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Cap. 15
Sollecitudine di Alfonso per gli Giovanetti suoi
nipoti: prevede in ispirito la morte del fratello; e sua premura per veder
monacata l'unica sua Nipotina.
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Siccome non vi fu uomo
tanto distaccato ed alieno da ogni interesse de' suoi, come Alfonso; così non
ve ne fu interessato, come egli, per lo bene spirituale de' congionti. Ancorché
oppresso da tanti pensieri, e travagli, tuttavolta, siccome non mancava esser
sollecito per il bene della Congregazione; così lo era per quello de'
Giovanetti suoi Nipoti. Stando questi nel Seminario de' Nobili, seppe che il
suo Fratello D. Ercole stava intavolando il Matrimonio del primogenito D.
Giuseppe colla figliuola ereditiera del Consigliere Vespoli. Non era ancora il
figliuolo di anni tredici; ma D. Ercole, vedendosi vecchio, conchiuder voleva
il Matrimonio per lasciarlo situato. In sentire Matrimonio Monsignore disse,
quasi sbalzando dalla sedia: "Mo Peppino perde la grazia di Dio".
Soggiungendogli il P. Villani,
che questo restava tra D. Ercole ed il Consigliere. "Basta, ripigliò
Monsignore, che lo sappia uno de' servitori, perché lo sappia Peppino. I figli
de' Signori - 70 -
divengono
malandrini per li servitori, camerieri, e cocchieri. Mo cominciano a dire:
Peppino allegramente; papà ti ha trovato una bella figliuola, e con questo
altre mille parolacce allo sproposito. Così si corrompono, e non si accolgono
più".
Impaziente chiese da
scrivere; e partendo un Padre per Napoli, incombenzollo, che anche a voce
rappresentato avesse al Fratello il suo disgusto, ed il certo pericolo di
vedere il figlio in disgrazia di Dio. "E' male, disse, è male, e non
conviene; tutto è disgrazia, ed offesa di Dio".
Non mancò D. Ercole
giustificarsi. Alfonso rescrivendogli nel primo di Settembre 1779. così
replica: "Ho ricevuta la seconda vostra, ma ora non so che rispondere.
Peppino è troppo piccolo per trattare di casarlo, e come sento, anche la
figliuola è molto piccola. E' cosa molto scabrosa trattare ora di un Matrimonio,
che non si potrà effettuare almeno tra lo spazio di sei o sette altri anni. Io
son vecchio, oggi o domani son fuori del mondo. VS. pure è vecchio. Se Giuseppe
resta casato di quindici o sedici anni, non so dove anderà a parare".
Vedendo inclinato il Fratello per questo Matrimonio, soggiunse: "Torno a
dire: di questo Matrimonio non fate saper niente a Peppo, ma temo, che già
l'abbia saputo. Godo che stia in Seminario, perché se stesse in casa, non
mancherebbe qualche servitore, che discorrendo di questo Matrimonio, non gli
facesse perdere co' mali pensieri d'impudicizia, la grazia di Dio".
Essendo i giovanetti in
età di far capitale del bene, ed evitar il male, lunga lettera istruttiva
abbiamo ai medesimi in data de' 4. aprile 1780., che perché ripiena di divini
sentimenti non stimo tralasciarla.
Amatissimi Nipoti.
"Io vi aspettavo
qui per darvi l'ultima benedizione, e gli ultimi ricordi, giacché è miracolo
della bontà del Signore, che io viva un altro poco di tempo per piangere le mie
colpe, ma sia sempre benedetto il Signore Iddio, a cui non è piaciuto darmi
questa consolazione, che io per altro non meritavo. Vi benedico dunque da
lontano, e vi benedico di cuore, e prego Dio benedetto a benedirvi ancor egli
dal Cielo, ed infondere ne' vostri teneri cuori il suo santo timore, ed amore:
amore, che duri sempre, e vi conduca all'eternità beata, dove, se il Signore mi
usa misericordia, vi attendo.
Vi sia a cuore il
temere Dio come vostro Signore, ma più di amarlo come Padre: Padre, nome
dolcissimo, così lo chiamate ogni giorno nell'orazione Domenicale, dicendo:
Padre nostro. Sì, egli è vostro Padre, amatelo perciò - 71 -
con tenerezza. Egli è Padre, ma buono, ma dolce,
amoroso, tenero, benefico, misericordioso. Altritanti titoli, per i quali voi
dovete amare questo Padre con affetto cordiale, tenero, e grato. Beati voi se
l'amerete con sincerità di animo fin dalla fanciullezza, non vi parrà duro, ma
soave il giogo del Signore, ed amabile la sua Santissima Legge.
