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P. Antonio Maria Tannoia
Della Vita ed Istituto del venerabile servo di Dio Alfonso M. Liguori...

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  • Libro 4
    • Cap.24 Riconosce Alfonso suo Superiore l'eletto Presidente: soffre con pace l'abbandono de' suoi: adoprasi coll'Eminentissimo Banditi per ricuperarsi la grazia del Papa; e suo sommo zelo per le sante Missioni.
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Cap.24

Riconosce Alfonso suo Superiore l'eletto Presidente: soffre con pace l'abbandono de' suoi: adoprasi coll'Eminentissimo Banditi per ricuperarsi la grazia del Papa; e suo sommo zelo per le sante Missioni.

 


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Corrisposta la grazia, ha questo di proprio, che moltiplica le forze.

Altra vittoria abbiamo in Alfonso che scoraggiò l'Inferno. Riflettendo che nelle Case dello Stato per volontà del Papa sussisteva la Congregazione, uniformando il suo al di lui volere, con atto generoso suo Superiore riconosce il Presidente de Paola; e non esitando risolve andar a morire da suddito nella Casa di Benevento.
Materia di riso, e di dolore fu per noi tutti tal risoluzione, vedendosi così attratto, e mal ridotto. Comunque dal P. Villani, e da altri rappresentata se gli fosse la sua impotenza, ostinato persisteva a voler partire. Rappresentandosegli, che non essendosi abbandonata la Regola, la Congregazione anche sussisteva nel Regno, non si arrese Alfonso: Comunque sia, ei disse, il Papa non riconosce queste Case per Case dell'Istituto.

Un solo motivo fe darlo in dietro, ed è, ch'essendo egli persona ben nota, un tal passo fatto avrebbe del romore in Napoli, e cagionar poteva non indifferente disturbo tra il Re, ed il Papa. Quest'unico riflesso di vedersi amareggiato il Papa se lo arrestò, non lo pose in pace. Sollecito scrisse all'eletto Presidente. Si protesta suo suddito, ed esser pronto a portarsi in qualunque Casa dello Stato; si vide sereno, se dal medesimo comandato non se gli fosse di trattenersi in Nocera, ed averlo per Congregato. a

 

Due volte, come dissi, avevasi egli profetizzato questo suo detronizzamento. La prima in Arienzo nel 1774. allorché dubitandosi dai nostri se dal Papa era per accettarsi la rinuncia del Vescovado, disse, che sarebbesi accettata, e che in Congregazione morir doveva da suddito. La seconda allorché nel 1776. tral bollore delle liti si dubitava che morisse. Se non si capì il mistero né la prima , né la seconda volta, si capì bastantemente in questa data emergenza. Adorò Alfonso con sommessione di cuore la Pontificia determinazione; e qual suddito


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in seguito ebbe sempre pel Presidente de Paola rispetto, e tutta la subordinazione.

 

Fulmine in Regno fu questa provvidenza del Papa, che atterrò, non che scotette le Case. Se tempo prima volo di Soggetti eravi stato da queste a quelle di Benevento, e S. Angelo, fatto noto il decreto del Papa, depopolate restarono queste di Regno. I più ossequiosi per Alfonso, venendo da lui per consiglio, altra risposta non dava: Ubbidite al Papa: ma ve ne furono, che non curandolo, abbandonando il Regno, portonsi nello Stato. Altri nella tempesta naufragarono. Vedendosi sciolti, e credendosi non tenuti alla professione già fatta, voltando le spalle alla Congregazione, ritiraronsi nel secolo: vale a dire, che Alfonso con doppia amarezza desolate vide queste Case, ed egli non curato, mal veduto, e posto in abbandono.

 

Indifferente non fu la Giustizia di Dio con questi naufragati. Uno, tra gli altri, educato da figliuolo, ed amato con tenerezza da Alfonso, ma attaccato al P. Majone, e compagno, ribrezzo non ebbe amareggiarlo. Glorioso fe ritorno in propria casa. Fu Canonico nella sua Cattedrale, e disponendo del Vescovo, ogn'impiego onorifico fu per lui. Io però non so come passavala con Dio. Il fatto fu, che chiamato all'improvviso alla reddizione de' conti, una mattina, ed in età piuttosto giovanile, morto si trovò nel proprio letto.

