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Cap.24
Riconosce Alfonso suo Superiore l'eletto Presidente:
soffre con pace l'abbandono de' suoi: adoprasi coll'Eminentissimo Banditi per
ricuperarsi la grazia del Papa; e suo sommo zelo per le sante Missioni.
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Corrisposta la grazia,
ha questo di proprio, che moltiplica le forze.
Altra vittoria abbiamo
in Alfonso che scoraggiò l'Inferno. Riflettendo che nelle Case dello Stato per
volontà del Papa sussisteva la Congregazione, uniformando il suo al di lui
volere, con atto generoso suo Superiore riconosce il Presidente de Paola; e non
esitando risolve andar a morire da suddito nella Casa di Benevento.
Materia di riso, e di dolore fu per noi tutti tal risoluzione, vedendosi così
attratto, e mal ridotto. Comunque dal P. Villani, e da altri rappresentata se
gli fosse la sua impotenza, ostinato persisteva a voler partire.
Rappresentandosegli, che non essendosi abbandonata la Regola, la Congregazione
anche sussisteva nel Regno, non si arrese Alfonso: Comunque sia, ei disse, il
Papa non riconosce queste Case per Case dell'Istituto.
Un solo motivo fe darlo
in dietro, ed è, ch'essendo egli persona ben nota, un tal passo fatto avrebbe
del romore in Napoli, e cagionar poteva non indifferente disturbo tra il Re, ed
il Papa. Quest'unico riflesso di vedersi amareggiato il Papa se lo arrestò, non
lo pose in pace. Sollecito scrisse all'eletto Presidente. Si protesta suo
suddito, ed esser pronto a portarsi in qualunque Casa dello Stato; nè si vide
sereno, se dal medesimo comandato non se gli fosse di trattenersi in Nocera, ed
averlo per Congregato. a
Due volte, come dissi,
avevasi egli profetizzato questo suo detronizzamento. La prima in Arienzo nel
1774. allorché dubitandosi dai nostri se dal Papa era per accettarsi la rinuncia
del Vescovado, disse, che sarebbesi accettata, e che in Congregazione morir
doveva da suddito. La seconda allorché nel 1776. tral bollore delle liti si
dubitava che morisse. Se non si capì il mistero né la prima , né la seconda
volta, si capì bastantemente in questa data emergenza. Adorò Alfonso con
sommessione di cuore la Pontificia determinazione; e qual suddito - 118 -
in seguito ebbe sempre
pel Presidente de Paola rispetto, e tutta la subordinazione.
Fulmine in Regno fu
questa provvidenza del Papa, che atterrò, non che scotette le Case. Se tempo
prima volo di Soggetti eravi stato da queste a quelle di Benevento, e S.
Angelo, fatto noto il decreto del Papa, depopolate restarono queste di Regno. I
più ossequiosi per Alfonso, venendo da lui per consiglio, altra risposta non
dava: Ubbidite al Papa: ma ve ne
furono, che non curandolo, abbandonando il Regno, portonsi nello Stato. Altri
nella tempesta naufragarono. Vedendosi sciolti, e credendosi non tenuti alla
professione già fatta, voltando le spalle alla Congregazione, ritiraronsi nel
secolo: vale a dire, che Alfonso con doppia amarezza desolate vide queste Case,
ed egli non curato, mal veduto, e posto in abbandono.
Indifferente non fu la
Giustizia di Dio con questi naufragati. Uno, tra gli altri, educato da
figliuolo, ed amato con tenerezza da Alfonso, ma attaccato al P. Majone, e
compagno, ribrezzo non ebbe amareggiarlo. Glorioso fe ritorno in propria casa.
Fu Canonico nella sua Cattedrale, e disponendo del Vescovo, ogn'impiego
onorifico fu per lui. Io però non so come passavala con Dio. Il fatto fu, che
chiamato all'improvviso alla reddizione de' conti, una mattina, ed in età
piuttosto giovanile, morto si trovò nel proprio letto.
Ommetto altri
disgraziati per non affliggermi di vantaggio.