Imparate a vincere le
vostre passioni sregolate, e trionfare de' nemici delle Anime vostre. L'abito
al ben fare si anderà a poco a poco fortificando, sicché vi riuscirà piano e
dolce ciò, che agli altri caduti ne' vizi, sarà molesto, e difficile. Amate
Iddio, figliuoli miei. Vi chiamo figli, sì perché vi amo con affezione di
carità come padre, sì perché vorrei formare nel vostro spirito la santa carità.
Amate, figliuoli miei, il Signore Iddio, e Gesù - Cristo, ed amateli assai, e
custodite nel vostro cuore questo amore con gelosia, temendo di perderlo.
Grande perdita si è il perdere l'amore di Dio, la sua grazia ed amicizia, ed
incorrere il suo sdegno. e le sue vendette".
Prosiegue e dice:
"Vi raccomando l'esser umili. L'umile fugge i pericoli, e nelle tentazioni
involontarie ricorre con fiducia a Dio, e così conserva il divino amore. Il
superbo facilmente cade nel peccato, ed offese del Signore. Senza umiltà, o non
farete mai bene vero, né avrete sincera, e soda virtù, o la perderete
agevolmente. Dio resiste a' superbi, ed usa misericordia agli umili. Sono
questi mirati dal Signore con occhio pietoso, e sono amici di Dio.
Se badate a voi
medesimi, non sarete superbi, imperciocché troverete in voi stessi motivi da
sempre umiliarvi. Siete nati bene, ma questo è dono di Dio. Siete in un
Collegio governato da zelanti e provvidi Signori, ne' quali si accoppiano alla
loro sublime nascita grandi, e singolari virtù; in esso siete ben educati da'
Maestri prudenti, savj, morigerati, e questo è anche un beneficio del Signore.
Siete adesso, come spero, in grazia di Dio, e questo anche è puro effetto della
divina beneficenza. Tutto in somma è dono del Signore quanto avete di bene,
perciò siete più debitori alla divina bontà, non dovete dunque insuperbirvi.
Che se poi rimirate i vostri mancamenti, che sono veramente cosa vostra,
dovreste umiliarvi sempre.
Come umili, con amore,
e gratitudine ubbidite in Collegio a' vostri Superiori, i quali o v'insegnano,
o vi accarezzano, o vi correggono, vi dimostrano in tutto l'affezione
caritativa de' loro cuori; e sebbene a voi dispiacciono le correzioni, pure le
medesime sono effetto dell'amore, che vi portano cotesti buoni Religiosi.
Ubbiditeli, come altritanti vostri Padri, perché vostro Padre ad essi vi ha
consegnati, e ve li ha assegnati per Padre. Ubbiditeli, rispettateli, amateli
come dovete rispettare, ubbidire, ed amare il vostro medesimo Padre. Spero che
lo facciate per dar gusto a Dio, a vostro Padre, ed a me".
"Ho poi inteso
pena, che poco applichiate allo studio. Oh figli, - 72 -
piangereste, se intendeste il male, che fate!
L'ignoranza, e l'ozio sono le seconde sorgenti del peccato, e de' vizj.
Studiate perciò con
attenzione, con applicazione, con impegno per conoscere Iddio, i suoi beneficj,
le sue ricompense, e poterlo contemplare, ed amare assai. L'ignorante poco o
nulla conosce Dio, i suoi beneficj, le proprie obbligazioni, e doveri, e perciò
fa il male.
Studiate dunque, e
prima che io muoja, fatemi intendere il profitto, che ricavate da questi miei
ricordi. Io sono nella fine de' miei giorni, né so se mi vedrete mai più. Siano
queste mie ultime esortazioni scolpite ne' vostri teneri animi, e producano
quel profitto in voi, che desidero. Leggete questa mia lunga lettera, domandate
spiegazioni di ciò, che non intendete, ed imprimetela nella vostra memoria,
acciò possiate mettere in pratica quanto vi dico.
