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Cap. 21
Altri gravi emergenti in cui si trovò, e vide Alfonso
la sua Congregazione.
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Succede ad Alfonso come
chi è sorpreso in mare da grave tempesta, volendo evitare un cavallone,
sopraffatto si vede da un altro, con pericolo di restar perduto: così egli
volendo riparare uno sconcerto, non fu a capo di questo, ed incontrossi in un
altro di gran lunga peggiore.
Volendo riparare il
male, che fatto si era, e mettere la pace - 104 -
tra Congregati, con essere nel tempo istesso ossequioso al Sovrano, e non
dar disgusto al Papa, sospese l'esecuzione del Regolamento, e venir stimò ad un
espediente, che di certo prometteva e pace, e riparo. "Se ad ognuno, ei
disse, (ed erano i 14. di aprile 1780.), è permesso ricorrere al proprio
Principe, o per l'ampliazione, o per lo rischiaramento delle sue grazie, credo
non disconvenga, che di noi esponiamo al Sovrano i nostri bisogni, e che
dipendiamo da altre provvidenze".
Avendo raccomandato a
Dio l'affare, ed implorata per più giorni la protezione di Maria Santissima,
determinò, ritirati che fossero i Padri dalle Missioni, voler tenere un
Assemblea; con chiamare due Soggetti da ogni Casa, e di consenso, esaminandosi
le cose, esporsi al Sovrano le comuni determinazioni. Avendo cercato per questo
varj pareri in Napoli, tutti ne presagivano felicissimo l'evento.
Essendosi così
determinato, inteso ne rese Monsignor Cappellano, pregandolo di sua protezione.
Monsignore, o perché disgustato, o perché occupato, non diede risposta. Alfonso
non vedendosi riscontrato, e non fidandosi spiegar di nuovo per lettere le sue
gravi angustie, destinò un Padre, che stava in Napoli per informarlo. Affinché
esatto questi fosse ne' suoi sentimenti, con un cartello non mancò
imboccarcegli. Dice Monsignore, così egli, che se VS. Illustrissima non lo
sente, verrà a trovarla quantunque storpio: che nella notte passata non ha
potuto dormire sapendo che il Padre che portato aveva la lettera, per la calca
della gente, non potette avere udienza; ma se non trova udienza replicherà
mille lettere al Segretario de Marco, e mille suppliche al Monarca.
Alieno fu sulle prime
Monsignor Cappellano. Persuaso dello stato delle cose, e della rivolta in cui
vedevasi la Congregazione, inclinato dimostrossi a volerlo favorire. Consolato
Alfonso, sollecito ne diede parte alle
Case, insinuando pace ad ognuno, e compromettendosi del riparo. Scrisse,
essersi determinata nel primo di Maggio un Assemblea; ed ordinò, che in ogni
Casa eletti si fossero due Soggetti per maggioranza di voti, affinché di
consenso dar si potesse rimedio allo sconcerto che si piangeva.
Non si disanima
l'inferno nelle sue intraprese. Mentre Alfonso oppresso dal dolore rimarginar cercava
la piaga, ed estinguere il fuoco nelle Case di Regno, il demonio non mancò in
quelle dello Stato tal fiamma accendervi, che incenerir lo doveva.
Soggetto torbido, ed
inquieto ritrovavasi tra questo tempo in quella di Frosinone. Mal veduto questi
dalle altre Case, Alfonso con suo rincrescimento destinar dovevalo ora in una,
ed ora in un altra. Non piacendo questo giuoco, pregno vedevasi il buon uomo di
mal umore contro Alfonso, e i suoi Assistenti. Accaduto l'incidente di Napoli,
anche alterate - 105 -
vedevansi
le fantasie tra Soggetti dello Stato: Egli mascherando la perfidia col zelo, ed
investendone altri, bandiera inalberò contro Alfonso, sputando indipendenza, e
divisione.
Passi si avvanzarono
per consiglio in Roma fin dai 3. di Febraro, facendosi vedere complice delle
novità, ed egli tra l'altro, contro ogni legge, intruso nel governo. Si chiese
farne inteso il Papa, e supplicarlo o per convocarsi un Capitolo generale nelle
Case dello Stato, o lo smembramento di quelle da queste di Regno, colla facoltà
di eleggersi nello Stato un Superior Generale.
Inviata la circolare
per le Case, non trovò Alfonso ne' Soggetti dello Stato la solita docilità.