Dissi che non voleva
Alfonso la morte del Padre Majone, ma che conoscendo il suo fallo, umiliato si
fosse innanzi a Dio, e persistito in Congregazione, né lasciò mezzo per
guadagnarlo a Gesù Cristo.
Succeduta la catastrofe
di tante cose, la Congregazione ruinata, ed Alfonso depresso, ed umiliato,
spirito non ebbe di ritornare tra di noi. Non mancò Alfonso, volendo metterlo
in salvo, più e più volte richiamarlo, ma orecchio non diede alle paterne
premure. Vedendosi l'ostinazione, se gli fe sentire per mezzo di pubblico
Notajo, che tra tanti giorni, o si ritirasse in Congregazione, o avevasi per
espulso.
Così terminò la dolente storia. Avvilito ed esecrato da tutti ritirossi, ma con
suo poco decoro, disimpegnando affari e servendo in casa di un Barone; e presso
di quello, ed in età immatura vi lasciò la vita. Piangeva in morte, detestando
il suo operato, la propria disgrazia; e spero che conseguito si abbia da Dio
quella misericordia che desiderava.
Non dispiaceva ad
Alfonso il suo detronizzamento; e se sentiva pena per il travaglio di tante
Case così afflitte, maggiore era quello, che soffriva considerando il disgusto,
che ne provava il Papa, ed egli, come colpevole, guardato con occhio severo dal
Capo della Chiesa, che come figlio ossequiava.
"Il Papa sta in
collera con noi, così al P. Presidente agli 8. di Ottobre. Se sapesse che siamo
stati in pericolo di - 119 -
perdere
tutto, certamente non mi condannerebbe. Spero, quando sarà tempo fargli sapere
il tutto, supplicarlo della grazia, e la spero; mentre mai mi sono scordato
dell'affetto, che ha sempre avuto verso me miserabile; ed io spero vivere, e
morire servo suo fedelissimo, e della S. Chiesa".
Afflitto qual'era di
nuovo tra questi anfratti ricorrette alla protezione dell'Eminentissimo
Banditi. Pregollo voler far presente al Papa la sua grave angustia, e quella in
cui si ritrovavano tanti Individui, privi tutti delle di lui beneficenze. Egli
medesimo avendo fatto una dolente istoria delle vicende, e troppo critiche, che
dal suo nascimento sofferto aveva la misera Congregazione fino a questi ultimi
tempi, ne formò lettera al Papa da firmarsi dall'Eminentissimo Banditi. Fè
presente tra l'altro il gran bene, che la Congregazione faceva in Regno, ed in
Sicilia, e la scarsezza che eravi di Operaj; che ogni anno arrivavansi a
spedire le sei, e sette compagnie di Missionarj; e che girando per otto mesi
continui facevansi in tutte e due i Regni fino a cinquanta e più Missioni.
Questo ed altro egli pose in veduta del Papa.
"Per tre giorni,
ho stentato, così a 10. Novembre al P. Cajone in Benevento, per tessere questa
lettera, che va al Papa, e spero gli vada firmata dal Cardinale. Noi,
soggiunge, per mezzo del Cardinale abbiamo la speranza del favore del Papa. Sta
sera fo cominciare qui in Nocera una Novena di nove Pater, ed Ave in tutta la
Comunità, per il buon effetto di questa lettera. Venerdì manderò in Napoli a
far fare una novena dalle Cappuccinelle di S. Francesco. Benedico V. R. e
tutti, acciocché raccomandiate a Dio l'affare. Solo per via di orazioni
speriamo averlo favorevole; e qui in Regno ho fatto dire una Messa cantata in
ogni Casa per la stessa grazia".
Soscrisse, e mandò il Cardinale come sua la
lettera di Alfonso: ma come la verità accostavasi al Soglio Pontificio, così
dalla calunnia venivane ributtata. Fu rimessa la lettera in Sacra
Congregazione. Fattone inteso il Procuratore, e sempre più infierendo contro
Alfonso, sostenendo la divisione, nuovi cavilli non gli mancarono per farlo
indegno di qualunque grazia.