Ommetto altri disgraziati per non affliggermi di vantaggio.

 

Dissi che non voleva Alfonso la morte del Padre Majone, ma che conoscendo il suo fallo, umiliato si fosse innanzi a Dio, e persistito in Congregazione, né lasciò mezzo per guadagnarlo a Gesù Cristo.

Succeduta la catastrofe di tante cose, la Congregazione ruinata, ed Alfonso depresso, ed umiliato, spirito non ebbe di ritornare tra di noi. Non mancò Alfonso, volendo metterlo in salvo, più e più volte richiamarlo, ma orecchio non diede alle paterne premure. Vedendosi l'ostinazione, se gli fe sentire per mezzo di pubblico Notajo, che tra tanti giorni, o si ritirasse in Congregazione, o avevasi per espulso.
Così terminò la dolente storia. Avvilito ed esecrato da tutti ritirossi, ma con suo poco decoro, disimpegnando affari e servendo in casa di un Barone; e presso di quello, ed in età immatura vi lasciò la vita. Piangeva in morte, detestando il suo operato, la propria disgrazia; e spero che conseguito si abbia da Dio quella misericordia che desiderava.

 

Non dispiaceva ad Alfonso il suo detronizzamento; e se sentiva pena per il travaglio di tante Case così afflitte, maggiore era quello, che soffriva considerando il disgusto, che ne provava il Papa, ed egli, come colpevole, guardato con occhio severo dal Capo della Chiesa, che come figlio ossequiava.

"Il Papa sta in collera con noi, così al P. Presidente agli 8. di Ottobre. Se sapesse che siamo stati in pericolo di


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perdere tutto, certamente non mi condannerebbe. Spero, quando sarà tempo fargli sapere il tutto, supplicarlo della grazia, e la spero; mentre mai mi sono scordato dell'affetto, che ha sempre avuto verso me miserabile; ed io spero vivere, e morire servo suo fedelissimo, e della S. Chiesa".

 

Afflitto qual'era di nuovo tra questi anfratti ricorrette alla protezione dell'Eminentissimo Banditi. Pregollo voler far presente al Papa la sua grave angustia, e quella in cui si ritrovavano tanti Individui, privi tutti delle di lui beneficenze. Egli medesimo avendo fatto una dolente istoria delle vicende, e troppo critiche, che dal suo nascimento sofferto aveva la misera Congregazione fino a questi ultimi tempi, ne formò lettera al Papa da firmarsi dall'Eminentissimo Banditi. presente tra l'altro il gran bene, che la Congregazione faceva in Regno, ed in Sicilia, e la scarsezza che eravi di Operaj; che ogni anno arrivavansi a spedire le sei, e sette compagnie di Missionarj; e che girando per otto mesi continui facevansi in tutte e due i Regni fino a cinquanta e più Missioni. Questo ed altro egli pose in veduta del Papa.

"Per tre giorni, ho stentato, così a 10. Novembre al P. Cajone in Benevento, per tessere questa lettera, che va al Papa, e spero gli vada firmata dal Cardinale. Noi, soggiunge, per mezzo del Cardinale abbiamo la speranza del favore del Papa. Sta sera fo cominciare qui in Nocera una Novena di nove Pater, ed Ave in tutta la Comunità, per il buon effetto di questa lettera. Venerdì manderò in Napoli a far fare una novena dalle Cappuccinelle di S. Francesco. Benedico V. R. e tutti, acciocché raccomandiate a Dio l'affare. Solo per via di orazioni speriamo averlo favorevole; e qui in Regno ho fatto dire una Messa cantata in ogni Casa per la stessa grazia".

 

   Soscrisse, e mandò il Cardinale come sua la lettera di Alfonso: ma come la verità accostavasi al Soglio Pontificio, così dalla calunnia venivane ributtata. Fu rimessa la lettera in Sacra Congregazione. Fattone inteso il Procuratore, e sempre più infierendo contro Alfonso, sostenendo la divisione, nuovi cavilli non gli mancarono per farlo indegno di qualunque grazia.

Avendo Alfonso mandato dal Cardinale. "Desidero sapere, gli scrisse a' 15. Gennaro 1781., se in questa risposta vi sta per noi qualche speranza".

