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P. Antonio Maria Tannoia Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori... IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap.14 Godendo Alfonso la grazia del Re, astringe con fortezza i suoi all'osservanza più esatta delle Regole, e ne mortifica i colpevoli.
Gran male tentarono i nemici per la Congregazione. Il maggiore però che operarono, e che da essi non si conobbe, né si premeditava, si è lo sconvolgimento tra i nostri, ed in tanti una certa indifferenza per la regolare osservanza. Qualche licenza taluni se la prendevano; ed i Superiori, con rammarico loro e di Alfonso, vedendo, mostravano non vedere. Se raddrizzar tentavasi qualche zoppo, la risposta era in pronto: la Regola non obbliga, perché non autorizzata. Più dura riusciva l'espulsione. Questi tali, colla libertà, e col disprezzo della Regola, goder volevano l'onor della tonica, e tentar volendosi il taglio, ricorsi minacciavansi, e denuncie. Questo è quello, che non volendo, si otteneva dai Contraddittori. Anzi vi furono taluni malcontenti (Ma Iddio non sopportolli in Casa sua) che anche fomentavano i medesimi Contraddittori, e lor somministravano delle armi a nostro danno.
Sedata la tempesta, siccome è proprio di ogni piloto risarcire le contusioni, e restringere nella nave i già fatti allascamenti: così Alfonso, superate le opposizioni, e godendo la grazia del Principe, riparar stimò i danni, e quei rilasciamenti, che l'osservanza vi aveva sofferto. Investito di zelo obbligò tutti con fortezza all'adempimento dei proprj doveri. "o in Congregazione con edificazione, ei diceva, o in casa propria, se lor rincresce l'osservanza".
"Essendosi il Re benignato, così in una sua circolare ai Rettori delle Case, non avere per delitto le opposizioni de' Contraddittori, e meno essendovi da temere da qualche cervello torbido, voglio che ognuno si costringa alla più esatta osservanza delle nostre Regole. Ognuno di propria volontà le ha professate; noi non teniamo gente a forza. Se taluno se ne pente, se la vegga esso con Dio; ed io son pronto rilasciargli il giuramento. Meglio pochi, e buoni. Questi tali non sono di sollievo, ma di peso; fanno male a se stessi, e danneggiano gli altri. Prudenza, e fortezza vi raccomando con tutti; ma non debolezza con pregiudizio della Regola, e con scandalo degli altri".
Un fiume trattenuto, e mancato di corso, se scappa ed apresi il varco, trincee rompe, e ripari: così Alfonso, che non per un anno, o due contraddetta veduto avea la Regola, e sua osservanza, tolto ogni ostacolo in contrario, se piangeva per tenerezza, mezzo non lasciava per vederla in pratica. Riguardo in lui non videsi per veruno. Correggeva, ammoniva a voce, e per lettera non meno i Rettori, che i particolari Soggetti; insisteva, né davasi pace se eseguito non vedeva quella particolare osservanza, se non altro istava presso Dio voler mandar via di Casa sua i spiriti renitenti. Io ogni giorno prego spesso Gesù Cristo , così in una sua, che voglia mandare alle case loro a farsi Santi quei Soggetti, che sono di scandalo agli altri, e di disonore alla Congregazione. Di fatti qualcheduno, pesandogli il giogo, fe ritorno al secolo; e più consolavasi Alfonso, benché ne deplorasse la sciagura, vedendo fuori di Congregazione questi tali, che non godeva ammettendone de' buoni.
Libertà aveansi preso taluni, ma con frivoli pretesti, di trattenersi in propria casa. Il P. Villani chiuso avea gli occhi ne' passati sconvolgimenti, per non fare che al di fuori vi si unisse il malcontento di dentro. Questa osservanza, che tanto era a cuore ad Alfonso, vedendola trasgredita, ferivalo amaramente; e fin da che stavane in Arienzo erasene doluto col P. Villani. Sollecito intimò per tutti la ritirata; e tra i tanti, che tal libertà aveansi presa, abbiamo un caso, ma molto funesto. Troppo impicciato vedevasi un Soggetto per gl'interessi di casa sua. Frequentava quella, ed accudiva con poco decoro ne' Tribunali di Napoli. Lo richiama Alfonso, e non ubbidisce. Temendo l'espulsione, interpose Stefano Patrizio, Caporuota del Sacro Consiglio; e per mezzo di questo Monsignor Sanfelice, già Vescovo di Nocera. Soprasedette Alfonso; ma non mutando sistema, qualunque fossero le protezioni, vedendolo incorrigibile, rimandollo in sua casa. Povero lui, disse: io lo compiango; sa Iddio castigare questi sordi, e questi tali che conto non fanno della propria vocazione. Fu Parroco, ed ubriaco per vantaggiare i nipoti; ed in atto che scrivo, sento esser stato miseramente ucciso, non per l'impiego, perché glorioso per lui, ma a motivo di usura, che perché Parroco, credeva gli convenisse, ed eragli dovuta.
