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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • LIBRO I
    • CAPITOLO 4 Progressi di Alfonso ne' Tribunali di Napoli; sua condotta nello spirito; Matrimonio trattato, ma non effettuato.
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CAPITOLO 4

Progressi di Alfonso ne' Tribunali di Napoli; sua condotta nello spirito; Matrimonio trattato, ma non effettuato.

 


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Fu tale l'applicazione di Alfonso e tali i suoi progressi nella Giurisprudenza, che, non avendo ancora anni sedici, dava conto, e possedeva a pieno una tal facoltà. Rilevasi dai registri de' Signori Caraccioli d'Avellino, a' quali spetta decorare in questo Regno i giovanetti della Laurea Dottorale, che fu egli aggregato con applauso commune tra Dottori; ma con dispenza di anni tre di età, mesi otto, e giorni ventuno, essendo di anni sedici, e mesi tre, e giorni venticinque, e propriamente nel ventunesimo di Gennaio dell'Anno 1713. In quest'età, benchè giovanetto, si vide Alfonso Liguori, con ammirazione comune, salire nei Tribunali di Napoli; ed assistere, anzioso di approffittarsi, alle tante decisioni di quelle Ruote così rispettabili. Sul principio lo diede in pratica suo Padre al Signor Perrone, celebre Avvocato in quel tempo; e passato questi a miglior vita, venne affidato al Signor Jovene, anche Giureconsulto molto stimato tra suoi coetanei.

In quest'età Alfonso, benchè giovanetto, diede bando a qualunque divertimento anche di sera in casa del Signor Cito. La sua conversazione non era, che in casa del Presidente D. Domenico Caravita, uomo savio, e timorato di Dio, ed a niuno il secondo nelle facoltà Civili, e Canoniche. Questa casa era in quel tempo, come un'Accademia per i giovanetti studiosi. Quivi intervenivano i più morigerati, e quei, che più erano interessati per le facoltà Legali. Godeva il Caravita vedersi intorneato da tanti candidati; ed aveva tutto l'impegno di abilitarli, e di vederli esperti nelle cose del Foro. Proponeva loro degli articoli i più intrigati; ed ogni sera, tenendosi Ruota, si delucidavano con suo compiacimento, facendo egli da Giudice, e questi, e quelli gli Avvocati opposti, con sommo profitto di quei tanti Giovanetti.

 

Non ancora Alfonso compito aveva i quattro lustri di sua età, che affollato si vide da' molti Clienti; e con sua gloria farsi strada ne' Tribunali tra i primi Avvocati. Godevano allora i Signori Liguori il favore di varj Senatori, o amici, o parenti. Ci erano tra' Reggenti del Collaterale D. Giacomo Salerno, Zio di Alfonso; perchè Marito di Antonia Liguori Sorella di suo Padre;  e D. Giuseppe Cavaliere, Fratello di sua Madre. Favorivalo, ed amavalo con tenerezza di Padre anche il Reggente di Miro, e D. Muzio di Maio Caporuota della Vicaria, perchè amicissimi di casa, e dei Signori Cavalieri; ed oltre di questi, altri ancora, che a me non sovvengono. Questi valentuomini, avendo conosciuta la somma


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abilità di Alfonso, il suo costume, e l'impegno, che aveva di vantaggiarsi, anch'essi concorsero tutti a volergli fare onorata clientela.

Fu tale la stima, in cui si vide presto il pubblico, che tra poco tempo affidate gli furono, con istupore di tutta Napoli, anche le cause più gravi.

 

In questo disimpegno, mi contestavano i nostri vecchi, che tutto rendevalo singolare: vastità di talento, chiarezza di mente, e precisione nel dire: somma onestà, e sommo orrore a cavilli: non intraprendeva causa se non giusta, e fuori di eccezione: umanità coi Clienti, e disinteresse; e quello, ch'è più, tal dominio aveva de' cuori, che arringando ammaliava i Giudici, e mutoli rendevansi i suoi cotradittori. Tutte queste, ed altre doti, che possedeva, animavano ognuno a volergli mettere nelle mani i proprj interessi, ed a cercare il suo patrocinio.

