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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap. 15 Sollecitudine di Alfonso per gli Giovanetti suoi nipoti: prevede in ispirito la morte del fratello; e sua premura per veder monacata l'unica sua Nipotina.
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Cap. 15

Sollecitudine di Alfonso per gli Giovanetti suoi nipoti: prevede in ispirito la morte del fratello; e sua premura per veder monacata l'unica sua Nipotina.

 


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Siccome non vi fu uomo tanto distaccato ed alieno da ogni interesse de' suoi, come Alfonso; così non ve ne fu interessato, come egli, per lo bene spirituale de' congionti. Ancorché oppresso da tanti pensieri, e travagli, tuttavolta, siccome non mancava esser sollecito per il bene della Congregazione; così lo era per quello de' Giovanetti suoi Nipoti. Stando questi nel Seminario de' Nobili, seppe che il suo Fratello D. Ercole stava intavolando il Matrimonio del primogenito D. Giuseppe colla figliuola ereditiera del Consigliere Vespoli. Non era ancora il figliuolo di anni tredici; ma D. Ercole, vedendosi vecchio, conchiuder voleva il Matrimonio per lasciarlo situato. In sentire Matrimonio Monsignore disse, quasi sbalzando dalla sedia: "Mo Peppino perde la grazia di Dio".

Soggiungendogli il P. Villani, che questo restava tra D. Ercole ed il Consigliere. "Basta, ripigliò Monsignore, che lo sappia uno de' servitori, perché lo sappia Peppino. I figli de' Signori


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divengono malandrini per li servitori, camerieri, e cocchieri. Mo cominciano a dire: Peppino allegramente; papà ti ha trovato una bella figliuola, e con questo altre mille parolacce allo sproposito. Così si corrompono, e non si accolgono più".

Impaziente chiese da scrivere; e partendo un Padre per Napoli, incombenzollo, che anche a voce rappresentato avesse al Fratello il suo disgusto, ed il certo pericolo di vedere il figlio in disgrazia di Dio. "E' male, disse, è male, e non conviene; tutto è disgrazia, ed offesa di Dio".

Non mancò D. Ercole giustificarsi. Alfonso rescrivendogli nel primo di Settembre 1779. così replica: "Ho ricevuta la seconda vostra, ma ora non so che rispondere. Peppino è troppo piccolo per trattare di casarlo, e come sento, anche la figliuola è molto piccola. E' cosa molto scabrosa trattare ora di un Matrimonio, che non si potrà effettuare almeno tra lo spazio di sei o sette altri anni. Io son vecchio, oggi o domani son fuori del mondo. VS. pure è vecchio. Se Giuseppe resta casato di quindici o sedici anni, non so dove anderà a parare".
Vedendo inclinato il Fratello per questo Matrimonio, soggiunse: "Torno a dire: di questo Matrimonio non fate saper niente a Peppo, ma temo, che già l'abbia saputo. Godo che stia in Seminario, perché se stesse in casa, non mancherebbe qualche servitore, che discorrendo di questo Matrimonio, non gli facesse perdere co' mali pensieri d'impudicizia, la grazia di Dio".

 

Essendo i giovanetti in età di far capitale del bene, ed evitar il male, lunga lettera istruttiva abbiamo ai medesimi in data de' 4. aprile 1780., che perché ripiena di divini sentimenti non stimo tralasciarla.

Amatissimi Nipoti.

"Io vi aspettavo qui per darvi l'ultima benedizione, e gli ultimi ricordi, giacché è miracolo della bontà del Signore, che io viva un altro poco di tempo per piangere le mie colpe, ma sia sempre benedetto il Signore Iddio, a cui non è piaciuto darmi questa consolazione, che io per altro non meritavo. Vi benedico dunque da lontano, e vi benedico di cuore, e prego Dio benedetto a benedirvi ancor egli dal Cielo, ed infondere ne' vostri teneri cuori il suo santo timore, ed amore: amore, che duri sempre, e vi conduca all'eternità beata, dove, se il Signore mi usa misericordia, vi attendo.

