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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap. 13 Encomiando il Re la dottrina di Alfonso, vuole che da' nostri si pubblichi la Santa Crociata: zelo di Alfonso per quest'Opera; e sua sollecitudine per la Missione di Sicilia.
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Cap. 13

Encomiando il Re la dottrina di Alfonso, vuole che da' nostri si pubblichi la Santa Crociata: zelo di Alfonso per quest'Opera; e sua sollecitudine per la Missione di Sicilia.

 


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La Provvidenza, che non perde di mira i suoi, non poteva non garantire Alfonso contro gli sforzi del Fiscale. Trattandosi il disbrigo, e l'appuramento de' carichi nella Real Camera, altra disposizione vi fu dal Re, che avvilì i contrarj, e rese abbattuto il Fiscale. Troppo aveva egli declamato sulle dottrine morali di Monsignor Liguori, e troppo amare tirate ne aveva le conseguenze. Anche in questo confusa restò l'umana perfidia. Bastantemente era nota in Corte la dottrina di Alfonso, la sua pietà, il suo zelo, e 'l suo attaccamento alla Chiesa, ed allo Stato.

Avendo il Re ottenuto dal Sommo Pontefice Papa Pio VI. a' 21. Novembre 1777. il potersi godere in questo Regno le grazie tutte, e tutt'i privilegj della santa Crociata,


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tra i tanti, a' quali affidar volle la pubblicazione di quest'Opera, il maggior appoggio nol fece che a Monsignor Liguori, ed a' suoi Missionarj.

"Avendo in considerazione il Re, così il Marchese della Sambuca ad Alfonso a' 22. Ottobre dell'anno susseguente, le incessanti fatiche di cotesti Missionarj del SS. Redentore, per istruire i Popoli, ed indurli agli atti della vera pietà e Religione, e la santa premura colla quale spargono da per tutto i principj della sana Morale, relativi a' doveri di un buon Cittadino, e di un buon Cristiano, si è determinata la M. S., che l'Opera della Crociata, la quale non è ad altro ordinata, che alla salute de' Fedeli, ed al vantaggio dello Stato, sia promossa, e sostenuta dallo zelo di cotesti Missionarj".

Sicuro il Sovrano dell' opera nostra si compromette ancora di sua real munificenza. "Mi ha ordinato il Re, così prosiegue il medesimo Marchese, manifestar a V. S. Illustriss. e Reverendiss., che a corrispondenza dell'esito felice, che avranno le fatighe di cotesti Missionarj, non lascerà dare i convenienti segni del suo real gradimento".

 

 Restò confuso Alfonso per questo incarico; ed unendo alla pietà del Sovrano anche il suo zelo, con circolare ai nostri degli 8. di Novembre pose in veduta l'eccellenza dell'Opera, ed il bene delle Anime.

"Già vedete, Fratelli miei carissimi, ei disse, che il nostro piissimo, e religiosissimo Monarca, altro non inculca e comanda, che l'adempimento del fine del nostro Istituto, cioè istruire i popoli ne' proprj doveri verso del Sommo Iddio, del Principe, del prossimo, e di loro medesimi".

Rileva Alfonso lo scopo dell'Opera rispetto al temporale, e i tesori spirituali, ed eterni che vi si lucrano. "Un Opera dunque di tanta pietà, così prosiegue, che ha per oggetto principale l'interesse della Religione, ed il pubblico bene dello Stato, oltre i vantaggi di già espressi, non merita essere guardata con occhio indifferente, ma con ogni sforzo promuover si deve da chi per disimpegno del proprio Ministero, è tenuto a zelare l'onore di Dio, a procurare l'utile dello Stato, ed a fomentare verso il prossimo la Carità cristiana".

 

Come si vede, encomiata restò con questo Dispaccio la dottrina di Alfonso, il costume, e lo zelo de' suoi Missionarj; ed egli riconosciuto per Fondatore, e Superiore di tutte le Case: in buon senso rovesciato tutto il forte fabbricato dal Fiscale, e tutte le sognate criminalità, che ventilavansi da' nostri Contraddittori. A misura che piovevano le grazie, così voleva Alfonso che si accrescessero a Dio le preghiere, e i ringraziamenti.