Avendo Alfonso mandato
dal Cardinale. "Desidero sapere, gli scrisse a' 15. Gennaro 1781., se in
questa risposta vi sta per noi qualche speranza".
Sospettando amarezza,
non vedendosi prevenuto dal Cardinale, "io vorrei, soggiunse, parlare a
dirittura col Papa, e vorrei mi dicesse, che abbiamo da fare per ricuperare la
sua grazia. Noi stiamo con una consulta contraria del Fiscale di Leon, e questa
consulta ancora pende. Pretende che il Re distrugga affatto le nostre Case,
dicendo che noi abbiamo la Bolla di - 120 -
Benedetto XIV. Poste queste cose, noi che abbiamo da fare per contentare il
Papa. Anche ci ha soppresso le facoltà, che avevamo della Penitenzieria, ed
appena ci restano quelle che ci concedono i Vescovi. Ci vediamo castigati senza
delitto. Torno a dire che cosa noi abbiamo da fare per ricuperare la grazia del
Papa. Intanto la Congregazione è restata divisa, e con tal divisione non può
far più quel bene che prima faceva. Prego Vostra Eminenza darmi animo, e
consiglio".
Animo gli diede il
Cardinale per uniformarsi al volere divino, ma non risposta, che consolato
l'avesse.
Rivolgevasi per
consiglio il venerando, ma afflitto vecchio anche al medesimo Presidente de
Paola. "Il Papa sta in collera con noi. Vorrei sapere gli scrisse, cosa
avrei da fare. Vorrebbe, che ributtassimo il ricevuto Regolamento, ma con ciò
cosa ne cavaressimo, se non perdere anche la grazia del Re, ed essere
discacciati dalle quattro Case di Regno. Io da molto tempo avrei scritto a
dirittura al Papa, ma come facciamo, che dal Re viene a noi proibito scrivere
senza la consulta precedente della Camera, e poi confermata dal Re.
E' ben noto al Papa da
quante proibizioni noi ci vediamo stretti; e con tutto ciò il Papa ci mantiene
in sua disgrazia, sapendo che noi non abbiamo alcun modo di ajutarci. Vi prego
scrivermi, e darmi qualche lume, perché io non so che mi fare. Non ho perduto
però la speranza in Maria Vergine, che mi ajuti, e metta in camino questa
povera barca così sconquassata".
Quello, che in questi
emergenti faceva Alfonso più senso e meraviglia si è il non farsi mai
interprete della volontà del Papa. Afflizione erano per esso non la propria
depressione, ma i Privilegj, e le facoltà perdute per le Missioni. Tanti tra di
noi non mancavano sostenere non esser noi decaduti dalle grazie Pontificie. Se
il Papa, dicevano, intende coloro che lasciato hanno la Regola, e non essendosi
da noi lasciata, come condannar può il S. Padre chi ossequioso gli vive.
La ragione persuadeva;
né la sentivano altrimenti coscii della nostra innocenza, Monsignor Onorati,
Vicario in Napoli, e Vescovo di Troja, né Monsignor Sanseverino, Confessore del
Re. Alfonso, non ammettendo interpretazione, voleva si ubbidisse. "Non
tocca a noi replicò più volte esser giudici. Chi ci fa giudici tra noi, ed il
Papa: caliamo la testa, ed ubbidiamo. Se il Papa ci ha feriti coi suoi
rescritti, con un altro può sanarci. Bisogna ubbidire, e non facciamo
interpretazione".
Abbiamo che rilevar ci
fece di vantaggio quanto cieco esecutore ei fosse delle determinazioni del Papa,
e quanto alieno dal farne l'interprete. Querelandomi io in Roma con Monsignor
Carafa quanto a torto ci vedevamo privi senza verun reato delle grazie
pontificie.
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Monsignore
più volte mi disse. A voi chi vi ha
toccatob. Il Papa non
ha inteso di voi, né poteva intenderlo. Anche fondati su di questo tanti
de' nostri sostenevano non esser noi decaduti, e che avvalerci potevamo della
facoltà che si avevano. Insistendosi coll'afflitto vecchio, anche a motivo di
consolarlo, lo comprendo, rispose, ma è Monsignor Carrafa, e non è il Papa
che così parla.