Vi sia a cuore il temere Dio come vostro Signore, ma più di amarlo come Padre: Padre, nome dolcissimo, così lo chiamate ogni giorno nell'orazione Domenicale, dicendo: Padre nostro. Sì, egli è vostro Padre, amatelo perciò


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con tenerezza. Egli è Padre, ma buono, ma dolce, amoroso, tenero, benefico, misericordioso. Altritanti titoli, per i quali voi dovete amare questo Padre con affetto cordiale, tenero, e grato. Beati voi se l'amerete con sincerità di animo fin dalla fanciullezza, non vi parrà duro, ma soave il giogo del Signore, ed amabile la sua Santissima Legge.

Imparate a vincere le vostre passioni sregolate, e trionfare de' nemici delle Anime vostre. L'abito al ben fare si anderà a poco a poco fortificando, sicché vi riuscirà piano e dolce ciò, che agli altri caduti ne' vizi, sarà molesto, e difficile. Amate Iddio, figliuoli miei. Vi chiamo figli, sì perché vi amo con affezione di carità come padre, sì perché vorrei formare nel vostro spirito la santa carità.
Amate, figliuoli miei, il Signore Iddio, e Gesù - Cristo, ed amateli assai, e custodite nel vostro cuore questo amore con gelosia, temendo di perderlo. Grande perdita si è il perdere l'amore di Dio, la sua grazia ed amicizia, ed incorrere il suo sdegno. e le sue vendette".

Prosiegue e dice: "Vi raccomando l'esser umili. L'umile fugge i pericoli, e nelle tentazioni involontarie ricorre con fiducia a Dio, e così conserva il divino amore. Il superbo facilmente cade nel peccato, ed offese del Signore. Senza umiltà, o non farete mai bene vero, né avrete sincera, e soda virtù, o la perderete agevolmente. Dio resiste a' superbi, ed usa misericordia agli umili. Sono questi mirati dal Signore con occhio pietoso, e sono amici di Dio.

Se badate a voi medesimi, non sarete superbi, imperciocché troverete in voi stessi motivi da sempre umiliarvi. Siete nati bene, ma questo è dono di Dio. Siete in un Collegio governato da zelanti e provvidi Signori, ne' quali si accoppiano alla loro sublime nascita grandi, e singolari virtù; in esso siete ben educati da' Maestri prudenti, savj, morigerati, e questo è anche un beneficio del Signore.
Siete adesso, come spero, in grazia di Dio, e questo anche è puro effetto della divina beneficenza. Tutto in somma è dono del Signore quanto avete di bene, perciò siete più debitori alla divina bontà, non dovete dunque insuperbirvi. Che se poi rimirate i vostri mancamenti, che sono veramente cosa vostra, dovreste umiliarvi sempre.

Come umili, con amore, e gratitudine ubbidite in Collegio a' vostri Superiori, i quali o v'insegnano, o vi accarezzano, o vi correggono, vi dimostrano in tutto l'affezione caritativa de' loro cuori; e sebbene a voi dispiacciono le correzioni, pure le medesime sono effetto dell'amore, che vi portano cotesti buoni Religiosi. Ubbiditeli, come altritanti vostri Padri, perché vostro Padre ad essi vi ha consegnati, e ve li ha assegnati per Padre. Ubbiditeli, rispettateli, amateli come dovete rispettare, ubbidire, ed amare il vostro medesimo Padre. Spero che lo facciate per dar gusto a Dio, a vostro Padre, ed a me".

"Ho poi inteso pena, che poco applichiate allo studio. Oh figli,


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piangereste, se intendeste il male, che fate! L'ignoranza, e l'ozio sono le seconde sorgenti del peccato, e de' vizj.

Studiate perciò con attenzione, con applicazione, con impegno per conoscere Iddio, i suoi beneficj, le sue ricompense, e poterlo contemplare, ed amare assai. L'ignorante poco o nulla conosce Dio, i suoi beneficj, le proprie obbligazioni, e doveri, e perciò fa il male.

Studiate dunque, e prima che io muoja, fatemi intendere il profitto, che ricavate da questi miei ricordi. Io sono nella fine de' miei giorni, né so se mi vedrete mai più. Siano queste mie ultime esortazioni scolpite ne' vostri teneri animi, e producano quel profitto in voi, che desidero. Leggete questa mia lunga lettera, domandate spiegazioni di ciò, che non intendete, ed imprimetela nella vostra memoria, acciò possiate mettere in pratica quanto vi dico.