 

Se aveva a cuore Alfonso farsi strada ne' Tribunali, e rendersi glorioso colla sua saviezza; nientemeno vedevasi impegnato, per avanzarsi nello spirito, e rendersi caro a Dio. Decorato che fu colla Laurea Dottorale, se passaggio, due anni dopo, dalla Congregazione de' Giovanetti Cavalieri, a quella de' Dottori, che anche esiste nella medesima Casa de' Padri Girolimini; e fuvvi aggregato a' 15 Agosto 1715, avendo di età anni diciannove.

Grande era il bene, che da Congregati in quel tempo si operava in questa sacra Adunanza, come tuttavia si prosiegue con edificazione di tutta Napoli. Animati quei degni Sacerdoti dallo spirito del glorioso S. Filippo lor Fondatore, non trascurano mezzo, per veder imbevuti dello spirito di Gesù Cristo questi tali Congregati, e renderli colle loro sollecitudini cari a Dio, ed utili allo Stato.

 Alfonso volle profittarne anch'esso. Che se fanciullo gustato aveva tra quei Padri il primo latte della pietà; adulto gustar voleva anche gli alimenti più sostanziali.

 

Oltre la Congregazione, frequentava al solito anche la stanza del P. D. Tommaso Pagano suo direttore nello spirito. Questi era il suo Angelo tutelare; a questi esponeva i suoi dubi; si appartava in qualunque caso dai di lui consigli: vale a dire, che adulto, ed in questo stato, non si scemò; ma si accrebbe in lui pietà, e divozione. Frequentava i Sacramenti; assisteva agl'infermi negli ospedali; amava con l'orazione la mortificazione di se stesso, e delle proprie passioni; saliva in Tribunale, senza prima aver assistito alla S. Messa, e soddisfatto in Chiesa alle proprie divozioni.

Ogni otto giorni interveniva in Congregazione; e non trascurava verun obbligo di quei Congregati. Mi attestava D. Diodato de Santis Gentiluomo della Città di Vietri, avendo di età anni ottantuno, che giovanetto ricordavasi aver veduto Alfonso servire gl'infermi, in unione degli altri Fratelli, col distintivo di Avvocato, nella casa degl'Incurabili, rifare i letti, e con, somma carità, e divozione ristorarli, e dar loro da mangiare.


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Era tale la sua condotta in questa Congregazione, che restavane ammirato ognuno di sua modestia, e del grande raccoglimento, con cui disimpegnava le proprie funzioni. Fu così attaccato Alfonso a questa sua Congregazione, che non mancava intervenirci semprecchè portavasi in Napoli; e c'intervenne anche in quei pochi giorni, che vi fu da Vescovo.

 

Se Alfonso vedevasi impegnato per la divozione, non minor impegno aveva D. Giuseppe suo Padre in fomentarcela, e rendercela radicata. Ogni anno volevalo con se nel ritiro de' santi Esercizj, o nella Conocchia, casa tenuta addetta per quest'opera da' soppressi Gesuiti, o nella casa della Missione sotto la cura de' Padri di S. Vincenzo de' Paoli; e se talvolta trovavasi in corso colle Galee, voleva, che ci fosse andato solo, ed avesse pensato a casi suoi. Alfonso istesso disse, non so in quale occasione, che di anni diciotto sentito aveva nella Conocchia gli esercizi del P. Buglione: n'encomiava il buon'ordine, e la santità del sogetto; e disse ancora, che questi Esercizj fecero in esso della molta impressione; e che ricavato aveva un sommo profitto.

 

Anche in questa età spiccava in Alfonso, con modo tutto particolare, un amor sommo per la Purità. Stimavala esso la gioia più cara dell'Anima sua. Benchè giovanetto, non si vidde mai in lui, conversando tra gli uguali, segno, o parola, che adombrato avesse questa bella virtù. Tutto era onestà in Alfonso. Ne viveva così geloso, che di lontano ne temeva i pericoli. Anche nella notte, dubitando tral sonno qualche involontario toccamento con se stesso, che offeso avesse la santa Purità; mettendosi a letto, mi disse D. Gaetano suo Fratello, che restringeva le proprie mani in una manetta di cartone ben grossa, fatta a borza, per così evitare in se stesso, anche dormendo, ogni toccamento men puro.

 

Non poteva una tanta esemplarità in Alfonso Liguori essere senza frutto. Vedremo nell'eternità quanto questa fece di bene ne'suoi coetanei; ma per ora la Providenza, se non altro, ci fa noto la conversione, ch'ella produsse, di uno Schiavo di casa.

