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Cap. 10
Alfonso da alle stampe un Opera, che riguarda il
maggior bene de' popoli, e de' Sovrani; e stabilimento de' nostri nella Città
di Benevento.
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Come tutto giorno non
mancava l'Inferno adoprarsi a danno di Alfonso, così Alfonso mezzo non lasciava
per impegnarsi a danno dell'Inferno. Critiche che fossero le circostanze per
se, e per la Congregazione, egli, non perdendo il suo sereno, tuttavia
impegnato vedevasi in beneficio delle Anime, e per la gloria di Dio.
Riflettendo, che ove il popolo rendesi esatto, e non manca verso Dio de' proprj
doveri, regnando il buon costume, anche ossequioso rendesi verso il Sovrano,
non mancò intavolar un Opera, che intitolò:
La fedeltà de' Vassalli verso Dio, fedeli li rende al proprio Principe.
Fanno a calci, diceva Alfonso, offesa di Dio, e rispetto al Sovrano: se non si
teme Iddio, nè anche si teme il Sovrano.
Persuaso di questa gran
verità non davasi pace quando sentiva congiure, e tradimenti. "Essi la
sgarrano, ripeteva, intendendo i Monarchi, nè avranno mai pace, se non hanno a
cuore impedir il peccato. Ove non domina la Religione, ei diceva, regna l'iniquità,
e la perfidia. Posto il peccato, tutto è sconvolgimento: così, reso il popolo
fedele a Dio, anch'è fedele per essi". Propone i mezzi in - 47 -
quest'Opera, e stabilisce
alcune massime, che perché singolari, sono tutte proprie per promuovere la
gloria di Dio, il bene de' Sovrani, ed il vantaggio de' sudditi: così varj
esempj mette in veduta di Principi savj, e santi, che col promuovere ne' proprj
vassalli gli spirituali vantaggi, hanno reso florido lo Stato, e goduto col
popolo i frutti della pace, e della filiale subordinazione.
Scrivendo quest'Opera,
quasi ubriaco di zelo, disse rivolto ad uno de' nostri: "Che Missioni e Missioni, uno di questi
che colgo, vale per cento e mille
Missioni. Quello che un Sovrano tocco da Dio può fare di bene, nol possono
fare mille Missioni".
Perché Roma ha
rapporto, ed è quasi il centro di tutte le Monarchie, sollecito ne inviò varie
copie all'Eminentissimo Castelli, e per mezzo di questo, e de' rispettivi
Ministri, che risedevano in Roma, siccome da Liegi per mezzo del Canonico D.
Errigo Henrequin, pervenir fece all'Augusta Maria Teresa, all'Elettore di
Colonia, a quello di Treviri, agli Arcivescovi, ed a tutti i Vescovi che
nell'Impero han dominio temporale. Così al Principe Carlo Governatore de' Paesi
Bassi, al Re di Spagna, e Portogallo, a quello di Torino, al Duca di Palma, ed
al Gran Duca di Toscana.
In somma a tutti i
Sovrani Cattolici, ed a Principali Ministri. Non esiste veruna risposta, perchè
al solito consagrata da Alfonso alla sua umiltà.
Vincenzo Maria de Majo,
ammirando quest'Opera, non potette non magnificare in Alfonso la sua pietà e
dottrina, e soprattutto il suo gran zelo, e che benché oppresso dagli anni e
dalle sofferte fatighe in prò delle Anime, e della Chiesa, tuttavolta anche il
decrepito non mancava affatigarsi in dar nuove Opere alle stampe a beneficio
dello Stato, e della Chiesa. Alphonsus de
Ligorio praeclarissimus Episcopus, vir pietate ac doctrina percelebris, maximis
pro Ecclesia Dei exlantatis laborius attrinus, diutinis adversae valetudinis
incommodis affectus, Animarum studio ad devexam usque aetatem exardescens,
Opusculum hoc concinnavit.
"Sono stato
dubbioso, così il Canonio Giuseppe Simeoli, se dovessi più ammirare la purità
delle massime, o l'unzione dello spirito, ch'è la divisa propria del nostro
Autore, ben conosciuto per la sua pietà e dottrina".
