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Cap. 22
Sentendo con pena Pio VI. le innovazioni della Regola,
proibisce qualunque alterazione nelle Case dello Stato; nuove amarezze di
Alfonso; suo abbandono nell'Eminentissimo Banditi, e nuovi incidenti in
Congregazione.
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Occasione più propizia
di questa aver non poteva l'inferno per mettere in maggior confusione l'opera
di Dio. E' travaglio per una piazza, se al di fuori attaccata si vede, ma
stimasi resa, e posta al suolo, se scisso il presidio non conviene con chi è
capo. Sciolta l'assemblea più non vi fu per Alfonso la solita soggezione e
dipendenza; nè più pace ed armonia tra queste Case, e quelle dello Stato.
Scissi gli animi, scissa si vide la Congregazione. Tra le Case di Regno anche
vi nacquero de' partiti. Giudicando ognuno, e decidendo da se, chi approvava, e
chi no, la deposizione de' vecchi Consultori così altri stabilimenti già fatti.
Cose tutte che passavano il cuore, e mettevano in agonia il povero vecchio.
Volendo il Procuratore
venire capo de' suoi disegni, cioè
umiliato Alfonso, e la Congregazione divisa, giunto in Roma, sollecito si
presenta al Santo Padre Pio VI., e con enfasi di zelo espone il guasto, che nel
Regno sofferto vi aveva la Regola. Chiese ed ottenne, dimostrandosi ossequioso
alla Sede Apostolica, protezione Papale per se, e per le Case dello Stato. Tace
l'inganno, e l'innocenza di Alfonso, e nol rappresenta, che anzi non curante
delle Pontificie disposizioni.
Troppo male l'intese il
Papa; né capir poteva come Alfonso così addetto alla Santa Sede, e ricco delle
sue grazie, indotto si fosse ad un passo così scabroso, e deviare dai savj
regolamenti, che come Capo della Chiesa, dati gli aveva Papa Benedetto XIV.
Questa calunnia investita di zelo fe senso in tutta Roma; nè finiva di
meravigliarsi ognuno come Monsignor Liguori, così benemerito della Sede
Apostolica, urtato avesse in un fallo così grosso.
Commosso l'animo del
Papa, e fattosi merito in Sacra Congregazione - 109 -
altri passi avanzò il Procuratore. Rappresenta, e
sel figuri chi legge, se poteva passar per capo ad Alfonso, che se non davasi
provvedimento dalla Santità sua, tali novità Monsignor Liguori era per farle
passare nelle Case dello Stato. Questo maggiormente corrucciò il Papa.
Chiamatosi Monsignor Carafa a' 12. Giugno così fe scrivere all'Eminentissimo
Banditi in Benevento.
"Essendo pervenuto
a notizia di nostro Signore, che nella Congregazione del SS. Redentore siasi
fatta, o che si voglia fare mutazione nelle Regole, e Costituzioni approvate
nell'anno 1749 dalla S. M. di Benedetto XIV., la Santità sua nell'udienza de'
9. del corrente accordata all'infrascritto Monsignor Segretario della
Congregazione de' Vescovi, e Regolari, ha comandato scriversi a V. E. che
faccia intendere agl'Individui di detta Congregazione dimoranti nelle due Case
di codesta Diocesi, esser mente della Santità sua, che debbano onninamente
osservare le Regole, e Costituzioni approvate soltanto dalla S. M. di Benedetto
XIV. senza che si ammetta alcuna mutazione. E che ella facendosi dare una
stampa delle suddette regole, e Costituzioni approvate, invigili, perché non
s'introduca mutazione alcuna per la di loro osservanza. In opposto ne darà
riscontro alla Sagra Congregazione, perché si possa procedere con rimedj più
efficaci. Glielo significo, perché così si contenta eseguire".
Simil lettera fu
spedita nel medesimo tempo a Monsignor Giacobini, Vescovo di Veroli per le Case
di Scifelli, e Frosinone.
Questa Pontificia
provvidenza non sgomentò, ma rincorò Alfonso. Benedetto Iddio, disse; con
quest'ordine del Papa vien tolta ai Soggetti dello Stato la libertà di
fabbricare anch'essi, e rifabbricare sulla Regola: Gesù Cristo mio, benedici tu
l'opera tua, perché tu l'hai fatta.
Così egli pensava; ma non
fu così. Altro intento l'inferno prefisso si aveva per immergerlo in altre
nuove amarezze. Essendosi divolgata per le Case questa Pontificia provvidenza,
tanti e tanti, sul timore che costretti non venissero da Monsignor Cappellano,
anzi dal Re, ad osservare il consaputo Regolamento, in saputa di Alfonso, e con
suo disprezzo ritiraronsi nelle due Case di Benevento e S. Angelo. Tra questi
fecero volo ancora, uniti col proprio Rettore, e Prefetto, dodici Chierici che
stanziavano nella Casa d'Iliceto, e che facevano la speranza dell'intera
Congregazione.
