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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap. 23 Pio VI, non credendo giustificato Alfonso, spoglia delle grazie Pontificie, e più non riconosce queste Case di Regno per membra della Congregazione, né Alfonso Superiore della medesima. E destina un Presidente in quelle dello Stato.
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Cap. 23

Pio VI, non credendo giustificato Alfonso, spoglia delle grazie Pontificie, e più non riconosce queste Case di Regno per membra della Congregazione, né Alfonso Superiore della medesima. E destina un Presidente in quelle dello Stato.

 


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Respirava Alfonso, credendo sospese le cose in Sacra Congregazione, e che informato il S. Padre colla gita de' suoi in Roma, fosse per reintegrare se stesso, e queste Case di Regno nella pristina sua grazia, ma restò ingannato. Iddio, che disposto aveva volerlo sommerso nel più alto mare delle afflizioni, permise che presso del Papa prevaluta non fosse la sua innocenza.

La dilazione ricercata apprendere non


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si fece dal Procuratore, che per una gabbola; e che prendevasi tempo da Monsignor Liguori per essere a capo de' suoi disegni, ed eludere le Pontificie determinazioni. Moltiplicando le suppliche in nome delle Case dello Stato, e mettendo in nuovo aspetto il grave reato di Alfonso, e de' suoi, lo strapazzo fatto della Regola, con anche il disordine, che per mancanza di un Capo, regnava nelle Case dello Stato, insiste, e fa premura per un Superiore interino.

Il maggior fuoco bensì, come Alfonso erasi spiegato, non facevasi, che dalla Casa di Frosinone. Questa Casa, che per alimentarla Monsignor Liguori mesi prima venduto si aveva le quattro posate, che non per se, ma per uso de' forestieri conservava; ed era in procinto, come si spiegò, privarsi del ristoro della cioccolata, e vendersi la carrozza per sollevarla.

 

Tanto si ottenne dal Procuratore, quanto si volle. Ingrandirono bensì i delitti a danno di Alfonso anche i disgusti, e troppo gravi che allora passavano tra questa Corte, e quella di Roma. Mal informato Pio VI., e non vedendosi in Roma niuno de' nostri, stimandosi zelo nel Procuratore ciocché era livore, più non riconosce queste Case di Regno per membra della Congregazione; spoglia Alfonso di ogni autorità; e destina Presidente nelle Case dello Stato il P. D. Francesco de Paola.
Troppo profondi sono i divini giudizj. Chi mai avrebbesi creduto Monsignor Liguori poco ossequioso alla Sede Apostolica, e come tale deposto, condannato, e privato colle Case del Regno delle grazie, e di tutte le Apostoliche beneficenze? A 22. Settembre, giorno memorando per Alfonso, e per noi, sortì il colpo fatale.

Così in data de' 25. Monsignor Carafa ragguagliò in nome del Papa l'Eminentissimo Banditi in Benevento.

"La Santità di nostro Signore, volendo provvedere di legittimo Superiore le Case della Congregazione del Santissimo Redentore di cotesta Diocesi, e della Diocesi di Veroli, nell'udienza accordata all'infrascritto Monsignor Segretario della Congregazione de' Vescovi, e Regolari li 22. del corrente si è benignata deputare in Presidente delle medesime a beneplacito della Santità sua il Padre D. Francesco de Paola, attual Superiore della Casa di Frosinone, Diocesi di Veroli del medesimo Istituto, dandogli tutte le facoltà necessarie, ed opportune, perché a tenore della Regola e Costituzioni dall'Istituto della Congregazione del Santissimo Redentore approvato dalla Santa Memoria di Benedetto XIV con suo Breve ad Pastoralis Dignitatis fastigium de' 25. Febraro 1749 esso D. Francesco de Paola presieda al governo di dette Case e loro Individui in luogo di quello, ch'essendo Superiore Maggiore di detta Congregazione ha coi suoi seguaci adottato un nuovo sistema essenzialmente diverso dall'Istituto professato, con cessare di esser membri di detta Congregazione, e godere le prerogative e


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grazie alla medesima concedute dalla Santa Sede.