Sospettando amarezza, non vedendosi prevenuto dal Cardinale, "io vorrei, soggiunse, parlare a dirittura col Papa, e vorrei mi dicesse, che abbiamo da fare per ricuperare la sua grazia. Noi stiamo con una consulta contraria del Fiscale di Leon, e questa consulta ancora pende. Pretende che il Re distrugga affatto le nostre Case, dicendo che noi abbiamo la Bolla di


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Benedetto XIV. Poste queste cose, noi che abbiamo da fare per contentare il Papa. Anche ci ha soppresso le facoltà, che avevamo della Penitenzieria, ed appena ci restano quelle che ci concedono i Vescovi. Ci vediamo castigati senza delitto. Torno a dire che cosa noi abbiamo da fare per ricuperare la grazia del Papa. Intanto la Congregazione è restata divisa, e con tal divisione non può far più quel bene che prima faceva. Prego Vostra Eminenza darmi animo, e consiglio".

Animo gli diede il Cardinale per uniformarsi al volere divino, ma non risposta, che consolato l'avesse.

 

Rivolgevasi per consiglio il venerando, ma afflitto vecchio anche al medesimo Presidente de Paola. "Il Papa sta in collera con noi. Vorrei sapere gli scrisse, cosa avrei da fare. Vorrebbe, che ributtassimo il ricevuto Regolamento, ma con ciò cosa ne cavaressimo, se non perdere anche la grazia del Re, ed essere discacciati dalle quattro Case di Regno. Io da molto tempo avrei scritto a dirittura al Papa, ma come facciamo, che dal Re viene a noi proibito scrivere senza la consulta precedente della Camera, e poi confermata dal Re.

E' ben noto al Papa da quante proibizioni noi ci vediamo stretti; e con tutto ciò il Papa ci mantiene in sua disgrazia, sapendo che noi non abbiamo alcun modo di ajutarci. Vi prego scrivermi, e darmi qualche lume, perché io non so che mi fare. Non ho perduto però la speranza in Maria Vergine, che mi ajuti, e metta in camino questa povera barca così sconquassata".

 

Quello, che in questi emergenti faceva Alfonso più senso e meraviglia si è il non farsi mai interprete della volontà del Papa. Afflizione erano per esso non la propria depressione, ma i Privilegj, e le facoltà perdute per le Missioni. Tanti tra di noi non mancavano sostenere non esser noi decaduti dalle grazie Pontificie. Se il Papa, dicevano, intende coloro che lasciato hanno la Regola, e non essendosi da noi lasciata, come condannar può il S. Padre chi ossequioso gli vive.

La ragione persuadeva; né la sentivano altrimenti coscii della nostra innocenza, Monsignor Onorati, Vicario in Napoli, e Vescovo di Troja, né Monsignor Sanseverino, Confessore del Re. Alfonso, non ammettendo interpretazione, voleva si ubbidisse. "Non tocca a noi replicò più volte esser giudici. Chi ci fa giudici tra noi, ed il Papa: caliamo la testa, ed ubbidiamo. Se il Papa ci ha feriti coi suoi rescritti, con un altro può sanarci. Bisogna ubbidire, e non facciamo interpretazione".

 

Abbiamo che rilevar ci fece di vantaggio quanto cieco esecutore ei fosse delle determinazioni del Papa, e quanto alieno dal farne l'interprete. Querelandomi io in Roma con Monsignor Carafa quanto a torto ci vedevamo privi senza verun reato delle grazie pontificie.


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Monsignore più volte mi disse. A voi chi vi ha toccatob. Il Papa non ha inteso di voi, né poteva intenderlo. Anche fondati su di questo tanti de' nostri sostenevano non esser noi decaduti, e che avvalerci potevamo della facoltà che si avevano. Insistendosi coll'afflitto vecchio, anche a motivo di consolarlo, lo comprendo, rispose, ma è Monsignor Carrafa, e non è il Papa che così parla.

 

Mosso a compassione di noi Monsignor Afflitto, Vescovo di Lettere, avanzò supplica al Papa, rappresentando la nostra costernazione, e cercando rischiarimento per questi, ed altri dubbj.