Amate assai Iddio,
studiate per conoscere questo grande, ed amante Signore, e quindi sempre più
amarlo. Custodite nel cuore questo amor santo coll'umiltà, ubbidite con
docilità, e amore a' vostri Superiori, ed a vostro Padre. Osservate le regole
del Collegio per dar gusto a Dio. Siate divoti di Maria Santissima, sotto la di
cui tutela, e patrocinio vi lascio, ed a cui vi raccomando con caldo affetto, e
vi benedico in Gesù Cristo, acciò siate suoi e nel tempo, e nell'eternità, come
lo spero".
Altra croce, tra tutte
le croci, tenevagli Iddio preparata, ed Alfonso dovette caricarsene. Fu questa
la morte di D. Ercole, e la tutela, che abbracciar dovette de' suoi Nipoti.
Previde Monsignore in ispirito tre mesi prima questa croce. Stava D. Ercole
robusto, ed in perfetta salute.
Un giorno stando al
solito Monsignore buttato, ed in silenzio sulla sua sedia, rivolto al P.
Costanzo, Ercole, disse, in quest'anno mi ha da inquietare. Così
disse, e tacque. Non si capì il mistero, anzi si prese per un sogno, e non fu
così. A capo di tre mesi accadde la morte di D. Ercole, e fu agli 8. di
Settembre 1780., ma quanto violenta, altrettanto inaspettata.
Uniformato Alfonso al
Divino volere, ricevette con sommissione di spirito la notizia. Benedetto Iddio, disse, ed unendo le
palme si tacque. Rilevando, che per Tutore de' figli D. Ercole lasciato aveva
l'Avvocato D. Pietro Gavotti, ma con dipendenza da lui, e dal Consigliere D. Nicolò
Vespoli lor parente, se ne consolò. Era il Gavotti uomo rispettabile in se
stesso, affezionato, e molto interessato per questa casa.
Alfonso in che n'ebbe
la notizia, subito lo prevenne con sua lettera, e non tanto raccomandogli
gl'interessi temporali, quanto una educazione santa per gli suoi Nipotini.
Avendo chiamato a scrivere il P. Costanzo, memore questi del presagimento, nè
Padre, gli disse, questo voleva significare l'inquietudine, che dar vi doveva
D. Ercole? Monsignore, troncandogli la parola, - 73 -
via mo, disse, scrivete; e cominciando a dettare, tempo non gli diede di più
interrogarlo. Fe guadagno il Signor Gavotti con questa tutela. Vedevasi egli
così travagliato, quasi di continuo da una fiera emicrania, che a stento
potevasi applicare. "Io sono a servirvi, rescrisse, e mi adoprerò per
quanto posso per gli vostri Nipoti; ma V. E. Reverendiss. si degni pregare
Iddio, che mi liberi da questo male di testa, che tanto mi cruccia".
"Abbiate cura di cotesti figliuoli, gli rispose Alfonso, e non dubitate, che Iddio vi consolerà". Attestava il Gavotti,
che in ricevere questa lettera, nell'istante si vide sano e libero, nè più
soffrì, per fin che visse, un simil male. Grato pel beneficio ricevuto attrassò
sempre qualunque negozio, ove cosa concorresse, che interessasse i pupilli.
Sollecito vedevasi
Alfonso per vedere in istato di salvezza D. Teresina sua Nipote, già educanda
in S. Marcellino. Era questa in età di sedici anni, e stimavala Monsignore una
delle gioje più care, ch'egli aveva nel cuore.
"Io per me in questa età cadente di anni ottantacinque, così scrivendo
alla medesima, non sono utile a niente; ma quando vi bisogna qualche cosa,
avvisatemi, perché farò, che vi si assista. Trattanto raccomandatevi a Gesù
Cristo; e prego, se qualche persona vi consiglia lasciar il Monistero, ed andar
a diruparvi (intendo a maritarsi) non la state a sentire, perché certamente il
secondo giorno ve ne pentirete.
Pensate a salvarvi
l'Anima, che è la cosa, che importa tutto, e più di ogni altra cosa.
Consigliatevi con un buon Confessore, e con qualche Monaca di buona vita. Io vi
raccomanderò a Gesù Cristo, acciò vi faccia prendere la via più sicura per
salvarvi, e voi ancora raccomandatemi a Maria Santissima per la morte, che mi
sta vicina".