Questa mossa non
preveduta afflisse il povero vecchio, vedendosi abbandonato specialmente da
tanti giovanetti che per esso erano la porzione più cara. Uniformato però al
divino volere, cala la testa ed al solito in silenzio adora le permissioni di
Dio, senza lagnarsi (ed è quello che faceva stupore), né di questo, o di
quell'altro.
Vedendo la tempesta, e
non sapendo Alfonso a qual porto dirigersi, né come regolare il timone di una
barca, che faceva acqua da per tutto, - 110 -
si determina buttarsi tra le braccia dell'Eminentissimo Banditi, e pregò i
suoi volersi rimettere al di lui giudizio:
"Padre mio, e
Signore, così al Cardinale, dopo mille pensieri che mi sono venuti in mente,
finalmente ho pensato scrivere a Vostra Eminenza, che se vuol vedere rimessa in
piedi la nostra Congregazione, bisogna che Vostra Eminenza si mette tutte le
carte in mano, ed operi da per sè, siccome Iddio le ispirerà, altrimenti
seguiteranno tra di noi i contrasti, e non concluderemo mai cosa alcuna di
buono.
Bisogna, replico, che
si metta in mano tutte le carte, senza tener conto di niuna scrittura da noi
fatta; non dell'Assemblea, non dell'elezione de' Consultori e Rettori, e se
Vostra Eminenza vuol mutarmi dall'officio di Rettore Maggiore faccia quel che
meglio le pare avanti a Dio. Io altro non desidero, che veder rimessa in piede
la povera mia Congregazione, e questo è l'unico modo di rimetterla.
Non istia a sentir niuno; e scriva a nostro Signore quello che meglio le pare,
per poter risuscitare questo morto. Io resto pregando la Vergine Santissima,
che l'ajuti a superare tutti gl'intoppi. Ho ordinato a tutti che non si partano
punto da' cenni di V. E.; e baciandole l'orlo della sagra veste, resto
umiliandomi".
Tanto pensò Alfonso; ma
predominando l'Inferno, tutto fu opera perduta. Ognuno giudicando da se,
qualunque fossero i progetti del savio Cardinale, niuno si uniformò alle di lui
pensate.
Nell'atto che Alfonso
vedevasi in Napoli tutto sollecito tra un mare di amarezza, per rimettersi la
Regola, in Roma gridavasi al calvario contro di lui. Avanzando i passi il
Procuratore, e non essendosi in Roma chi resistere gli potesse, caratterizza
per un ladrocinio di Efeso la tenuta Assemblea. Rappresenta Alfonso nuovamente
intruso contro ogni legge per Rettore Maggiore: così nulla l'elezione già fatta
dei nuovi Consultori, chiede, essendo tutto irregolare, non siano molestate le
Case dello Stato da' Superiori del Regno come non legittimi.
Tali furono i suoi
riclami, e le sue rappresentanze che fu spedito ordine a quattro di Agosto in
nome del Papa all'Eminentissimo Banditi in Benevento, ed a Monsignor Giacobini
in Veroli, che non si eseguisca niun ordine sia per rimozione d'Individui dalle
Case dello Stato, sia per tutt'altro che comandato venisse da' Superiori del
Regno. Vale a dire che si tolse Alfonso dal numero de' viventi.
Ottenuto questo, e non
avendo con se il Procuratore gli animi di tutti i Soggetti per ribellarsi da
Alfonso, ottenne ancora in nome del Papa, che niuno ardisse lasciar le Case
dello Stato, e ritirarsi in queste di Regno.
Alfonso sentendo in
confuso provvidenze del Papa nelle Case dello Stato, chiama subito, volendosi
informare, i più anziani da Benevento, e da S. Angiolo; e se gli risponde non
esser tenuti, non essendo legittimo Superiore. - 111 -
Cala la testa, avendo ricevuto questo complimento,
il povero vecchio, adora umiliato le disposizioni di Dio, tace, e non dice
parola in contrario.
Tali però esser
dovevano le sue interne afflizioni, ed in tale conflitto ritrovarsi collo
spirito, che assalito si vide sul principio di Agosto da due insulti nella
testa; e tali che dubitar faceano di sua vita. Piangevamo noi, vedendo la
Congregazione in sì critiche circostanze. Non così Monsignore. Uniformato al
divino volere, senza punto angustiarsi, anzi confortandoci, aspettava con tutta
pace la morte. Iddio però riserbato l'aveva ad altri nuovi travagli.
