito, ma non  ho mai inteso senza parteciparmelo. Per grazia di Dio, non sono morto ancora, né ho perduto il cervello. All'incontro sono stato Avvocato, sono stato Vescovo, e tali affari ho dovuto trattarli più volte. Trovandomi ora Rettore Maggiore, perché non ho da essere fatto inteso? Per carità scrivetemi quello che si fa, e quello che si tratta, e con chi. Da Vescovo, e da Avvocato ho dato mille consigli, ma ora, secondo il vostro sentimento, sono divenuto inabile a tutto.

Finiamola: da oggi innanzi, circa la causa della Chiesa, io voglio esser fatto inteso di tutto ciò, che si sta facendo. Ditemi con chi avete incominciato a trattare, che si tratta, e che ha pensato Monsignor di Veroli. Fatemi saper tutto. In somma forse non vi è stata altra Casa che mi abbia dato maggior pena, quanto questa di Frosinone. Sia sempre benedetto Iddio. Prosiegue, e soggiunge: In questo tempo che vi è l'affare della fabbrica, l'affare di Araldi, e l'affare del Padronato, scrivetemi ogni settimana, acciocché io possa sapere quello che vi è, e possa regolarmi".

 

Essendo andata male la causa ne' Tribunali di Roma, Alfonso non lasciolla per vinta. Egli ricorrette a dirittura dal Papa. "Io ne stupisco, scrisse al P. de Paola, quando ci penso, ma mi quieto colla divina volontà, che ha voluto così umiliare me, e V. R. . Tutta volta sto facendo diversi fogli per il Papa, per Rezzonico, e per altri. Raccomandatemi a Gesù Cristo, acciocché sappia offerirgli almeno quel poco, che patisco tra queste angustie, e per tutte le infermità, che mi assistono. Sempre sia benedetto Iddio".

In un altra, avendogli acchiuso più


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fogli per diversi Cardinali, ed uno per presentarlo al Papa, scrisse. "Dite al Papa, che io non mi scordo di tante carità speciali che mi ha fatto, e che sempre lo raccomando a Dio".

Questo solo basta persuaderci, come Alfonso era oculato per le cose della Congregazione, benché così mal ridotto, e come voleva restar inteso per darvi delle provvidenze. Dico cosa di più. Amici, e Contraddittori che vi fossero, tutti voleva saperli, e chi più, e chi meno era potente. Con questi apriva commercio, ed avvalevasi nelle occasioni.

 

A cuore sopra tutto erangli le Missioni. Voleva che tutte le richieste che gli facessero presenti; e benché lontano dipartivane i Soggetti; contrappesava gli umori, e le inclinazioni; la loro docilità, o scabrosità; e la più o meno attitudine, che questi avevano nel ministero. Così formava la compagnia. "Non appuntate alcuna Missione, scrisse a cinque Ottobre al medesimo da Paola, se prima non mi avvisate di tutto; e se occorre, mandatemi corriere apposta. A' Vescovi , che vi cercano le Missioni, vi scusarete, che non potete senza mia licenza". Anche voleva se gli scrivesse il numero delle Anime di ogni paese, le circostanze del luogo, e che Clero, e Regolari vi fussero, che più o meno dar potessero soggezione. Cambiava i Soggetti, e davaci delle provvidenze. "Voglio, così spiegasi nella medesima lettera, che si faccino le Missioni con tutta prudenza, edificazione, e spirito Apostolico".

 

Avendo sempre più a cuore il vantaggio delle Anime, e considerando quanto conferir possono nelle Missioni le grazie spirituali ottenute dal Capo della Chiesa, avendo fatto al Papa Pio VI. a 12. di Settembre 1777. un distinto ragguaglio del nascimento, e progresso della Congregazione, de' suoi travagli, ed anfratti, e del frutto che si operava da Soggetti colle Sante Missioni, supplicollo per la comunicazione delle grazie, e privilegj, facoltà, ed indulgenze concedute a' Padri Passionisti. Quanto chiese, tanto ottenne. Troppo propenso era Pio VI. in beneficare Alfonso, e la Congregazione.

 

Nel tempo istesso colla santificazione degli altri, egli aveva a cuore la santità de' Soggetti. Avendo in considerazione quel quiescite pusillum detto da Cristo agli Apostoli, voleva che i suoi dopo fatto, per tutto Carnovale il corso delle Missioni, che in Quaresima si ritirassero, e si raccogliessero in Casa, anche per non pregiudicare i Predicatori Quaresimalisti. "Accordo, così in altra sua, farsi la Missione di Ungaro, e la comincerete nella seconda Festa di Pasqua; e desidero, che nella Settimana Santa la passiate in raccoglimento, ed in ritiro assieme con i compagni".

 

Vociferandosi dai nostri contrarj, come dissi, che dai nostri facevansi estrazioni di milioni nelle Case dello Stato, Alfonso, volendo andare


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incontro a qualunque inconveniente, comanda in una sua de' 12. Ottobre, che non si accettino Esercizj, né Novene, né tridui, o altre prediche con limosina in danaro, ma che si ricevesse il solo vitto ordinario.

