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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap. 20 Rivolta de' Soggetti riscontrandosi alterata la Regola; somma afflizione di Alfonso vedendosi ingannato; sua moderazione col Padre Majone, e mezzi, ma inutilmente presi, per rimettersi la Regola nel suo stato.
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Cap. 20

Rivolta de' Soggetti riscontrandosi alterata la Regola; somma afflizione di Alfonso vedendosi ingannato; sua moderazione col Padre Majone, e mezzi, ma inutilmente presi, per rimettersi la Regola nel suo stato.

 


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Non prima de' 27. Febbraro 1780., terza Domenica di Quaresima, non pervenne in Nocera la riformata Regola, anche con lettera di Officio di Monsignor Cappellano.

Non portolla di persona il Padre Majone, temendo e prevedendone l'evento; ma l'inviò per il Padre Gaspare Cajone, anche Consultore. Giunse questo in tempo di riposo. In che si seppe il suo arrivo, impazienti i Soggetti, sentendo pervenuta la reale approvazione, uno risvegliando l'altro, tutta la Casa si vide in moto. Uniti risvegliano il Padre Villani, ch'era Vicario e Rettore, e con questo il Padre Mazzini. Non si aprì il plico, perché aggravato Monsignore da' suoi acciacchi.
La sera essendo stati i Padri a sollevarlo, Monsignore tutto allegro lor disse: Venerdì Santo accetteremo


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di nuovo la Regola, ed anche noi faremo a Gesù Cristo questo sacrificio. Lo faremo, gli fu risposto, dopo aver letto, e considerato il Regolamento.
La medesima sera tanto si adoprarono col Padre Villani, prima d'andarsi a letto, che ebbero in mano il Regolamento. Il leggerlo, e vedersi tutti in armi fu una medesima cosa. Non si riposò la notte, anzi squinternandolo ne fecero copia.

Non ancora fatto giorno, si risveglia Alfonso, e facendosegli presente lo sconcio nella Regola, se gli chiede giustizia. Alla novità resta sbalordito il povero vecchio. Legge a stento anch'esso, e qual cervo ferito diedesi a gridare: Non si può, non si può; e volgendosi al P. Villani, D. Andrea, disse, non aspettava da voi questo inganno; e rivolgendosi alla Comunità: Meriterei, disse, esser strascinato a coda di cavallo. Doveva leggerlo io come Superiore; e rivolto al Crocefisso ripigliò: Gesù Cristo mio, mi sono fidato del Confessore: se non mi fidava del Confessore, di chi meglio avrei potuto fidarmi. Voi sapete, disse rivolgendosi di nuovo alla Comunità, che per leggere un verso, vi debbo stentare. Fu tale l'amarezza, che proruppe in pianto. Sono stato ingannato, esclamò; e quasi stolidito non disse più parola.

 

Tutta la mattina non si vide che in un profondo silenzio, ed in tale e tanta afflizione, che non sembrava uomo, ma cadavere; e se cibossi, nol fece, che a stento, ed obbligato dai nostri. Mangiando, e guardando il Crocefisso, che gli stava rimpetto, cogli occhi grondanti di lagrime, esclamò: Ah Signore, non castigare gl'innocenti, ma mortificate chi vi ci colpa, perché ha guastato l'Opera vostra. Sopraffatto dal pianto, diede in dietro il tavolino, né volle più mangiare. Fu tale per Alfonso questo travaglio, che levandogli per più giorni il sonno, dubitar ci faceva di sua vita.

 

Non sapendo il povero vecchio in sì grave imbarazzo come risolversi, e darvi del riparo, chiama, e richiama dalle Case ora un Soggetto, ed ora un altro. Anche chiamò me da Iliceto. Ritrovandosi in Napoli il Padre Corrado a' dieci di Marzo, così gli scrisse: "D. Bartolomeo mio, io sto in pericolo di andare in pazzia. Trovo il nuovo Regolamento fatto da Majone quasi tutto contrario ai sentimenti miei. Quì tutti li giovani fanno fracasso. Prego lasciar tutto, e venirmi a trovare, se non mi volete veder perduto di cervello, e morto con qualche goccia". Essendosi ritirata una compagnia de' nostri dalle Missioni delle Calabrie, Alfonso al primo incontro piangendo lor disse: Mi hanno guastato la Regola.