A 24. Gennaro 1780. scrisse, che in tutte le Case, dopo l'esame della sera, recitate si fossero in comune, invocato lo Spirito Santo, le seguenti preghiere, frammezzate per tre volte


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da un Pater, Ave, e Gloria; ma con voce alta ed intelligibile, ed in modo, come spiegossi, che ogni parola si sentisse da tutti. Quid mihi est in Coelo, et a te quid volui super terram: Deus cordis mei, et pars mea Deus in Aeternum: Gesù mio, tutto a voi mi dono, voi solo voglio, e niente più.
Questa preghiera, ed offerta comandò che seguitata si fosse per tutto Maggio. La preghiera, ei disse, e ripetevala spesso, conseguisce tutto, ed è onnipotente presso Dio.

 

Questo incarico più che altro offese il Fiscale, e fe darlo in trasporti. Se dispiacque il primo Dispaccio, con cui il Re non riprovava, anzi comprovò la Gerarchia, che stabilita vedevasi da Alfonso per lo buon ordine in Congregazione, questo secondo gli fu di maggior cruccio. Toccollo sopra tutto nel vivo quel compromettersi il Re, anche di sua munificenza, ove i nostri segnalati si fossero in promuovere una tal Opera. Poter del mondo! ei disse, anche con premj si vuole autenticato lo scandalo, e ciò che fa la ruina dello Stato, e della Chiesa.

Non potendone da più, ritegno non ebbe sparlarne in ogni luogo, riclamare, e censurare la Real Segreteria, che così aveva dispacciato. Scoraggiato così egli che 'l Commissario, che anche era nel medesimo impegno, vedendo che il tempo a momento pregiudicava, non mancavasi assistere al Ministero, affinché chiamata la causa, almeno il podere guadagnato si fosse dal Barone, e defraudato non veder dell'in tutto il loro impegno.

 

Questa pendenza col Barone, che tanto interessava il Fiscale, ed il Commissario, né l'uno né l'altro la videro decisa. Io non entro ne' segreti giudizj di Dio, che sono imperscrutabili. Tutti e due tra poco tempo improvvisamente, ed in età immatura, chiamati furono da Dio a render conto di loro condotta: uno, uscendo dal bagno, morì sul punto, senza darsi luogo a Sacramenti: l'altro, portandosi a diporto, morto si vide nella medesima carrozza senza che veruno se ne accorgesse. Mancati i Protettori, anche mancò spirito, e vigore in chi voleva distrutta la Congregazione, e sbaragliate le membra.

 

Troppo a cuore, come dissi, era ad Alfonso la Missione di Sicilia. Essendo mancati i Gesuiti, che tanto bene vi operavano, ne deplorava l'attrasso. Godendo ora la grazia del Principe, maggiormente vedevasene invogliato. Tuttavolta viveva in afflizione, non avendo Soggetti sufficienti per soddisfare il Regno alle tante richieste de' Vescovi, e per destinarli in quell'Isola. Mio Dio! sentivasi esclamare: Messis multa, Operarii pauci.

Stando in fine del corso Teologico nella nostra Casa di Santangelo molti de' nostri giovanetti Sacerdoti, volendo animar questi all'Apostolato, ed invogliarli per quella Missione, loro così scrisse a 16. di Agosto del medesimo anno 1779.

"Cari Fratelli miei, io spero a Dio, che ben conservate il desiderio


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di essere tutti di Gesù Cristo, il quale già aveste entrando in Congregazione, e più specialmente rinnovaste nell'oblazione, in cui vi consacraste tutti all'amore di Gesù Cristo.

Per tanto vi fo sapere, che essendo venuto da Girgenti in Sicilia il nostro Padre Lauria, mi ha fatto sapere che i compagni, che dimorano in Sicilia, vedendosi pochi e non sufficienti a poter contenere il desiderio, che hanno le genti di quella Diocesi, e di altri paesi vicini (mentre anche l'Arcivescovo di Palermo Monsignor Sanseverino vorrebbe altri nostri Soggetti per fare le Missioni, specialmente nella Diocesi di Morreale); desidererebbero almeno due altri de' nostri Padri, per supplire alle tante Missioni, che bramerebbero quelle genti: sono molte, e solamente in Girgenti vi sono più di duecento mila Anime.

Posto ciò, giacché voi altri state terminando gli studj, vorrei sapere chi di voi desidera andare a fatigare in Sicilia, dove sono così desiderate, e fanno gran frutto le nostre Missioni. Io avrò memoria particolare di quei Fratelli, che tra di voi saranno i primi ad offerirsi in quest'Opera di tanta gloria di Dio.
Intanto con tutto l'affetto vi benedico uno per uno; e prego raccomandarmi ogni giorno al Sacramento; giacché la morte mi sta molto vicina".




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