Anche in questa intimazione usò prudenza, e circospezione. Vivendo malsano il Padre D. Mattia Corrado, Soggetto rispettabile per non pochi servigi prestati alla comunità, anch'esso da qualche tempo trattenevasi in propria casa, sperimentar volendo il beneficio dell'aria. Non soffrendo Alfonso esempio in contrario, giocando la prudenza, così gli scrisse. "A tutti si è scritto, che tra quindici giorni senza meno ciascuno si ritiri nella Casa, ove stavane assegnato. Questo biglietto si manda scritto ad ognuno colle stesse parole, e nella medesima forma. Io però, perché stimo con modo particolare la persona sua, mi ho presa l'incombenza farle una particolar lettera differente dalle altre. Non scrivo risolutamente, che fra quindici giorni si ritiri, ma solamente prego avvisarmi qual necessità mai vostra Riverenza ha di trattenersi in sua casa; giacché secondo la Regola i nostri Fratelli non possono trattenersi in casa propria, se non nel caso di morte imminente di Padre o Madre. D. Bartolomeo mio, essendo vostra Riverenza uno de' nostri Padri più antichi, l'esempio suo apporta maggiore pregiudizio, e da più animo agli altri di trattenersi in propria casa. Noi abbiamo diverse Case, se ad uno non confà l'aere di una Casa, se gli assegna un'altra. Ho scritto tutto ciò per farle intendere la stima e l'affetto, che le porto. Non le assegno il termine di giorni quindeci, ma prego che almeno mi scriva la causa, ch'ella ha di trattenersi, perché procurerò accordarle l'indulgenza che posso, purché sia una indulgenza ragionevole, mentre ne ho da rendere qualche conto anche agli altri". Non contento di questo, volendo l'intento, mette in maggior aspetto la stima che ne fa. "Io da più tempo, soggiunge, voleva pregarla che venisse a starsene meco in Nocera; mentre mi ritrovo Superiore in mezzo a mille imbrogli, ed ho bisogno consigliarmi continuamente con qualche persona prudente; che perciò voleva mandarla a chiamare; ma poi intesi, che da molto tempo si trattiene in sua casa. Prego rispondermi, e consolarmi colla sua risposta". Questo fa vedere la gran prudenza con cui operava. Geloso si dimostrò sopra tutto nell'esigere subordinazione, e rispetto. Avendo determinato che due Padri partir dovessero dalla Casa de' Ciorani, e portarsi in Iliceto, ripugnando disfarsene quel Rettore, così gli scrisse: "Credo che a questi miei ordini Vostra Riverenza non sia per replicare, anzi mi comprometto che subito voglia ubbidire. Tanto Vostra Riverenza, quanto i Padri si ricordino, che hanno fatto voto di ubbidienza. Per quell'autorità che Dio mi ha dato, voglio, e comando ancora, che in ricevere la presente, disponga quanto è necessario per la loro partenza. Mi lusingo che Vostra Riverenza non abbia da incontrar difficoltà. Qualunque però ella sia, io così voglio, e comando che assolutamente si faccia. "Soggiunge, e dice: "Io desidero essere ubbidito, non per vanagloria, ma per la gloria di Dio".
Un Padre, contro gli ordini suoi, e del Rettore, avendo dato gli Esercizj ad un Monistero di Monache, non so che licenza avevasi preso. Alfonso avendolo saputo, scrisse al Rettore: "Faccia Vostra Riverenza al medesimo una forte riprenzione. Io per usargli misericordia, non ho voluto licenziarlo sì per le attuali mancanze, sì per la sua solita durezza di testa. Gli dica però in nome mio, che sarò costretto a farlo nella prima mancanza, simile alle precedenti. Credo, che ciò nasca dal soverchio divagamento. Vostra Riverenza dunque non lo mandi più fuori, né gli dia licenza fino a nuovo mio avviso in scritto, né gli faccia firmar la pagella da Monsignor Arcivescovo, perché col girar sempre, e col non legger mai materie morali, si sarà scordato quel poco che sapeva, ed ho scrupolo a farlo confessare".