Amate assai Iddio, studiate per conoscere questo grande, ed amante Signore, e quindi sempre più amarlo. Custodite nel cuore questo amor santo coll'umiltà, ubbidite con docilità, e amore a' vostri Superiori, ed a vostro Padre. Osservate le regole del Collegio per dar gusto a Dio. Siate divoti di Maria Santissima, sotto la di cui tutela, e patrocinio vi lascio, ed a cui vi raccomando con caldo affetto, e vi benedico in Gesù Cristo, acciò siate suoi e nel tempo, e nell'eternità, come lo spero".

 

Altra croce, tra tutte le croci, tenevagli Iddio preparata, ed Alfonso dovette caricarsene. Fu questa la morte di D. Ercole, e la tutela, che abbracciar dovette de' suoi Nipoti. Previde Monsignore in ispirito tre mesi prima questa croce. Stava D. Ercole robusto, ed in perfetta salute.

Un giorno stando al solito Monsignore buttato, ed in silenzio sulla sua sedia, rivolto al P. Costanzo, Ercole, disse, in quest'anno mi ha da inquietare. Così disse, e tacque. Non si capì il mistero, anzi si prese per un sogno, e non fu così. A capo di tre mesi accadde la morte di D. Ercole, e fu agli 8. di Settembre 1780., ma quanto violenta, altrettanto inaspettata.

 

Uniformato Alfonso al Divino volere, ricevette con sommissione di spirito la notizia. Benedetto Iddio, disse, ed unendo le palme si tacque. Rilevando, che per Tutore de' figli D. Ercole lasciato aveva l'Avvocato D. Pietro Gavotti, ma con dipendenza da lui, e dal Consigliere D. Nicolò Vespoli lor parente, se ne consolò. Era il Gavotti uomo rispettabile in se stesso, affezionato, e molto interessato per questa casa.

Alfonso in che n'ebbe la notizia, subito lo prevenne con sua lettera, e non tanto raccomandogli gl'interessi temporali, quanto una educazione santa per gli suoi Nipotini. Avendo chiamato a scrivere il P. Costanzo, memore questi del presagimento, Padre, gli disse, questo voleva significare l'inquietudine, che dar vi doveva D. Ercole? Monsignore, troncandogli la parola,


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via mo, disse, scrivete; e cominciando a dettare, tempo non gli diede di più interrogarlo. Fe guadagno il Signor Gavotti con questa tutela. Vedevasi egli così travagliato, quasi di continuo da una fiera emicrania, che a stento potevasi applicare. "Io sono a servirvi, rescrisse, e mi adoprerò per quanto posso per gli vostri Nipoti; ma V. E. Reverendiss. si degni pregare Iddio, che mi liberi da questo male di testa, che tanto mi cruccia".

"Abbiate cura di cotesti figliuoli, gli rispose Alfonso, e non dubitate, che Iddio vi consolerà". Attestava il Gavotti, che in ricevere questa lettera, nell'istante si vide sano e libero, più soffrì, per fin che visse, un simil male. Grato pel beneficio ricevuto attrassò sempre qualunque negozio, ove cosa concorresse, che interessasse i pupilli.

 

Sollecito vedevasi Alfonso per vedere in istato di salvezza D. Teresina sua Nipote, già educanda in S. Marcellino. Era questa in età di sedici anni, e stimavala Monsignore una delle gioje più care, ch'egli aveva nel cuore.
"Io per me in questa età cadente di anni ottantacinque, così scrivendo alla medesima, non sono utile a niente; ma quando vi bisogna qualche cosa, avvisatemi, perché farò, che vi si assista. Trattanto raccomandatevi a Gesù Cristo; e prego, se qualche persona vi consiglia lasciar il Monistero, ed andar a diruparvi (intendo a maritarsi) non la state a sentire, perché certamente il secondo giorno ve ne pentirete.

Pensate a salvarvi l'Anima, che è la cosa, che importa tutto, e più di ogni altra cosa. Consigliatevi con un buon Confessore, e con qualche Monaca di buona vita. Io vi raccomanderò a Gesù Cristo, acciò vi faccia prendere la via più sicura per salvarvi, e voi ancora raccomandatemi a Maria Santissima per la morte, che mi sta vicina".