Altro desiderio non
aveva Monsignore, che veder consegrata a Gesù Cristo questa Nipote, nè lasciava
mezzo per fortificarla. Scrivendo a D. Antonia Liguori sua cugina, così si
spiega: "Salutatemi Teresa mia Nipote. Ditele, che non si faccia ingannare
dal mondo, e lasci Gesù Cristo, perché farà una vita infelice, e più infelice
la morte. Di presente sono rare le Dame che vivono nel mondo, e si salvano. Che
non lasci la comunione, e l'orazione, e legga spesso qualche libretto
spirituale. Temo che non si abbia procurato nel Monistero qualche figliuola di
servizio, che stia col mondo in testa. Ringrazio Vostra Riverenza, che ci sta
sopra. Mi credeva, che a quest'ora avesse cercato farsi Monaca, ma temo che
questo pensiere se lo faccia passar di testa".
Non contento di queste
tante sollecitudini, per lo stesso motivo anche raccomandolla al Signor
Gavotti. In una sua de' 18. Novembre così si spiega: "Parlando di Maria
Teresa mia Nipote, e vostra pupilla, - 74 -
io sto afflitto, perché prima anelava farsi Monaca, ma poi non me ne ha
parlato più. Temo che volesse maritarsi. Viene a dire, che facilmente si
dannerebbe. Oggidì le maritate difficilmente si salvano, perché ordinariamente
tutte le Dame maritate per lo più vivono in peccato per li molti Cicisbei, che le
tentano. Ho pregato il Sacerdote che la confessa, che con modo particolare
attenda a farla Monaca: così prego parimenti VS: Illustrissima ad ajutarla,
perché se si marita, secondo i tempi presenti, io l'ho per dannata".
Mancano le lettere al Signor Vespoli, e
Gavotti, e non è picciola la perdita, che si è fatta.
Scrivendo alla
figliuola a' 23. Aprile 1781. "Sì Signora, le dice, seguiterò a pregare
per la vostra vocazione, come mi scrivete. Mi vo ricordando, che pochi anni
sono, mentre era vivo vostro Padre, avevate desiderio di sposarvi con Gesù
Cristo. Sicché vi è stato tempo, nel quale stavate lontana di abbandonarvi al
mondo. Io prego Gesù Cristo, che vi confermi questo desiderio di non darvi al
mondo; che se vi abbandonerete, difficilmente persevererete in grazia di Dio.
Questo che dico a voi, lo dico a tutte le Dame figliuole, che sono venute qui a
ritrovarmi, facendo loro intendere, che se avanzano al mondo, difficilmente
avrebbero ottenuta la salute eterna. Il mondo presentemente è tutto corrotto; e
per quello che so, le Dame che vanno alla conversazione, ordinariamente perdono
la grazia di Dio. Così state attenta a non lasciare Gesù Cristo per il mondo,
perché perderete Gesù Cristo, e l'Anima".
Conchiude, e dice:
"Per grazia di Dio tutt'i parenti miei morti in tempo mio hanno fatto
buona morte, e spero stare con essi in Paradiso, e così spero trovarmi colà
anche insieme con voi".
Tanto ottenne
Monsignore, quanto bramava. I desiderj de' Santi non restano defraudati. Già si
dichiarò D. Teresina volersi monacare, anzi usava violenza per vedersi
consolata. Il Consigliere Vespoli però, non essendo la figliuola, che di anni
diciotto, ripugnava il suo consenso, maggiormente che ostava la volontà del
Padre, che non voleva la Monaca prima degli anni venti. Insistendo la
figliuola, ed anche ripugnando il Signor Gavotti, Monsignore non mancò
coadjuvarla. Non una, ma più volte fè carico il Vespoli, ed il Gavotti, che non
era velleità nella Nipote, ma efficace volontà di monacarsi. Ponderò
l'instabilità del cuore umano, ed il pericolo a cui la figliuola si esponeva.
Furono così efficaci le sue persuasive, che quei Signori, dandosi per vinti, vi
prestarono il consenso.
Non finirono qui le sue
sollecitudini. Dovendo la figliuola, prima di entrare in Noviziato, uscire di
Monastero, anziché affidarla a' parenti, affidolla alla sua penitente la
Duchessa di Bovino.
Si sa di qual - 75 -
virtù era la Duchessa.
"Se la metto in casa de' parenti, dicea Alfonso, eccola in mille pericoli,
conversazioni, teatri, e veglie. Se le mette un Cicisbeo attorno, e può farle
perdere l'amore di Dio, e storzellarla di non più monacarsi".