Attrassavasi da taluni
de' Padri nella Casa de' Ciorani lo studio delle cose morali. Alfonso, che in
questo era geloso, avendolo saputo, venne alle strette. Avendo tutta la piena
autorità dell'Arcivescovo di Salerno, così scrisse al Padre D. Diodato
Criscuolo, che vi era Rettore. "Dico a tutti quei Padri che hanno la
pagella di Monsignor Arcivescovo, che io mi contento, che faccino uso delle
facoltà per tutto il mese di Settembre; e ne principj di detto mese ella mi
darà conto, assieme col Prefetto de' Casi di Coscienza, dell'applicazione de'
Padri allo studio della Morale, e del come siansi portati nelle conferenze de'
Casi, e nelle pratiche Confessioni".
Lassezza di opinione avendo preinteso in un Soggetto, totalmente gl'interdisse il confessare; e tanto lo strinse, che cercando egli medesimo se gli rilasciassero i voti e i giuramenti, fu fuori di Congregazione. Corretto e non emendato un altro Soggetto di altre leggerezze, benché gentiluomo, dispensandogli i voti, rimandollo in casa sua.
Non ammise che le sue risoluzioni, e provvidenze, avendole ben maturate, che da' rispettivi Rettori soggettate si fossero a sindicato. Avendo chiamato in Regno un Padre che faceva da Ministro nella Casa di Scifelli, quel Rettore se ne risentì. L'ebbe a male Alfonso. "Quando io fo qualche mutazione, gli scrisse, prego prima informarsi di tutte le cose, e poi lamentarsene. Io per fare questa risoluzione sono stato cento anni a meditarvi, ed a consigliarmi. Più soggezione all'ubbidienza, se volete dar gusto a Gesù - Cristo".
Essendosi lesionata la
cupola della Chiesa nella Casa de' Ciorani, siccome erano varj i sentimenti
degli Periti, così variavano ancora, e divisi erano di parere i Soggetti.
Affliggendo Alfonso questa contrarietà scaricò coi Soggetti un suo forte
risentimento. Chi contraddice, nemico si dichiara della Congregazione. Ma noi non la sentiamo così. Dunque non è uno il Direttore, tutti sono Direttori. A me poco importa, perché sto in fine per la vita, e spero al sangue di Gesù Cristo , ed a Maria Vergine di salvarmi; ma voi piangerete per la distruzione della Congregazione , quando non potrete più rimediarvi. Tenete per certo che distrutta l'autorità del Rettore Maggiore, anche è distrutta l'autorità de' Rettori Locali, e così gli malevoli vedranno distrutta l'Opera". Termina, e dice: "Benedico Vostra Riverenza e tutti i padri che non sono Rettori Maggiori".
Colla fortezza, come dissi, disunita in Alfonso non andava la prudenza. Avendo saputo, che un Soggetto ripugnava uscire in Missione, egli temendo di negativa, non viene al comando. Ritrovandosi questo con altri Padri nella sua stanza, con destrezza si pose a parlare sopra i pregi dell'ubbidienza, e qual danno è per risultare ai duri di testa. Con questo fare restò quello da se confuso, e senza che si venisse al comando, si rendette ubbidiente.
In tanti, se eravi del trasporto non di volontà, ma di passione, egli compativa l'umanità, e col dolce della mansuetudine, raddolciva l'amaro del comando. Avendo avvisato, e corretto per non so che un Rettore dello Stato, quegli l'ebbe così a male, che minacciò lasciar l'impiego, e ritornarsene in Regno. "Ho ricevuto la
vostra, così egli rescrivendo al medesimo: Mi avete consolato da una parte, e
mi avete sconsolato per l'altra. Certe parole io non le aspettavo dalla vostra
rassegnazione, e sperimentata affezione all'ubbidienza. Son risoluto venirmene
in Regno! Vi compatisco; mentre vedo, che queste parole le avete scritto nel colmo
della perturbazione. Spero, che a quest'ora ve ne siete pentito; mentre con
tali parole, e pensieri certamente non avete dato gusto a Dio. Simile riprensione il P. Villani l'ha fatta ancora a me; ma io, per grazia di Dio, l'ho ricevuta con pace, e mi ha servito per essere nelle occasioni moderato ed umile. Orsù non fate più caso né della mia lettera, né di quella di D. Andrea".
Così Alfonso giudicava, e discernimento faceva tra tentazione, ed ostinazione, o sia tra debolezza di spirito, e perversità di cuore: così parimenti rincorava l'uno, e mortificava l'altro. Se contraddirlo si poteva, e resistere a tanta umanità, lo giudichi chi legge.
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