Mosso a compassione di
noi Monsignor Afflitto, Vescovo di Lettere, avanzò supplica al Papa,
rappresentando la nostra costernazione, e cercando rischiarimento per questi,
ed altri dubbj.
Rescrivendo Monsignor
Carafa in nome del S. Padre, così si spiegò: "Non avendo la S. Sede
accordato le sue Grazie, Indulti, e Privilegj ad altra Congregazione del
Santissimo Redentore, se non a quei che seguono l'Istituto della Santa Memoria di Benedetto XIV., secondo la Regola
inserita nella Bolla di approvazione, con legge che si dovesse inviolabilmente
osservare, tutti quei che non professano la stessa Regola nella sua integrità e
senza aggiunta, o variazione, e seguono altro sistema, quantunque analogo alla
medesima, e molto più essendo sostanzialmente diverso, non sono della
Congregazione del Santissimo Redentore, e non partecipano delle Grazie, Indulti
e Privilegj a quella conceduti. Ma tutto ciò che operano sull'appoggio dei
medesimi contro le Sanzioni Canoniche, è per loro illecito, come lo è per
qualunque altro, che non abbia la lusinga di tali pretesti".
Fu questo un altro
fulmine che finì di scoraggiarci. Alfonso, sentendosi ripetere volontà chiara
del Papa, ne adora di nuovo le determinazioni; ed uniformandosi al volere di
Dio, e del Capo della Chiesa, caso non vi fu, che di bocca parola uscita gli
fosse di lamento, in sua discolpa.
Questa privazione delle
Grazie Pontificie, e delle facoltà per le Missioni, perché in danno delle
Anime, era quello che estremamente lo affliggeva. "Da Roma mi si dà
speranza, così al Presidente de Paola, che il Papa sia per restituirmi
l'officio di Rettore Maggiore.
Il colpo, che mi ha
ferito, non è questo; è stata la proibizione delle facoltà per le Missioni,
senza le quali poco possiamo ajutare le Anime. Queste facoltà vorrei veder
ricuperate per poterci ajutare scambievolmente, - 122 -
siccome finora abbiamo fatto. "
Lo incarica adoprarsi;
e nel tempo istesso ne pregò anche il P. Cajone a volersi per questo portare in
Roma. "Io sono inabile a partire, gli scrise, e se non fossi attratto, già
a quest'ora sarei partito. E' necessario che V. R. vada, e vegga col Padre de
Paola, se potesse dal Papa procurare la resituzione delle facoltà. Ottenuto
questo, avressimo ottenuto tutto. Io teneva uniti cento e sette ducati; ma per
le tante spese fatte non posso promettere alcuna somma, mentre non so se vi sia
restato niente. Ognuno di noi bisogna che faccia per lo bene della
Congregazione tutto quello che può".
Tra questo tempo
ancorché sconfitto, diciam così, e disarmato si vedesse, non mancò Alfonso aver
in mira le Missioni. Non si disanima, né la da per vinta al demonio. Siccome un
vecchio Capitano dopo una gran rotta, radunando gli avanzi, fa fronte
all'inimico: così egli, unendo i pochi Soggetti, che aveva, vuole che al solito
si ajutino le Anime, e si faccia petto all'Inferno.
Tra questo tempo colle
sole facoltà Vescovili, volle che attaccate si fossero le prime piazze, e più
bisognose, dico le principali Città. "Noi Regnicoli non abbiamo
tralasciato di fatigare, così all'Eminentissimo Banditi nella medesima de' 15.
Gennaro. Si sono fatte più Missioni, specialmente Foggia, che vale per quattro,
mentre almeno durerà per un mese e mezzo, e sta appuntata la Missioni di Nola,
che anche durerà un altro mese, così quella di Nocera, ed altre; ma si fatiga
senza le facoltà della Penitenzieria, lo che apporta un gran danno a molte
Anime. Supplico suggerirmi qualche sentimento di sollievo, mentre vivo troppo
afflitto per questa burrasca venutaci sopra".