Lo partecipo a Vostra Eminenza, acciò si compiaccia comandare in Pontificio nome a tutti quell'Individui della suddetta Congregazione esistenti nelle Case di cotesta Diocesi, non solo che onninamente osservino le Regole, e Costituzioni approvate dalla Santa Memoria di Benedetto XIV. senza ammettere alcuna mutazione secondo gli fu scritto d'ordine Pontificio, ma in oltre da quì avanti, e sino che sarà diversamente ordinato, debbano riconoscere per loro Superiore Maggiore il detto Padre de Paola, Presidente deputato dalla Santità Sua, ed al medesimo prestare la dovuta ubbidienza a tenore delle suddette Costituzioni.
Non altrimenti fu spedita altra lettera in Veroli a Monsignor Giacobini.

 

Non ebbe più che pretendere il Procuratore per veder Alfonso sommerso in un mare di affanni. Denigrato lo vide presso il Papa, come refrettario dalla Sede Apostolica; decaduto egli ed i suoi da tutte le grazie Pontificie; deposto dall'impiego; ed in Regno ruinata un Opera di tanta sua gloria. Festoso tra gli estri di suo compiacimento parte ne diede del ferale decreto a mezza Roma. Scrisse e rescrisse in Regno a varj amici; né lasciò mezzo per divolgare da per tutto Alfonso Liguori mal veduto dal Papa, e decaduto da tutte le grazie Pontificie.

 

Non contento il Procuratore veder Alfonso umiliato, e denigrato in Roma, ed in Napoli, ardendo di zelo, veder voleva che annientate si fossero queste Case di Regno, e perduta la memoria. Rescritto ottenne alla Sacra Penitenziaria, che più non esistendo la Congregazione nel Regno, udienza non si dasse per qualunque supplica che da' nostri come Congregati se le dirigesse, ed irrite si dichiarassero le facoltà antecedenti.

Altro foglio girar fece della medesima Sacra Congregazione a tutte le altre Congregazioni, riscontrandole, che in Regno più non esisteva la Congregazione de' Sacerdoti Missionarj, detti del Redentore. Ogni passo di questi era un tripudio per esso. Ammirandosi da tutti questo suo zelo, si vide, dicevano non pochi Prelati, con qual impegno sostiene questo buon Padre l'onore di Dio, ed i dritti della S. Sede.

 

Così avanzate non credendosi in Regno le cose presso il Papa, venn'io col P. D. Salvatore Gallo destinato in Roma. Vi giunsi a' 24. Settembre, giorno di Domenica, ma il Venerdì era succeduto il colpo. Afflitto per questa data provvidenza mi si dimostrò il Procuratore. Mezzo non ho lasciato, mi disse, per disingannare il S. Padre, e far presente a tutti l'innocenza di Monsignor Liguori: ma il Papa l'abbomina, e non può sentirlo nominare. Quello, che ho fatto nella Congregazione de' Vescovi, e Regolari Iddio lo sa, vi è mezzo per disingannare quei Eminentissimi, che Monsignor Liguori è stato ingannato, ed è innocente.
Tutto cuore mi si dimostrò per garantirmi;


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ma di soppiatto attraversavami ogni passo. Unito con esso fui da Monsignor Caraffa, e dal Prosegretario l'Abbate Zuccari. Questi in vedermi mi disse: Monsignor Liguori è scisso dall'Istituto. Non potei far niente, essendosi chiusa la Sacra Congregazione, e gli Eminentissimi in villeggiatura.

Amore, e tenerezza per Alfonso dimostrommi sempre il Procuratore. Il fuoco però è tale che non può nascondersi. Più non potendo fingere, smascherandosi un giorno, non ebbe ritegno vomitarmi un mondo di veleno; e dirmi trionfando: Si ha giocato l'Altare. Questo era in senso suo il maggior male che fatto gli aveva. Vale a dire, che preso avevalo di mira vivo, e morto.

 

Picciolo non è il fondamento, che su questo assalto da darsi ad Alfonso, fatto vi aveva l'Inferno. Ritornato in Nocera, perché di sera, non si stimò farne inteso del colpo fatale il povero vecchio. Apparecchiandosi la mattina per la Comunione, e per assistere alla Messa, il Padre Villani gli diede parte del serale oracolo. Resta di gelo Alfonso, adora con sommissione di spirito le Pontificie disposizioni, e col corpo viepiù inclinandosi disse: Io voglio solo Dio: basta che non mi manca la grazia di Dio. Il Papa così vuole, benedetto sia Dio. Più di questo non disse, seguitò con pace il suo apparecchio, assistette alla Messa, e ristorossi colla Santa Comunione.