"Proibisco ancora espressamente, così nella medesima lettera, sotto ubbidienza mia formale di non estrarsi neppure un carlino di moneta di Regno né per prediche, né per Messe, né per limosina, né per qualunque altra causa. In Regno stiamo in pericolo avere qualche Dispaccio distruttivo, e finite le Case di Napoli, anche coteste della Romagna si possono dir finite. Mi pare, che tutto quello, che ho scritto, tutto è sano, perché tutto l'ho scritto con considerazione".

 

Sollecito per l'osservanza in Casa non mancava informarsi, e sentendo trascuragine, menoma che fosse, o ne' Rettori, o negli individui, avvisava, inculcava, né davasi pace, se riscontrato non era in contrario. "Già sapete, così egli al medesimo de Paola, che io sostengo coteste Case della Romagna per veder posta in piedi la Regola. Procurate in questo tempo di Ottobre fino ai dieci di Novembre, che i Padri faccino li soliti Esercizj spirituali, o parte almeno, parlando di quei, che sono infermicci. Non vorrei, che in cotesta Casa accettata per mettere la Regola in piede, avesse d'andare in fumo".

 

In orrore aveva le dispense, massime se passar potessero in esempio. Avendo inteso che eransi appuntati alcuni Quaresimali, l'ebbe a male. "Ho inteso che V. R., così in altra sua de' 12. Settembre 1777. al P. Diodato Criscuoli, abbia accettato il Quaresimale dell'Isola nella Diocesi di Sora, ed il P. de Paola quello di Atina nella Diocesi di Aquino. Mi dispiace non avermi anticipato questa risoluzione prima di accettarli. che questi Quaresimali non sono stati procurati con maneggie de' nostri Soggetti, ma offerti dalle Università. Ciò non ostante, non voglio che V. R., o altro de' nostri accetti Quaresimali, specialmente nel Regno. Il nostro Istituto lo proibisce, e potrebbe essere occasione di gelosia a quei Operarj, che li pretendono. In ogni conto cerchi scusarsi V. R. con Monsignor di Sora, ed il P. de Paola col Vescovo di Aquino, lor facendo presente la mia proibizione, e l'osservanza, che pretendo della nostra Regola. Voglio, che attendiate unicamente alle Sante Missioni. Queste vuole Iddio da noi, e non già i Quaresimali. Fate l'ubbidienza, qualunque sieno gl'impegni delle Università, e de' Vescovi che vi ricercano".

 

Essendosi rischiato il P. de Paola, vedendosi in bisogno, chiedergli il permesso per lo Quaresimale nella Collegiata di Frosinone, perché nella medesima Città, e servirsi degli emolumenti per gli occorrenti


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bisogni, cel negò rotondamente. "Circa il Quaresimale, è vero, gli rescrisse, che ci sarebbe qualche ragione per causa della necessità, in cui ci troviamo; ma io non voglio guastare una Regola, che con premura lo proibisce. Lasciamo fare a Dio, il quale, fatigando per lui, non ci farà mai mancare un tozzo di pane".

 

Nell'anno susseguente, e propriamente in Ottobre abbiamo una sua comune ai Padri di Scifelli, e Frosinone.

"Padri, e Fratelli miei, così egli, giacché ha voluto Gesù Cristo piantare la nostra menoma Congregazione nello Stato Pontificio, dove la nostra Regola approvata dal Papa è senza dubbio in tutto il vigore, altro non desidero dalle Riverenze Vostre, che l'esatta osservanza nella perfetta vita comune, nella povertà, nell'ubbidienza, ed in tutt'altro che prescrivono le nostre Costituzioni, e Regole.
Se Iddio mi ha consolato con queste due Fondazioni, voglio la consolazione veder almeno in codeste Case posta in piede l'osservanza della Regola, e vedere glorificato Iddio con detta osservanza. Prima di morire, questa è l'unica cosa, che mi preme raccomandarvi, l'osservanza della Regola da cui dipende ogni benedizione di Dio, il vero spirito de' Congregati, il frutto delle Missioni, la propagazione dell'Istituto, ed il conseguimento del suo fine.

Prego non pigliar esempio dalla pratica di queste quattro Case del Regno di Napoli, ove la Congregazione, e la Regola non sono approvate da Sua Maestà; ma più tosto che le altre Case presenti, e future piglino esempio del vero spirito dell'Istituto, e della perfetta osservanza da codeste due Case della Campagna".

Prosiegue, e dice: "Questo raccomando, e v'inculco con tutta premura ora, e sempre. Non vi desidero ricchezze, ma il puro vitto necessario, coll'amore, e stima della Regola che ci ha data Iddio per la santificazione vostra, e per quella delle Anime. Ajutate le Anime, ma specialmente i poverelli, i rozzi, ed i più abbandonati. Ricordatevi che Dio evangelizare pauperibus misit nos in questi tempi. Imprimetevi bene questa massima; e cercate solo Iddio ne' poveri abbandonati, se volete dar gusto a Gesù - Cristo.