 

Avendo preinteso, ma fu falso, che il Padre D. Gaspare Cajone, anch'esso uno de' Consultori Generali, e Rettore allora in Benevento, era d'intelligenza col P. Majone, così gli scrisse a sette Aprile: "Vorrei che V. R. esaminasse bene le cose, che ha mutato il


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Padre Majone".

Avendo fatto il parallelo tra il Regolamento, e la Regola, soggiunse: "Questa nostra Regola prima fu esaminata da Monsignor Falcoja, che ha fatto miracoli, poi riveduta dal Cardinal Spinelli; e finalmente da Benedetto XIV. Ora si vede tutta stravolta e mutata. Non so chi possa aver animo posporla al presente Regolamento. Né il Re l'ha fatto, né il suo Segretario; ma l'ha fatto il Padre Majone. Avrà avuto buona intenzione, ma non posso chiamare opera di Dio questa mutazione. Io per me stò vicino alla morte, tengo ottantaquattro anni, e poco è il tempo che mi resta, e mio principale intento si è di morire ai piedi di Gesù Cristo Crocifisso".

 

Non dormiva il Padre Majone. Vedendo l'opposizione che incontravasi, e volendo esserne a capo, investendosi di zelo per il suo operato, e di falso compatimento per Alfonso, rappresenta a Monsignor Cappellano l'indocilità dei Soggetti, e l'amarezza di Alfonso nel non vedersi ubbidito.

Questi con altra sua di Officio incarica ad Alfonso, ed ai Soggetti nel primo di Marzo l'esecuzione del dato Regolamento. Troppo enfatica fu questa lettera; ma come si seppe, fu composta dal medesimo Padre Majone. Tra l'altro conchiudeva così: "VS. Illustrissima, qual Fondatore, e Rettore Maggiore della Congregazione, faccia sapere in nome mio a tutti e qualsivogliano Individui, che cotal Regolamento deve restar sempre fermo in ogni futuro tempo, senza veruna alterazione, o diminuzione, dovendo osservarsi puntualmente giusta la sua serie, continenza, e tenore da tutti li Congregati presenti, e futuri, sieno Superiori, Sacerdoti, Studenti, o Laici senza contraddizione, ed opposizione alcuna".
Qual nuovo fuoco accendere potette questa lettera di Monsignor Cappellano, ognuno sel figuri. Alfonso cercava smorzarlo; ma la fiamma faceva fuoco in tutte le Case.

 

Non è che volesse Alfonso, tra questi infrangenti, la morte del P. Majone, ancorché infedele, e causa di tanto male; ma emendato volevalo, e non amareggiato. Vedendo evidente la di lui ruina, essendo tutti accaniti contro di lui, ne piangeva, e mezzo non lasciava per salvarlo.

Scrivendogli in Napoli, ove ritrovavasi, gli apre il cuore, si dimostra offeso del suo operato. La lettera è tale, che non merita attrasso. "Io abbracciato ai piedi di Gesù Cristo, così a' 20. Marzo 1780., vi scrivo questa mia. Prego a far lo stesso per parte vostra in questi giorni, in cui Gesù Cristo per nostro amore ha dato la vita. D. Angelo mio, scordiamoci di tutto il passato, e mettiamoci sotto i piedi tutto quello ch'è succeduto. Prego ritirarvi nella Casa vostra de' Ciorani, e se non vi piace quella Casa, eliggetevi quella, che volete.