Guadagnato essendosi
da' Statisti in Sagra Congregazione l'animo di quei Eminentissimi, ma senza
individuarsi l'inganno di Alfonso, le sue rette intenzioni, e in quali dure
circostanze ei si fosse, a' quattro di Luglio umiliandosi supplica dal
Procuratore, rappresenta, ma non fu vero, che essendosi accettata, e posta in
pratica nelle Case di Regno il Reale Regolamento, ed essendo restate le Case
dello Stato senza legittimo Superiore, cerca come necessaria, la convocazione
del Capitolo, o almeno un Presidente per quelle quattro Case.
Circospetta la Sagra
Congregazione, non venne a tali economici espedienti per le Case dello Stato
senza prima mettersi a giorno degli asseriti inconvenienti. Incombensò per
tanto Monsignor Internunzio in Napoli, in data de' 12. Agosto che segretamente
s'informasse di tai vicende di cose, e riferisse. Così per mezzo di Monsignor Internunzio
venne ordinato a Monsignor Liguori dall'Eminentissimo Caracciolo di voler
trasmettere in Sagra Congregazione tutti gli Atti fabbricati nella tenuta
Assemblea, e con distinzione riscontrarlo di tutto.
Ecco Alfonso in altro
nuovo imbarazzo. Ordini troppo astringenti, com'è noto, vi erano in tal tempo
della Corte di Napoli di non avanzarsi carta in quella di Roma. Non sapendo
Alfonso come risolversi per ubbidire al Papa, e non mancare al Sovrano, confuso
com'era, rescrisse a' 24. Agosto, così consigliato da altri, che per Novembre
destinato avrebbe in Roma due de' suoi, per informarlo a voce.
"Da Monsignore Uditore intenderà Vostra Eminenza tutto quello mi vien
permesso in rapporto ai di lei veneratissimi comandi. L'età mia di
ottantacinque anni, e la congerie di molti mali che soffro, spero che meritar
vogliono compatimento dalla di lei benignità, sì per lo ritardo di questa mia
umilissima, che per le dimandate notizie.
Subito che la stagione sia propizia per viaggiare, manderò uno, o due de' miei
Fratelli, affinché colla viva voce dileguano le nebbie, che oscurano la verità,
e si rischiarino meglio le cose.
Soggiunge, e dice: Non
attendeva in questa mia età un regalo sì distinto dai miei. Ringrazio Dio
benedetto, che non mi abbandona colla sua grazia, come meriterei. E colla
venerazione che debbo, baciandole il lembo della sacra porpora, - 112 -
raccomando me miserabile
posto in angustie sì gravi, e l'Opera; che con tanti sudori, e stenti, che
coll'ajuto del Signore, ho stabilito".
Considerando nel tempo
istesso l'afflitto vecchio che in Roma prender si potesse in mala parte la
richiesta dilazione, sollecito a' 28. Agosto, così consigliato, riferì in
accorcio all'Eminentissimo Caracciolo il grave emergente in cui ritrovasi, le
dure circostanze, e l'inabilità sua a potervi riparare.
"Ritrovandomi io
nell'età cadente di anni ottantacinque, ed attratto nella persona, volesse
Iddio, ei dice, e non fossi storpio, perché potrei parlare al Re, essendo
storpio non posso, e fo una vita molto afflitta. Avendo individuate le cose, e
scorgendo, soggiunge, che ora la maggior guerra me la fanno alcuni de' nostri,
specialmente della Casa di Frosinone, i quali vorrebbero veder divisa la
Congregazione con due Rettori Maggiori.
A me poco importa,
perché vicino alla fossa; ma mi dispiace in tal modo veder ruinata la
Congregazione. Prego l'Eminenze vostre riparar quanto possono questa ruina, col
non permettere la divisione, e baciando umilmente le loro sacre porpore, e raccomandando alla loro protezione l'afflitta
mia Congregazione, e me miserabile nel mezzo di tante angustie".
Compassionando Monsignor Bergamo,
Vescovo di Gaeta, le gravi angustie, in cui ritrovavasi Monsignor Liguori, e
conoscendo quanto l'Inferno macchinava a danno della Congregazione, e delle
Anime, non mancò a 5. Settembre rilevare anch'esso all'Eminentissimo Caracciolo
l'innocenza di Alfonso, e lo stato delle cose, supplicandolo nel tempo istesso
voler sospendere qualunque provvidenza, ed assicurandolo, che non avrebbe
mancato Monsignor Liguori far conoscere la rettitudine del suo pensare, e la
necessità del suo operare.
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