Rescrivendo Monsignor Carafa in nome del S. Padre, così si spiegò: "Non avendo la S. Sede accordato le sue Grazie, Indulti, e Privilegj ad altra Congregazione del Santissimo Redentore, se non a quei che seguono l'Istituto della Santa  Memoria di Benedetto XIV., secondo la Regola inserita nella Bolla di approvazione, con legge che si dovesse inviolabilmente osservare, tutti quei che non professano la stessa Regola nella sua integrità e senza aggiunta, o variazione, e seguono altro sistema, quantunque analogo alla medesima, e molto più essendo sostanzialmente diverso, non sono della Congregazione del Santissimo Redentore, e non partecipano delle Grazie, Indulti e Privilegj a quella conceduti. Ma tutto ciò che operano sull'appoggio dei medesimi contro le Sanzioni Canoniche, è per loro illecito, come lo è per qualunque altro, che non abbia la lusinga di tali pretesti".

Fu questo un altro fulmine che finì di scoraggiarci. Alfonso, sentendosi ripetere volontà chiara del Papa, ne adora di nuovo le determinazioni; ed uniformandosi al volere di Dio, e del Capo della Chiesa, caso non vi fu, che di bocca parola uscita gli fosse di lamento, in sua discolpa.

 

Questa privazione delle Grazie Pontificie, e delle facoltà per le Missioni, perché in danno delle Anime, era quello che estremamente lo affliggeva. "Da Roma mi si speranza, così al Presidente de Paola, che il Papa sia per restituirmi l'officio di Rettore Maggiore.

Il colpo, che mi ha ferito, non è questo; è stata la proibizione delle facoltà per le Missioni, senza le quali poco possiamo ajutare le Anime. Queste facoltà vorrei veder ricuperate per poterci ajutare scambievolmente,


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siccome finora abbiamo fatto. "

Lo incarica adoprarsi; e nel tempo istesso ne pregò anche il P. Cajone a volersi per questo portare in Roma. "Io sono inabile a partire, gli scrise, e se non fossi attratto, già a quest'ora sarei partito. E' necessario che V. R. vada, e vegga col Padre de Paola, se potesse dal Papa procurare la resituzione delle facoltà. Ottenuto questo, avressimo ottenuto tutto. Io teneva uniti cento e sette ducati; ma per le tante spese fatte non posso promettere alcuna somma, mentre non so se vi sia restato niente. Ognuno di noi bisogna che faccia per lo bene della Congregazione tutto quello che può".

 

Tra questo tempo ancorché sconfitto, diciam così, e disarmato si vedesse, non mancò Alfonso aver in mira le Missioni. Non si disanima, né la da per vinta al demonio. Siccome un vecchio Capitano dopo una gran rotta, radunando gli avanzi, fa fronte all'inimico: così egli, unendo i pochi Soggetti, che aveva, vuole che al solito si ajutino le Anime, e si faccia petto all'Inferno.

Tra questo tempo colle sole facoltà Vescovili, volle che attaccate si fossero le prime piazze, e più bisognose, dico le principali Città. "Noi Regnicoli non abbiamo tralasciato di fatigare, così all'Eminentissimo Banditi nella medesima de' 15. Gennaro. Si sono fatte più Missioni, specialmente Foggia, che vale per quattro, mentre almeno durerà per un mese e mezzo, e sta appuntata la Missioni di Nola, che anche durerà un altro mese, così quella di Nocera, ed altre; ma si fatiga senza le facoltà della Penitenzieria, lo che apporta un gran danno a molte Anime. Supplico suggerirmi qualche sentimento di sollievo, mentre vivo troppo afflitto per questa burrasca venutaci sopra".

 

 Se Alfonso aveva impegno per le Missioni, l'Inferno aveva tutta la premura per attraversarle. La notizia essendosi divolgata per opera del Procuratore, che il Papa sentivala male con noi, e con Alfonso, riguardati non eravamo, che come la feccia degli uomini, carichi di censure, e delle Pontificie indignazioni.