Siate sicuro che io per me vi amerò come prima, e più di prima, e ciò lo vedrete coll'esperienza. Resterete


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Consultore, com'eravate prima, dando il vostro parere in tutti gli affari pressanti della Congregazione. La stima vostra lasciatela in mano mia, e sarà mio perpetuo pensiere difenderla presso tutti i domestici, ed estranei. Quietiamoci adunque. Ve lo prego per le piaghe di Gesù Cristo. Non ho altro che dire: consigliatevi col Santissimo Sacramento, e poi datemi la risposta quando vi piace. Vi benedico, e prego Gesù Cristo che vi riempia del suo santo amore, e vi faccia tutto suo, come Gesù Cristo lo desidera".

 

Nello stesso giorno scrisse al Padre D. Bartolomeo Corrado: "Ho pensato andare col Padre Majone con tutta dolcezza, perché così vuole, e m'ispira Gesù Cristo. Gli ho scritto una lettera tutta dolce, pregandolo per amore di Gesù Cristo a mettersi sotto i piedi tutto il passato. Così seguiterò a fare fintanto, che il Signore voglia vederci quietati. Ho pregato Majone, che si ritiri ne' Ciorani, o a quella Casa che vuole. Io spero per questa via, che certamente piace a Gesù Cristo, ottenere la pace, e tutto. Bisogna aver pazienza, e raccomandarci a Gesù Cristo, ed a Maria Vergine, ch'è la Madre della pace".

 

Anzi che profittare il Padre Majone di queste parti così amorevoli fattegli dal povero vecchio, acceso vie più si vide di sdegno contro la Comunità, e contro Alfonso medesimo. Non vedendo assecondato il suo intento, e volendo sopraffar tutti, era per dar supplica al Sovrano, affinché costretti si fossero i Soggetti, o ad abbracciare il già fisso Regolamento, o a partire di Congregazione.
Questa notizia, sapendosi il suo fare, unì fuoco a fuoco. Monsignore si vide perduto; e dubitando del passo, a' 12. Aprile spedisce di fretta in Napoli il Padre D. Salvatore Gallo, rivocando la procura al Padre Majone, ed intestandola al Padre D. Bartolomeo Corrado.

"Ho saputo, così scrive al medesimo Padre, che l'amico voleva per mezzo di una supplica mia falsa, cioè di uno di quei fogli da me firmati, ottenere dal Re un ordine a me diretto di discacciare ognuno, che ripugnasse al Regolamento. In somma voleva far me stesso carnefice de' miei Fratelli".

L'incarica informar di tutto Monsignor Cappellano, e dice: "Se Monsignore non arriva a persuadersi dell'inganno, nulla da esso otterremo, dicendo ch'esso mi ha ottenuto quanto da me si voleva: ma no, il Padre Majone ha ottenuto quanto voleva esso, non quello voleva io. Se il Regolamento avesse da mantenersi, io temerei, che più d'uno avesse da perdere la vocazione. Procuri, gli scrisse, fargli sentire lo stato della nostra Congregazione. Tra gli altri, che ci sono da cento giovani che han fatti tutti gli studj di Teologia Dogmatica, ed altro. Questi se andassero nella Sorbona,


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o in Lovanio farebbero una buona comparsa, ma il Padre Majone vorrebbe vederli tutti distrutti per l'intento suo".

 

Non trovando pace il povero vecchio con sua lettera il medesimo giorno rappresentò esso medesimo a Monsignor Cappellano l'inganno in cui era caduto; e scrisse al Padre Corrado, che unito col Padre Gallo gli rappresentassero anche a voce lo sconvolgimento, in cui vedevasi la Congregazione.

"Il Cappellano Maggiore, secondo gli ho scritto, spero che vi sentirà con tutta carità. V. R. palesi tutto l'animo del P. Majone, che per vantaggiare l'officio de' Consultori, oltre aver cercato togliere al Rettore Maggiore tutte le Facoltà, vi ha posto nel Regolamento fatto da esso, non già da me, vi ha posto dico, tutto quello che gli piaceva". Volendosi il Padre Majone denigrato per parte di Alfonso nelle Reali Segreterie, e presso Monsignor Cappellano, spacciarlo non dubitò per stravolto, e debilitato di mente.