 Aveva D. Giuseppe suo Padre, come Capitano delle Galee, varj Schiavi al suo servizio. Di questi uno il più ben discepolo, e riccamente vestito, lo destinò pel servizio di Alfonso. Non passò gran tempo, che lo Schiavo disse da se volersi far Cristiano. Dimandato, come, e perchè una tale risoluzione? Rispose: Mi son mosso dall'esempio del mio Padrone: non può esser falsa, soggiunse, questa Religione, in dove il mio Padrone vive con tanta onestà; e divozione. Lo disse; e fu costante nel suo proposito. Si Cristiano lo Schiavo; e tra poco se ne morì con segni patenti di sua predestinazione. Mi dissero D. Ercole, e D. Gaetano, che niuno de' tanti Schiavi avuti in casa, ancorchè stimolati, erasi convertito; e che questo


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solo, anche non pregato, mosso all'esemplarità di Alfonso, aveva da se abiurato Maometto, ed erasi convertito a Gesù Cristo.a

 

Era già Alfonso in età di circa vent'anni. Vedendosi i progressi, che tuttogiorno faceva nei Tribunali, credeva ognuno, e persuadevasi, che per i talenti suoi così rari, e pel favore, che Casa Liguori godeva presso i Principi Austriaci, non esser per mancargli quanto prima la toga, e nel senato di Napoli uno de' posti più vantaggiosi. Prevenzioni così rare, oltre ogni altro preggio, che desiderar si può in un giovine Cavaliere, cioè grandezza d'animo, e desiderio di gloria, un trattar gentile, e manieroso, con un costume illibato, e senza macchia, animavano i principali Signori a volerlo imparentato con qualche propria Figlia.

Varj erano i partiti di matrimonio, che si avevano per le mani. D. Giuseppe suo Padre, posponendo ogn'altro negoziato, non erasi determinato, che in D. Teresina, Figlia unigenita di D. Francesco Liguori Principe di Presiccio, perchè ereditiera, e perchè parente. Si stimava da tutti, ed il Principe anch'esso era persuaso, che non era più per aver prole maschile; e mancando i maschi, pensava D. Giuseppe acquistare per se, e per suo Figlio una eredità, che non era indifferente. Si avanzò anche a farne parlare col Principe, e colla Principessa da D. Vespasiano Liguori, anche lor parente.

Se D. Giuseppe aveva piacere intavolare un tal matrimonio, quei Signori lo desideravano di vantaggio stimando fortuna della propria Figlia, se univasi in isposa con Alfonso. Tutto si aveva per fatto. La casa del Principe si frequentava da D. Giuseppe, e quella di D. Giuseppe dai Signori di Presiccio: scambievoli erano i complimenti; e se non si affettuarono gli sponsali, fu per aversi Alfonso un po più avanzato ne'Tribunali, e la Figliuola ancora in età più matura.

Questi per altro erano maneggi tra Parenti;


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 ma non è, che Alfonso insistette, o che si dimostrasse voglioso per un tale stato.

 

I giudizi di Dio sono imperscrutabili. Mentre queste cose si trattavano, si trovò incinta fuori di aspettativa D. Verginia Gaetano Principessa di Presiccio. Quest'accidente se mutar pensiere a D. Giuseppe; non essendo più vantaggioso il matrimonio per casa sua, come dapprima sel credeva. Dandosi indietro, più non si vide la solita ardenza; maggiormente si allontanò allorchè, sgravandosi la Principessa, diede alla luce un maschio. Dispiacque non poco questo raffredamento a D. Teresina, e molto più al Principe, ed alla Principessa.

A capo di mesi morì il Figliuolo.

Con quest'accidente si ravvivarono in D. Giuseppe i passati desiderj: cominciò di nuovo a frequentare la casa di Presiccio, e di nuovo a far progetti di matrimonio. Benchè disgustati, non si dimostrarono alieni il Principe, e la Principessa; ma D. Teresina, che avevasi veduta dispettata nella nascita del Fratello, sentendosi far parola di Matrimonio, disse: Quando era vivo mio Fratello, io non era buona per Alfonso Liguori; ora ch'è morto, sono buona: Si vede, che si vuole la roba, e non me: bastantemente ho conosciuto cosa sia il Mondo; voglio non curare il Mondo, e sposarmi con Gesù Cristo. Come disse, così fece. Essendosi spiegata co' Genitori, risoluta volle farsi Religiosa tra le monache del Sacramento: si chiamò Teresa Maria; e sortì la sua Monacazione agli otto di Maggio 1719.