Credendosi che astringere si volessero a professare ciò, che non si voleva,
risposta non diedero alle sue lettere. Fu tale la renitenza, che obbligato si
vide il povero vecchio, non sapendone il di più, forzarli (cosa insolita in
lui) anche con precetto formale. "Tutto ciò, così nel 1. di Maggio al
Rettore di Frosinone, io l'impongo a Vostra Riverenza, come Rettore, o altri
che presiede, sotto precetto di ubbidienza. E per non mettere in dubbio la sua
firma, fecela autenticare da pubblico Notaro. Mi sono veduto costretto a dare
questa ubbidienza formale, così all'altro Rettore in Benevento, in vedere così
poco stimata la mia autorità in tante lettere, che ho mandato, senza darmisi
risposta".
Pervennero in Nocera
coi Deputati del Regno quei dello Stato; ed il consaputo Soggetto, che io
nominerò il Procuratore, v'intervenne come destinato dalla Casa di Frosinone.
Non venne che pieno di veleno qual era, per iscuotere il giogo di Alfonso, e
confermare l'ideata divisione. Aperta l'assemblea a 12. di Maggio, incendio di
fuoco si vide tra Soggetti.
Tutti comparvero
zelanti, chi per amore della Regola autorizzata dal Papa, e chi colorendo col
zelo qualche passione non soddisfatta. Riclamavano i Sacerdoti, e riclamavano i
Chierici. Anche i Fratelli Laici investironsi di zelo; ed il Procuratore tra
tutti vedevasi il più zelante.
Troppo premeva
all'inferno, per essere a capo de' suoi disegni, mettere l'Assemblea in
iscompiglio. Preoccupati tutti contro il Padre Majone, e compagno, e non
riguardandoli che come nemici della Congregazione, chi espulsi li volevano, e
chi deposti.
Si pente Alfonso,
vedendo il fuoco, del passo già dato, ed anzi che pace, ruina presagiva, ed
altra tempesta. Vedendosi il povero vecchio tra due fuochi, cioè dei partitanti
dei due Consultori, che non mancavano, e de' soggetti già radunati, e non
sapendo smorzarlo, perché impotente, stringendosi col Crocifisso, la ruina
piangeva della Congregazione, e deploravane lo stato. "Qui ci stanno quei
di Gesù Cristo e quelli del demonio, disse piangendo al Padre Sorrentino, ed io
vi sto in mezzo.
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Ritrovandosi in Napoli
due de' Soggetti già destinati per l'Assemblea, e tali che ad altri imporre
potevano, così loro scrisse: "Fratelli miei carissimi, vi prego per quanto
posso a rimuovervi dall'impresa di togliere quei due Consultori, perché
sgarreremo tutto. E' vero, che alcuni non si accordano con quei due Soggetti,
ma spero a Dio, che coll'ajuto di Maria Santissima tutte le ruggini vadano a
finire. Seguiterà l'opera come si è concertata, e Dio ne caverà la gloria sua.
All'incontro se pigliamo di punta a rompere la pietra, temo che gli animi più
si sconcertino, ed il demonio ne cavi il
suo profitto.
Sento che Iddio seguita
ad ispirarmi questo sentimento, il Cappellano Maggiore non sarà alieno, e voi
dovete farvi una gran forza in persuadervi il contrario. Essendo io il Capo
della Congregazione, tengo per certo, che Iddio non voglia ispirarmi un
sentimento falso, e pregiudiziale alla Congregazione. Vedo, che l'inferno fa
fracassi per seminare discordie, ma io mi sento spinto a mettervi pace; e mi
pare di ottenere certamente la pace, se si seguita a tenere questa via.
Scrivetemi Domenica mattina qualche notizia di pace, e vi benedico".
Adopravasi Alfonso nel
tempo istesso anche coll'altro Soggetto che fu complice col P. Majone,
pregandolo a volerlo distogliere dal sostenere lo sconcertato Regolamento.
"Qui è venuto il P. N. scritto aveva in Napoli fin dai 3. di Maggio ai
sopraddetti Soggetti, cui jeri sera parlai, e spero averlo smosso. Lasciamo
fare a Dio". Il vero si è, che cantò al sordo. "Mi sono ingannato,
rescrisse ai 12.: quando mi credeva aver persuaso, o almeno smosso il P. N., lo
riconosco più forte di prima in difendere il P. Majone. Dio però ci
ajuterà".
Vedendo il fuoco il P.
Majone, e non potendo opporsi, di soppiatto attraversava le cose in Napoli,
prevenendone Monsignor Cappellano. Più di questo non vi volle per mettere in un
maggiore iscompiglio tutta l'adunanza. Rincrescendo ad ognuno la compassione,
che Alfonso, e i Padri Villani, e Mazzini dimostravano per i due Consultori,
animati i Soggetti da quella libertà, che loro assisteva, arditamente a' 20. di
Maggio, posto da banda ogni rispetto, si venne, ma non avevasi questa autorità,
alla deposizione, non già de' due, ma di tutti e sei i Consultori, facendosi di
ogni erba un sol fascio.