Andando Alfonso incontro a questo, soggiunge nella medesima lettera. "Dica a Monsignor Cappellano, che io non sono scimunito, come gli dirà il Padre Majone; ancora mi ajuta il cervello, ma esso Padre tira a farmelo perdere".

 

Similmente avendo della fiducia in D. Giuseppe Cantore, uno de' primi Officiali della Real Segreteria scrisse al medesimo Padre Corrado: "Parlate all'Officiale Cantore, e se è possibile, anche a Vecchietti, persuadendo loro che le cose poste dal Padre Majone, non sono bagattelle, ma cose tutte sostanziali, che guastano il governo della Congregazione. Il medesimo si ha arrogato la facoltà di discacciare i Soggetti anche Sacerdoti, e vi ha posto altre cose pesanti contro i Padri, e che tutti in tutte le Case stanno rammaricati, e forse con pensiere di lasciare la Congregazione.

 

 Vedendosi obbligati i Soggetti con replicate lettere di Monsignor Cappellano ad osservare ciò, che professato non avevano, riclamavano tutti contro i Consultori, e contro Alfonso medesimo per il tenuto segreto. Il malcontento fu tale che scemata restò in Alfonso quella venerazione, che se gli professava.

Stringendosi nelle spalle il povero vecchio, e non sapendo che si fare, barcollava, ma senza respiro, tra un mare di angustie; e solo gemeva ai piedi del Crocifisso. Altra speranza non avendo che la sola protezione di Monsignor Cappellano, con altra lunga lettera non mancò fargli presente le gravi angustie, in cui si trovava. Tra l'altro, che alterata la Regola, stimava distrutta la Congregazione; e se non degnavasi trovarvi del rimedio, in pericolo vedevasi di lasciarvi la vita.

Nel tempo istesso avvanzò lettera al Padre D. Gennaro Fatigati, Superiore de' Cinesi, ed amicissimo del Testa, perché cooperato si fosse in far ridurre le innovazioni in conformità della Regola.


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Credendo Alfonso, che Monsignor Bergamo, Vescovo di Gaeta, potesse interporsi presso Monsignor Cappellano, riscontrò anche questi dell'accaduto, colle cattive conseguenze che si temevano, pregandolo volersi portare in Nocera per comunicargli a voce le gravi angustie in cui ritrovavasi, e lo sconvolgimento in cui vedevasi la Congregazione.

"Voleva, gli scrisse, venir di persona a parlarvi, ma trovandomi storpio sopra una sedia con anni ottantaquattro di età, e pieno d'infermità, fidato non mi sono di venire. Pertanto l'aspetto, e prego farmi questa carità. Iddio certamente gli rimunerà questo viaggio, mentre spero colla sua venuta si quieteranno tutti i rumori. Io con tutti i Padri di questa Casa, e di tutte le altre Case, aspettiamo questa vostra venuta, e ve ne preghiamo. Si tratta riparare la ruina di questa Congregazione, che finora ha santificato tante Provincie. VS. Illustrissima è piena di zelo, e carità; spero certo che voglia consolarmi".

 

Tra tutti l'unico appoggio, come dissi, era Monsignor Testa, anche come amico; ma lusingossi in vano. Questi, perché erane autore, ne voleva la meglio, e disfare non voleva ciò, che con applauso operato aveva. Assistito dal Padre Majone, anzi che ammettere le preghiere di Alfonso, e le interposizioni di amici, ancorché autorevoli, insistette per l'esecuzione del Regolamento, e voleva esserne riscontrato.

 

Questa tempesta, uopo è dire, fin dai 25. di Gennaro, si previde in ispirito dall'afflitto Monsignore. Quasi risvegliandosi dopo una profonda meditazione, disse ai nostri, e così spiegossi il medesimo giorno, scrivendo in Benevento al Padre Cajone: "Prevedo che in quest'anno il demonio farà sforzi per inquietarci tra di noi. Pertanto V. R. ogni sera faccia dire in comune queste brevi orazioni, che stanno nel cartellino; e le faccia dire dal mese di Febbraro per quattro mesi continui, e terminarle nella fine di Maggio". Manca il cartesino perché non curato.




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