 

Non poteva il demonio restar deluso, e lasciarlo in pace. Fatto il rendimento di grazie uscì al solito in carrozza. Insultando la tentazione facevagli vedere, che Iddio per i suoi gravi peccati distrutto aveva la Congregazione; ch'esso e non altri era causa di tutto; che Iddio avevalo abbandonato, e che più per esso non vi era speranza di salute. In questo conflitto si umilia, e confonde, rintuzza la tentazione, e dilatando il cuore fa ricorso alla confidenza.

La tentazione però facevagli vedere inganno l'umiltà, e presunzione la speranza. Prevalendo la suggestione che tutto era effetto della sua ingratitudine, altro espediente non gli si presenta, che la disperazione. Sgomentato l'afflitto vecchio affretta il ritorno in Casa, e come giunge in porteria, prorompendo in un pianto dirottissimo, comincia a gridare: Ajutatemi, che il demonio mi vuol disperato, ajutatemi che non voglio offendere Iddio.

Solleciti a tal spettacolo, occorrono i Padri Villani, e Mazzini, gridando sempre Monsignore: ajutatemi, che il demonio mi tenta di disperazione. Afflitti corriamo tutti alla sua stanza. Vedendoci, piangendo ci disse: Per i peccati miei Dio abbandona la Congregazione. Ajutatemi che non voglio offendere Dio: il demonio mi vuol far disperare.

Amaro fu il conflitto; ma rincorato dai Padri Villani, e Mazzini, che tutto era opera del demonio, che Iddio non abbandona l'innocenza, e che protetto avrebbe l'Opera sua.

Così confortato se respirare si vide collo spirito, col corpo esinanito


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restò, e quasi cadavere. Svanita la tentazione, volgendosi al Crocifisso ed a Maria Santissima tutto lieto ripeteva: Madonna mia vi ringrazio, voi mi avete ajutato: ajutatemi Mamma mia: Gesù mio speranza mia, non confundar in aeternum.

La sera, essendo entrati da lui dopo tavola, lo ritrovammo totalmente serenato. Il demonio, ci disse, mi ha tentato tutt'oggi di disperazione, ma la Madonna mi ha ajutato, e per grazia di Dio non ho fatto verun atto di sconfidenza. Non è che questa tentazione di tempo in tempo mancasse di assisterlo. Il demonio non mi lascia, disse un giorno al P. Villani, ma io non voglio dar disgusto a Dio. Gesù Cristo, e la Madonna mi hanno da ajutare.

 

In seguito discorrendosi dai nostri di questi anfratti, Alfonso troncando la parola, e ripetettolo in varie occasioni, il Papa, diceva, così ha stimato: Benedetto sia Iddio: Volontà del Papa, volontà di Dio. Il Sabato susseguente, cadavere qual era, non lasciò calare in Chiesa, e magnificare al solito con tutta pace le glorie della Vergine. Pregate Gesù Cristo, e Maria Santissima, disse al Popolo, per la nostra Congregazione, che rattrovasi in gravi travagli: Pregatili che ci faccino fare la loro santissima volontà, e che loro non si dia disgusto.

 

Sapendosi da Monsignor Bergamo in Napoli così grave angustia, in cui Alfonso ritrovavasi, sollecito si portò in Nocera. Amavalo Monsignore Bergamo con tenerezza di figlio. Raccontandogli il povero vecchio, e vi era io presente, la passata tempesta, il demonio, Monsignor mio, gli disse piangendo, mi voleva far disperare; ma Mamma mi ha ajutato; ed alzando la voce quasi scottato, non finiva ripetere: Ma Mamma mi ajutato. Non ho fatto, Monsignor mio, niun atto di sconfidenza, nessuno: Mamma mi ha ajutato, ed in questo dire vedevasegli nel volto un misto di spavento per il pericolo passato, e di allegrezza per averlo superato.

 

Compatendo Monsignor Bergamo l'amarezza così grande, in cui Alfonso ritrovavasi, e non sapendo come raddolcirgli la piaga, pensò portarsi da sua Eminenza in Benevento, per vedere cosa potevasi fare perché sussistesse in Regno l'Opera delle Missioni.

Mi ci accompagnai anch'io. Indifferente non fu l'afflizione di quel Savio Porporato. Sentendo la catastrofe delle cose pianse anch'esso. Disse che per allora non conveniva qualunque supplica al Papa, o altro passo per Roma, perché stimavalo dannoso, non che utile.




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