Non entro ad
individuare il fuoco, potendo ognuno arguirlo da se. Monsignore, se non fu
deposto da Superior Maggiore, fu bensì obbligato alla rinuncia. Tutto
pacificamente eseguì il povero vecchio. Avrebbe voluto sperimentar in se stesso
il naufragio, purché il mare calmato si fosse, e gli altri salvati.
A grazia, venendosi
alla nuova elezione nei 26. di Maggio, restò rieletto - 107 -
Alfonso in Rettore Maggiore, e tra i sei Consultori
confirmati li soli PP. Villani, e Mazzini: dico a grazia, avendosi avuto
riguardo alla vecchiaja, ed ai meriti antecedenti. Monsignore non potendo
impedire un tale incidente, adora i divini giudizj. Non solo si risente, ma fa
suo il volere degli altri.
Deposto il P. Villani,
eletto restò Vicario il P. D. Bartolomeo Corrado. Non volendo questi addossarsi
un tal peso, Alfonso, essendo quello in Napoli, prego, gli scrisse, a voler
accettare, ed esercitare il suo impiego. Poi mi metto a' suoi piedi, sicuro che
non mi amereggiarà; anzi con quell'ombra di autorità che avea, anche
l'obbliga ad accettar la carica con un formale precetto. Sceglieva il meno de'
mali, per non vedere la Congregazione in maggiore ruina.
Parte non ebbe
Monsignore, discettandosi le cose, nell'Assemblea. Storpio qual era, gemeva,
quasi agonizzante, tra i tanti dissapori lo stato della Congregazione ai piedi
del Crocefisso, e di Maria SS.. Arbitri di se stessi i Soggetti, si venne,
diciam così, ad una seconda riforma. Tante cose si determinarono in conformità,
e tante altre discordanti dalla medesima Regola. Tali sono gli effetti delle
cose tumultuarie.
Non avendo polso il
povero vecchio da reggere il timone, tra scogli vedevasi la Congregazione, nave
senza nocchiero in gran tempesta. Di buono vi fu avanzarsi supplica al Sovrano,
per potersi fare in vigor della Regola, i Voti soliti di Ubbidienza, Povertà, e
Vita Comune, con anche il Voto, e Giuramento di Perseveranza, benché cosa dal
Re non si conseguì riguardo a questo.
Tra il torbido di sì
fatte cose non perdette di mira il P. Procuratore ciò, che prefisso si aveva.
Volendo scuotere il giogo di Alfonso, il suo operato fu tale, che discordia
frappose tra queste Case di Regno, e quelle dello Stato. Non accordandosegli
ciò, che pretendere non doveva, unito con i suoi non partì di Nocera, che pieno
di mal talento. L'Assemblea, che produr doveva la pace, non fu per la
Congregazione, che nuova sorgente di rancori, e disturbi.
Dodici giorni, che durò
il conflitto, Alfonso non fu che come lo scopo alla saetta. Tutti lo volevano
per essi, ma non vedendosi soddisfatti, stimavasi da tutti come causa di ogni
male. Chi rimproveravagli il segreto tenuto tra esso, e i Consultori, e chi che
orecchio non aveva dato ai comuni sospetti. Anzi che ammettersi le sue
giustificazioni, e compatirlo, vedendosi la Congregazione in mal partito, non
si scemarono, ma si avanzarono i rimprocci.
Un zelo mal regolato
non può non dare in eccessi. Voi l'avete fondata, con aria di sdegno, se gli
rimproverò da tanti, intendendo la Congregazione, e voi l'avete distrutta.
Altri: questo peccato non sappiamo sel Dio vel rimette.
Come vittima in mano di
tutti vedendosi il povero vecchio, altro non faceva, inchiodato sulla sua
sedia, che piangere in silenzio, e con sommessione - 108 -
di spirito lo stato delle cose. Tutto attribuiva ai
proprj peccati. Non lagnavasi di verun trattamento; né ripeté, o rimproverò
alcuno di sua condotta. Uniformato al divino volere vedevasi tutto dolcezza con
tutti, ed aver per ognuno venerazione, e rispetto. Qualunque fossero le determinazioni,
ancorché lo toccassero sul vivo, abbracciavale come volontà di Dio.
Fu sentimento comune,
che se sorpreso non fu da insulto apopletico, di certo fu un tratto di patente
Provvidenza. Ma non è questo, benché sia grave, il maggior travaglio per Alfonso.
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