 

Altro desiderio non aveva Monsignore, che veder consegrata a Gesù Cristo questa Nipote, lasciava mezzo per fortificarla. Scrivendo a D. Antonia Liguori sua cugina, così si spiega: "Salutatemi Teresa mia Nipote. Ditele, che non si faccia ingannare dal mondo, e lasci Gesù Cristo, perché farà una vita infelice, e più infelice la morte. Di presente sono rare le Dame che vivono nel mondo, e si salvano. Che non lasci la comunione, e l'orazione, e legga spesso qualche libretto spirituale. Temo che non si abbia procurato nel Monistero qualche figliuola di servizio, che stia col mondo in testa. Ringrazio Vostra Riverenza, che ci sta sopra. Mi credeva, che a quest'ora avesse cercato farsi Monaca, ma temo che questo pensiere se lo faccia passar di testa".

 

Non contento di queste tante sollecitudini, per lo stesso motivo anche raccomandolla al Signor Gavotti. In una sua de' 18. Novembre così si spiega: "Parlando di Maria Teresa mia Nipote, e vostra pupilla,


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io sto afflitto, perché prima anelava farsi Monaca, ma poi non me ne ha parlato più. Temo che volesse maritarsi. Viene a dire, che facilmente si dannerebbe. Oggidì le maritate difficilmente si salvano, perché ordinariamente tutte le Dame maritate per lo più vivono in peccato per li molti Cicisbei, che le tentano. Ho pregato il Sacerdote che la confessa, che con modo particolare attenda a farla Monaca: così prego parimenti VS: Illustrissima ad ajutarla, perché se si marita, secondo i tempi presenti, io l'ho per dannata".

 Mancano le lettere al Signor Vespoli, e Gavotti, e non è picciola la perdita, che si è fatta.

 

Scrivendo alla figliuola a' 23. Aprile 1781. "Sì Signora, le dice, seguiterò a pregare per la vostra vocazione, come mi scrivete. Mi vo ricordando, che pochi anni sono, mentre era vivo vostro Padre, avevate desiderio di sposarvi con Gesù Cristo. Sicché vi è stato tempo, nel quale stavate lontana di abbandonarvi al mondo. Io prego Gesù Cristo, che vi confermi questo desiderio di non darvi al mondo; che se vi abbandonerete, difficilmente persevererete in grazia di Dio.
Questo che dico a voi, lo dico a tutte le Dame figliuole, che sono venute qui a ritrovarmi, facendo loro intendere, che se avanzano al mondo, difficilmente avrebbero ottenuta la salute eterna. Il mondo presentemente è tutto corrotto; e per quello che so, le Dame che vanno alla conversazione, ordinariamente perdono la grazia di Dio. Così state attenta a non lasciare Gesù Cristo per il mondo, perché perderete Gesù Cristo, e l'Anima".

Conchiude, e dice: "Per grazia di Dio tutt'i parenti miei morti in tempo mio hanno fatto buona morte, e spero stare con essi in Paradiso, e così spero trovarmi colà anche insieme con voi".

 

Tanto ottenne Monsignore, quanto bramava. I desiderj de' Santi non restano defraudati. Già si dichiarò D. Teresina volersi monacare, anzi usava violenza per vedersi consolata. Il Consigliere Vespoli però, non essendo la figliuola, che di anni diciotto, ripugnava il suo consenso, maggiormente che ostava la volontà del Padre, che non voleva la Monaca prima degli anni venti. Insistendo la figliuola, ed anche ripugnando il Signor Gavotti, Monsignore non mancò coadjuvarla. Non una, ma più volte carico il Vespoli, ed il Gavotti, che non era velleità nella Nipote, ma efficace volontà di monacarsi. Ponderò l'instabilità del cuore umano, ed il pericolo a cui la figliuola si esponeva. Furono così efficaci le sue persuasive, che quei Signori, dandosi per vinti, vi prestarono il consenso.

 

Non finirono qui le sue sollecitudini. Dovendo la figliuola, prima di entrare in Noviziato, uscire di Monastero, anziché affidarla a' parenti, affidolla alla sua penitente la Duchessa di Bovino.

Si sa di qual


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virtù era la Duchessa. "Se la metto in casa de' parenti, dicea Alfonso, eccola in mille pericoli, conversazioni, teatri, e veglie. Se le mette un Cicisbeo attorno, e può farle perdere l'amore di Dio, e storzellarla di non più monacarsi".