Se Alfonso aveva impegno per le Missioni,
l'Inferno aveva tutta la premura per attraversarle. La notizia essendosi
divolgata per opera del Procuratore, che il Papa sentivala male con noi, e con
Alfonso, riguardati non eravamo, che come la feccia degli uomini, carichi di
censure, e delle Pontificie indignazioni.
Tanti Vescovi, avendoci
per scismatici, ribrezzo avevano di avvalersi delle nostre Missioni; e se i
popoli ci ricercavano, ributtavano le richieste, e mettevanci in discredito.
Tutto era lutto per noi, e per Alfonso. Monsignor Zuccaro, Vescovo di Capaccio,
richiesto per la Missioni dai Reggimentarj di Pisciotta, ve l'accordo,
rescrisse, ma per quei dello Stato Ecclesiastico che sono riconosciuti dal Papa
per veri figli della Chiesa, e per vera Congregazione del Santissimo Redentore.
Li Cioranisti, che sono in Regno, essendosi mostrati alieni dal Capo della
Chiesa, sono stati spogliati di tutti li Privilegj, e facoltà che loro la Sede
Apostolica aveva concesso. Iddio li dia lume, perché concepiscano una volta in
quale cattivo stato stia chi ha cercato sottrarsi dall'ubbidienza del Supremo
Pastore, - 123 -
che da
Cristo ebbe il diritto di pascere nel santo ovile le pecore, e gli agnelli.
Così i nostri venivano
ributtati per novene ed altri esercizj, e da tanti né anche gli Ordinandi si
mandavano più nelle nostre Case.
Avanzando l'inferno i
suoi attacchi non lasciava mezzo per vedere in tutto tolte dal mondo queste
Case di Regno. Essendosi divolgato il colpo fatale del Vaticano, chi per astio
compiacendosi, e chi mal informato, ma mosso da rispetto verso la Sede
Apostolica, tutti convenivano, che queste Case non potevano sussistere senza
scrupolo. Jersera, così ci fe' sentire da Napoli persona di riguardo, in un adunanza
di Missionarj Napoletani, tra quali uno costituito in dignità Ecclesiastica, e
che quì conta nel Clero disse, che non aveva animo consigliare a qualche
giovine l'entrare per Congregato nelle Case di Regno. Un altro disse: non so
come i Soggetti delle Case di Regno ci possono stare in coscienza, dopo che
Roma li ha spogliati de' privilegj, facoltà, ed altro.
In quale afflizione
potevasi vedere in questo tempo il povero vecchio, ogni uno se 'l figuri. Altro
sostegno non aveva in questi suoi travagli, oltre la meditazione della Passione
di Gesù Cristo e delle cose eterne, che nel leggere, rileggere, e meditare la
Vita del Beato Giuseppe da Calasanzio anch'esso tribolato e posto alle strette
negli ultimi anni.
Tolto il tempo che dava
ai nostri, ma per cose precise e necessarie, tutto il di più era in silenzio e
nella stretta unione con Dio. Non ajutandolo la vista, perché miope, vedevasi
col libro poggiato al fronte, e talvolta seguitare la lettura le ore intiere.
Adorava i pensieri del Papa, anzi viveva gelosissimo che non si dicesse parola
in contrario, e molto più che non se gli dasse amarezza.
Avendo preinteso che
taluni de' nostri, perchè vedevansi afflitti e bersagliati, erano per informare
il Re, e cercarne la protezione per quello che coi Statisti si passava, Alfonso
temendo disgusto tra le due Potestà: "Io non saprei assolvere da peccato
mortale, scrisse a' 5. Gennaro 1781. al Padre Vicario Corrado, ognuno de'
nostri che ora facesse al Re qualche ricorso. Prego Vostra Riverenza proibirlo
espressamente".
Quest'ossequio ch'egli aveva al Papa,
ed in circostanze per esso così critiche, intenerivano ognuno".
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Posizione Originale Nota - Libro IV, Cap. XXIV, pag.
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