Tanti Vescovi, avendoci per scismatici, ribrezzo avevano di avvalersi delle nostre Missioni; e se i popoli ci ricercavano, ributtavano le richieste, e mettevanci in discredito. Tutto era lutto per noi, e per Alfonso. Monsignor Zuccaro, Vescovo di Capaccio, richiesto per la Missioni dai Reggimentarj di Pisciotta, ve l'accordo, rescrisse, ma per quei dello Stato Ecclesiastico che sono riconosciuti dal Papa per veri figli della Chiesa, e per vera Congregazione del Santissimo Redentore.
Li Cioranisti, che sono in Regno, essendosi mostrati alieni dal Capo della Chiesa, sono stati spogliati di tutti li Privilegj, e facoltà che loro la Sede Apostolica aveva concesso. Iddio li dia lume, perché concepiscano una volta in quale cattivo stato stia chi ha cercato sottrarsi dall'ubbidienza del Supremo Pastore,


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che da Cristo ebbe il diritto di pascere nel santo ovile le pecore, e gli agnelli.

Così i nostri venivano ributtati per novene ed altri esercizj, e da tanti né anche gli Ordinandi si mandavano più nelle nostre Case.

 

Avanzando l'inferno i suoi attacchi non lasciava mezzo per vedere in tutto tolte dal mondo queste Case di Regno. Essendosi divolgato il colpo fatale del Vaticano, chi per astio compiacendosi, e chi mal informato, ma mosso da rispetto verso la Sede Apostolica, tutti convenivano, che queste Case non potevano sussistere senza scrupolo. Jersera, così ci fe' sentire da Napoli persona di riguardo, in un adunanza di Missionarj Napoletani, tra quali uno costituito in dignità Ecclesiastica, e che quì conta nel Clero disse, che non aveva animo consigliare a qualche giovine l'entrare per Congregato nelle Case di Regno. Un altro disse: non so come i Soggetti delle Case di Regno ci possono stare in coscienza, dopo che Roma li ha spogliati de' privilegj, facoltà, ed altro.

 

In quale afflizione potevasi vedere in questo tempo il povero vecchio, ogni uno se 'l figuri. Altro sostegno non aveva in questi suoi travagli, oltre la meditazione della Passione di Gesù Cristo e delle cose eterne, che nel leggere, rileggere, e meditare la Vita del Beato Giuseppe da Calasanzio anch'esso tribolato e posto alle strette negli ultimi anni.

Tolto il tempo che dava ai nostri, ma per cose precise e necessarie, tutto il di più era in silenzio e nella stretta unione con Dio. Non ajutandolo la vista, perché miope, vedevasi col libro poggiato al fronte, e talvolta seguitare la lettura le ore intiere. Adorava i pensieri del Papa, anzi viveva gelosissimo che non si dicesse parola in contrario, e molto più che non se gli dasse amarezza.

Avendo preinteso che taluni de' nostri, perchè vedevansi afflitti e bersagliati, erano per informare il Re, e cercarne la protezione per quello che coi Statisti si passava, Alfonso temendo disgusto tra le due Potestà: "Io non saprei assolvere da peccato mortale, scrisse a' 5. Gennaro 1781. al Padre Vicario Corrado, ognuno de' nostri che ora facesse al Re qualche ricorso. Prego Vostra Riverenza proibirlo espressamente".

Quest'ossequio ch'egli aveva al Papa, ed in circostanze per esso così critiche, intenerivano ognuno".

 

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Posizione Originale Nota - Libro IV, Cap. XXIV, pag. 117;

 




a Manca, con mio dolore, questa lettera di Alfonso al Presidente, perché dispersa in Frosinone colle altre carte tra i gravi emergenti, che quella Casa ha sofferti, entrate le armi Francesi.

Posizione Originale Nota - Libro IV, Cap. XXIV, pag. 121



b Si sarebbe inteso così, come Monsignor Carrafa, se vi fossero stati dipartimenti della Congregazione in altri luoghi. Il fatto si è, che essendovi de' grossi dissapori tra la Corte di Napoli, e quella di Roma, non volendosi unire fuoco a fuoco, sul dubbio che Alfonso non ricercasse la protezione del Re, si formò in gergo il Rescritto, per così aversi franca l'uscita. Pulitamente Monsignor Carrafa con questo ritrovato se ne sbrigava con chiunque. In seguito essendo stati da lui i PP. D. Mattia Corrado, e D. Francesco- Saverio di Leo, anche lor disse: Voi siete Teologi. Il Papa come poteva tener questo di voi. Non era così liscia la cosa, come Monsignor la spacciava.






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