Gradì la Duchessa aver
in casa D. Teresina. A' 16. Febbrajo 1781. uscì di Monastero; nè mancò
Monsignore prevenirla e farla cauta co' suoi avvertimenti. "Le raccomando,
scrisse, il santo timore di Dio, la modestia, e non attaccarsi alle cose di
questa terra. Quello che più mi preme si è il non andare a' festini, e simili
divertimenti, pur troppo pericolosi; e prego specialmente il non portarsi all'Accademia.
Certamente la Signora Duchessa non è contraria a questi miei sentimenti: ce le
comunichi, e conoscerà quanto sia aliena dal farla divertire con tanto pericolo
dell'Anima.
Fu a prenderla la
Duchessa con sua figlia la Duchessa di Caramanica, col Duca suo marito, e co'
Fratelli della medesima D. Giuseppe, e D. Alfonso. Altro divertimento non
chiese D. Teresina, che essere portata in Nocera a baciar la mano al Zio.
Benché le visite di
donne non furono mai gradite da Monsignore, in questa della Nipote vi ritrovò
tutto il compiacimento. Tre giorni la Duchessa, e la figliuola stiedero in
Nocera. Poteva Monsignore, avendo la pensione sulla Chiesa di S. Agata, usarle
una discreta liberalità. Prevalse bensì all'amore la povertà. Tutto il regalo
non furono che la Visita al Sagramento, ed il picciolo Apparecchio alla morte,
tutti e due di poche grana. Così una Reliquia in piccola teca di filograna di
argento di due in tre carlini.
Vedevasi incomodata la
figliuola, erano dieci mesi, con una piaga nella gamba. Sapendolo Monsignore,
se ne afflisse. Licenziandosi, e ginocchioni chiedendogli la benedizione,
"vi benedico, le disse, e come Zio, e come Vescovo". Questo fu di
mattina. La sera, scoprendosi in Napoli la piaga, con istupore del Chirurgo, della
Duchessa, e di altri di casa, ritrovossi perfettamente sana.
A' 16. di Giugno 1781.
rientrò D. Teresina nel Monistero. Alfonso insistette presso del Signor
Gavotti, che così l'entrata in Noviziato, che la Professione fatta si fosse con
una minore magnificenza. Signorile fu la funzione, anche coll'intervento della
prima nobiltà Napoletana. Professando desiderava la figliuola, che Monsignore
vi fosse intervenuto.
"In ricevere
l'ultima vostra, così Alfonso le rescrisse, è stata così grande la consolazione
che non ho potuto trattenere le lagrime. Sento pena di non aver potuto venire
ad assistere nel giorno della monacazione. Se Iddio mi avesse concesso di
potervi venire, certamente altro non avrei fatto, che piangere; ma Iddio non ha
voluto darmi questa consolazione.
Frattanto non cesso
raccomandarvi a Gesù Cristo, acciocché v'infiammi tutta del santo suo amore, - 76 -
per poi andarlo a godere
un giorno da faccia a faccia in Paradiso. Prego raccomandarmi più volte a Gesù
Crocefisso, acciò mi dia una buona morte, mentre per li peccati fatti sto con
gran timore della mia eterna salute. Vi benedico, e non lascerò ogni mattina,
che mi comunico, avervi presente, acciocché Gesù Cristo vi faccia tutta
sua".
Vi voleva un regalo a
D. Teresina, e Monsignore non mancò di farlo. "Vi mando, disse, questa
figurina di Maria SS., acciocché la ringraziate, e seguitate a raccomandarvi
sempre".
Quanto fu impegnato
Alfonso per la monacazione di questa Nipote, altrettanto dimostrossi
indifferente per la situazione di D. Giuseppe, altro suo Nipote. Essendo questi
in età di ammogliarsi, Monsignore si rimise in tutto al Signor Vespoli, ed al
Signor Gavotti. Inculcava bensì, che non si coartasse la volontà, e che
prescelta se gli si fosse figliuola costumata, e di pari lignaggio. Aveva egli
in orrore aver parte in simili trattati, non esenti da scrupoli.
Essendo andato D.
Giuseppe a partecipargli il Matrimonio conchiuso, Monsignore con indifferenza
ne ricevette la notizia. Avendolo benedetto, "prego Dio, soggiunse, a
volervi anch'esso benedire"; e consolato lo rimandò carico di santi
ricordi.
Così Alfonso, non pregiudicando se stesso, soddisfece
a' doveri del sangue, ma con gloria di Dio, e con vantaggio spirituale de' suoi
Nipoti.
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