 

Questo disgusto tra Alfonso, e D. Teresina fu un tratto della Providenza, che non voleva l'uno, l'altra illaqueati col secolo. Benedisse Iddio la risoluzione di D. Teresina, perchè veramente si fe santa. Entrò in tal'impegno, subitochè pose piede nella clausura, di esser tutta di Gesù Cristo, che non lasciò mezzo, per essergli di compiacimento. Breve fu la sua vita; e succedè la sua morte con fama di Santità a' 30 Ottobre 1724 avendo di età anni 21. Pregato Alfonso da quelle Venerabili Madri, trentasette anni dopo la di lei morte, a voler fare un ristretto di sue virtù, non mancò di farlo, e darlo fuori a comune edificazione.

 

Fra questo tempo abbiamo un'atto, e molto singolare in Alfonso. Con questo si rileva con quale sommissione egli viveva a suo Padre, e come D. Giuseppe lo manteneva a se soggetto.

Una sera ci fu in casa conversazione di Dame e Cavalieri. Nel partire di questi, non fu a tempo il servidore a farsi avanti col torchio. Questo sgarbo dispiacque a D. Giuseppe. Calati quei Signori, non mancò sgridare il servidore, e farlo carico della poca attenzione. La mancanza fu casuale; ma D. Giuseppe passeggiando, e ruminando lo sgarbo, non finiva di riprenderlo. Compassionando Alfonso l'inavvertenza del servidore: Che cosa è, Signor Padre, gli disse, quando cominciate non la finite.

Offeso D. Giuseppe di


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quest'ammonizione, avendolo di fianco, e trovandosi di cattivo umore, gli tirò uno schiaffo. Restò confuso Alfonso, non disse parola; e così umilliato qual'era si ritira sul punto nella propria stanza. Venuta l'ora di cena, e non vedendolo la Madre, va per chiamarlo, e ritrovalo tutto lagrime a piè del Crocifisso, piangendo il poco rispetto portato a suo Padre. Confessò aver errato; e pregolla a volergli ottenere il perdono. Di fatti unito con sua Madre si presentò piangendo a suo Padre, chiedendo scusa del mancamento. Questa umiliazione coi segni di tale pentimento intenerì D. Giuseppe, l'abbracciò, e benedisse; e se fu sensibile il rammarico, più sensibile fu la consolazione vedendo il figlio così umiliato.

Questo solo accidente ci fa rilevare con quale sommessione Alfonso portavasi con suo Padre anche in età avanzata, ed uno de' primi Avvocati ne' Tribunali di Napoli.

 

 

 




a Posizione Originale Nota (Libro I, cap. 4, p. 14)

Sorprende l'ordine della predestinazione in questo Moro. Il P. Mastrilli Girolimino parente di Alfonso sentendo le buone disposizioni, che questo Moro aveva di farsi Cristiano, lo chiese ad Alfonso; ed Alfonso cel diede, per maggiormente vederlo istruito. Caduto infermo lo Schiavo, il P. Mastrilli lo mandò raccomandato nell'Ospedale della Pace. Una sera verso le quattro della notte cominciò questi a strepitare, che voleva il suo padrone. S'inquietò in modo, che posto sossopra l'Ospedale, si dovette chiamare il P. Mastrilli. In vederlo il Moro, chiese voler esser battezzato: Mi sono comparsi, disse, la Madonna, S. Giuseppe, e S. Gioacchino; e mi han detto, che mi fossi or ora battezzato; perchè mi vogliono in Paradiso. Avendogli detto il Padre, che l'infermità non era grave; e che non era bene istruito: Mi dimandi Vostra Paternità, disse lo Schiavo, che le risponderò; ed a tutto rispose con franchezza. Avendolo battezzato, gli disse, che poteva riposare, vedendosi consolato: Non è tempo di riposo, rispose lo Schiavo, perchè or ora dovrò esser in Paradiso. Se la rideva ognuno, non essendoci segno di morte; ma a capo di mezzora il Moro con aria ridente spirò la sua bell'Anima in mano di Dio.






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