Finalmente conchiude: Soprattutto voglio, che attendiate con fervore a coltivare la povera gente de' paesi, dove sono fondate le Case, con Catechismi, Dottrina cristiana, Confessioni, ed altri ajuti soliti del nostro Istituto, affinché defraudati non restino delle concepute speranze di vedersi santificati colle vostre fatighe".

 

Come vedevasi sollecito per vedersi posta in piede l'osservanza; così sollecito egli era per conservarsi i Soggetti in salute. In questo stava oculatissimo. Rovinata la salute, dir soleva, il Soggetto non serve, per il prossimo, per se medesimo. "Sento, che la Casa


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potrebbe abitarsi, così al P. de Paola, ma il Medico stima che non debba abitarsi fino ad Ottobre. Se succede quache disgrazia, non voglio che mi resti il rimorso di esser stato io cagione della morte di qualche Fratello".

 

Se Alfonso colle sue esortazioni spronava i Soggetti per la virtù, quei mettevano in angustia il suo spirito per la povertà, che si sperimentava. Intenerivasi il povero vecchio, sentendo le loro miserie; e non bastando quello riscuoteva dalla pensione, e dal Collegio in Napoli, toglievasi, per dir così, il pane dalla bocca per soccorrerli.

Esponendogli le sue strettezze il Rettore di Frosinone, "Rimediate, come meglio si può, ripete Alfonso, fino ad Ottobre. Io pure sto pezzente. Volesse Dio, e tutta la mia pensione potessi mandarla a voi altri; ma sto nella Casa di Nocera, dove non vi è niente. Non dubitate, che quello che posso, ve lo manderò".

In un'altra: "Per fino ad Ottobre non posso mandar niente, e dopo Novembre non posso promettervi una gran somma, perché sto con debiti; e certi danari che doveva esigere ad Ottobre, io me li ho esatti da ora. Del resto io ho la stessa propensione così per Frosinone, che per Scifelli; ma in Scifelli vi sono più giovani, cui manca il pane, come grida il P. Landi.

In un'altra. "Ne' principj delle Fondazioni bisogna persuaderci, si hanno da patire strettezze, confusioni, contraddizioni, e miserie: ma se stiamo rassegnati totalmente alla volontà di Dio, Dio ci rimedierà a tutto. Portiamoci bene, che Gesù Cristo ci proteggerà. Questo avvertite sempre; ma se facciamo difetti, egli ci abbandonerà in ogni luogo".

 

Essendosi perfezionate varie camere, che facevano il comodo de' Soggetti, vietò che altra fabbrica s'intraprendesse, e che solo si attendesse a poter vivere. "Mando ducati trenta per soccorso a codesta Casa di S. Cecilia, ma non voglio, si spendano a cose di fabbriche, ma solo per mantenersi i Soggetti". Si avanzò, ancorché troppo portato ei fosse per la magnificenza delle Chiese, e per le Festività de' Santi, a porvi freno di non farsi spesa oltre le forze. La povertà, soleva dire, non fa ingiuria né a Dio, né a noi.

"Non si faccino spese straordinarie per la Chiesa, così in una sua, né di quadri, o stucco; né di pianete, o altre vesti Sacerdotali con oro, o argento, senza mia licenza. Colla stessa condizione proibisco altari di marmo a nostre spese. Nelle Feste non si sparino maschi, altri fuochi artificiali, benché altri volessero farli a loro spese. Così proibisco macchine sopra l'altare, o altri apparati di seta, o di altra roba, ma si adorni con frasche, candele, e fiori. Ciò conviene allo stato presente della nostra povertà".

 

Tutto era a cuore per Alfonso. Soprattutto bensì voleva amore,


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e carità tra Congregati. Se manca il vincolo della carità, dir soleva, che ci stringe con noi, e con Gesù - Cristo, manca tutto, ancorché si avessero le ricchezze di Creso. Mancando la pace, e la concordia, manca Iddio.

"Desidero, così in una sua de' 7. Luglio 1777., che tutti voi che state costì, viviate con tutta pace, ed armonia, e senza contrasti che rompono la carità. S. Ignazio abborriva, e castigava severamente chiunque parlava, o che operava contro la carità". Soprattutto esigeva umiltà, e dolcezza ne' Superiori. Una discarità in questi, o qualche aria d'impegno trafiggevagli il cuore, e facevasi di fuoco con chiunque.

"Prego V. R., così al P. de Paola, Rettore allora in Frosinone, per quel tempo, che costà farà da Superiore, ad esser umile coi vostri compagni, e cortese con tutti, specialmente nelle Missioni, ed usare tutta la carità coi nostri Fratelli, che si ritrovano tra le miserie, lontani da Napoli, e da parenti; e perciò bisogna usar con essi tutta la carità".

 

 Così Alfonso più cadavere che uomo, ed in età così avanzata, zelava, e sollecito vedevasi per l'onore di Dio, per lo bene delle Anime, e per gli vantaggi delle due Case di Scifelli, e Frosinone.




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