Tal senso fece
quest'Opera anche tra gli Oltramontani, che tradotta in Francese, vendibile si
vide in varj Regni. "Quest'opera, così il Traduttore, è il grido di un'Anima
sensibile, che non respira, se non per la gloria della Religione, per
l'interesse de' costumi, per la felicità de' Sovrani, e de' loro sudditi; ed
altra ambizione non ha, che portare gli uomini alla virtù, e renderli felici.
Soggiunge: tutto ciò, ch'è uscito dalla penna del rispettabile Prelato, che ha
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quest'Opuscolo
immortale, porta l'impronto del genio, e della sensibilità del cuore.
Facevano mancanza in
Benevento gli soppressi Gesuiti, e destituita vedevasi la Città di que' tanti
ajuti, che questi le prestavano. Restituito Benevento al Papa a 3. di Febbraro
1774, dopo l'invasione delle Armi Reali del nostro Augusto Ferdinando IV,
vacando la Cattedra per la morte di Monsignor Colombini, varie suppliche si
umiliarono al P. Padre Pio VI., esponendo il bisogno spirituale del Popolo
Beneventano.
Eletto Arcivescovo di
Benevento, e creato Cardinale Monsignor Francesco Maria Banditi Vescovo di
Monte Fiascone, tra l'altro incaricollo il P. Padre volergli suggerire,
arrivato in residenza, un espediente per potersi promuovere in Benevento,
mancando i Gesuiti, la gloria di Dio, ed il bene delle Anime".
Sessionando in
Benevento l'Eminentissimo Banditi coi Canonici della Cattedrale, e coi Patrizj
della Città, i voti concorsero tutti in cedersi ai PP. Missionarj del
Redentore, con tutte le rendite, e Chiesa, il soppresso Collegio. Avendo il
Cardinale fatto capo da Monsignor Liguori, ognuno credeva abbracciato il
partito.
Alfonso però sempre
alieno dal vedere i suoi stabiliti in Città cospicue, qual'era Benevento,
ringraziò il Cardinale di tale, e tanta esibizione. Rescrisse, che venendo
abitato Benevento da tanti, e sì illustri Regolari, potevano quelli sollevare i
bisogni spirituali del Popolo, ove i nostri addetti lo erano a Villaggi, e Terre
destituite di Operarj; e quel bene, che questi operar potevano ne' lochetti,
farlo non potevano in una Città così cospicua, e così ricca di tanti Ordini
Religiosi.
Non si arresero per
questa negativa né il Clero, né i Patrizj. Non potendo superarla con Alfonso,
fecero capo dal P. Villani. Incoraggiato il Cardinale scrisse anch'esso.
Rappresentò, che Benevento era abbandonato al pari di ogni Villaggio; che se
molti erano i Regolari, questi non erano addetti, che alle opere del proprio
Istituto, e che niuno abbracciar poteva quei esercizj di pietà, che addossati
si avevano i PP. Gesuiti.
Non fu alieno il P.
Villani, anche per le critiche circostanze, in cui lo erano le Case del Regno;
ed Alfonso anche esso vi condiscese persuaso da siffatti motivi. Informato Pio
VI, se ne compiacque, sentendo come i nostri erano acclamati in Benevento, e
con suo special chirografo in data de' 23. Aprile 1777 accordò a i nostri
Chiesa, e Collegio con tutte quelle rendite che aveansi dai soppressi Gesuiti.
Il giorno del Cuore di Gesù, cioè a' 6.
Giugno 1777. dandoci il possesso, v'intervenne con suo compiacimento
l'Eminentissimo Banditi, Clero, e Città in corpo, coi principali Patrizj. Il
Padre D. Gaspare Cajone destinato Rettore vi sermonicò con piena soddisfazione
di tutti; e più - 49 -
non vi
volle, per vedersi la Chiesa accorsata, e redivive, con pubblica soddisfazione,
tutte le opere de' Gesuiti.
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