Gradì la Duchessa aver in casa D. Teresina. A' 16. Febbrajo 1781. uscì di Monastero; mancò Monsignore prevenirla e farla cauta co' suoi avvertimenti. "Le raccomando, scrisse, il santo timore di Dio, la modestia, e non attaccarsi alle cose di questa terra. Quello che più mi preme si è il non andare a' festini, e simili divertimenti, pur troppo pericolosi; e prego specialmente il non portarsi all'Accademia. Certamente la Signora Duchessa non è contraria a questi miei sentimenti: ce le comunichi, e conoscerà quanto sia aliena dal farla divertire con tanto pericolo dell'Anima.

Fu a prenderla la Duchessa con sua figlia la Duchessa di Caramanica, col Duca suo marito, e co' Fratelli della medesima D. Giuseppe, e D. Alfonso. Altro divertimento non chiese D. Teresina, che essere portata in Nocera a baciar la mano al Zio.

Benché le visite di donne non furono mai gradite da Monsignore, in questa della Nipote vi ritrovò tutto il compiacimento. Tre giorni la Duchessa, e la figliuola stiedero in Nocera. Poteva Monsignore, avendo la pensione sulla Chiesa di S. Agata, usarle una discreta liberalità. Prevalse bensì all'amore la povertà. Tutto il regalo non furono che la Visita al Sagramento, ed il picciolo Apparecchio alla morte, tutti e due di poche grana. Così una Reliquia in piccola teca di filograna di argento di due in tre carlini.

Vedevasi incomodata la figliuola, erano dieci mesi, con una piaga nella gamba. Sapendolo Monsignore, se ne afflisse. Licenziandosi, e ginocchioni chiedendogli la benedizione, "vi benedico, le disse, e come Zio, e come Vescovo". Questo fu di mattina. La sera, scoprendosi in Napoli la piaga, con istupore del Chirurgo, della Duchessa, e di altri di casa, ritrovossi perfettamente sana.

 

A' 16. di Giugno 1781. rientrò D. Teresina nel Monistero. Alfonso insistette presso del Signor Gavotti, che così l'entrata in Noviziato, che la Professione fatta si fosse con una minore magnificenza. Signorile fu la funzione, anche coll'intervento della prima nobiltà Napoletana. Professando desiderava la figliuola, che Monsignore vi fosse intervenuto.

"In ricevere l'ultima vostra, così Alfonso le rescrisse, è stata così grande la consolazione che non ho potuto trattenere le lagrime. Sento pena di non aver potuto venire ad assistere nel giorno della monacazione. Se Iddio mi avesse concesso di potervi venire, certamente altro non avrei fatto, che piangere; ma Iddio non ha voluto darmi questa consolazione.

Frattanto non cesso raccomandarvi a Gesù Cristo, acciocché v'infiammi tutta del santo suo amore,


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per poi andarlo a godere un giorno da faccia a faccia in Paradiso. Prego raccomandarmi più volte a Gesù Crocefisso, acciò mi dia una buona morte, mentre per li peccati fatti sto con gran timore della mia eterna salute. Vi benedico, e non lascerò ogni mattina, che mi comunico, avervi presente, acciocché Gesù Cristo vi faccia tutta sua".

Vi voleva un regalo a D. Teresina, e Monsignore non mancò di farlo. "Vi mando, disse, questa figurina di Maria SS., acciocché la ringraziate, e seguitate a raccomandarvi sempre".

 

Quanto fu impegnato Alfonso per la monacazione di questa Nipote, altrettanto dimostrossi indifferente per la situazione di D. Giuseppe, altro suo Nipote. Essendo questi in età di ammogliarsi, Monsignore si rimise in tutto al Signor Vespoli, ed al Signor Gavotti. Inculcava bensì, che non si coartasse la volontà, e che prescelta se gli si fosse figliuola costumata, e di pari lignaggio. Aveva egli in orrore aver parte in simili trattati, non esenti da scrupoli.

Essendo andato D. Giuseppe a partecipargli il Matrimonio conchiuso, Monsignore con indifferenza ne ricevette la notizia. Avendolo benedetto, "prego Dio, soggiunse, a volervi anch'esso benedire"; e consolato lo rimandò carico di santi ricordi.

Così Alfonso, non pregiudicando se stesso, soddisfece a' doveri del sangue, ma con gloria di Dio, e con vantaggio spirituale de' suoi Nipoti.




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